Un Eredità Infausta

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    "Chi sia io non è importante - è il mio messaggio ad esserlo."

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    ◊ Capitolo I - Un Eredità Infausta

    Scheda - Parlato - Pensato
    Amegakure - Tarda sera - Dimora di Eanor

    - Questa storia è ambientata 1 anno dopo Orphanage, e diversi mesi dopo gli eventi di Konoha -


    Di tutte le storie che si raccontano nel mondo ninja, le più leggendarie sono quelle che raccontano di scontri passati, scontri tra titani, ninja così potenti da poter cambiare da soli le sorti di una guerra, così potenti da poter fronteggiare da soli persino un intero esercito.
    Non conoscevo i nomi di costoro, questi sono preclusi a gli studiosi della storia del mondo ninja, ma una cosa la sapevo per certo ormai; molti di questi grandiosi guerrieri del passato avevano qualcosa che li contraddistingueva dagli altri, delle particolari abilità innate, ed una di queste era giunta fino a me tramite i miei genitori, una delle più antiche e potenti, lo Sharingan.
    Quando risvegliai il mio "occhio sopito", dopo gli eventi dell'esame di selezione dei chunin avvenuti a Konoha nel 20 D.Z, non mi resi immediatamente conto di quello che mi era accaduto, percepii come un cambiamento nella mia visione del mondo, ero diventato in grado non solo di vedere i movimenti di tutto ciò che ha moto e traiettoria con sorprendente lentezza, ma ero anche diventato in grado di vedere il sistema circolatorio del chakra delle persone che osservavo, seppur in modo grezzo e approssimato; flussi di chakra che viaggiano all'interno del nostro corpo come un autostrada, e che portano il chakra dove richiesto dallo shinobi, era meraviglioso.
    Anche i miei riflessi erano aumentati vertiginosamente, ero in grado di vedere il movimento che una persona aveva intenzione di compiere qualche istante prima che lo facesse, o di vedere la traiettoria di uno shuriken già da diversi metri di distanza; questo mi permetteva di schivare kunai con una precisione millimetrica ed evitare attacchi fisici all'ultimo momento, percepivo il mondo intorno a me in maniera del tutto differente, o almeno lo facevo quando lo Sharingan era attivo nei miei occhi.
    Col tempo imparai ad attivarlo e disattivarlo a piacimento, notando che più lo tenevo "acceso" nei miei occhi, più chakra sentivo confluire in essi e poi svanire, segno che l'utilizzo della mia nuova abilità consumava chakra ogni secondo che rimaneva attivo.
    Fortunatamente la "Biblioteca Centrale di Amegakure" era ricca di volumi su molte abilità e tecniche speciali, avevo trovato un libro piuttosto ben tenuto che parlava dello Sharingan proprio li, al terzo piano, nella sezione delle "tecniche speciali", forse era stato riposto male dal precedente studioso.
    Serviva una licenza speciale per poter accedere a quella sezione della biblioteca, fortunatamente, grazie al mio rendimento accademico, ero riuscito ad ottenerla, e questo mi dava accesso ad una vasta e secolare conoscenza in campo magico tra quegli scaffali lignei e polverosi.
    Quella sera mi trovavo davanti allo specchio di camera mia, e, con lo Sharingan attivo, osservavo quell'iride rossa come il fuoco stagliarsi nel mio occhio, con quella singolare sfera nera sopra la mia pupilla, la quale stava a simboleggiare il livello del mio Sharingan, ancora allo stato acerbo.

    «...Che sia questa l'eredità infausta di cui parlava la lettera...»

    Più che guardavo quegli occhi, più mi rendevo conto che erano un dono, un dono dormiente nei miei geni, donatomi dai miei genitori alla nascita e risvegliatosi nel momento del bisogno, forse tramite lui sarei stato in grado di risalire all'identità dei miei genitori, o almeno di uno di essi, mia madre, colei che aveva redatto la lettera...lettera che tenevo come un santino in un cassetto ben chiuso, per chissà quale strana paura che essa potesse danneggiarsi o andare perduta.
    Rimossi la lettera dal suo cassetto e la aprii, come avevo fatto altre 100 volte nell'ultimo anno, con una nota di malinconia e tristezza; ma questa volta fu diverso, mi sentii pervaso da un sentimento di speranza, quasi di gloria, avendo in mano, o meglio, negli occhi, un altro piccolo pezzo del puzzle che poteva condurmi dai miei genitori.

    CITAZIONE
    «Al Direttore Josahya Beily.

    Le scrivo questa lettera in anonimato ed in confidenza, confidando che la terrà per se fino alla maggiore età di Eanor.
    Il piccolo Eanor è molto amato sia da me che da suo padre, ma porta con se un eredità pericolosa, un eredità per la quale sarà perseguitato ed inseguito qualora fosse resa nota, per questo io e mio marito abbiamo deciso di lasciarlo qui, è stata la decisione più difficile della nostra vita, ma con noi avrebbe corso un rischio troppo grande.
    Egli porta con se qualcosa che, quando sarà il momento, dovrà scoprire e comprendere da solo, ma fino a quel momento non permetta a nessuno di adottarlo, la prego, si fidi di me.
    Quando raggiungerà i 18 anni, gli mostri la lettera, e lo lasci libero di seguire la sua strada...è insita nei suoi geni la capacità di cavarsela da solo.
    Ora mi rivolgo a te, mio piccolo principe, non pensare neppure per un attimo i tuoi genitori non ti amino, ma un giorno capirai il perchè abbiamo fatto quello che abbiamo fatto, fino a quel giorno, porta con onore il tuo nome, il nome di tuoi nonno, e sappi che il tuo cognome è...Atreides.»

    Conoscevo a memoria le parole ormai, ma più che la rileggevo, più mi rendevo conto di a cosa alludesse mia madre con "eredità pericolosa".
    Persino io sapevo che lo Sharingan è qualcosa di infinitamente raro, qualcosa che sboccia solo in rari fiori, e desiderato quindi da molti per gli intenti più disparati.

    «..Cercavano di nascondermi da qualcuno che sapeva dello Sharingan...deve essere questo a cui si riferiva con "eredità pericolosa"...sapevano che avevo dentro di me i geni di un Uchiha e hanno cercato di nascondermi...mamma...papà...»

    Fui pervaso da un senso di colpa infinito, era colpa mia se i miei genitori furono costretti ad abbandonarmi?

    «Probabilmente uno dei due doveva possedere la mia stessa abilità, e passandomela mettendomi al mondo aveva paura che potessi essere bersaglio di qualcuno che voleva gli occhi per se.»

    Tutto ciò che avevo in mano era un abilità rara quanto una cometa ed un cognome, un cognome che da adesso in poi avrei sfoggiato con onore.

    «Atreides...si...Atreides!»

    Esclamai fissando il mio guardo nello specchio, sferrando poi un pungo al vetro, che lo frantumò in mille pezzi, finendo per scheggiarmi la mano e facendo colare sangue a terra.
    Fissai la mano sanguinante e mi tornò in mente l'orfanotrofio, capitava spesso di azzuffarsi tra ragazzini, e quella mano me l'ero fratturata più di una volta, la più memorabile quando presi a pugni la testa di Shinji, il bulletto dai capelli biondi che si divertiva a vandalizzare la mensa lanciando cibo a destra e a sinistra.
    A quel tempo non sapevo che bisognasse serrare bene il pungo per evitare di farsi male all'impatto...ero un ragazzino dopo tutto.
    Non vedevo il vecchio Beily da una vita, ero stato inglobato così tanto nella vita militare che mi ero dimenticato di tornare a fargli visita per vedere come stesse, per vedere se l'orfanotrofio ancora si reggeva in piedi...lui era stato come un padre per me, sono sicuro che ai miei genitori sarebbe piaciuto molto conoscerlo.
     
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    ◊ Capitolo II - La morte di un padre

    Scheda - Parlato - Pensato
    Amegakure - 10.30 AM - Orfanotrofio Centrale

    La mattina seguente mi svegliai di buon ora, era una giornata insolitamente serena, una delle pochissime che è possibile osservare ad Ame in autunno, prima che le prime nevei prendano il posto della pioggia.
    Un energy drink ed una frittata furono la mia colazione, mangiavo la stessa cosa ogni mattina, non mi volevo decidere a provare il caffè; sapevo che quella roba zuccherata mi faceva male, ma il sapore amaro del caffè proprio non riuscivo a buttarlo giù, ma al contempo avevo bisogno di qualcosa che mi desse il kick, altrimenti non avrei avuto la forza per allenarmi.
    Indossai il mio abbigliamento ufficiale, non dovevo andare in missione, ma volli comunque appariure professionale a gli occhi del vecchio Beily, giacchè quel giorno sarei andato a fargli visita dopo tanto tempo, quasi 1 anno, che non lo vedevo.
    Lasciai casa ed imboccai la strada che conoscevo fin troppo bene ormai, un viale lungo e spoglio, pieno di tombini di drenaggio dell'acqua; tutt'attorno a me si stagliavano grossi grattacieli di metallo, alti più di 30 metri, che andavano a coprire il sole di quella fresca mattina di inizio novembre; sotto di essi, un fiume di persone dallo sguardo grigio e tetro si muoveva in ambo le direzioni della strada, avevano tutti lo sguardo basso e fisso, si muovevano meccanicamente dal punto A al punto B, tale era la realtà di Ame, una città meccanica, dove si lavora tutto il giorno e non c'è spazio per il divertimento e lo svago, a meno che tu non sia molto ricco o molto corrotto, la vita criminale della città era come una realtà accettata, tutti sapevano che era li, in quella via, in quel palazzo, in quella straducola, ma nessuno faceva niente per dargli troppo fastidio, solo qualche arresto di circostanza, perchè persino ai pieni alti sapevano che essa bilanciava la vita comune, e l'una non avrebbe potuto prosperare senza l'altra, Ame era sempre sull'orlo del baratro su cui camminava da anni, forse da sempre, e nulla avrebbe potuto cambiare questa realtà, e forse non ce n'era neppure necessità.
    Quando giunsi fino dinnanzi alle porte del vecchio orfanotrofio, il mio cuore si fermò per un istante, rivedendo quella che per 18 anni avevo chiamato..casa.

    «Quanto tempo...non è cambiato proprio niente.»

    Lo stesso cancellaccio di ferro, lo stesso piccolo piazzale con tre fiori in croce e tanti sassi per terra, la stessa aria di decadente palazzo di pietra che le dava anche una certa aria di solidità e sicurezza, niente era cambiato dagli anni precedenti, era esattamente come lo avevo lasciato.
    Varcai la soglia principale, stranamente socchiusa, e mossi alcuni passi nel grosso corridoio principale, erano le 10, quindi l'ora della lezione per tutti i bambini.
    Ogni passo che muovevo era un tonfo al cuore, le lacrime le riuscivo a trattenere a stento, mentre guardavo ogni singola piastrella del pavimento, ogni termosifone scassato, ogni logora porta di legno...tutto, tutto nascondeva 18 anni di ricordi, non c'era una sola piastrella sulla quale non fosse accaduto qualcosa, non c'era un singolo corridoio in cui non avessi combinato qualcosa, tutto trasudava ricordi, tanto che pensai che, forse, venire non era stata una grande idea.
    La mia vita era una vita solitaria, non avevo una famiglia, una fidanzata, la mia casa era fredda e spoglia, nessuno che mi aspettasse la sera a casa, o che si preoccupasse di come mi sento, ero un ninja di Ame, addestrato a non provare sentimenti o emozioni in battaglia, ma la mia vita era grigia anche fuori da essa, come continuare?
    D'un tratto, finalmente incontrai un essere umano in quel mare di sentimenti spettrali, un infermiera, era giovane, mai vista prima.
    Venne verso di me, vedendo la divisa militare pensò probabilmente a qualche problema.

    «Sssalve, è ssuccesso qualccosa?»

    Era balbuziente.

    «No non si preoccupi, sono qui per vedere il vecchi...il direttore Beily, sono un suo vecchio amico.»

    Gli occhi dell'infermiera si rattristarono subito, capendo che ero stato un bambino allevato qui.

    «Ccapisco, però purtroppo il ddirettore non è più qui...llui è morto circa 3 mesi fa.»
    Il mio cuore si fermò per un istante, tutti i suoni si ovattarono, la mia mente si perse in un buco nero di sentimenti contrastanti, mentre i miei occhi fissavano la dolce infermiera negli occhi, mentre una lacrima scese da entrambi, senza che potessi controllarla.

    «Come è morto...come? perchè? Quando?...»
    Perchè? che domanda era perchè, era vecchio, quasi 90 enne, perchè mi stupii così tanto? Ancora oggi non so spiegarlo.
    Nemmeno per un attimo, in 18 anni che ero stato li, avevo mai riflettuto sulla possibilità che lui morisse, per me era immortale, era il vecchio Beily, il vecchio e gentile direttore che aveva sempre qualcosa di bello da dire, come poteva essere morto?

    «Negli ultimi anni si era ammalato di ttumore al ccc...colon! Mi aveva assunta poco prima cche la mmmalattia peggiorasse, lo abbiamo aiutato come pppotevamo, mma si è spento in Agosto, illl 23.»

    «Capisco...io sono cresciuto qui ed ero venuto a salutarlo, non avevo idea che fosse morto...»

    Alcune lacrime scesero lungo la mia guancia, io mi coprii gli occhi, non era dignitose vedere un ninja piangere.

    «Mi scusi..io...»

    Non si preoccupi, sono sicuro che lllui per lei fosse molto importttante, mi ddica, come si chiama?

    «Eanor, Eanor Atreides»

    Improvvisamente, negli occhi dell'infermiera si palesò una piccola luce, come se mi avesse riconosciuto, anche s enon ci eravamo mai visti.

    «SSi! Lui parlava spesso di llei, "il piccolo Eanor" diceva ogni ttanto, ddiceva che eravate stato qui per mmmolti anni, le voleva molto bene.»

    A quel punto non riuscii a trattenere le lacrime, e scoppiai a piangere, senza più curarmi dell'uniforme, del mio retaggio, dello sharingan, dei mie genitori, di niente.
    L'infermiera mi abbracciò, lo fece d'istinto, come se mi conoscesse da una vita, mentre io cercando di recuperare un contegno di cui non mi importava nulla in realtà, il mio papà era morto, e non c'era nulla al mondo che potesse riportarlo da me.

    «LLui ha lsciato una lettera per llei, era nel testamento che abbbiamo llletto, vvenga.»


    Mi condusse nell'ufficio di Beily, varcando quella soglia mi sentii morire, ero stati li per 18 anni, almeno una volta a settimana per parlare con lui, o per spiegargli perchè avevo combinato la marachella di turno.
    Aprì un cassetto nell'armadio ligneo appoggiato dietro la scrivania e ne tirò fuori una lettera ancora sigillata, con sopra la dicitura "X Eanor Atreides, Genin di Ame"

    «Sapeva che ero diventato ninja... mi aveva tenuto d'occhio? Maledetto vecchio...»

    Le lacrime tornarono a scorrere, mentre l'infermiera mi disse che mi avrebbe lasciato un pò di tempo per leggere la lettera, e si congedò appoggiandomi una mano sulla spalla, condividendo con me il dolore che entrambi provavamo in quel momento.
    Mi sedetti sulla sedia davanti alla scrivania, quella dove il me di 10 anni fa si era seduto per spiegare a Beily perchè avevo tirato la patata bollita in testa ad un mio compagno di camerata.
    Aprii la lettera con le mani che tremavano, mentre una lacrima macchiò la carta stampata, diluendo l'inchiostri blu.


    CITAZIONE
    Caro Eanor, ti ho visto crescere fin da quando sei arrivato alla mia porta, 22 anni fa, ed ho sempre saputo che tu fossi speciale, non perchè lo dicesse la lettera di tua madre, ma perchè lo vedevo nei tuoi occhi, nei tuoi piccoli occhi verde smeraldo.
    Non piangere per la mia morte, ti ho amato come fossi mio figlio, e sò che tu hai amato me come fossi tuo padre, e questo legame non potrà disfarlo niente, neppure la morte.
    Non voglio lasciarti senza niente però, negli ultimi anni mi sono impegnato a cercare una risposta al perchè tua madre ti avesse lasciato a me, ma purtroppo non sono riuscito a scoprire molto, tutte le tracce dei tuoi genitori si fermano alla porta dell'orfanotrofio.
    Una cosa però sono riuscito a scoprirla, indagando sulle persone che erano entrate ad Ame in quei giorni con passaporti esteri, è saltato fuori che una coppia con un piccolo infante era entrata con passaporto di Kumo, ed è andata via senza il bambino pochi giorni dopo.
    I nomi sul passaporto sono risultati falsi, ovviamente viaggiavano in incognito, ma il passaporto in se e per se era originale, con un altro nome scritto sotto a quello fasullo.
    Credo che abbiano rubato due passaporti e sostituito i nomi, ma se il passaporto è originale, significa che i tuoi genitori sono di Kumo, e dunque tu sei originario di li, si spiegherebbe il tuo colorito abbronzato ed i tuoi occhi anomali per il nostro paese.
    Adesso sei un ninja piccolo mio, sò che li andrai a cercare, ma ti prego, fai attenzione, e ricorda sempre che io veglio su di te, anche da quassù.

    Le lacrime scesero copiose sulla lettera, che si bagnò irrimediabilmente, cominciando a far sciogliere l'inchiostro di molte parole della parte centrale della lettera.
    Aveva passato gli ultimi mesi della sua vita, vessato da un tumore che lo stava uccidendo, per aiutare me.
    Un gesto così può essere solo quello di un padre, tanto che, nella mia mente, l'idea di mio padre non era più quella di un individuo sfuggente, che mi aveva generato e poi abbandonato...

    Ma quello di un vecchio uomo, che non aveva avuto la possibilità di avere un figlio, e che aveva visto in me la speranza di poterne, magari, crescere uno.

     
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    ◊ Capitolo III - Il Falsario

    Scheda - Parlato - ???
    Kumogakure - 14.30 PM - ???

    N non mi è mai piaciuto viaggiare a cavallo, ma per raggiungere Kumo, da Amegakure ci vogliono almeno sei giorni di viaggio, che diventano cinque se si spinge il cavallo al massimo e non si ha paura della scomodità delle selle in logoro cuoio reperibili ad Ame, vendute assieme al cavallo già sellato per risparmiare qualcosa.
    Fintanto che la strada rimase battuta e in piano, i problemi furono minimi, procedevo infatti a grande velocità verso nord-ovest, attraversando tutto il Paese della Pioggia, al galoppo, nella speranza di arrivare al confine per la notte e riposare in una locanda al confine con il Paese della Terra, per poi ripartire di prima mattina alla volta delle montagne, alle prime luci dell'alba.
    La pensione che trovai fu anche l'unica nella quale mi ero imbattuto per tutta la giornata, umile e per nulla sfarzosa, ma era precisamente quello che mi serviva per riposare le mie membra stanche da dieci ore di continuo cavalcare; anche il povero baio dal pelo marrone scuro aveva bisogno di riposo, mi assicurai che la direzione della pensione gli desse acqua fresca e del fieno per la notte, avevo bisogno di lui nella massima forma possibile nei giorni a seguire, o non avrebbe retto la traversata delle montagne, con una temperatura alla quale non era abituato vivendo nella steppa bagnata.
    Quella notte ebbi difficoltà a dormire, e guardando la flebile luce della luna attraversare la finestra alla destra del mio scomodo letto, colpire il cuscino accanto a me, la mia mente viaggiò lontana, verso lidi di pensiero e congetture riguardo ai miei genitori, riguardo alla mia eredità "infausta", e piano piano nella mia mente si fece largo un pensiero diverso...un pensiero nuovo.
    Se anche non fossi riuscito a scoprire nulla, certo ne sarei rimasto deluso...ma non distrutto; la verità era che la mia vita procedeva bene, la mia carriera da ninja, nonostante il fallimento dell'esame di Konoha, procedeva spedita, ogni giorno diventavo sempre più forte...questi nuovi occhi mi donavano una percezione della realtà diversa, quasi spettrale...riuscivo a vedere il mondo in modo diverso, e se anche la mia ricerca non avesse portato i frutti sperati, non avrei permesso al mio passato, per quanto ignoto, di pregiudicare il mio futuro, come uomo e come shinobi.
    Il mattino seguente partii di buon ora, quando il sole era da poco sorto oltre le bagnate distese paludose della parte nord del paese; ormai mancavano si e no tre giorni a Kumo, ma era proprio adesso che la strada cominciava a farsi impervia.
    La strada piana e battuta lasciava spazio a ripide discese e impervie salite sull'altopiano della Roccia, avrei dovuto risalire diverse colline e anche una catena montuosa non così bassa come può sembrare dai libri di geografia o da qualche mappa topografica della zona...sapevo che la strada sarebbe stata ostica, ma non potevo tirarmi indietro, dovevo affrontare la verità una volta per tutte, e tornare a casa con delle risposte, o almeno con la consapevolezza di averle cercate.

    3 giorni dopo - Kumo



    Il mio culo implorava pietà, ma proprio quando pensavo che mi sarei fermato per accamparmi per la notte, ecco che, dietro ad un ammasso roccioso decisamente imponente, spuntò fuori il pinnacolo roccioso che svetta sopra il palazzo principale di Kumo, quello che presumevo essere il palazzo del Kage.
    La conformazione del villaggio era decisamente bizzarra, non c'erano palazzi, ma costruzioni circolari incavate dentro le rocce della montagna, sospese a molte decine di metri di altezza dal suolo, con alcune balconate e alcuni ponti di collegamento che fungevano da attraversamento pedonale per tutti i civili che non erano in grado di muoversi come gli shinobi.
    Lasciai il cavallo alle stalle del cancello Est del villaggio, informando lo stalliere che avrei avuto bisogno del cavallo il giorno seguente, al piùb tardi due giorni dopo, e di farmelo trovare pronto e nutrito per il viaggio di ritorno.
    Alleggerito di un centinaio di ryo per il disturbo, mi accinsi ad attraversare il primo dei molti ponti del villaggio, per raggiungere la piazza principale di Kumo, e cominciare da li le mie ricerche.
    Il sole era ormai tramontato da qualche ora, ma la gremita piazza principale del villaggio non accennava a svuotarsi, centinaia di persone si ammassavano per fare gli ultimi acquisti al mercato, o entrare nei vari bar e ristoranti che si affacciavano su di essa.
    Mi mossi rapido tra la folla, cercando un punto sopraelevato rispetto al mio livello, per cercare di orientarmi al meglio sulla direzione da prendere; dovevo trovare la zona più malfamata della città...solo li avrei potuto incontrare qualcuno di adatto a rispondere a certe mie domande, domande non adatte ad un onesto cittadino della nuvola.
    Non mi ci volle molto per arrivare in una strada buia e fetida, parecchio lontana dal bagliore dei lampioni delle strade più trafficate...mi trovavo nel quartiere est del villaggio, quartiere che, dopo aver chiesto in giro, mi era stato segnalato come quello da evitare per un "turista" come me, visto l'alto livello di borseggi e taccheggi che c'erano stati nell'ultimo periodo.
    Camminando sotto gli sguardi sospettosi dei passanti, per lo più uomini di mezza età dallo sguardo indagatorio, mi fermai in una bottega che vendeva per lo più antiquariato, oggetti particolari e qualche vecchio e logoro libro antico.

    «Salve...non so bene come chiedere, ma sto cercando qualcuno che possa vendermi un...bhe..passaporto»

    Impegnai tutta la mia teatralità per sembrare un giovane e sprovveduto 20enne, insicuro di se stesso e abbastanza imbottito di soldi e paura da non potersi difendere da un ipotetica aggressione.
    Il tipo dietro al bancone, un uomo sulla 50ina dallo sguardo stanco mi squadrò dalla testa ai piedi; ero vestito in abiti civili, e la mia posa un pò volontariamente ingobbita dovette tranquillizzarlo, non facendogli sospettare che in realtà fossi uno shinobi.

    «E cosa ti fa pensare che io ne sappia qualcosa scusa? Sono un antiquario, niente di più.»

    «Ho sentito dire in giro che se qualcuno dovesse aver bisogno di una cosa smilie, questo è il quartiere giusto...e questo è il primo negozio in cui mi sono imbattuto...»

    Esclamai con voce tiepida e leggermente spaventata, senza togliere lo sguardo dal bancone, evitando il contatto visivo con quell'individuo.

    «Ho molti soldi con me...posso pagare bene!»

    Non sò se sia stato per quella frase o meno, ma lo sguardo del venditore cambiò radicalmente, si tramutò in un beffardo sorriso di chi è convinto di avere davanti un pollo da spennare, dopo tutto egli non era così innocente come voleva far credere.

    «Mhmmm...va bene ragazzo...vai nel vicolo qui a destra, c'è una porta di legno tinta con lo stesso colore della pietra in cui è incastonata, trovala e quando avrei bussato, rispondi "Barone Nero".

    «Ok...e poi?»

    «E poi vedrai, adesso vai forza!»

    Uscii dal negozio e mi diressi nel vicolo indicato dal commerciante, la mia postura tornò dritta, il mio sguardo tornò rigido...ci sapevo fare con le parole per fortuna, se lo avessi approcciato in maniera ostile, o peggio, ufficiale, probabilmente si sarebbe chiuso a guscio e non avrebbe più aperto bocca, bruciandomi tutte le chance di scoprire qualcosa.
    Nel vicolo, individuai la porta menzionata dall'antiquario, una porta grigio scura dello stesso colore della pietra attorno ad essa, e dopo aver bussato due volte, una voce femminile mi si rivolse in tono imperativo:

    «Parola d'ordine?»

    «Barone Nero»

    La porta si aprì dopo pochi secondi, rivelando una donna dai capelli biondi, sulla 30ina, occhi marroni e un abbigliamento che ricorda vagamente quello di una cameriera.

    «Avanti, lui è di sotto»

    Scesi le strette scale che mi condussero fino ad un piccolo anfratto scavato nella roccia, dove un uomo dalla mole decisamente grottesca sedeva dietro ad una scrivania di legno molto elegante, con diversi oggetti decorativi sopra di essa, mentre la stanza era illuminata da alcune candele affisse alle pareti, dietro davanti a drappi color porpora e a tappezzerie decisamente old-age.
    L'uomo era vestito in maniera molto elegante,la sua mole però lo faceva sembrare più un personaggio dei cartoni animati che altro, pareva avesse difficoltà a muoversi, viste le stampelle che poggiavano dietro di lui, dietro la sedia.

    JdzKWH



    «Ma guarda che bel giovane...che cosa ti serve caro?»

    «Salve...sono qui perchè ho bisogno di un paio di passaporti, ma devono essere affidabili, sà cosa intendo, non voglio problemi...»

    Esclamai, tornando al mio tono insicuro e fittiziamente ingenuo.

    «Al giusto prezzo giovanotto si può avere tutto e anche di più, hai i soldi? Qui non facciamo credito a nessuno sappilo!»

    «Ho esattamente quello che le serve...»

    Prima che il falsario potesse rendersene conto, visto i suoi riflessi lenti e le sue movenze da elefanti, saltai sul tavolo in rovere, ed estratto un kunai, glielo puntai alla gola, facendogli sentire la lama scorrere lungo la giugulare.

    «Un solo fiato e sarai morto prima che la tua amica al piano di sopra possa fare le scale, mi hai capito?»

    Il suo sguardo si tramutò in terrore, fece cadere il sigaro che stava fumando nella mano destra e si paralizzò, deglutendo e facendo subbalzare la lama del kunai al suo collo.

    «Sono qui perchè più o meno 20 anni fa hai venduto dei passaporti falsi a due persone, presumibilmente di 30 anni, originari di Kumo; i passaporti che gli hai venduto erano originali, ma hai sostituito le immagini e qualche dato, un lavoro fatto molto bene, e pare che tu sia il miglior falsario in città...quindi dimmi, sei in grado di risalire a loro?»

    «Iiiio non lo so, è passato tanto tempo, perche non abbassi quel coltello e ne parliamo?»

    Aggiunsi pressione al suo collo sudato per lo stress.

    «Miaka e Sanzo Watanabe, questi sono i nomi originali di quel passaporto, tu li hai sostituiti con altri, devi dirmi chi te lo ha commissionato, o non uscirai vivo da questa stanza, è chiaro?»

    Il mio sguardo divenne infuocato, e a malapena riuscii a trattenere il mio sharingan dall'uscire allo scoperto prorompentemente.

    «Ooook, aspetta un attimo, fammi controllare...»


    Esclamò terrorizzato il falsario, portando davanti a se un enorme libro mastro rosso, che una volta aperto rivelò una moltitudine di dati, numeri e nomi, scritti in colonna come in un registro contabile.
    Scorse molte pagine addietro a quella della data odierna, tornando a 20 anni fa, e aiutandosi con il dito per leggere le scritte in piccolo al bordo del foglio.

    «Mhmm...si, ho venduto due passaporti falsi con quei nomi, gli acquirenti erano un uomo ed una donna di qui, di lui non sò il nome, ma il nome della donna è Tessa Hagomo.»

    «Hai un indirizzo?»

    «Si...ecco, adesso vattene però, non ho altro da dirti!»

    Allontanai il coltello dal collo dell'uomo grottesco, intimandogli di fare silenzio e lanciando sul tavolo un sacchetto pieno di ryo.

    «Per il disturbo, addio.»

    Edited by Revan - 13/4/2021, 18:20
     
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