Bad Dreams

P.Q. Yurei Henge

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    Chapter I

    Yurei Henge

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    Scheda - Scheda Narrativa - Parlato - Pensato - Azione

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    Continuo di Rainy Day

    Drop of Water

    La terra ferma era diversa da come me l’ero immaginata. Quel buco di culo del continente ninja non sembrava mostrare particolari attrazioni. Non mi sentivo a mio agio in quel posto così impregnato dalle piogge che persino i muri trasudavano odore d’umidità. L’Oceano è diverso, ha così tante capacità intrinseche ed è così tanto imprevedibile che è difficile capire cosa brami, cosa voglia. La realtà dei fatti è una sola: questa caverna non è la mia nave, ma devo farci l’abitudine. Sbarcai sulla terra ferma con la bocca traboccante di vomito, con il fetore sotto il naso e l’acido in gola. Fu davvero traumatico resistere a quelle onde così forti su una scialuppa di salvataggio, al fianco di un vecchio strampalato che a stento sapeva e voleva curare il mio malessere. Ricordo ancora le innumerevoli volte in cui, per trattenere il senso di nausea, mi tappavo la bocca con il palmo della destra, legata alla sinistra per mezzo di una corda sfilacciata che avrei potuto strappare in men che non si dica se solo non avessi perso tutto quel sangue. Non volevo tutto ciò, non desiderare abbandonare il mio habitat, i miei compagni, la mia famiglia ma non mi fu data altra scelta.
    Le notti si susseguivano l’una dopo l’altra come gelide coltellate nel cranio e il sudore era la prova lampante del disagio. Aprii le palpebre con impulso violento, guardandomi intorno nel buio del sonno per poter pian piano mettere a fuoco i contorni della stanza di nuda roccia, illuminati timidamente dal lume della torcia che bruciava poco fuori le sbarre della prigione, stringendo con forza nella mancina i lembi dei vestiti lerci.

    Il tumulto dei respiri che echeggiava tra le quattro mura era l’unico suono, l’unica testimonianza della presenza umana lì dentro: non ero sola a riposare quella notte, come ormai accadeva da tempo. Provai ad alzarmi e il materasso di pietre e ghiaia cigolo` per l’intera durata del movimento, contraendosi sotto la pressione di un corpo tutto sommato ancora forzuto, nonostante i segni della malnutrizione e della perdita di sangue fossero ben visibili.

    Fu solo allora che sollevai il viso per scrutare le sagome adombrate dal buio di numerose altre donne, sigillando le labbra e mordendomele per la rabbia.

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    Spaventate e infreddolite, con i piedi luridi per quanto a lungo avevano solcato le gallerie di quella grotta senza calzari, tutte le donne si erano ridotte a dover dormire appiccicate, lontane da me che per loro ero un incubo ad occhi aperti. Ogni volta che mi alzavo i loro poveri occhi, segnati dalle lacrime e dai lividi, si sbarravano spaventate perché nella penombra la mia imponente statura era simile a quella dei nostri carcerieri e le mie lunghe corna non aiutavano neppure, poiché nell' oscurita` sembravano quelle di un demonio. O almeno era quello che avevo sentito raccontare mentre fingevo il sonno nelle notti in cui i dolori al mio stomaco erano piu` lancinanti che mai.
    Mi resi conto di quanto dolore provassero quelle donne solo notando la lentezza delle mani e dalla pelle incartapecorita. In mezzo a loro tre bambini semi nudi si affacciarono incuriositi da dietro le schiene delle madri per guardarmi ancora una volta, come facevano tutti i giorni di quell'inferno, attirati dalla stranezza della creatura che avevano davanti. Avevano addosso soltanto una veste ricavata da quelle delle loro madri attraverso vari nodi tra pochi stracci. Sui lineamenti dei visi tondeggianti non c’erano emozioni che io potessi compatire, poiché squame simile a quelle di pesci ne marcavano il viso.

    Nel mio corpo c’è qualcosa di vivo, lo sento crescere ogni giorno di piu`. Un demone che ha fatto del mio corpo la sua dimora senza chiedere permesso. Uno simile a quelli che avevo davanti e che bambini non potevano essere chiamati. Forse scherzi della natura era un nome piu` corretto, poiché nati da un atto di pura volgarita`. Incapaci di amare perché nati da un unione senza un briciolo di amore, bravi solo a soffrire la fama e a imitare i loro violenti genitori.

    Legata a una cintura di corda legata alla vita di ognuna di noi vi era una bottiglia vuota, una fiasca in cui eravamo solite versare la poca acqua che ci concedevano. Alcune volte, colta dalla pazzia, immaginavo di fare il pieno di birra per non dimenticare lo spirito delle navi. Cercai di liberare il beccuccio facendo forza con il pollice, ma nel momento stesso in cui provai ad inclinare il contenitore ferroso non ne venne fuori nemmeno una goccia. Tremenda la frustrazione che provai in quel momento, la sensazione di dispiacere attanagliava lo stomaco. Ero a corto di idee.


    Edited by Tenshi-1 - 7/3/2024, 19:58
     
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    Chapter II

    Yurei Henge

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    Scheda - Scheda Narrativa - Parlato - Pensato - Azione

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    Drop of Water

    Lentamente, guardai attorno ancora una volta, lasciando che i miei occhi si abituassero al buio pesto che ci avvolgeva come un manto. Volevo trovare qualcosa, qualsiasi cosa, che potesse servire a migliorare la nostra situazione. Fu allora che vidi uno stelo di luce fioca sporgere da un piccolo foro nella roccia: era l'alba che veniva ad annunciare un nuovo giorno di sofferenza o forse di speranza. Mi avvicinai strisciando, rassegnata, ma curiosa di vedere al di là del confine della nostra prigione. La luce danzò sulla mia pelle solcata dalle cicatrici, riempiendomi di un calore sorprendente. La voglia di superare quel muro si fece strada prepotente nei miei pensieri e per un momento immaginai noi tutte libere dalle catene della paura e dalla schiavitù a cui eravamo state condannate.

    Mi orientai verso le altre donne cercando di catturare il loro sguardo, trasmettere con gli occhi quello che con le parole non potevamo dire. Ero decisa a escogitare un piano. Doveva esserci un modo per fuggire da quella caverna di disperazione. Forse non oggi, forse non domani, ma sapevo che se avessimo unito le nostre forze e la nostra astuzia, avremmo potuto conquistare la libertà cui eravamo destinate. Per quanto i nostri corpi fossero deboli e provati dalle sofferenze, dentro rimaneva forte il fuoco dello spirito umano intenzionato a non spegnersi. Oggi avevo trovato una luce e con essa la promessa che anche nel cuore più buio può nascere la speranza.

    Cautamente, iniziai a sussurrare alle compagne più vicine, condividendo la scoperta. Le loro espressioni cambiate da vacue ad accese, furono come un segno tangibile del mutare del vento. Alcune strofinarono i loro braccia nodose, come se potessero già sentire la carezza del sole sulla loro pelle. In un ordine silenzioso e spontaneo, si formò un cerchio attorno a me. Ogni donna portava le proprie esperienze, il proprio acume, una fiammella di astuzia che una vita al limite aveva affilato al meglio. Abbiamo pianificato con cautela, soppesando ogni rischio potenziale. Dovevamo avere orecchie attente ad ogni minimo rumore esterno e movimenti lievi come il fruscio delle foglie nell'aria; ogni dettaglio era vitale per la nostra potenziale fuga. La determinazione ci connetteva in una rete invisibile e infrangibile; eravamo pronte a lottare per quella libertà appena intravista, per abbracciare un mondo che ci era stato negato troppo a lungo. Ora non solo la luce, ma anche l'ingegno umano avrebbe guidato il nostro cammino verso la libertà.

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    Ma ecco che l'arrivo dei nostri carcerieri ci riporto` con i piedi per terra. Gli uomini pesce, con le loro scaglie luccicanti e quelle andature goffe fuori dall'acqua, entrarono con una pesantezza che riusciva a soffocare ogni barlume di speranza. Occhi duri come coralli scrutavano ogni angolo della stanza, cercando segni di ammutinamento o sotterfugi. Noi raccogliemmo in fretta il nostro coraggio sparpagliato, mascherando l'ardore dei nostri cuori con visi impassibili. La tensione era palpabile, ma la nostra recita era impeccabile. Ci sedemmo una accanto all'altra, le nostre mani lievemente tremanti nascoste sotto i teli sgualciti che fungevano da nostri grezzi abiti. I nostri carcerieri ci lanciavano occhiate intermittenti, ma per ora non trovavano nulla su cui posare i loro sospetti. Il silenzio tornò a regnare all'interno delle mura fredde della nostra prigione, e noi tutte sapevamo che il gioco del gatto con il topo era appena cominciato. Ogni battito del cuore sembrava un rintocco che scandiva il tempo che ci separava dall'opportunità di agire o dalla condanna ad un altro giorno di cattività.

    Mentre il respiro del mare si faceva più distante, i suoni dentro la prigione si indebolivano fino a divenire un sussurro. Ogni tanto, il suono di chiavi arrugginite che giravano nella serratura ci faceva sobbalzare, alimentando fugaci sprazzi di speranza prima di essere di nuovo schiacciate sotto il peso della realtà. La notte si avvicinava, e con lei l'oscurità offriva un manto protettivo sotto il quale potevamo nutrire i nostri piani senza occhi indiscreti a osservarci. Era in questi momenti che i nostri sguardi si incontravano e scintillavano di intese taciute, mentre condividiamo brevi gesti o parole codificate per rafforzare la nostra resistenza interiore. Preparavamo la nostra mente e anima per l'inimmaginabile, sapendo che ogni alba poteva portare una marea di cambiamenti temuti o desiderati. E nel cuore della notte, tra le ombre danzanti proiettate dai lampioni scricchiolanti nei corridoi, pianificavamo la nostra fuga o l'ultima resistenza: un segno di ribellione contro le catene che volevano costringerci nell'oblio.

    Le ore di oscurità divenivano nostre alleate, celando i segni del nostro meticoloso lavoro. Mani callose lavoravano senza sosta, sciogliendo pietra dopo pietra con strumenti improvvisati e una determinazione che sfidava il pericolo. Il freddo metallo delle sbarre a poco a poco dava spazio a un passaggio segreto, una promessa silenziosa di libertà celata dietro un muro che aveva sentito i lamenti di troppe prima di noi. In silenzio, con la complicità del buio, si alimentava una rete sotterranea di solidarietà e strategia: ogni prigioniero sapeva cosa fare e quando agire, come se fossimo parti di un meccanismo preciso regolato dal ticchettio uniforme delle nostre speranze. Così, attendevamo il segnale convenuto, quel debole fischio che avrebbe suonato come grido di battaglia nel cuore della notte, annunciando che era giunto il momento di scuotere via le catene e correre verso l'abbraccio dell'alba promessa.


    Edited by Tenshi-1 - 7/3/2024, 19:59
     
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    Chapter III

    Yurei Henge

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    Ride of the Valkyries

    All'arrivo della notte stabilita, il fischio si levò tra i corridoi, un segnale quasi impercettibile ma carico di significato. Era il momento. Ogni prigioniero si mosse con l'urgenza di chi lotta contro il tempo, eppure con la cautela di chi sa che ogni passo può essere decisivo. Scivolammo fuori dalle nostre celle come ombre, uniti da un patto tacito di silenzio e determinazione. I nostri cuori battevano al ritmo della libertà mentre ci inoltrammo nei tunnel tortuosi scavati dalla persistenza e dalla speranza. Ogni respiro, soffocato nel tentativo di mantenere l'anonimato, era un inno alla vita che ci aspettava oltre quei muri. Adesso non eravamo guidati dalla luce del giorno ma dal bagliore interiore della libertà imminente, palpabile nell'aria carica di tensione e nell'elettrica anticipazione del tocco finale verso la salvazione.

    Mentre avanzavamo, ogni passaggio rivelava la complessità del piano che avevamo tessuto nelle tenebre. Non c'era spazio per errori o esitazioni; ogni movimento era sincronizzato ad arte, frutto di notti insonni passate a studiare i turni delle guardie e i punti deboli della struttura che ci imprigionava. Sentivamo le guardie sopra di noi, ignare della rete di libertà tessuta proprio sotto i loro piedi. Con occhio vigile e orecchio teso, eravamo pronti a fermarci immobili come statue al minimo rumore sospetto. Nel viaggio sotterraneo, supportati da mura di terra compatta e pietrisco umido, l'odore di muffa era sopraffatto dalla fragranza più dolce dell'indipendenza che ci stava attendendo. E mentre il primo chiarore iniziava a segnare l'orizzonte lontano, con l'adrenalina come fedele compagna, ogni istante diveniva il preludio del nostro ritorno alla vita, al mondo, alla luce del giorno.

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    Potevamo sentire, più che vedere, l'inizio dell'alba che filtrava debole attraverso crepe nascoste, promettendoci che la fine del nostro viaggio era vicina. Inciampando su radici e rocce viscide, resistevamo alla tentazione di correre verso quella libertà tanto agognata; la prudenza doveva guidarci fino all'ultimo istante.

    Arrivati all'apertura segreta, ci soffermavamo un attimo per recuperare fiato e per assicurarci che ognuno di noi fosse pronto a cogliere quel decisivo frammento di tempo in cui la notte consegnava il cielo al giorno. Eravamo consapevoli che oltre quella soglia avremmo dovuto disperderci nella foresta circostante, diventando parte di quel vasto ed intricato universo naturale. Ogni prigioniero aveva memorizzato il proprio percorso, sapendo che la riuscita della nostra evasione si basava ora sulla capacità di sparire senza lasciare traccia.

    Mentre l'ultimo scorcio di notte iniziava a sfumare, ci avventurammo uno ad uno fuori dal nascondiglio. Le prime luci dell'alba accarezzavano timidamente le nostre figure esitanti e bruciacchiate dall'assenza prolungata del sole. La sensazione dell'erba umida sotto i piedi scalzi era un contatto tanto strano quanto euforico; eravamo liberi finalmente, anche se consci dei pericoli che ancora si celavano nell'ombra del nuovo giorno. Con passi rapidi ma misurati, ci disperdevamo nel ventre della foresta lasciandoci alle spalle i lunghi anni di sbarre e muri freddi; ogni ramo infranto sotto i nostri piedi ci ricordava la dolcezza vittoriosa della nostra liberazione.

    I raggi del sole creavano ora una tessitura viva tra gli alberi, disegnando pattern di luce e ombra che guidavano il nostro cammino incerto verso la salvezza. Il bosco si destava in un sinfonico risveglio mattutino, dove il canto degli uccelli era come musica per le nostre orecchie mal abituati al silenzio assordante delle celle. Ogni passo ci portava più lontano dalla nostra prigionia, e più vicino all'idea di una vita che avevamo sognato così a lungo. Con la cautela di chi sa di essere ancora vulnerabile, ci muovevamo tra gli arbusti e le fronde, consapevoli che il vero viaggio iniziava solo ora. Avevamo lasciato dietro di noi le catene, ma di fronte a noi si estendeva il cammino dell'incertezza: come vivere da innocenti per coloro che sono stati marchiati a vita? La sfida dell'adattarsi e del riemergere in una società che ci aveva dimenticati era tanto imponente quanto i muri che avevamo superato, ma quest'aria fresca di libertà correva potente nelle nostre vene, spingendoci ad andare avanti.

    L'alba era ormai un dipinto vivo nei cieli, e le nostre ombre lunghe si diradavano nella complessità del bosco che ora ci accoglieva come suoi figli smarriti. Avvertivamo negli occhi la bruciatura della luce, così diversa dall'oscurità a cui eravamo abituati, ma ogni lacrima era un tributo alla nostra ritrovata speranza. Le direzioni da prendere erano molteplici, come i destini che ora potevano riscrivere le loro trame; non c'era più un destino comune tracciato dalle catene del carcere - ora eravamo autori di scelte personali, inseguitori di sogni individuali. Alcuni tra noi si soffermavano per riempire i polmoni dell'aroma terroso del sottobosco, altri già pensavano a come procurarsi cibo e rifugio. L'istinto di sopravvivenza che per mesi era stato attutito dalle monotone giornate in cella si risvegliava feroce, guidandoci attraverso istintive strategie di caccia e sopravvivenza. Il bosco offriva nascondigli e risorse, ma anche insidie: da qualche parte in quella selva c'era la libertà, ma solo per chi fosse astuto e forte abbastanza per afferrarla.

    La vita nel bosco ci metteva alla prova con ogni suo sussurro e movimento, con le sue leggi non scritte di natura selvaggia a cui dovevamo adattarci in fretta. Se prima eravamo guidati da orari e routine imposti, ora la nostra unica guida era l'istinto e la percezione aguzzata dalla necessità. Anche le piccole vittorie, come trovare acqua fresca o raccogliere bacche commestibili tra i cespugli, erano trionfi straordinari. Per alcuni, la memoria di tali atti semplici era quasi svanita nei lunghi anni di reclusione; per altri, invece, riemergeva come un istinto ancestrale.

    Mentre procedevamo nel fitto della foresta, ognuno di noi si trovava ad affrontare i propri demoni interiori. L'angoscia dell'inseguito si mescolava con l'ebbrezza della libertà, dando luogo a un tumulto interiore che doveva essere domato per sopravvivere. La consapevolezza che ogni errore poteva essere fatale, che ogni scelta dipendeva solo ed esclusivamente da noi, pesava sulle nostre spalle più di ogni catena mai forgiata dall'uomo. Dovevamo re-imparare a fidarci dell'altro per sopravvivere, ma allo stesso tempo a fare affidamento sulle nostre capacità individuali. Il cammino della reintegrazione era iniziato.


    Edited by Tenshi-1 - 7/3/2024, 20:01
     
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    Chapter IV

    Yurei Henge

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    La solidarietà tra di noi cresceva, tanto vulnerabile quanto vitale. Alcune di noi avevano scoperto nelle proprie mani la capacità di costruire, altre nelle proprie gambe la forza di percorrere distanze impensabili. Qualcuno, dotato di un innato senso dell'orientamento, si faceva carico della navigazione, suggerendo il percorso attraverso la foresta che sembrava infinita. Il cielo era la nostra bussola e il sole il nostro orologio; ci muovevamo all'unisono con i ritmi della natura, adattando le pause e gli spostamenti al fluire delle ore. Le sfide si susseguivano, da quelle più immediate come il trovare rifugio per la notte, a quelle più impegnative come immaginare una nuova vita oltre il bosco.

    Ma non tutto era una lotta per la sopravvivenza; c'erano momenti di pura meraviglia, quando per esempio uno stormo di uccelli si alzava in volo tagliando l'aria con un sincronismo perfetto, o quando scoprivamo il panorama mozzafiato da un crinale che regalava visioni del mondo circostante: ampi corsi d'acqua che brillavano sotto i raggi solari e le montagne in lontananza, testimoni silenziosi di un'esistenza più grande della nostra. Queste meraviglie naturali nutrivano il nostro senso estetico e spirituale ancora intatto nonostante gli anni perduti.

    All'interno del gruppo si formavano legami nuovi e inaspettati mentre condividevamo le scarse provviste o ci scambiavamo consigli sulla sopravvivenza; eravamo diventati una famiglia non tradizionale forgiata dalle circostanze. Ogni sera intorno al fuoco che scacciava il freddo e teneva lontani i predatori, aleggiavano racconti del passato che mescolandosi al crepitio delle fiamme diventavano confessioni liberatorie e murature per un futuro che ciascuno desiderava costruire lontano dalle etichette del passato.

    Oh sì, il bosco era diventato nostro insegnante e rifugio; implacabile nel suo essere indomito ma generoso nell'offrire lezioni di vita. La vera libertà richiedeva coraggio e impegno costante: eravamo pronti a pagarne il prezzo con ogni fibra del nostro essere rinnovato.

    Mentre il fuoco si riduceva a braci e le stelle iniziavano a sbiadire all'annuncio della prossima alba, sapevamo che il nostro viaggio stava per entrare in una fase cruciale. Era giunto il momento di prendere decisioni che avrebbero segnato il percorso futuro. Alzandoci con i corpi indolenziti, ma con uno spirito rinsaldato, ci consultammo per stabilire la direzione da prendere non appena la luce del giorno avrebbe penetrato il tetto della foresta. Era evidente nell’aria, carica degli aromi terrosi dell'alba, che ciascuno di noi sentiva più acutamente la responsabilità delle scelte che stavamo per fare.

    Avevamo imparato a leggere i segni che la natura ci offriva: come interpretare l'andamento dei corsi d'acqua per evitare terreni paludosi, ad ascoltare il vento per prevedere un cambio del tempo e a distinguere i suoni della foresta per riconoscere un possibile pericolo. Queste competenze non erano state affinate solo per sopravvivere al presente ma diventavano abilità preziose alla costruzione di quella vita che ambivamo a vivere una volta usciti dal rifugio di quegli alberi.

    Con lunghi passi decisi e lo sguardo fisso oltre la linea degli alberi, avanzammo con rinnovata determinazione. Avevamo deciso di lasciare alle spalle non solo la foresta ma anche il passato. Ci aspettava un futuro incerto, ma eravamo armati di una fede incrollabile nella solidarietà e nella forza interiore conquistata nel cuore oscuro del bosco.

    La direzione che decidemmo di intraprendere fu quella che io stessa proposi: il mare. In tutto questo tempo nella foresta avevo affinato la mia abilita` di comunicazione con gli animali ed ero sicura che in poco tempo, grazie ad essa, sarei riuscita a recuperare la mia nave.

    Il mare rappresentava per noi il simbolo di un inizio nuovo, un confine fluido tra i ricordi di una vita pregressa e la promessa di un'avventura mai ancora vissuta. Non appena le onde si infrangevano contro la scogliera, potevamo sentirne la potenza e quella stessa energia sembrava esser soffiata dentro di noi, infondendo coraggio e speranza. Le mie competenze nel comunicare con gli animali mi permisero di stabilire rapidamente un legame con un branco di delfini che, per qualche ragione, sembrava attratto dalla nostra presenza. Non passò molto tempo prima che, con l'aiuto del branco, localizzassimo una nave arenata su una spiaggia non troppo distante.

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    (Ovviamente non ha i propulsori per chi se lo stesse chiedendo)



    Per una coincidenza dettata dal fato riconobbi la Mother, la mia adorata nave. Ma nonostante i mesi passati, il ricordo dei miei compagni che il giorno in cui fui rapita avevano combattuto al mio fianco contro quegli uomini che al tempo ritenevamo solo tali, invece di creature cambia forma, mi ritorno alla mente. In me nacque il terrore che nessuno di loro, il giorno in cui furono scaraventati in mare aperto con la mia nave, sopravvisse.

    Con il cuore serrato dalla paura, ma guidate da una forza interiore mai sopita, ci avvicinammo cautamente alla nave arenata. La Mother giaceva di fianco con la maestosa struttura semi sommersa nella sabbia e l'acqua che le lambiva lo scafo come per rincuorarla dopo la sua lunga prova. Il legame con le mie compagnie di viaggio si intensificò in quel momento, mentre insieme affrontavamo il timore che il passato potesse nuovamente irrompere nel nostro presente.

    Iniziai ad esaminare i segni lasciati sul legno e sul ponte, cercando tracce che potessero dirmi qualcosa sui miei amici. Ebbi l'impressione che i delfini avessero compreso il mio stato d'animo, poiché rimasero a nuotare vicino alla riva in una specie di cerchio protettivo. Era chiaro che la nave aveva ancora storie da raccontare. I segni di battaglia erano evidenti e le vele stracciate suggerivano un confronto con le forze della natura tanto quanto con quelle delle creature cambia forma. Eppure, tra i danni vi erano anche segnali di riparazioni, prova che qualcuno aveva tentato di salvarla dall'oblio del mare. Con determinazione iniziò l'esplorazione della nave cercando ogni possibile indizio su ciò che era accaduto agli antichi compagni, sperando ancora in una rivelazione positiva.


    Edited by Tenshi-1 - 7/3/2024, 20:03
     
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    Chapter V

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    La Mother


    Man mano che ci addentravamo tra i resti del tempo trascorso, ogni scoperta apriva un varco tra la realtà e il cuore pulsante dei ricordi. Non fu sorprendente, perciò, trovare sull'albero maestro incisi dei nomi seguiti da date, come è usanza tra i marinai per tenere traccia del tempo e degli avvenimenti salienti. Quel gesto così familiare strinse ancora di più lo stomaco, alimentando la speranza di aver ritrovato una parte della mia vecchia ciurma.

    Gradino dopo gradino, esplorammo gli angoli più reconditi della nave: la cambusa ancora provvista di alcune scorte inaspettatamente conservate, la cabina di navigazione con le sue mappe parzialmente consumate dal sale e dal tempo, e infine l'armamentario, testimonianza silenziosa di combattimenti forse eroici. Era lì che emerse il primo indizio davvero concreto: una spada appartenuta all'ammiraglio, il mio fedele secondo. La riconobbi immediatamente per l'elsa accuratamente lavorata che egli sfoggiava con orgoglio.

    Con profondo rispetto e un filo di ansia che mi corse lungo la schiena presi tra le mani quella lama. Il freddo metallo risvegliò non solo il contatto, ma anche la netta sensazione che il suo proprietario fosse ormai morto. Con nostalgia mi avventurai verso la mia ultima destinazione, la mia cabina, quella del capitano. In quei pochi passi ricordai di aver raccomandato ad ognuno dei miei sottoposti di andare li` in caso si fossero sentiti persi, in mia assenza.

    Entrando nella mia cabina, il tempo si fermò. L'aria profumava di mare e di legno lavorato, e i ricordi si materializzarono intorno a me come fossero fantasmi ben disposti. La stanza era ordinata come l'avevo lasciata l'ultima volta, con la mia scrivania ricoperta dalle carte nautiche e il mio giornale di bordo semiaperto, come se mi aspettasse da allora per raccontare la mia assenza. Ma non era solo questo a colpirmi; su una delle pareti spiccava un disegno graffiato sulla superficie, quasi nascosto dalla polvere del tempo. Rappresentava la nostra nave, la Mother, in corsa sui flutti tumultuosi, dominata da una figura femminile al timone che non potrei mai dimenticare.

    Toccando con delicatezza il disegno, mi resi conto che non ero stata dimenticata dai miei uomini, e che in qualche modo avevano mantenuto viva la speranza del mio ritorno come io avevo custodito il loro coraggio. Sotto l'immagine erano incisi i nomi dei miei compagni uno dopo l'altro, con una piccola croce accanto a quelli dei caduti. Le date seguivano fino a un paio di settimane prima, segno che qualcuno era sopravvissuto ed era stato qui recentemente.

    Quello che mi aspettava nella mia cabina era un mix di emozioni contrastanti. Mentre la sensazione di nostalgia e il desiderio di rivedere la mia vecchia ciurma mi riempivano il cuore, c'era anche una parte di me che temeva di trovare solo silenzio e abbandono. Ma quella paura si dissolse rapidamente quando i miei occhi caddero sulla scrivania al centro della stanza. La mia scrivania, che una volta era il centro delle operazioni e il cuore pulsante delle decisioni prese a bordo della Mother. E lì, su quella scrivania, c'era un biglietto. Un biglietto lasciato appositamente per me, come un messaggio dal passato. Con le mani tremanti, afferrai il biglietto e cominciai a leggere.

    CITAZIONE
    "Capitano, se state leggendo queste parole, significa che siete tornata. Siamo stati qui ad aspettare il vostro ritorno, giorno dopo giorno, sperando che il mare vi riportasse tra le nostre braccia. Abbiamo combattuto battaglie difficili, ma siamo rimasti uniti come una famiglia. La vostra leadership ci ha ispirato e guidato attraverso i momenti più bui. Sappiate che anche se il tempo può sembrare lungo, il vostro ritorno è stato ciò per cui abbiamo vissuto. Siete tornata, Capitano, e la ciurma vi accoglie con tutto il cuore.

    P.S. Non abbiamo osato toccare le sue razioni di cibo, sappiamo quanto vi fa incazzare quando andiamo a sgranocchiare qualcosa di nascosto"

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    Le parole scritte sul biglietto mi commossero profondamente. Non pensavo di trovare una dimostrazione così chiara dell'affetto e del rispetto che i miei uomini avevano per me. Ritrovarmi sulla Mother, circondata dal calore dei ricordi e sapendo che il mio ritorno era tanto atteso, mi riempiva di gratitudine. Mi resi conto che non ero solo un capitano, ma anche una guida e una figura amata. Mentre il vento sussurrava fuori e le onde si infrangevano contro lo scafo della nave, sapevo che ero finalmente a casa.

    Lacrime amare scesero sul mio volto, perché in cuor mio sapevo che quelle erano le ultime parole dei miei uomini e non avrei potuto mai piu` rivederli. Un lungo abbraccio ci fu tra me e le miei nuove compagne di viaggio, quelle che nei lunghi mesi di prigionia mi erano state accanto e che perfino ora, anche se non comprendevano il motivo del mio pianto non avendo letto quel biglietto, mi davano conforto.

    Le mie compagne di viaggio, quelle eroiche donne che avevano condiviso con me la prigionia e avuto il coraggio di sognare la libertà, mi stringevano ora in un cerchio silenzioso. Ciascuna di loro era diversa, proveniente da terre lontane e da vite spezzate, ma eravamo unite dalla forza della speranza. Decisi in quel momento di raccontar loro la mia storia, di condividere il legame spezzato tra me e quegli uomini che avevano lasciato una tale eredità.

    Cominciai a parlare a voce bassa, le parole fluttuavano nella stanza impregnata del sale del mare. Narrai di tempeste affrontate insieme, vittorie sudate e perdite amare; ogni racconto era un pezzo del mosaico della mia vita prima della cattura. Mentre narravo, gli occhi delle mie compagne brillavano d'empatia e di rispetto crescente. Benché non avessero mai issato una vela o brandito una spada al mio fianco, capivano il senso di appartenenza che si prova quando si è parte di qualcosa di più grande di sé stessi.

    Dalla mia descrizione dei fratelli d'arme ai giorni d'oro sulla Mother, passammo al crepuscolo dei nostri destini - la mia cattura e la mia assenza prolungata. La notte ci sorprese mentre le parole che narravano il mio passato svanivano nel vento notturno. Ebbi l'impressione che blande luci danzassero sulle onde sotto la luna: un segno forse, o forse solo i giochi della mente stanca.

    Ma mentre pensavo fossero illusioni nate dal desiderio, una delle mie compagne sussurrò timorosa di aver realmente visto qualcosa sul mare. Ci alzammo tutte e insieme ci affacciammo oltre il boccaporto: lontane lucerne oscillavano come stelle cadenti trattenute dal filo teso dell'orizzonte. Non eravamo sole nella notte: il mare era ancora testimone del viaggio degli uomini della Mother.


    Edited by Tenshi-1 - 7/3/2024, 20:05
     
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    Chapter VI

    Yurei Henge

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    Scheda - Scheda Narrativa - Parlato - Pensato - Azione

    La Mother


    - Gli uomini pesce... i nostri carcerieri sono tornati. Ci stanno ancora cercando dal giorno della nostra fuga - disse una delle ragazze, che in seguito chiamammo Occhio Smeraldo per la sua vista acuta e i suoi occhi verdi.

    Il silenzio si fece pesante sulla Mother, mentre tutte tratteniamo il respiro. Occhio Smeraldo fissava l'orizzonte con un'intensità tale che sembrava poter scorgere i pensieri nascosti dietro a quegli occhi lucenti nell'oscurità. Con tono serio e calmo, Rania, la più anziana tra noi e saggia consigliera, spezzò il silenzio con parole cariche di significato.

    - Dobbiamo muoverci e rapidamente. Gli uomini pesce non rinunceranno a noi facilmente. Hanno già assaggiato l'amarezza della sconfitta e ora sono affamati di vendetta. La Mother ha ancora tutte le vele intatte e il vento è a nostro favore. È il momento di navigare nuovamente Yurei e questa volta verso la libertà. Insegnaci come fare. -

    Il mio cuore si gonfiò di coraggio e di una tenerezza inaspettata verso quelle donne, il mio nuovo equipaggio, le mie care compagne di sventure. Senza perdere tempo mi diressi verso il timone, raccogliendo la forza che sapevo ancora risiedeva nelle mie braccia.

    - Allora, ascoltatemi bene! - esclamai con voce ferma, attirando l'attenzione di tutte. - La navigazione è sia scienza che arte, e voi sarete le mie allieve. Ora ci vuole unione e prontezza. -

    Dettagliai loro come issare le vele, come leggere la direzione del vento e regolare i pennoni. Le ragazze si dispersero rapidamente per la nave, prendendo ognuna il suo posto sotto le stelle scintillanti. Man mano che la nostra nave prese a scivolare attraverso le acque nere come l'inchiostro, mi sentii avvolta da un senso di speranza. Da quell'istante ogni movimento era vita, ogni sussurro delle onde contro lo scafo un battito del cuore della Mother. E nel mentre addestravo queste anime coraggiose a diventare marinai esperti, il legame tra noi si solidificava.

    Le vele si gonfiarono con un rombo mentre il vento ci favoriva, quasi come se anche gli dei del mare avessero preso parte alla nostra fuga. Navigammo verso l'ignoto mentre la luna ci seguiva dall'alto, illuminando il nostro cammino verso la libertà conquistata non solo dalle nostre mani ma anche dalla nostra incrollabile volontà di vivere libere o morire nell'intento.

    La Mother divenne più veloce man mano che ci allontanavamo dagli uomini pesce e dalle loro torce. Ogni donna a bordo sentiva nel profondo del proprio essere il peso che si alleggeriva con ogni increspatura dell'acqua tagliata dalla prua vorace della nave.

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    Il cielo si svuotò delle sue stelle mentre all'alba le nostre ombre si allungavano sul ponte umido di rugiada. La Mother continuava il suo cammino, ormai veloce e sicura sotto l'abile guida del suo nuovo equipaggio. Le donne, un tempo legate dalla comune sventura, ora si trasformavano in marinai destri e audaci, ognuna consapevole del proprio ruolo e del contributo vitale alla nostra sopravvivenza comune.

    La nostra prossima destinazione sarebbe stata probabilmente il mio villaggio natale, vicino Barbakos, per recuperare dei vestiti e tornare dalla mia cara sorella adottiva Asuka.

    Il pensiero di rivedere Asuka riempiva il mio cuore di gioia e ansia. Avevo lasciato Barbakos in tutt'altri termini, una giovane ragazza innamorata del mare e delle avventure che esso prometteva in cerca del suo fratellone. Riflettevo su come la avrei sorpresa, ora una capitana temprata da prove che pochi possono narrare. Le storie di coraggio delle mie compagne, l'audacia della nostra fuga avrebbero dato nutrimento a serate intorno al fuoco, dove il passato si intreccia con i sogni per il futuro.

    [...]



    Mentre i raggi lunari accarezzavano la superficie liquida come dita delicate su un arpa, il destino sembrava aver trovato finalmente un sentiero luminoso per noi. Barbakos spuntò all'orizzonte, le sue case imbiancate dal sale e adornate di ciuffi colorati di fiori selvatici. Le barche dei pescatori danzavano sulle onde tranquille e la spiaggia, ancora vuota, attendeva l'abbraccio materno dei suoi figli.



    Edited by Tenshi-1 - 7/3/2024, 20:27
     
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    Chapter VII

    Yurei Henge

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    Scheda - Scheda Narrativa - Parlato - Pensato - Azione

    Villaggio Vicino Barbakos


    Lasciammo che la Mother si lasciasse cullare dolcemente dalle onde più miti vicino alla riva, mentre l'equipaggio iniziava a prepararsi per l'attracco. Ordinai di ammainare le vele e i suoni familiari del porto iniziarono a raggiungerci: risate, il picchiettare del lavoro, il grido dei gabbiani. Era quasi smarrente pensare che solo qualche giorno prima la nostra esistenza era appesa a un filo sull'oscuro manto del mare.

    Le donne scesero furtivamente dalla nave, i loro passi leggeri quasi a rispettare il silenzioso riposo del villaggio. Le strade ancora deserte si dispiegavano davanti a noi come inviti ad esplorare. Mi incamminai per prima, impaziente di ritrovare i luoghi della mia infanzia, le vie che mi avevano vista crescere. Un misto di emozione e paura turbava i miei passi: non sapevo quale accoglienza mi aspettasse adesso che ero tornata tanto diversa.

    I vicoli trasudavano ancora il tepore della notte. La sabbia, impregnata dalla brezza marina, conservava il fresco dell'alba e guidava le nostre anime erranti come un faro. Arrivando davanti alla locanda del Capitan Franky, il mio respiro si fece pesante; la porta di legno scuro stava davanti a me, un portale verso il passato che avevo lasciato. Incoraggiata dagli sguardi delle mie compagne, raccolsi le forze e bussai con decisione. Il battito echeggiò nelle camere sopite dalla calma mattutina finché non si udì un trambusto dall'interno. La serratura scricchiolò e la porta si schiuse lentamente su Asuka, i suoi occhi ebbero appena il tempo di spalancarsi in una miscela di sorpresa e incredulità prima che mi lanciassi tra le sue braccia. La stretta che ne seguì fu un nodo d'emozioni impalpabili ed eterni come l'azzurro del cielo al tramonto.

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    Raccontai ad Asuka le disavventure e le glorie vissute, dipingendo nelle sue iridi le onde che avevamo cavalcato e le tempeste che avevamo fronteggiato. Lei ascoltava rapita, la sua mente viaggiando sulle rotte tracciate dalle parole come se solcasse quei mari tempestosi insieme a noi. Ma da soli in quella locanda, in compagnia solo delle donne che mi ero portato dietro, il pensiero torno al perché del mio viaggio. Quindi, con somma tristezza, raccontai l'atroce fine di suo fratello.

    Le lacrime iniziarono a scendere silenziose lungo le guance di Asuka mentre il dolore dell'immenso lutto l'invadeva tutta. Non trovai parole per consolarla, così restai seduta accanto a lei, offrendole la mia presenza come unico conforto. Intorno a noi, il mondo continuava il suo corso, ignaro del peso che gravava nelle nostre anime. Passarono ore in cui le parole si rivelarono troppo fragili per lenire tali ferite, e solo il calore delle mani strette dava vita a un tacito dialogo di solidarietà.

    Dopo il pianto, venne il silenzio, e in quel silenzio Asuka cominciò lentamente a raccogliere i cocci della sua nuova realtà. Un nuovo capitolo si apriva dinnanzi a lei, pitturato di sfumature grigie che solo il tempo avrebbe potuto riempire di nuovo colore. La locanda, un tempo grembo di risate e canti, si tramutò in un sicuro rifugio dove ricomporre le storie spezzate. Programmammo insieme di rendere onore al fratello caduto: sarebbe stata una cerimonia in mare, dove l'anima dei marinai ritorna a respirare con l'onda e il vento. La notte seguente radunammo tutto il villaggio al porto, guidando una processione di barche illuminate da torce sotto il cielo stellato. La completa assenza di vento quel giorno sembrava un segno benevolo della natura, un ultimo saluto a un figlio perduto troppo presto. Lo zio Franky, padre del ragazzo, fu l'unico a non presentarsi.

    La cerimonia si concluse con un silenzio denso e sacro, che nessuno osava rompere. Poi, lentamente come era cominciata, la processione fece ritorno a terra. I villageri, uno ad uno, lasciarono la spiaggia portandosi dietro il peso della perdita ma anche la serenità del dovere compiuto. La solennità dell'evento aveva rinsaldato lo spirito comunitario e nonostante il dolore dominasse la notte, si sentiva anche un senso palpabile di unità.

    Nel cuore della notte, mentre il villaggio sprofondava nel sonno, il silenzio venne interrotto dal rumore di passi cauti sulla ghiaia del molo. Franky, conosciuto per il suo carattere burbero e il cuore segnato da vecchie cicatrici, era uscito da quel rinchiudersi ostinato che aveva generato murmuri e speculazioni tra i vicini. Si diresse verso il punto più distante del molo, guardando la scia delle imbarcazioni rientrate. Muovendo le labbra in un colloquio silente con il mare, estrasse dal taschino un piccolo flacone, stappò delicatamente il tappo e riversò delle ceneri nell'acqua nera come l'ebano.

    La luna lanciava riflessi d'argento su quelle ceneri che danzavano nell'acqua e si disperdevano nel flusso invisibile delle correnti marine – era il suo addio personale a chi una volta aveva chiamato figlio e a chi molto tempo prima aveva chiamato amore. Lasciando che le onde bagnassero la punta delle sue scarpe erose, Franky sentì un leggero sollievo nell'anima, come se quel semplice gesto avesse allentato la morsa della perdita che lo aveva paralizzato.

    Al suo ritorno, le prime luci dell'alba lambivano i tetti del villaggio ormai sveglio. L'uomo incrociò lo sguardo acceso di Asuka e degli altri del villaggio; c'erano domande non pronunciate nei loro occhi ma anche una comprensione muta. Alla fine, fu proprio quella ritrovata connessione umana a richiamare lentamente zio Franky all'interno della comunità che lui stesso aveva contribuito a creare – un ritorno alla vita dopo aver salutato la morte con la semplicità dei suoi rituali silenziosi e profondamente personali.


    Edited by Tenshi-1 - 8/3/2024, 01:18
     
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    Chapter VIII

    Yurei Henge

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    Scheda - Scheda Narrativa - Parlato - Pensato - Azione

    Villaggio Vicino Barbakos


    Le giornate che seguirono furono come una catarsi collettiva per il villaggio. La perdita, condivisa e solennemente commemorata, divenne terreno fertile per un rinnovato senso di comunità. Da quel momento in poi la tranquillita` torno` a far parte del paese e tutto sembrava essere immutato da quando me ne andai. Solo due cose erano cambiate: la mia ciurma e zio Franky.

    La ciurma si era rafforzata, non solo in numero ma anche in spirito. Ogni membro contribuiva con la propria storia, tessendo un mosaico di vite che aveva come cornice l'impetuoso mare e come origine lo stesso infausto evento. La determinazione e la sete di avventura erano il collante che univa l'equipaggio di sole donne, ora più affiatato che mai. In quanto a zio Franky, le sue giornate erano sempre intessute di quella stessa routine marina, ma qualcosa nei suoi occhi aveva preso una nuova luce. Si era permesso di piangere e di condividere il suo dolore, e questo lo aveva cambiato in maniera impercettibile ma profonda.

    Asuka, dal canto suo, aveva trovato una nuova forza nelle onde del mare e nel ricordo del fratello. Si dedicò con fervore alle reti e alle vele, riscoprendo nel lavoro quotidiano un legame intimo con l'elemento che aveva preso tanto dalla sua vita.

    L'unico mistero che ancora mi faceva venire il mal di testa era il cambiamento di Frank, che dal ritorno al villaggio non si era mai ancora presentato nel villaggio sobrio e nessuno sapeva dove andasse a bere. Quindi io e le miei 3 sottoufficiali una sera lo seguimmo incuriosite.

    [...]



    Frank attraversava con passo sicuro le parti più nascoste del villaggio, la sua sagoma tagliava una figura enigmatica nella penombra. Noi lo seguivamo a distanza, cercando di muoverci senza attirare l'attenzione. Con un ampia falcata Frank arrivo` fino ai sobborghi della capitale Barbakos.

    Lì, in uno dei quartieri meno battuti, sotto un'insegna consumata dal tempo che pendeva sopra una porta di legno scuro, Frank si fermò. L'incertezza sembrava pervaderlo per un istante prima che spingesse con decisione la porta ed entrasse. Il luogo era una taverna vecchio stile, il tipo di ambiente che non si pubblicizza né si vanta della propria esistenza; si tratteneva nell'ombra accogliendo chi, come Frank, cercava di sfuggire agli sguardi indiscreti. All'interno, la penombra era interrotta dal debole bagliore di candele su tavoli di legno consumati dal tempo. Ai pochi avventori presenti non interessava nulla della storia altrui; ogni uomo e donna era immerso nei propri pensieri o bevande.

    Noi ci posizionammo discretamente in un angolo, osservando senza essere notate. Frank si sedette al bancone e ordinò qualcosa al taverniere, un uomo dall'aspetto tetro e silenzioso quanto il resto del locale. Non trascorse molto tempo prima che una donna si avvicinasse a Frank con una fluidità di movimento che tradiva una familiarità con il posto. Aveva l'aria di chi conosce ogni angolo di quel mondo sommerso e i segreti che questi celavano. Lei si mise accanto a lui, le loro spalle si toccarono lievemente, un contatto silenzioso ma carico di significato. Mentre ordinava da bere, i loro sguardi si incrociarono e in quell'istante la complicità tra i due divenne palpabile.

    La donna, vestita di un camice bianco, iniziò a parlare con Frank come se fossero i soli due esseri esistenti in quel momento mentre Frank, accompagnato da una bottiglia di alcool che il barista gli aveva passato, non prestava molta attenzione, anzi si scolo` l'intera bottiglia in 2 colpi.

    Con un sospiro profondo, Frank scrollò di dosso l'ebbrezza che cercava di avvolgerlo come un mantello pesante. La donna parlava ancora, imperturbabile, e in quel momento le parole sembrarono trovare una crepa nella corazza che Frank si era costruito. Si mise ad ascoltarla con più attenzione, lasciando che il timbro della sua voce lo conducesse lontano dal baccano del presente. Lei condivideva frammenti di storie di mare, racconti di speranze affondate e sogni recuperati, storie che sembravano parlare direttamente all'anima marinara di Frank. Nonostante ciò, c'era ancora qualcosa che teneva Frank ancorato a quella tensione misteriosa... qualcosa che riguardava il pesante segreto che portava con sé da anni.

    Mentre la conversazione tra i due si faceva sempre più intensa, noi non potemmo fare a meno di chiederci cosa legasse quella donna così eloquente al nostro riservato compagno d'avventure. La sua presenza era un enigma che aggiungeva spessore al mistero di Frank, una tessera mancante in un puzzle già complesso.

    Dopo l'incontro, Frank sembrò cambiare ancora una volta. Rientrato nel villaggio con la prima luce dell'alba seguente, aveva negli occhi un barlume diverso, una scintilla appena accennata di determinazione mista a serenità. E nonostante le domande rimanessero in sospeso nei nostri sguardi indagatori e preoccupati, era impossibile ignorare il silenzioso cambiamento che si stava operando nel suo spirito.

    Una sera, senza preavviso, Frank convocò una riunione nella vecchia sala comunitaria. Confrontato da visi curiosi e genuinamente interessati, raccontò storie del mare aperto, di tempeste attraversate e lezioni imparate sul fragile confine tra la vita e la morte, proprio come faceva quando io ero solo una bambina. Ma c'era qualcosa di diverso, quelle storie non erano le stesse di quando ero bambina.

    Quelle storie avevano accumulato strati di verità e realtà che solo gli anni di solitudine e introspezione possono conferire. Con ogni racconto, Frank svelava parti del suo mistero, lasciando affiorare dettagli su quella donna della taverna che tanto ci aveva incuriosito e che solo noi quattro che l'avevamo seguito potevamo capire. Non era una vecchia conoscenza, un amore perso e ritrovato nei meandri dei suoi viaggi. Non era stata la custode delle sue paure e la musa ispiratrice del suo coraggio ritrovato nel fondo di una bottiglia vuota. Frank, senza che lo sapessimo, si divertiva ad ascoltare le storie altrui perché gli ricordavano se stesso.

    Inoltre, grazie alle storie di Frank capimmo che il camice che portava era quello di un medico, poiché in tutte le sue storie Frank raccontava delle condizioni della ciurma dettagliatamente. Cosi` ispirati da Frank, io e la mia ciurma tornammo in quella taverna per incontrare quella donna.


    Edited by Tenshi-1 - 8/3/2024, 01:18
     
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    Chapter IX

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    Bassifondi di Barbakos


    Quella notte, il legno scricchiolante e gli sguardi fumosi della taverna ci accolsero con una quiete insolita. La donna era lì, aspettando solitaria al bancone con la stessa postura sicura e impenetrabile. Ci sedemmo a un tavolo vicino, osservando. Quando i nostri occhi si incrociarono, poche parole bastarono per farla avvicinare; lei capì il motivo della nostra visita e si unii a noi.

    La donna iniziò a parlare con una voce che portava un enorme peso, il suo sguardo posato su ciascuna di noi come a sfondare le nostre difese più profonde. Ci raccontò di come aveva conosciuto Frank anni addietro quando ancora non aveva conosciuto la sua attuale ciurma. Per lei era un semplice conoscente, nessuno di importante, ma un buon ascoltatore.

    Si fermò un momento, guardandoci intensamente, quasi potesse vedere il riflesso delle storie di Frank nei nostri occhi. Con gratitudine, la ringraziai del servizio che aveva prestato al nostro Frank, tenendogli compagnia per questi tempi duri. Inoltre, visto lo stato pietoso in cui riversavano le ragazze facenti parte della ciurma, le chiesi un ultimo grande favore.

    Chiedemmo alla donna se fosse stata disposta ad aiutarci ancora una volta, ad offrire conforto e cure alle menti e ai corpi logorati delle nostre compagne. La sua risposta non si lasciò attendere: un cenno di capo e uno sguardo deciso furono segni indiscutibili del suo assenso.

    - Prima pero` devo chiedere alla mia capitana se posso ospitarvi nella sua nave, li` ho tutte le mie erbe e i miei medicinali -

    In attesa della risposta della capitana, ci dedicammo ad ascoltare la donna che iniziò a parlarci delle proprietà curative delle sue erbe, con una conoscenza così profonda e dettagliata che era impossibile non restare affascinati. Parlava di radici capaci di togliere il dolore, di foglie che sapevano calmare la mente, e di unguenti preparati seguendo gli antichi insegnamenti dei mare navigati. Le storie narrate dalla donna creavano un ponte tra il vasto mondo dei rimedi naturali e le sofferenze delle nostre compagne, portando rimedio ai loro cuori feriti.

    [...]



    Quando finalmente arrivò l'approvazione della capitana, la donna ci porto` pero` anche cattive notizie.

    - La mia capitana, cosi` come il resto della ciurma, e` molto diffidente verso voi che fate parte dell'OSU. Ha accettato di far salire per il momento solo le persone piu` gravi tra le vostre fila e solo quelli che non fanno parte dell'organizzazione. Inoltre per il momento vuole tenere segreto il suo nome e ha alcune regole per chi salira` sulla nave -

    La notizia fu un duro colpo, ma allo stesso tempo una speranza per quelle tra noi che soffrivano di mali più severi. Non era il momento per orgoglio o per dispute tra ciurme e OSU: era il momento di mettere da parte le differenze per il bene dei nostri compagni. Accettai le condizioni poste senza obiezione, convinta che quello fosse l'unico modo per aiutarle. In quei momenti, post rapimento, la mia fiducia su come l'OSU le avrebbe trattate stava vacillando.

    Mentre attendevamo l'arrivo del piccolo scafo che avrebbe trasportato i membri più debilitati della ciurma alla nave pirata, il silenzio tra di noi era palpabile. Eravamo sospese in una sorta di rassegnata speranza, consapevoli che ogni possibilità di cura e conforto era un dono inatteso in questi mari. Una volta che le prime furono portate via, gli sguardi di chi restava erano misti tra l'invidia per non essere stati scelti e un senso di sollievo per il destino toccato alle amiche.

    I giorni seguirono con una routine imposta dal desiderio di mantenere uno spirito coeso tra la ciurma. Sulla terraferma, continuammo a frequentare la taverna sperando in aggiornamenti sulle condizioni dei compagni. E come sempre accade quando si è costretti a una convivenza forzata in attesa, il tempo sembrava stirarsi fino all'infinito.

    Le serate in taverna si tingevano di ansietà e attesa; erano un rimedio temporaneo all'incertezza dei nostri destini. Ma fu durante una di queste notti che una figura familiare varcò la soglia della taverna, portando con sé il profumo salmastro del mare e un'aria di mistero: era Frank.

    Si avvicinò direttamente a me, scambiando brevi sguardi con il resto della squadra, prima di sedersi per raccontarci qualcosa. Frank aveva l'aria di chi porta notizie che cambiano le carte in tavola, la stessa espressione che avevo imparato a conoscere nel corso delle nostra convivenza.
    C'era una solennità sotto il suo sguardo avventurosamente leggero, e nonostante fossi ancora inquieta per il destino delle nostre compagne, non potei fare a meno di sentirmi leggermente rassicurata dalla sua presenza.

    - La ciurma sta meglio, le erbe e gli unguenti della nostra anonima benefattrice hanno avuto effetto sorprendente e veloce. -

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    Le sue parole alleviarono il peso sulla mia anima consapevole del fatto che anche Frank, come noi, fosse intriso dello stesso spirito di mare che ci rendeva una famiglia. Con un sorriso faticoso ma genuino, ascoltai quello che ancora doveva dirci.
     
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    Chapter X

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    Bassifondi di Barbakos


    L'attesa per le notizie delle compagne curate dalla donna misteriosa era stata una tormenta costante, ma l'arrivo di Frank con novità rassicuranti apportò una ventata di sollievo tra noi. Quella sera, nella penombra della taverna riscaldata dalle fiamme del camino, ci raccontò dei sorrisi ritrovati e degli sguardi riaccesi grazie alle cure ricevute. La mia mente era ancora in preda a dubbi e incertezze sul futuro dell'OSU su questi mari ostili, ma sentii un barlume di speranza penetrare nel profondo. Mentre ascoltavo Frank, il rumore del mare fuori dalla finestra servì da sfondo alle storie di guarigione e rinascita. Avevamo ancora molte sfide davanti a noi, ma quella notte abbiamo permesso a noi stessi di credere che, nonostante tutto, c'era ancora posto per piccoli miracoli in mezzo alla tempesta della nostra esistenza in balia delle onde.

    C'era molto da pianificare per il giorno seguente: la necessità di stringere nuove alleanze e forse, l'inizio di una trattativa con la capitana della nave misteriosa. Mentre l'alba infrangeva la quiete della notte, eravamo già pronti a incontrarci nuovamente in taverna e discutere i passi successivi.

    L'arrivo del nuovo giorno portò con sé una nuova urgenza nelle nostre mosse. Adesso che sapevamo delle miglioramenti delle compagne a bordo della nave dei pirati, era giunto il momento di riconsiderare la nostra posizione nei confronti dell'ignota capitana e della sua ciurma. Eravamo consapevoli del rischio che comportava accettare l'aiuto da una fonte misteriosa, ma allo stesso tempo ci si presentava un'opportunità imperdibile di fortificare le nostre fila.

    La riunione mattutina in taverna fu pervasa da un'atmosfera di vigile calcolo. Avvicinare la capitana pirata non sarebbe stato semplice; dovevamo presentarci come alleati rispettabili, non come naufraghi disperati. Si discussero varie strategie, tenendo in considerazione la forza delle mie competenze nautiche e le conoscenze che avevo accumulato nei miei anni in mare.

    La tensione era palpabile mentre preparavamo i nostri rappresentanti; sapevamo che il margine per un errore era minimo, ma eravamo anche consapevoli che questo era l'unico modo per navigare verso un orizzonte più promettente. Inoltre avevamo bisogno che altre di noi venissero curate.

    Così, con il sole che saliva alto nel cielo, una piccola delegazione, di cui non facevo parte, si avvio verso la banchina dove era ancorata una scialuppa con la quale si avviarono verso la nave pirata. La trattativa fu lunga e intensa, ma alla fine emerse un accordo preliminare che contemplava la loro assistenza nei nostri confronti in cambio della promessa che avremmo ricambiato il favore in futuro. Sulla nave tutte le donne della nostra ciurma sarebbero state accolte e curate come si competeva mentre la sottoscritta sarebbe rimasta ancora sulla terraferma.

    Nonostante avessi fiducia nella capacità della ciurma di negoziare e mantenere la parola data, il pensiero che tutte avrebbero attraversato l'orizzonte senza di me, lasciandomi indietro, era un tarlo che mi rodava il cuore. Dovevo convincermi che la mia permanenza sulla terraferma non era un segno di debolezza o di sfiducia nei miei confronti, ma una necessità strategica dettata dalle circostanze. Con i miei piedi radicati alla terra asciutta e lo sguardo fissato sulla nave che si allontanava, forgiavo dentro di me nuovi propositi: sarei stata l'anima vigile pronta a guidare la ciurma al loro ritorno sicuro.

    Mentre la delegazione era impegnata al largo, mi trovavo a percorrere le strade acciottolate della città portuale cercando e dicerie dai passanti e negozianti, collaudando la rete di contatti che avrebbe potuto servirci in futuro. Era essenziale anticipare le mosse degli altri capitani e capire a pieno le dinamiche del porto per non trovarsi impreparati di fronte a eventuali minacce o opportunità.

    Le ore passavano lente ma fruttuose, e quando il crepuscolo iniziò a tingere il cielo di rosso, ero già in possesso di un mazzo di carte notevolmente più ricco. Le navi previste all'orizzonte, i commerci in vista e i flussi e riflussi della vita portuale erano tutti elementi che mi fornivano una visuale più chiara del quadro generale.

    Tornai alla taverna al calar della sera, portando con me i semi di molteplici chiacchiericci che anche da terra ferma potevano fare la differenza. Quella notte cullai tra le mani una brocca di rum speziato, ripromettendomi che nonostante l'assenza fisica dalla ciurma, avrei veleggiato con loro nello spirito e nel cuore. E nella luce incerta della candela che danzava al ritmo della brezza marina, piani ardimentosi presero forma: una mappa verso il domani, disegnata sulla tavola su cui avevo appoggiato il mio calice.

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    Edited by Tenshi-1 - 8/3/2024, 14:36
     
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    Chapter XI

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    Bassifondi di Barbakos


    Ci volle un po' ma finalmente riuscii a far cedere la dottoressa che si rifiuto` a far aprire Lif sulle sue condizioni ma mi assicuro` che avrebbe trovato il modo di farmi salire sulla nave, in modo tale che potessi chiederglielo io stessa.
    Sapendo questo, tornai sul vascello con un senso rinnovato di fiducia e una comprensione più profonda della nostra alleata. Con la promessa di un incontro fissato a un giorno ben preciso, decisi che era arrivato il momento di rilassarsi e tornare alle vecchie abitudini. Inoltre, in tutto quel trambusto, il fatto che l'OSU non fosse mai venuto a cercarci mi era completamente passato di mente.

    Quella notte, seduta al vecchio tavolo di quercia scricchiolante nella nostra nave, riflettevo sul nostro prossimo passo. Conoscere Lìf da vicino sarebbe stata l'occasione perfetta per intuire le sue vere intenzioni e potenzialmente influenzare le sue decisioni a nostro favore. Mentre il rumore dell'acqua che lambiva lo scafo della nave si fondeva con i sussurri preoccupati, il pensiero dell'OSU che non ci aveva cercati si solidificava in una nuova serie di domande. Perché ci avevano ignorato finora? Era possibile che la nostra scomparsa fosse avvenuta sotto un velo di indifferenza o si trattava piuttosto di un segno che altri eventi, forse più gravi, distrassero la loro attenzione?

    In quel frangente, sentii il bisogno di condividere le mie riflessioni con qualcuno di fidato. Trovandomi da sola, feci un lungo fischio, un segnale concordato che convocò il mio gufetto Whisky, che prima del rapimento avevo lasciato a casa di Asuka.

    Whisky, con la sua piccola sagoma oscura, si posò accanto a me con elegante leggerezza, le sue morbide penne appena increspate dalla brezza marina.

    - Abbiamo un enigma da risolvere - sussurrai al mio confidente pennuto.

    I suoi occhi gialli fissarono i miei, riflettendo la luna alta che inseguiva il vascello attraverso l'oscurità. Gli spiegai i miei dubbi riguardo all'OSU e il silenzio insolito che avvolgeva le nostre tracce. Impiegando una mappa ingiallita iniziai a delineare a ritroso la rotta che avevamo intrapreso dall'isola degli uomini pesce fino al mio villaggio, nel tentativo di capire se fosse una rotta insolita che l'organizzazione avrebbe potuto semplicemente ignorare per errore.

    Whisky inclinò la testa, come se stesse ponderando ogni mia parola. Mentre la sua acuta intelligenza avvolgeva la stanza, i suoi occhi si spostarono sulla mappa, e poi di nuovo su di me. "Hoo", disse lui, un delicato promemoria del suo sempre presente spirito di osservazione.

    Se quella notte mi portava qualche risposta, era che forse avevamo navigato attraverso una serie di correnti marine poco note e insondabili da parte dell'OSU - un sentiero nascosto trascurato persino dai più esperti cartografi. Decisi che avrei affrontato il nostro prossimo incontro con Lìf dall'altra prospettiva; grazie alle sue esperienze di esilio e alle sfide superate, lei poteva essere molto più esperta e c'era la possibilita` che sapesse di piu` riguardo l'incompetenza dell'OSU.

    Quei discorsi pero` avrebbero aspettato, perche` come un fulmine a ciel sereno Asuka si presento sul molo dove era attraccata la nave, portando con se una lettera arrivata dall'OSU. La tensione si tagliava con un coltello mentre Asuka avanzava verso di me con passi misurati, il sigillo dell'OSU era inconfondibile sulla busta che stringeva tra le mani. Senza indugi, ruppi il sigillo e dispiegai la lettera: era una chiamata alla guerra. Fury aveva fatto la sua mossa e i cyborg ci stavano attaccando.

    L'OSU, apparentemente assente fino a quel momento, non era stato indifferente ma stava accumulando le proprie forze per dar battaglia. Inviai Whisky con un messaggio cifrato nei linguaggio dei mari, sperando che Lìf lo ricevesse e comunicasse l'accaduto alle mie compagne.
    La mia mente, nel frattempo, già si godeva ogni possibile scacchiera tattica: dovevamo essere astuti, veloci e spietati se volevamo avere qualche possibilità contro l'avversario cyborg che ci attendeva.

    L'incontro con Lìf poteva aspettare il mio ritorno. Partii da sola verso la capitale mentre il freddo vento notturno si intrecciava tra i lembi del mio cappotto e la determinazione affilava ogni mio passo. Non avevo tempo da perdere; la guerra non avrebbe atteso.

    In quel momento di crisalide tra notte e alba, il destino di moltitudini pendeva dal filo fragile delle scelte che avrei fatto nei momenti a venire. La lotta non era contro un singolo nemico, ma contro l'insidia oscura di un futuro nel quale l'umanità non sarebbe più padrona del proprio mondo. Con questi pensieri in mente e un cuore battente, mi incamminai verso l'ultimo baluardo dell'OSU ancora saldo nelle mie speranze. Era tempo che ogni nave, ogni spada e ogni cuore pronto al sacrificio scrivesse insieme la storia; una storia di resistenza, audacia e forse... di vittoria.


    Edited by Tenshi-1 - 8/3/2024, 17:04
     
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    Chapter XII

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    Aeronave OSU


    La capitale si stendeva dinanzi a me nel grigiore dell'albeggiare, le sue antiche mura ancora a guardia dei secoli che aveva visto scorrere. Avanzai attraverso strade silenziose, ove solo il rumore dei miei passi disturbava il temporaneo armistizio tra la notte che se ne andava e il giorno che nasceva, ogni pietra e edificio come un tacito testimone del caos incombente che cercavamo di scongiurare. All'orizzonte, le nuvole si tingevano dei primi bagliori del sole, come avanguardia di speranza in un cielo fino ad allora privo di segnali.

    Con le varie macchine di teletrasporto mi infiltrai fino al cuore pulsante dell'OSU - la Sala Strategica dove i generali e gli strateghi si riunivano per sfidare la sorte a colpi di intelligenze tanto umane quanto digitali. Fu lì che lessi nei loro volti quanto la situazione fosse tesa e grave; ciascun con lo sguardo fisso su schermi che presentavano dati e simulazioni di combattimento. Pochi sollevarono lo sguardo al mio ingresso; la battaglia imminente aveva preso già tutto il loro essere.

    Un vecchio uomo, dal volto inciso dalle battaglie passate, si alzò per accogliermi. Le sue mani erano segnate da cicatrici, ma gli occhi rivelavano un'intelligenza vivida e una volontà indomita. L'ammiraglio Ebizo, con voce ferma e ruvida dal tempo e comandi, mi accolse con un cenno del capo. Non una parola usci dalle nostre bocche poiché entrambi comprendevamo il fatto che la mia mancanza in quella sala per cosi` tanto tempo non era stata una fuga bensi` una mancanza dell'OSU stessa.

    Ebizo mi condusse ad un posto tra le carie piu` basse dell'esercito, dove era mio compito stare. Il nostro incontro fu breve ma carico di significato; c'era una mutua comprensione che solo chi ha respirato il ferro e il sale del mare conosce. La guerra aveva già iniziato a tessere la propria toccante malia, unita allo spirito indomabile di coloro che difendendo la propria terra diventano uno con essa.

    Mentre mi sistemavo al mio posto, i miei occhi scorrevano tra le innumerevoli informazioni. Mappature dettagliate del terreno, schiere dei nemici e le forze alleate; ogni dettaglio era cruciale e non c'era spazio per l'errore. Gli alti ufficiali avevano già predisposto un piano di resistenza: la tattica era quella di non confrontarsi direttamente in campo aperto ma di usare il luogo dove era stipato il demone codato.

    La battaglia avrebbe quindi preso una piega diversa da quanto si potesse aspettare. Invece di scontrarsi sui vasti campi di Suna, avremmo portato il combattimento nel circolo di alture che nascondevano la gigantesca creatura. Sfruttando l'ambiente impervio, avremmo potuto canalizzare i cyborg in un terreno a noi favorevole, costringendoli a inseguirci nelle valli strette e tortuose dove il loro numero non avrebbe fatto la differenza.

    La creatura codata, sebbene fosse una minaccia impressionante, poteva diventare la nostra arma segreta causando disordine nelle file nemiche che la volevano conquistare. Gli specialisti in comunicazione si assicuravano che ogni ordine fosse criptato e inviato senza intercettazioni. Non potevamo permetterci alcuna falla o debolezza nei nostri ranghi; ogni soldato, ogni mezzo doveva essere una punta di lancia nella nostra offensiva.

    Le ore successive furono una frenesia di preparativi sotto un cielo ormai pieno di luce. Messaggeri digitali andavano e venivano; ogni corridoio della Sala Strategica echeggiava dello scalpiccio delle scarpe militari e del ticchettio di tastiere. Ebizo impartiva ordini con precisione chirurgica, senza mai permettere che il caos incipiente dilagasse nel suo nucleo operativo.

    Col passare delle ore, quell'adrenalina che all'inizio stimolava la mente si trasformò in una tensione palpabile; nessuno poteva distogliersi dal pensiero della battaglia imminente. Eppure, in quello spazio carico di aspettative increspate dalla paura dell'ignoto, ci riscoprivamo umani maggiormente nel rispetto reciproco e nelle piccole gesta di solidarietà che scaldavano gli animi.

    Il sole era ormai alto nel cielo quando i primi segnali della presenza nemica iniziarono a riversarsi sui nostri schermi. Le immagini satellitari mostravano nuvole di polvere che si innalzavano, segno inequivocabile dell'avanzata dei cyborg verso le alture. Come un unico organismo, la Sala Strategica prese vita, ogni individuo diventava una cellula funzionale di un meccanismo preciso e affinato. In quel momento cominciai i miei preparativi raccogliendo dal mio armadietto impolverato il mio equipaggiamento.

    Ogni fibra di kevlar e ogni placca di metallo erano state forgiati specificamente per garantire la massima protezione e agilità sul campo di battaglia. Il peso dell'equipaggiamento sembrava sparire man mano che la sua familiarità tornava a farsi sentire sul mio corpo, come un'estensione naturale di me stesso. Verificai ogni fibbia e velcro, accertandomi che nulla potesse ostacolare i miei movimenti o tradire la mia posizione con un riflesso indesiderato. Dopo essermi assicurato che ogni elemento fosse al proprio posto, alzai lo sguardo verso il grande orologio che scandiva il tempo rimanente prima dell'assalto.

    Tra poco avremmo lasciato la sicurezza del quartier generale per abbracciare l'incertezza del deserto: terra di estreme condizioni e bellezza spartana, che testimonia la resilienza di coloro che vi abitano e si oppongono agli invasori meccanici. Nei miei pensieri si rafforzò la consapevolezza che nonostante la tecnologia avanzata e la strategia sofisticata, alla fine saremmo stati noi - esseri di carne e spirito - a sfidare l'implacabile marea d'acciaio nemica.

    All'improvviso, un segnale acustico si diffonde nell'aria: l'avanzata nemica era ora a poche miglia dalle nostre posizioni. Un brusio sottile si levò nella sala, come se tutti avessero trattenuto il fiato contemporaneamente. Gli sguardi si incrociarono, vi erano determinazione e tacito assenso nel procedere secondo il piano stabilito.

    Con un gesto conciso del capo, Ebizo mi diede il suo inconfondibile buona fortuna. Mi avviai verso la piattaforma di teletrasporto. Mentre mi posizionavo sulla piattaforma, i lumi intermittenti di essa iniziarono a pulsare più rapidamente, annunciano l'inizio del processo. Pochi istanti dopo, quella luce si dissolse tanto rapidamente quanto era apparsa, lasciandoci alle prese con la realtà del campo di battaglia.

    L'aria era sazia di grana sottile, un velo di terra che il vento disperdeva con indifferenza. Davanti a me, il deserto si dispiegava in un'immensità che sfidava l'occhio e la mente. Il cambiamento di scenario era brusco: se prima ero circondato dall'intenso fervore della Sala Strategica, ora mi trovavo nel mezzo del nulla assoluto. Le alture di cui parlavano le mappe erano intorno a noi, io e Whisky ci trovavamo in una valle stretta tra le montagne rocciose.

    Note finali per i mod/master:
    -Per quanto riguarda il bambino che la pg dovrebbe avere in grembo, il pg non ha intenzione di tenerlo e nella prossima lpq con Yama/Lif chiedero` al medico l'aborto
    -Ho parlato con Yama per quanto riguarda i riferimenti ai suoi pg/png




    Edited by Tenshi-1 - 9/3/2024, 16:21
     
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    Innanzi tutto ci tengo a farti i complimenti. Noto che sei migliorato molto dagli ultimi tuoi post che lessi svariato tempo fa. Detto ciò, in questa lunga PQ, hai avuto alti e bassi risultabdo ridondante in certe parti ed accattivante in altre... Farò quindi una valitazione media che varrà per tutte le quattro parti: 80x4=320 exp
     
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12 replies since 7/3/2024, 12:28   140 views
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