Quando il fulmine incontro la sabbia

☆ Parlato ☆ Narrato ☆ Parlato altri ☆ Kyoshi Jiki ☆ Jiton ☆ OC: lucky<3

Passai i giorni successivi allo scontro con Haruki a riposare, ed a rimuginare su tutto quello che era successo, specialmente alla fine del combattimento. Anche se, proprio come un sogno, più ci pensavo, peggio ricordavo quegli avvenimenti accaduti nel mio inconscio.
Con uno sforzo dei miei muscoli addominali, passai da sdraiato a seduto. Ero sveglio già da un po’ di tempo, ma avevo deciso di rimanere a letto per ancora qualche minuto. Alla fine, la mancanza di ossigeno nella stanza mi convinse ad alzarmi completamente. Mi trascinai fino alla finestra, scostai le tende e aprii le ante, permettendo alla vita fuori dalla mia camera di entrare dirompente. I miei sensi furono inebriati da suoni, odori, e soprattutto, luce! I giorni nuvolosi degli ultimi dodici mesi erano così rari che li avrei potuti contare sulle dita d'una mano, e ancora meno erano quelli di pioggia. A giudicare dall’ammontare di persone che percorrevano la strada sotto casa mia, oramai doveva essere mattina inoltrata.
Incominciai a muovere busto e arti per sentire la risposta del mio corpo. Al contrario dei giorni prima, quando mi sentivo ancora un minimo debilitato dagli sforzi dello scontro con Haruki, quel giorno mi sentivo riposato e pieno di energie
"Da troppo tempo sono fermo, meglio allenarsi oggi così i miei non rompono… "
Un volta fatta questa decisione, mi allontanai dalla finestra e aprii l’armadio. Scelsi un outfit molto informale, una semplice tunica composta da una parte superiore senza maniche e dei pantaloni larghi, entrambi color crema. Semplice e funzionale. Finalmente, uscii dalla mia camera, pronto ad iniziare la giornata. Mi mossi fino al bagno, dove con dell'acqua mi sciacquai la faccia, risvegliandomi. Alzai lo sguardo, trovandomi faccia a faccia con la mia immagine riflessa. Per un secondo, rividi l'altro Kyoshi. In quel momento, riuscii a ricordare un suo particolare: aveva una pittura facciale. Scavando nella memoria, riuscii a ricrearlo sulla mia faccia. Due linee rosse parallele sull'occhio sinistro che che dal sopracciglio arrivavano fino alla guancia, e una linea, parallela alle altre due, ma più lunga, sull'occhio destro. Essa poi si incontrava con una quarta linea, che attraversava la guancia destra, ed era quasi perpendicolare alle altre. Soddisfatto, entrai in cucina, sperando di trovare del tè freddo. Trovai invece i miei genitori. Erano seduti al tavolo, e stavano facendo colazione con dei biscotti. Avevano l'aria di chi aveva appena preparato uno scherzo e stavano aspettando che la vittima ci cascasse. Dieci ad uno che la vittima fossi io. E come avevo "previsto", affianco alle posate disposte con cura, c'era un piccolo foglio di carta, ripiegato in tre parti.
"Cos'è questa?"
Da loro non ottenni nessuna risposta. La spiegai, e vidi un breve testo, scritto con in calligrafia molto squadrata.

Lessi tutto il contenuto della lettera ad alta voce, poi guardai i miei genitori. Essi rimasero con la stessa espressione di prima, ma ora mi allungavano degli sguardi per vedere la mia reazione
"Beh, direi che ho un allenamento interessante in vista oggi… Speriamo che questo non sia l'unico modo in cui cui questo Renjii si faccia sentire…. "
Finii di mangiare, presi la giara di sabbia, e mi misi in cammino verso il cancello est, quello dove sarebbe dovuto arrivare il mio sfidante. Sbuffando, aspettai l'arrivo del genin di Kumo, cercando tra i vari viaggiatori qualcuno con un coprifronte diverso da quello di Suna. Dopo quello che sembrò un tempo interminabile (mezz'ora) vidi una figura snella, con i capelli bianchi, fasciature sulle mani, e coprifronte di Kumo
"Bingo…"
Dissi sottovoce. Il ragazzo si avvicinò a me, e mi chiese se conoscessi un certo Renji.
"Non posso dire di conoscere renji, ma sono abbastanza sicuro di conoscere chi dovrai sfidare… Me stesso! Piacere, Kyoshi Jiki"
Dissi, aprendo teatralmente le braccia mentre dicevo "me stesso".
Mi incamminai verso il campo che ci era stato prenotato.
"Seguimi, ti porto nel campo in cui ci alleneremo"
Il campo cinque era un luogo molto spazioso, una semplice zona desertica delimitata da delle staccionate di ferro. Erano presenti una moltitudine di manichini sparsi un po' dappertutto. Non molto ordinato, ma funzionale.
"Bene, siamo arrivati. Sei te l'ospite, quindi ti concedo il primo attacco. E non andarci piano!"
Mi posizionai a una decina di metri dal ragazzo di Kumo, in guardia. Avevo tanti pensieri in testa, ma il più pressante di tutti era: "chi è Renji?"

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"Molto onorevole da parte tua lasciarmi la prima mossa. Vedo inoltre che non vuoi lasciare la tua giara, quindi per il tuo gioco leale, non voglio ripagarti con una scortesia. Il mio nome è Sumairu Akame e, da questo momento, cercherò per quanto possibile di essere il tuo incubo peggiore"
"Il piacere è tutto mio Suimaru! "
Sorrisi leggermente. Magari i miei incubi peggiori riguardassero altri genin, pensai con una punta di ironia. A guardarlo bene, sembrava meno esperto di me, e forse anche meno di Haruki. Probabilmente, quello era il motivo per cui lo avevano messo contro di me. Mi congratulai mentalmente con Renji, poiché lui forse era il primo che riusciva a vedere oltre la mia arroganza ed il mio orgoglio, capendo in concreto quale era la mia vera attitudine combattiva. Con un unico movimento del braccio, tolsi il tappo della giara e lo lanciai lontano da me, vicino all’ingresso che avevamo attraversato poco prima.
Oramai eravamo agli ultimi preparativi, e solo in quel momento notai un particolare… familiare. Suimaru aveva sul volto una pittura molto particolare, tipica di Suna… Era stata inventata per quando era necessario viaggiare nel deserto, visto che riparava gli occhi dalla luce solare diretta. In seguito, si era stabilita anche come moda. Non sapevo che anche a kumo fossero usate. Gli avrei chiesto qualcosa a riguardo dopo lo scontro di sicuro, ero molto curioso.
"Saluta i miei amici kyoshi!"
Compose dei sigilli, e POUF! Altri dieci genin di Kumo erano entrati in campo. Avevo già visto quella tecnica, l'aveva usata anche Haruki nel nostro scontro. Era abbastanza pericolosa, poiché avevo notato che riusciva a produrre cloni più efficientemente, aumentando il loro numero alla stessa spesa di chakra. In effetti sarebbe stato un ottimo investimento di tempo andare alla biblioteca di Suna a leggere la pergamena di quella tecnica.
Stetti al gioco e mettendo le mani dietro la testa, usandole come appoggio, risposi in tono ilare.
"Ciao amici di Suimaru!"
Nonostante sembrassi molto poco serio, avevo già incominciato a far muovere il mio cervello. Più precisamente, avevo messo le mani dietro di me, pronte per creare una Daitoppa se necessario.
Davanti a me si pararono una moltitudine di persone, che incominciarono a correre verso di me. Fortunatamente, sapevo che quel tipo particolare di copie avevano la capacità di muoversi indipendentemente dall'utilizzatore. Ad una prima occhiata, nessuno di essi sembrava il vero, visto che nessuno di essi sembrava smuovere sabbia. Ma era anche una situazione molto affollata, quindi non ci avrei messo la mano sul fuoco. Mi aspettavo un suo attacco da un momento all'altro, e tanto per fare scena, alzai le braccia con i pugni chiusi, come se mi stessi allungando la schiena. Un undicesimo Suimaru, più veloce, aggressivo e probabilmente più reale di tutti gli altri apparse davanti a me, incominciando i movimenti per quello che sembrava un colpo di palmo ascendente. Ma io non sarei andato giù facilmente come la mia natura giocosa e spensierata gli avrebbe potuto far credere. Non se ne era accorto, ma ero sempre stato pronto a sferrare la Daitoppa. Avevo alzato le mani apposta, anche se lo avevo mascherato da altro. Concentrando il chakra fuuton, e poi abbassando velocemente le mani, avrei provato a creare la Daitoppa in modo che impattasse contro di Suimaru. Ma non era solo questa la sua offensiva. Sguainò la sua spada, e quasi subito da essa incominciarono a partire delle scariche elettriche, indicative della sua inclinazione elementale. Mi caricò di nuovo, e stavolta provai a ricorrere ad una tecnica difensiva più tradizionale: il simulacro di spine. Allungai e rafforzai i miei capelli grazie al chakra, cercando di creare una barriera che mi proteggesse dall'attacco imminente.

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Nel momento dell’impatto della mano di Suimaru con il mio sterno, mi venne il dubbio che non fossi in realtà dentro un enorme ed infinito sogno. Alla fine, forse era tutto un incubo, no? Venni scagliato in aria, e lì arrivò il dolore. Era… pungente, stranamente. Come se sulla mano avesse avuto dei piccoli senbon che si fossero infilzati nei polmoni. Non ebbi troppo tempo per elaborare il dolore, visto che toccato terra venni abbracciato non dalla mia cara sabbia, ma da una massa di chakra raiton che mi paralizzò in postò, costringendomi a tendere all’inverosimile tutti i muscoli che avevo in corpo. Non feci nemmeno caso a quello che succedeva intorno a me, l’unica cosa che vedevo erano delle macchie di diversa grandezza e gradazione di rosso. Appena mi liberai da quella trappola (o meglio,appena la scarica raiton si concluse) mi rialzai, non senza fatica. Al primo respiro ebbi un’altra fitta micidiale al petto, costringendomi a tossire sangue, che fu prontamente assorbito dalla sabbia presente intorno a noi. Sabbia… io potevo usare la sabbia… ma non volevo.
Il funerale del deserto era una tecnica da usare molto responsabilmente, ed io ne ero sempre stato un po’ spaventato, specialmente dopo la brutta esperienza avuta nel sogno del ragno. Eppure, la curiosità di vedere cosa sarebbe successo se l'avessi usata era tanta…
Decisi che in questo scontro avrei fatto una prova, e che Suimaru sarebbe stato “il mio assistente”.
"Bel colpo Suimaru!"
Leggermente sottovoce a causa delle fitte al petto
"Ti ho chiesto di non andarci piano, e lo hai fatto. Permettimi… di restituirti il favore"
Provando al meglio delle mie possibilità, ignorai il dolore per poter soffiare sulla mia mano aria mista a chakra fuuton. Lì si sarebbe creata una sfera di vento, che ruotava a velocità particolarmente alta, che avrei poi cercato di lanciare contro il mio avversario della Nuvola.
Cambiai poi la conformazione del chakra, in modo che si amalgamasse con gran parte della sabbia che portavo nella mia giara. Comandai ad essa di muoversi, e di provare a catturare gli arti di Suimaru.
Tutto era pronto. Dovevo solo usare il funerale. Avevo paura di potergli fare dei danni, ma la curiosità era troppa. Distesi la mano davanti a me, aperta. Chiudendola, avrei poi provato a comandare alla sabbia attorno agli arti del ninja di Kumo.
Non sapevo che cosa sarebbe successo, ma sarei stato più che felice di prendere questo rischio per capire dove si trovava il limite delle mie capacità.

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Nonostante il lancinante dolore, che mi spezzava il respiro e mi piegava in avanti nel futile tentativo di lenirlo, entrambi i miei attacchi andarono a segno. Prima la mia sfera di vento, poi la mia gabbia di sabbia colpirono Suimaru, scagliandolo a dieci metri di distanza e rinchiudendo i suoi arti in quello che mi piaceva definire “il dolce abbraccio di Suna”. Spinto dalla curiosità, infine gli feci subire il funerale del deserto. I risultati furono anche più devastanti di quelli sperati: un urlo di dolore disumano, mentre si provava a contorcere nonostante l’impedimento portato dalla sabbia. Ero… incredulo. Questa era davvero una tecnica da usare solo per uccidere, non in uno scontro… Mi sentii in colpa per aver testato una tecnica così crudele su il mio avversario, che nonostante avessimo entrambi accettato di non trattenerci, rimaneva con delle importanti ferite, create durante uno scontro amichevole. Poi mi ricordai che se quel colpo di spada fosse andato a segno, probabilmente io sarei in terra necessitante di cure. Ero così preso dai miei pensieri che a malapena notai un ninja adulto, vestito con il giubbotto ninja di kumo, che interruppe lo scontro intimandomi di rilasciare la tecnica, cosa che, visto il mio comportamento, eseguii senza dire una parola. Mantenni il mio silenzio ed il mio sguardo fisso sulla sabbia che aveva scostato per liberare quello che presumo fosse il suo pupillo. Rimasi per un tempo che mi parve infinito in quella posizione, a pensare a quella tecnica, ai rischi che comporta, a quanto fosse facile spegnere una vita con essa. Solo quando il sole fu quasi completamente sotto l’orizzonte, e la temperatura incominciò ad abbassarsi, decisi di tornare a casa.