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PQ ambientata nel passato - Shōta Akimichi

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    Eventi precedenti QUI



    [Zona occidentale di Hekisui, diversi anni fa, Hatsuki]



    Nel mezzo di un'ampia radura circondata da alberi, sorgeva la casa nella quale oramai da parecchio tempo risiedevano gli Akimichi. All’epoca del trasloco era poco più che una capanna ma, nel momento in cui gli affari cominciarono a girare per il verso giusto, fu possibile darle una sistemata e adesso si presentava come una dimora più che dignitosa.
    Nel silenzio di quella sera, l'unico rumore che riempiva di sé la cucina era lo scroscio dell'acqua calda che, uscendo dal rubinetto, andava a inondare la vasca mescolandosi con il detersivo e permettendo a quest'ultimo di diffondere nell'aria il suo caratteristico profumo.
    Con un movimento circolare, Shōta passò un'ultima volta la spugna sul fondo della pentola, poi la risciacquò. Non aveva molta voglia di lavare i piatti quel giorno ma purtroppo toccava a lui

    Aggrottò le sopracciglia al pensiero di doversi svegliare presto l'indomani. Anche lì non poteva farci niente, raggiungere l'accademia richiedeva quasi un'ora di cammino.
    Sospirò e posò la pentola per fare una pausa. Solo allora notò in piedi vicino alla porta suo padre, che lo osservava con aria accigliata.
    Il ragazzino si preoccupò leggermente a vederlo così. Forse aveva combinato qualche guaio senza accorgersene?

    ...c’è qualcosa che non va, papà?

    Il genitore avanzò verso di lui, si fermò a un metro e lo squadrò dalla testa ai piedi

    Niente affatto. Anzi… direi che ci siamo...

    ...eh?

    Shōta era più confuso di prima. Suo fratello Shingo, che si stava sciogliendo la coda arancione in attesa di andare a coricarsi, udendo quelle parole spalancò gli occhi

    vuoi dire che…?

    Esatto… Ma mi ero fatto i calcoli in anticipo, per cui ho già parlato con i Sensei: la settimana prossima niente accademia. Domattina ci si mette in cammino

    Ma è sempre nel solito posto?

    Si. E ho anche già contattato qualche vecchia conoscenza

    Grande! Shōta, sei fortunato. Anche io l’ho fatto e ti assicuro che non te lo scorderai facilmente! Che bella esperienza…

    Non è detto che debbano rimanere solo ricordi… guarda che ai veterani non è mica proibito tornare, eh. Anzi…

    Sul serio posso venire?? Grande pa’!!

    Il secondogenito iniziò ad innervosirsi. Ricordava una breve assenza di Shingo e del padre risalente a un bel po’ di tempo prima ma, a parte ciò, quello sembrava un discorso in codice e lui non stava capendo una sola parola

    ...cammino? Niente accademia? Mi spiegate di che state parlando?

    Del tuo allenamento per diventare un vero Akimichi. E’ arrivato il momento di cominciare a fare sul serio

    Il corpo di Shōta iniziò ad essere pervaso da un’emozione indicibile. Una sensazione di calore gli riempì il petto ed ebbe l’impressione di poter fluttuare a mezz’aria

    STAI DICENDO CHE MI INSEGNERAI LE TECNICHE DEL CLAN??

    Rompendo l'incantesimo, Shingo si produsse in una grassa risata.
    Il padre sorrise e piegò leggermente il mento di lato, come farebbe qualunque adulto di fronte a un ragazzino che manifesta una palese ingenuità

    ahahah ma no! Non sei mica pronto, ci vorrà moltissimo tempo per quello. Stai ancora imparando a controllare il Chakra e, se anche provassi a spiegarti la teoria, non capiresti nulla

    L’entusiasmo del figlio tornò ad un livello accettabile ma non si spense affatto

    Ma allora di che allenamento si tratta?

    Di un addestramento per il corpo e per lo spirito, essenziale per poter arrivare pronto al giorno in cui potrai davvero apprendere le arti del clan. Ma adesso non ho tempo per spiegarti, capirai tutto a breve. Ora finisci di lavare i piatti e fila a letto, che domani devi essere fresco per il viaggio

    Detto ciò, si voltò e si ritirò nella sua camera.

    Shōta, che conservava una traccia viva dell’emozione di prima, si precipitò a lavare i piatti, ansioso di finire rapidamente per poter andare a dormire. Non vedeva l’ora che fosse l’indomani.
    Shingo gli diede una pacca sulla spalla e, suo malgrado, peggiorò la situazione

    Vedrai, sarà una figata!

    …e allora al diavolo i piatti! Non c’era un minuto da perdere, doveva addormentarsi il prima possibile per far passare subito la notte. Mollò tutto e corse in camera.
    Un guanto bagnato si spiaccicò sulla faccia del fratello, scivolando a terra

    E questo che significa… li dovrei lavare io?? Toccava a te… e che ca**o!

    Era già troppo lontano per sentirlo.

    [...]

    Nella penombra della camera, debolmente illuminata solo dai riflessi della luna, Shōta scoprì che si stava verificando esattamente il contrario di ciò che desiderava: non riusciva a chiudere occhio.
    La sua mente correva continuamente al mattino successivo e nelle sue fantasie si accavallavano immagini completamente casuali di luoghi, persone e attività sulle quali nulla gli era ancora stato rivelato.
    Si girò verso la sveglia… 11:45 PM. Così presto? Com’era possibile? Pareva fosse passata un’eternità da quando si era coricato. Si voltò verso il letto del fratello

    psst… bro, ma ti rendi conto che sono ancora le 11:45?

    Un verso roco precedette la risposta

    …vorrai dire “sono GIA’ le 11:45”. È tardi, dormi…

    Shōta si mise supino e chiuse gli occhi… dopo pochi istanti gli parve di udire un rumore di passi nel corridoio. Era suo padre? Forse si era addormentato ed era già passata la notte?
    Si girò verso la sveglia… 11:52 PM. Ancora? Forse la partenza era stata anticipata? Provò ad ascoltare con la massima attenzione. Trattenne il respiro per preservare il silenzio e non farsi sfuggire nemmeno un suono… niente.
    Si rigirò verso il fratello

    bro… hai sentito anche tu quel rumore?



    Poiché non riceveva risposta, allungò il braccio e premette un paio di volte con le nocche sul ventre di Shingo

    psst... bro, ma stai dormendo?

    …ci sto provando! E dovresti farlo anche tu!

    …ah, e…

    …no, non ho sentito nessun fot**to rumore. Buona notte.

    Il minore tornò a mettersi supino. Certo che quando sei eccitato per qualcosa non riesci proprio a togliertela dalla testa, pensò.
    Si girò verso la sveglia: 11:57 PM. Andiamo, su… Quante centinaia di minuti dovevano passare ancora? E se fosse rimasto sveglio fino al mattino poi all’allenamento sarebbe arrivato uno straccio

    …come vorrei dormire

    …come lo vorrei anch’io!

    …bro! Ma allora sei sveglio anche tu

    Un fruscio seguito da uno spostamento d’aria gli fece intuire che stava per ricevere un cuscino in faccia. Fu colto alla sprovvista e non riuscì ad evitare il colpo ma immediatamente afferrò il proprio guanciale e menò un colpo alla cieca, sperando di andare a segno nella penombra.
    Istantaneamente scoppiò una battaglia a cuscinate nella quale nessuno dei due si sarebbe arreso prima della totale capitolazione dell’avversario.
    Un fortissimo e improvviso bagliore accecò i contendenti. Qualcuno aveva acceso la luce della stanza

    Basta con questa baraonda, ecco qua! Ma vi rendete conto di che ore sono??

    Pur nella temporanea cecità, l’intercalare “ecco qua” non diede adito a dubbi sull’identità dell’intruso.
    Mentre gli occhi distinguevano a fatica la figura slanciata della madre in piedi davanti alla porta, lesta e immensamente banale arrivò la replica

    Ha cominciato lui!

    Non è vero! Ma’, Shōta non mi fa dormire!

    La madre chiuse gli occhi e sorrise in un modo che contraddiceva totalmente la sensazione inquietante che circondò le sue parole

    …se non la finite vi faccio “addormentare” io…

    I ragazzi trasalirono e immediatamente tornarono sotto le coperte

    molto bene… ‘notte, ecco qua! disse lei spegnendo la luce e andandosene.

    Shōta serrò le palpebre… subito dopo, la luce del sole lo costrinse ad aprirle.
    Si voltò verso la sveglia: 06:50 AM. Finalmente!
    Shingo non era più lì e dal soggiorno provenivano realmente dei rumori.
    Saltò giù dal letto e corse via.

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    Dopo aver fatto colazione ed essersi caricati sulle spalle dei pesanti zaini, i ragazzi salutarono la madre che, a differenza loro, non aveva preparato alcun bagaglio

    Mamma, perché non vieni anche tu?

    Purtroppo non posso, tesoro. Vostro padre aveva preso appuntamento con dei clienti nei prossimi giorni ma, visto che lui non ci sarà e che è troppo tardi per avvisarli, dovrò farmi trovare qui quando arriveranno

    Il marito si grattò la testa con aria colpevole ma lei sorrise

    Non fare quella faccia, non ce l’ho con te. Anzi, lo sai che mi fa piacere quando stacchi dal lavoro e torni a sgranchirti un po’ le gambe

    Poi si girò verso i figli e aggiunse qualche bottiglia d’acqua nei loro zaini

    Se riuscirò a liberarmi in tempo magari passerò a trovarvi, ecco qua. Nel frattempo, divertitevi e non lasciate un solo piatto pieno, mi raccomando!

    A quel punto, i tre si misero davvero in marcia.

    Era uscito anche un bel sole splendente.

    […]

    Dopo aver camminato per ore, il trio raggiunse quello che sembrava un piccolo villaggio sperduto. Il fatto che fosse abbastanza isolato non lo rendeva, tuttavia, privo di vita.
    Era percorso in lungo e in largo da numerosi ruscelli e l’erba vi cresceva rigogliosa. Lungo i margini delle strade c’erano bancarelle e negozi di vario tipo ma un dettaglio non sfuggì ad uno Shōta stanco ed affamato: nessuno di essi vendeva cibo, né crudo né cotto.
    Notando la sua espressione preoccupata, Shingo lo tranquillizzò

    Qui c’è solo un emporio che vende alimentari ma è molto fornito, vedrai

    Dopo un po’, imboccarono una stradina secondaria e iniziarono ad uscire dal villaggio

    Ma dove andiamo? Allora non è questo il posto?

    Il padre si affrettò a chiarire

    Non è proprio nel villaggio però è vicino. Siamo quasi arrivati, tranquillo

    Sarà per la fame, sarà per la stanchezza ma il ragazzino cominciava a pensare che non si sarebbero più fermati.
    Invece, poco dopo apparve all’orizzonte la loro meta. Si trattava di una costruzione di legno dall’aspetto piuttosto semplice e regolare, che poggiava su un largo terrapieno lungo il bordo del quale - notò Shōta con curiosità - erano incastonati, a intervalli regolari, dei grossi dischi di legno.
    L’edificio si sviluppava unicamente in larghezza e in lunghezza, essendo composto da un solo piano.
    Lungo i fianchi si aprivano numerose finestre rettangolari che, essendo posizionate nella metà superiore della parete, sicuramente garantivano l’illuminazione delle stanze ma rendevano anche impossibile vedere cosa ci fosse all’interno.
    Al centro c’era una porta fatta in parte di legno e in parte di vetro estremamente opaco che, per via di questa caratteristica, svolgeva essenzialmente la stessa funzione delle finestre.

    Dove l’ho messa… ah, eccola qui!

    Il padre tirò fuori una vecchia chiave lunga più di 5 centimetri e la infilò nella toppa. Quindi la girò tre volte e poi tirò la porta di lato. Un nuvolone di polvere assalì il gruppo provocando seri colpi di tosse

    cough… ma da quanto tempo non ci passa qualcuno qui?

    coff… probabilmente da quando ci sono venuto io l’ultima volta… è sempre la stessa storia

    Su su, non siate esagerati. E poi, Shingo, lo sai bene che anche questo fa parte dell’allenamento…

    già…

    Mentre si chiedeva quale fosse il significato di quelle parole, Shōta notò che il polverone si era diradato e suppose quindi che gli fosse finalmente possibile vedere all’interno, ma così non fu perché l’oscurità era ancora eccessiva per degli occhi abituati alla luce del sole.
    A questo punto il padre si congedò da loro

    Bene ragazzi. Io devo incontrare delle persone. Nel frattempo, voi date una bella sistemata alla palestra

    Quindi lanciò loro due ramazze pescate chissà dove.

    Eh? Dovremmo pulire questo posto immenso da soli? Non è quello che intendevi dire, giusto?

    Shingo gli tirò una gomitata come a volerlo avvisare di non dire cose a sproposito.
    Il padre replicò

    Hai ragione! Mi sono dimenticato di aggiungere che, se vi avanza tempo, dovreste anche preparare la cena

    Poi si voltò e se ne andò.

    Shōta chiese lumi al fratello

    Ma che significa?

    Fa tutto parte del pacchetto. Ai più giovani tocca pulire e cucinare, quindi cominciamo a rimboccarci le maniche… e, se ti può consolare, pensa che l’altra volta io l’ho fatto da solo

    Così i due fecero ingresso in quella che, quantomeno, era stata etichettata come “palestra”.

    OST


    Vi regnava un silenzio surreale. Preceduto solo dal Genkan, un lungo corridoio si srotolava per circa metà dell’edificio. La parte iniziale era poco luminosa perché vi filtrava solo un po’ di sole dal vetro opaco della porta. Ma questo era nulla in confronto al resto poiché, proseguendo, ci si addentrava sempre più in zone lontane dall’ingresso e senza alcuna fonte di luce. Diverse porte si affacciavano sui lati e, in fondo, si notava un bivio a T che non permetteva di farsi un’idea precisa della mappa dell’edificio.
    I ragazzi si tolsero le scarpe e si infilarono le pantofole che si erano portati dietro. Quindi Shōta mosse qualche passo incerto sul pavimento di legno, temendo che qualche trave marcia potesse sfondarsi.
    Shingo notò la sua insicurezza e lo rassicurò ancora una volta

    Stai tranquillo, non è messa così male. Aspetta che accendo la luce e ti faccio vedere

    C’era la luce? E che cosa diamine stava aspettando a dirlo?
    Il ragazzino udì un click e immediatamente il corridoio fu illuminato a giorno. A vederlo così, in effetti, non sembrava poi tanto vecchio, anzi. Certo era parecchio impolverato e puzzava di chiuso ma, dopo una bella pulita, avrebbe fatto invidia ad un albergo di fascia medio-alta.
    Shōta aprì la prima porta a sinistra e trovò un disimpegno con altre due porte. Decise di aprirne una e scoprì che entrambe si affacciavano sullo stesso ambiente: un’enorme sala che occupava tutto l’angolo sud-ovest dell’edificio e al centro della quale faceva bella mostra di sé un cerchio fatto di paglia intrecciata



    I raggi di luce che penetravano in obliquo dalle finestre illuminavano i granelli di polvere fluttuanti e, in quel silenzio irreale, creavano un’atmosfera quasi magica.
    Il ragazzino si voltò e tornò nel corridoio. Aprì quindi la porta a destra, la quale si rivelò essere il punto d’accesso a una sala con molti tavolini bassi e cuscini rotondi, con un’altra porta scorrevole sul lato sinistro che conduceva ad una grande cucina molto accessoriata.
    Anche senza proseguire l’esplorazione, fu chiaro che ci sarebbe stato molto lavoro da fare ma la curiosità di scoprire dove avrebbe trascorso i giorni seguenti diede a Shōta la carica giusta per cominciare.
    Così, olio di gomito e ramazza alla mano, i fratelli sistemarono da cima a fondo quella che, di stanza in stanza, si era rivelata essere a tutti gli effetti una palestra in grado di ospitare potenzialmente anche decine di persone.
    Gettando una spugna bagnata dentro un secchio, Shingo chiuse gli occhi e sospirò asciugandosi la fronte

    E anche questa è fatta…

    Sono distrutto… meno male che è finita… adesso ho solo voglia di mangiare e andare a dormire

    Già… mangiare……… ca**o! La cena!

    I due si guardarono e poi si accasciarono al suolo stremati. Se ne erano completamente dimenticati.

    …non penso di avere la forza di cucinare…

    …il problema non è tanto cucinare… è procurarsi gli ingredienti

    Dobbiamo anche fare la spesa??

    per forza… secondo te qualcuno potrebbe lasciare delle derrate in un posto che viene abbandonato per mesi e mesi? La roba andrebbe a male

    Non aveva poi tutti i torti, pensò il fratello

    E cosa dovremmo comprare?

    Per stasera possiamo arrangiarci con poco ma dovremmo comprare anche ciò che serve per i pasti di domani e dei giorni successivi perché poi non avremo tanto tempo per fare la spesa. E per quelli non ce la caveremo facilmente…

    …che vuoi dire?

    Nella dispensa c’è un ricettario. Prendilo e dai un’occhiata a pagina 5… capirai da solo

    A tratti si stava trasformando quasi in una caccia al tesoro. Shōta si alzò e si diresse in quella che aveva individuato come “sala da pranzo”, la attraversò e aprì la porta sul lato nord. Si fermò qualche secondo sulla soglia della cucina e si guardò intorno per cercare il ricettario ma non lo vide da nessuna parte. D’altronde il fratello aveva detto che si trovava in dispensa. Quindi attraversò la stanza fino a raggiungere una porta di legno di piccole dimensioni. La aprì e si trovò in un vicolo cieco di 3 metri x 2 con diversi scaffali vuoti. Lì non ci aveva ancora messo piede perché quella zona l’aveva pulita Shingo. Su uno di quegli scaffali era poggiato un librone marrone con delle rilegature dorate. Lo prese e iniziò a sfogliarlo. Da pagina 2 a pagina 4 c’erano ricette semplici e veloci, perfette per una cena arrangiata. Prese nota e poi andò a pagina 5, dove una scritta arzigogolata e anch’essa dorata recitava “Chanko Nabe”. Gli si aprì davanti una lista interminabile di ingredienti, che sembrava essere stata modificata, integrata e riscritta a più riprese e a distanza di tempo. Cominciò a leggere alla rinfusa:

    • carne di pollo
    • pesce
    • funghi
    • tofu
    • cipolle
    • salsa di soia
    • zenzero
    • uova
    • aglio
    • miso
    • carote
    • daikon
    • cavoli
    • …

    Erano sul serio “cavoli”, pensò Shōta mentre scorreva con gli occhi il resto della lista, composto di verdure di ogni sorta. Ne aveva mangiate di cose in vita sua, ma una roba così non l’aveva mai sentita nemmeno nominare.
    Cercò di annotare tutto con la massima precisione e poi tornò da Shingo.
    Questi, intento a portare gli stracci sporchi ad un laghetto poco distante dall'ingresso, mentre camminava incappò in un sasso abbastanza grande, che non era riuscito a vedere a causa dell’ingombro della cesta che portava tra le mani. Shōta, che era appena sbucato dalla porta, non riuscì ad avvisarlo in tempo e non poté fare altro che assistere impotente alla sua rovinosa caduta

    Fan**lo! Sasso di me**a! sbottò il ragazzo mentre alzava il braccio e digrignava i denti, guardando in cagnesco la pietra.
    Intuendo che stesse per colpirla, il fratello gli urlò d'istinto

    Fermo! Ti farai ancora più male!

    Ignorandolo totalmente, Shingo assestò un bel cazzotto al sasso. Poi si rialzò e andò a recuperare gli stracci come se niente fosse.
    Shōta pensò che dovesse avere le mani d’acciaio. Ma questo, che era solo un pensiero semiserio, divenne qualcosa di più concreto quando si avvicinò per dargli una mano con i panni e, di passaggio, notò una piccola crepa nella roccia.
    Quanto diamine era forte il fratello? E quanto poco lo conosceva in realtà?

    Non era il momento di perdersi in congetture. Era ora di andare a fare la spesa.

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    Il sole aveva ormai iniziato a tramontare quando i ragazzi si misero in cammino per raggiungere l’emporio. Peraltro, in tutto questo il padre non era ancora rincasato.
    Ripercorsa in senso inverso la tortuosa stradina che li aveva condotti alla palestra, i due giunsero nuovamente nel villaggio. Diversi negozi avevano già chiuso e altri si stavano apprestando a farlo. Questo portò Shōta ad affrettare il passo, benché non sapesse di preciso dove andare.
    Vedendo come correva, Shingo si sbrigò ad urlargli dietro

    Aspetta, l’emporio non chiude così presto! E poi non ti ho nemmeno detto dove si trova!

    Il fratello si girò per cercare di udire meglio le sue parole ma ciò gli impedì di vedere che qualcun altro, altrettanto di fretta, stava sbucando dall’angolo di un edificio. Così i due finirono inesorabilmente per cozzare l’uno contro l’altro

    OUCH!
    OUCH!

    Caddero a terra come due sacchi di patate. Poi, massaggiandosi la fronte, alzarono la testa e si guardarono. Appresero entrambi di trovarsi di fronte a qualcuno che aveva all’incirca la propria età

    Mi dispiace! Ti sei fatto male? Si precipitò a chiedere Shōta

    No, no, tranquillo! E poi sono io che devo chiedere scusa. Stavo correndo senza guardare dove mettessi i piedi rispose il ragazzino dai capelli verdi il quale, una volta rialzatosi, dimostrò di avere anche la stessa corporatura di Shōta oltre che la stessa età



    Subito gli porse il pugno

    Comunque io sono Jona, piacere!

    Io sono Shōta, piacere mio! rispose l’Akimichi ricambiando il pugno

    …e lui è mio fratello Shingo prosegui, indicando con il pollice dietro di sé

    Ciao! esclamò il diretto interessato, che li aveva appena raggiunti.

    Per qualche strano motivo, Shōta non si aspettava di poter incontrare un coetaneo in quel posto e la cosa lo lasciò un po’ spiazzato. Per di più, quel ragazzino in qualche modo gli somigliava e anche questa era una cosa abbastanza inusuale. Per cui si sentiva fortemente combattuto tra la voglia di scambiare quattro chiacchiere con lui e la fretta di andare a fare la spesa.
    Prima che potesse essere inghiottito dal gorgo dei suoi dubbi, Jona lo cavò d’impiccio

    Mi dispiace di non potermi trattenere ma adesso sono proprio di corsa. Però penso che potremmo rivederci. Io non sono di queste parti ma sarò in giro ancora per qualche giorno. Voi?

    In realtà, neanche noi siamo di queste parti e non rimarremo a lungo. Però hai ragione, il villaggio è piccolo quindi sicuramente potremmo rivederci!

    Così, benché a malincuore, i due si salutarono agitando la mano e ognuno prese la propria strada

    E così ti sei già fatto un amico. Però tieni a mente che non avremo molto tempo libero questa settimana gli ricordò Shingo

    Si, lo so… disse lui sorridendo in maniera un po’ malinconica.

    Dopo un paio di svolte, i due si trovarono davanti all’unico edificio dall’interno del quale provenissero ancora delle luci, niente di meno e niente di più che un emporio di medie dimensioni. Era evidentemente la loro meta.
    Appena entrati, vennero accolti con un sorriso da un signore anziano che indossava un cappello marrone e una sciarpa grigia

    Quello è il proprietario. Lui è… davvero un vecchietto tranquillo, si gli sussurrò Shingo

    Dunque si divisero la lista e iniziarono a cercare gli ingredienti separatamente.
    Rimasto solo nel reparto delle spezie, Shōta indugiò qualche secondo nell’atmosfera tranquilla del negozio. Il silenzio non era assoluto poiché da qualche angolo provenivano delle voci. Evidentemente altri clienti ritardatari.
    Riempì un cesto di medie dimensioni con buona parte di ciò che gli serviva. Poi, seguendo i cartelli, si diresse verso il reparto frutta e verdura. L’emporio si era rivelato davvero fornito perché trovò subito tutto quello che era segnato nella lista, tranne lo zenzero. Per quello ci volle qualche giro in più ma, alla fine, lo avvistò in una cassa all’angolo tra due corsie. Ne era rimasta solo una radice.
    Il ragazzino pensò tra sé che aveva avuto un piccolo colpo di fortuna e poi iniziò a correre verso la cassetta ma, arrivato a due metri dalla meta, gli si oscurò completamente la visuale, urtò contro qualcosa di grosso, elastico e resistente al tempo stesso e cadde a terra. Non era proprio giornata

    Ah, mi scusi… è colpa mia, non stavo guardan…?

    Scorrendo con lo sguardo dal basso verso l’alto, scoprì lentamente una massa adiposa che faceva concorrenza a quella del fratello. Un ragazzo più grande di lui, dall’aspetto di un teppista, lo sovrastava completamente ed era in compagnia di altri ragazzi piuttosto simili



    Il tipo lo guardò con un sorriso che poteva anche sembrare bonario
    Oggi mi sento di buon umore, bimbo… per questa volta accetterò le tue scuse. Adesso smamma, su, che è tardi e i bambini devono andare a letto a quest’ora disse
    Poi si girò e si apprestò ad afferrare la radice di zenzero.
    Con una certa dose di imprudenza, Shōta si rialzò in fretta e furia per cercare di anticiparlo. Quella radice l’aveva vista prima lui, non poteva certo cederla tanto facilmente

    No, aspetta! Quella mi serve!

    Come si può facilmente immaginare, aveva commesso un grave errore…
    Il tipo si girò e lo guardò in cagnesco

    OST


    La sua mano cambiò repentinamente direzione e afferrò il braccio dell’Akimichi, stringendolo con forza

    Ho detto che mi sento di buon umore ma non tirare troppo la corda…

    Cosa diamine gli era saltato in testa? Shōta si pentì amaramente di aver osato tanto con un tizio del genere, mentre il suo braccio veniva stretto in una morsa d’acciaio

    ahiahiahi! Ok hai ragione, scusa! si affrettò a dire, mentre stringeva i denti nel tentativo di sopportare il dolore.
    Proprio allora una voce si levò alla sua destra

    Che ca**o credi di fare?? Lascia andare mio fratello!

    Attirato dalla confusione, Shingo era sbucato dal reparto carni e si era piazzato al centro della corsia con i pugni serrati.
    Lo stritolatore girò la testa e i due si guardarono malissimo mentre il gruppetto di estranei serrava le fila.
    Seguirono diversi secondi di occhiate minacciose da un lato e dall’altro, dopodiché il tipo rincarò la dose

    Così è il tuo fratellino… non dovresti sguinzagliare in giro questo marmocchio come se niente fosse, sai…

    Dopo aver pronunciato queste parole, strinse con ancora maggior forza. Shōta, che pur si stava sforzando di mostrarsi forte, non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire un mugolio di dolore.
    Shingo non ci vide più per la rabbia. Fece un rapido passo in avanti con il pugno serrato, intenzionato a colpire il molestatore in volto. Dal canto suo, quello sembrava non aspettasse altro perché si apprestò a mimare il gesto alla perfezione con il braccio libero.
    I due pugni partirono all’unisono, pronti a cozzare a metà strada.
    Ma entrambi conclusero la loro corsa con largo anticipo e con due suoni smorzati.
    Una ragazza si era frapposta tra i contendenti bloccando entrambi i colpi con le mani



    Quando si resero conto dell’accaduto, i contendenti spalancarono gli occhi.
    La ragazza guardò la mano di Shingo mentre questi ritirava il braccio

    Non male

    …eh?

    Shōta, che era stato parzialmente graziato perché la stretta era adesso meno vigorosa, ebbe l’impressione che il fratello fosse leggermente arrossito. Ma la cosa che più catturò la sua attenzione fu la massa muscolare della nuova arrivata. Era la prima volta che vedeva un fisico del genere e, soprattutto, quella tipa aveva fermato un pugno di Shingo. Quanto allenamento poteva richiedere una cosa del genere?

    Il provocatore mostrò di conoscerla e di non essere molto contento dell’intrusione

    Avrai una buona spiegazione per questo, Yuzuki…

    Lei si girò e rispose molto tranquillamente

    “non facciamo casini inutili” ti ricorda qualcosa, Kazuo? Forse la regola che hai fissato tu? Dai, lascialo andare

    Quello chiuse gli occhi e sorrise. Poi mollò Shōta, il quale non perse tempo e corse verso il fratello

    Bah… l’ho detto che oggi mi sento buono… Bene, andiamo via. Però non finisce qui… ci rivedremo, ne sono sicuro…

    Si scambiò un ultimo sguardo di sfida con Shingo. Poi si voltò e, prelevato lo zenzero, si avviò verso l’uscita con tutto il gruppo. La ragazza guardò gli Akimichi un’ultima volta, poi raggiunse la cricca.

    Vedendo che il fratello era rimasto lì imbambolato, Shōta pensò che fosse ancora turbato per l’accaduto

    Bro, tutto ok? Io sto bene, tranquillo

    Lui sembrò improvvisamente svegliarsi e si precipitò a rispondere

    Si, è tutto ok! Anzi no, non è ok proprio per niente… hanno preso lo zenzero!

    eh? ah…è vero, però abbiamo tutti gli altri ingredienti

    Shingo afferrò velocemente le borse e si avviò verso la cassa con passo pesante. Anche a Shōta dispiaceva di non essere riuscito a prendere lo zenzero ma riteneva che non fosse certo una tragedia e la reazione del fratello gli sembrava esagerata. Era davvero troppo agitato.
    Sospirò e poi si affrettò a raggiungerlo

    […]

    Giunti nuovamente alla palestra, la trovarono illuminata. Il padre era tornato da un pezzo e, vedendoli così stanchi, ebbe pietà di loro, decidendo di fare uno strappo alla regola

    Siete due stracci. Che avete combinato? Lasciate stare, mi racconterete tutto a tavola… date qui, che cucino io qualcosa

    Prese le borse e le portò dentro.
    I figli furono abbastanza sollevati da questa cosa perché almeno avrebbero potuto riposarsi un po’ in vista del vero allenamento che sarebbe iniziato l’indomani.
    Dopo tre piatti di Yakisoba alle verdure, Shōta crollò per il sonno e fu necessario portarlo a letto di peso.
    Era stata una giornata impegnativa.

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    Chilometri e chilometri a piedi, un pomeriggio intero di pulizie e la disavventura avuta all’emporio erano stati più che sufficienti per mandare KO Shōta, il quale dormiva da ore come un sasso all’interno di una grossa camera posta sul retro della palestra.
    Un paio di tocchi sulla spalla da parte di Shingo lo costrinsero a svegliarsi di malavoglia

    …mmmmh… chi è…

    Chi vuoi che sia? Dai su, alzati

    Aprendo leggermente le palpebre, il ragazzino notò che l’oscurità regnava ancora sovrana

    …è prestissimo… ti stai vendicando per l’altra notte?

    Non dire cretinate… lo faccio per il tuo bene. L’allenamento comincia presto e, se papà non dovesse trovarci pronti, sarebbero guai. Quindi ringraziami

    Mezzo assonnato e stropicciandosi gli occhi, Shōta si diresse verso il bagno più vicino. Dopo essersi lavato la faccia, trovò suo fratello ad aspettarlo fuori dalla porta. Stava diventando un po’ pressante

    …si, sono pronto… e cerco di fare colazione velocemente, non ti preoccupare

    Colazione? Non c’è nessuna colazione

    Questo non avrebbe dovuto dirlo. Evidentemente si era svegliato con l’intenzione di prenderlo in giro

    …stai scherzando…

    Ho la faccia di uno che scherza? Dai, seguimi. Raggiungiamo il Dohyo finché siamo ancora in tempo

    Dopo quella giornata massacrante, sveglia all’alba e niente colazione? Shōta stava iniziando seriamente a pentirsi di aver accettato l’invito del padre, poi pensò che non era stato affatto un invito bensì un obbligo e questo allontanò una buona parte dei suoi sensi di colpa.
    Attraversati diversi corridoi, i due raggiunsero il disimpegno a ovest dell’ingresso e oltrepassarono una delle due porte, accedendo alla stanza dove c’era quello strano cerchio di paglia per terra.
    Dopo esserci entrato, il ragazzino notò un grosso palo di legno conficcato a terra, in un angolo del locale. Era stato aggiunto in seguito o c’era anche prima e lui non ci aveva fatto caso? Più probabile la seconda ipotesi, vista la fretta con cui aveva gironzolato per la palestra prima di fare le pulizie e visto che quella stanza non l’aveva pulita lui.
    Shingo si avvicinò a una parete e si infilò in una rientranza. Doveva trattarsi di un guardaroba perché, quando ne uscì, non indossava più il pigiama, bensì una specie di fasciatura bianca che poteva sembrare qualcosa a metà tra un cinturone e una grossa mutanda, e che gli copriva abbondantemente il bacino. Il problema era che, a parte quella, non indossava nient’altro.
    Shōta si stropicciò gli occhi, pensando di non essersi ancora svegliato del tutto, poi notò che il fratello si avvicinava recando con sé una seconda fascia di colore nero

    Non vorrai mettermi addosso quella cosa, vero??

    shhh! Non urlare, che ti sente papà! Si, devi indossare il Mawashi. Su, ti do una mano

    Tutto questo aveva il sapore della farsa. Il ragazzino si aspettava che da un momento all’altro saltasse fuori il padre urlando “scherzetto!”. Tuttavia il fratello non era davvero il tipo da prestarsi a cose del genere, per cui probabilmente doveva essere tutto vero. Si apprestò quindi a cambiarsi, spogliandosi e rimanendo in mutande.

    Devi togliere anche quelle

    Questo era troppo

    Eh no! Le mutande me le tengo!

    Shingo chiuse gli occhi e scosse il capo

    Non fare i capricci. Guarda che ti capisco, sai? Anche a me sembrava strano la prima volta. Poi ti ci abitui

    Ok, fatto 30 si poteva far 31, ma insomma…
    E fu così che Shōta si ritrovò nudo come mamma l’aveva fatto



    Il fratello gli avvolse più volte intorno al bacino la lunga fascia nera, finché non l’ebbe assicurata per bene e finché lo spessore non fu tale da renderla quasi rigida. A quel punto il lavoro si poteva dire ben fatto, a parte la fastidiosa sensazione di sentirsi “tirare” tra le gambe

    Ecco fatto. Tra poco dovrebbe arrivare papà. Durante l’allenamento non potremo parlare molto tra di noi, quindi tieni a mente quello che ti dico adesso: segui sempre le sue istruzioni senza fare commenti, altrimenti le cose si faranno difficili

    Sembrava poco plausibile

    Con papà? Ma dai, lui non è così…

    No, ascoltami. Non sai com’è quando fa sul serio. Certo, è anche colpa sua perché ha deciso di lavorare sempre, spesso è lontano da casa e, quando c’è, non parla mai di queste cose. Ma credimi, ti sembrerà un’altra persona…

    Adesso la farsa stava assumendo contorni sinistri… Shōta pensò che sarebbe stato meglio approfondire prima che fosse troppo tardi.
    Però era già troppo tardi. Stava per aprire bocca quando il fratello lo zittì

    shhh!! Sta arrivando!

    L’inconfondibile rumore di un Fusuma che scorreva, rivelò che una delle pareti aveva un’ulteriore apertura mimetizzata, la quale conduceva evidentemente ad altre stanze.
    Shingo si irrigidì e il fratello si voltò di scatto verso la parete. L’imponente figura che ne era emersa lo lasciò interdetto per alcuni secondi. Possibile che bastasse radersi la barba e rimanere mezzi nudi per sembrare praticamente un’altra persona?

    Buongiorno pa……pà?!



    Per una vita aveva pensato che il padre fosse semplicemente grasso ma, in quelle condizioni, si palesava un fisico che pareva scolpito nel marmo. C’era, si, un consistente strato di adipe ma era anche accompagnato da fibre muscolari che dovevano aver visto anni e anni di allenamento.
    E quell’espressione così determinata e talmente concentrata da sembrare quasi inespressiva, da dove diamine l’aveva tirata fuori?
    L’uomo, che indossava una versione cerimoniale del loro stesso “capo d’abbigliamento”, si posizionò a gambe large al centro del Dohyo, quindi eseguì una specie di rituale: sbatté le mani davanti a sé, poi strofinò i palmi, allargò le braccia e sbatté nuovamente le mani. Poi sollevò il braccio destro di 45 gradi, lo abbassò e, mentre posizionava l’avambraccio parallelamente al busto, sollevò il braccio sinistro, come per spostare il baricentro del corpo da quel lato. Quindi sollevò la gamba destra ed eseguì uno Shiko. Posato il piede a terra, allargò ulteriormente le gambe, piegando le ginocchia a 90° e abbassando di molto il busto. Fece mezzo metro strisciando con le piante dei piedi a terra, poi si fermò ed esegui altri due Shiko.
    I figli lo guardavano in religioso silenzio. Nel caso di Shōta, si trattava più di stupore che di semplice rispetto perché davvero tutto si sarebbe aspettato, fuorché quello. Iniziò a pensare che gli alieni avessero rapito i membri della sua famiglia uno ad uno, sostituendoli con altre persone.
    Terminato il rituale, il padre tirò fuori una sacchetta, afferrò al suo interno una manciata di sale e lo gettò davanti a sé. Poi andò a sedersi su una panca appoggiata al muro.
    Doveva essere il segnale dell’inizio dell’allenamento, perché Shingo cominciò a scaldarsi. Non sapendo che fare, il fratello lo imitò, cercando di sciogliersi i muscoli.
    Improvvisamente, il padre aprì bocca

    Shiko. 100 volte.

    Si cominciava bene… Shōta riusciva a malapena ad eseguirne 70, quando era particolarmente in forma (e non era questo il caso). Ok, forse era stato un po’ negligente negli esercizi che gli aveva prescritto il vecchio ma quando tornava dall’accademia non aveva sempre la forza di allenarsi.
    Suo malgrado, gli sfuggì un lamento. E dovette pentirsene amaramente

    come 100??

    Il genitore replicò senza scomporsi

    120.

    Eppure Shingo lo aveva ben avvertito di non fare commenti…
    Il ragazzino avrebbe voluto mordersi la lingua. Si girò verso il fratello ma lo trovò intento ad alzare la gamba sinistra. Già, non potevano neanche parlarsi. Sarebbe stato meglio iniziare ad eseguire alla svelta quegli stramaledettissimi Shiko, prima che raggiungessero una quantità tale da superare ogni umana resistenza

    Così cominciò l’esercizio…

    …arrivato al cinquantesimo, iniziò già a sentirsi stanco ma non osava immaginare cosa avrebbe potuto comportare un’interruzione non autorizzata. Per cui, nonostante i lombi e i glutei fossero già molto indolenziti, perseverò fin quando non cominciarono ad andare proprio a fuoco…
    …a un certo punto aveva anche iniziato timidamente a farsi vedere il sole… a quanti Shiko era arrivato? Ormai aveva perso il conto… sicuramente ne mancavano ancora troppi…
    Con il fiatone e zuppo di sudore, perse l’equilibrio e finì carponi. Gli era proprio impossibile continuare, anche volendo.
    Non ci fu nessuna reazione da parte dei presenti. Shingo alzò le gambe ancora una ventina di volte e poi si fermò. Questo voleva dire - pensò Shōta mentre ansimava - che lui era crollato più o meno a 100, cioè la cifra iniziale. Era evidente che il padre conosceva il suo potenziale meglio di lui, così come era evidente che al momento non ci sarebbero state conseguenze per quel piccolo fallimento. Forse un errore veniva perdonato o forse aver appreso il proprio limite era considerato già sufficiente

    Matawari.

    Non aveva mai sentito questa parola prima. Tergiversò aspettando che Shingo facesse qualcosa, giusto per capire cosa ci si aspettasse da lui.
    Il fratello si sedette per terra, aprì le gambe a 180 gradi e si coricò in avanti, mettendo il busto in posizione perpendicolare alle cosce, con la pancia a terra.
    Veramente, con gli allenamenti che aveva fatto, Shōta era diventato più flessibile ma quello gli sembrava eccessivo. Non credeva seriamente di riuscirci. Poi ripensò al limite degli Shiko e si disse che avrebbe dovuto tentare ad ogni costo.
    Tuttavia non riuscì ad arrivare proprio a 180 gradi e, in più, quando provava a distendersi, l’inguine e l’interno coscia iniziavano a tirare facendogli un male cane. No, era impossibile.
    In quel momento notò che Shingo e il padre si scambiarono uno sguardo. Il genitore annuì e il fratello si rialzò. Poi si avvicinò a Shōta e gli poggiò le mani sulla schiena, iniziando a spingere. Era pazzo?

    aspetta! Nonono! Ahiahiahiahiahi!

    È vero che aveva parlato ma non gliene fregava un bel niente. Il dolore era troppo forte, questa non gliel’avrebbe perdonata.
    Alzò lo sguardo per cercare il padre, che magari avrebbe avuto compassione e avrebbe fatto terminare quella tortura. E però, da quella prospettiva, ebbe l’impressione che il genitore sorridesse. Magari era un’allucinazione. Possibile che fosse diventato così cattivo? Forse quello non era affatto un allenamento. Forse era una specie di “settimana della punizione” e lui ci era cascato con tutte le scarpe.
    D’un tratto, nel momento in cui gli sembrava di aver superato ogni soglia di sopportazione, per qualche istante non provò più nulla, come se tutto fosse diventato una semplice sensazione fisica senza connotazioni particolari.
    Sollevò di nuovo la testa e si rese conto di non avere più nessuno che lo stesse spingendo. Rimaneva disteso da solo. Allora era davvero possibile! Per la seconda volta c’era caduto, imponendosi da solo dei limiti che in realtà non aveva.
    Non ebbe tempo per rimaneggiare questa importante riflessione, che rimase in lui quasi a livello fisico

    Suriashi.

    Prima che potesse farsi venire altri dubbi, vide che Shingo si posizionava al margine del Dohyo nella stessa posizione in cui solitamente eseguiva gli Shiko ma senza poggiare le mani sulle ginocchia. Quindi cominciò ad avanzare verso il lato opposto del cerchio, senza sollevare le piante dei piedi da terra ma facendoli scivolare alternatamente, in parallelo con il braccio corrispondente: piede destro-braccio destro, piede sinistro-braccio sinistro. Arrivato all’altro capo del segmento, si girò e fece il percorso inverso.
    Sembrava facile e Shōta non ci pensò due volte prima di procedere. Il primo “viaggio” andò già bene e lo fece sentire soddisfatto. Quindi si girò e si affrettò a farne altri due. Ma, al termine del terzo, tutt’un tratto le caviglie implorarono pietà. A quanto sembrava, gli effetti di questo esercizio si facevano sentire in maniera molto subdola. Comprese che non era il caso di fare le cose di fretta. Avrebbe dovuto prendersi i suoi tempi. D’altra parte quell’allenamento non somigliava manco per sbaglio alle lezioni di Taijutsu dell’Accademia. I presupposti erano completamente diversi, così come gli obiettivi.
    Ad un ritmo più lento, in un modo o nell’altro la cosa andò avanti per un bel pezzo, fin quando la voce del padre li interruppe nuovamente

    Teppo. 30 minuti

    Quanti esercizi avrebbe dovuto fare ancora? Era già un bagno di sudore e ormai era sicuramente tarda mattinata, data la luce che inondava da sud la palestra.
    Shingo si diresse verso il palo piantato nell’angolo. Si posizionò nel solito modo e poi iniziò a colpirlo alternatamente con i palmi delle mani, o almeno questo era quello che appariva all’esterno.
    Sembrava divertente, quindi Shōta lo raggiunse rapidamente, si mise di fianco e iniziò a fare altrettanto. Non gli pesava per niente quell’esercizio. È vero che, a furia di schiaffeggiare il palo, i palmi delle mani cominciarono a bruciargli ma non era niente in confronto a ciò che aveva sopportato fino a quel momento. Tant’è vero che, nonostante la stanchezza si facesse sentire eccome, 30 minuti passarono rapidamente e si domandò se ne avesse davvero beneficiato in qualche modo. Però nessuno disse una parola.
    Shingo si fermò. Anche lui era zuppo di sudore e visibilmente stanco.
    Il padre si alzò e fece qualche passo in avanti. Questo faceva ben sperare. Forse l’allenamento era finito

    Mettetevi al centro del Dohyo

    Non era finito un bel niente.
    I fratelli si ritrovarono uno di fronte all’altro e ad entrambi venne spontaneo fare un inchino, quasi come se non facessero altro ogni giorno. Passi per Shingo, ma Shōta non si era mai trovato in una situazione simile. Allora come mai aveva agito quasi in automatico e facendo proprio quello? Era come se qualcosa in lui si fosse sbloccato.
    Inaspettatamente, questo dettaglio insignificante fece cambiare atteggiamento al padre

    Molto bene, vedo che anche Shōta è entrato nello spirito giusto. Adesso non ho più bisogno di risparmiare le parole

    Che significava? Aveva superato qualche prova di cui non era nemmeno a conoscenza?
    Shingo gli sorrise

    Meno male. Non poterti dare dei consigli mi stava facendo esplodere dentro

    Allora adesso si poteva parlare. Questa si che era una buona notizia. Però non era il caso di azzardare più di tanto

    ah! Che esercizio dobbiamo fare?

    Ricevette la risposta direttamente dal padre

    è l’ultimo, per oggi. Shingo, preparati. Comincia prima tuo fratello

    ok rispose lui mentre si piazzava al centro del cerchio, con l’aria di uno che si appresta a ricevere e tenere a freno qualcosa.
    Complice, forse, una nuvola che oscurò il sole e una leggera brezza che entrò da una delle finestre, l’atmosfera si fece un po’ più carica e pregna di “qualcosa”, una specie di emozione di “attesa” indescrivibile a parole

    OST



    Shōta, forse lo avrai compreso, il senso di questi esercizi è migliorare la stabilità e l’equilibrio, nonché aumentare la forza fisica e la flessibilità. Poniti nei confronti di ognuno di essi come se il tuo obiettivo principale fosse quello di resistere e rimanere sempre in piedi, qualunque cosa ti arrivi addosso. Di converso, dovrai avere la capacità di buttare giù qualunque ostacolo ti si pari davanti. Una montagna umana. Mi segui?

    Se le sue parole non nascondevano significati più profondi e inaccessibili, quello sembrava un modo di fare onesto ed esplicito, che poteva condurre solo ad uno stile di combattimento semplice e puro, senza trucco e senza inganno. Il figlio annuì

    …anche nell’esercizio che ti appresti a fare, il vero avversario non sarà tuo fratello, bensì il tuo stesso limite. È una lotta contro se stessi.

    Il discorso tornava perfettamente, ripensando a quanti limiti aveva già compreso e superato quella mattina

    Adesso preparati a caricarlo e spingerlo dall’altra parte del Dohyo. Lui non opporrà molta resistenza

    Il ragazzino non se lo fece ripetere due volte e immediatamente si avvicinò a Shingo, premendogli i palmi delle mani sul ventre. In quell’istante si fermò. Non aveva idea che i muscoli addominali del fratello in tensione potessero essere tanto duri.
    Ma non si perse in divagazioni e cominciò a spingere con forza. Dovette sforzarsi un bel po’, data la stazza del bersaglio, ma non fu tanto difficile, poiché effettivamente non percepì molta resistenza dall’altra parte.
    Arrivato al limitare del Dohyo, però, venne bloccato senza sé e senza ma

    Questo esercizio ti permette anche di migliorare il tuo equilibrio quando passi all’offensiva, che è il momento in cui potresti più facilmente abbassare la guardia. Capirai meglio se proverai ancora una volta

    I fratelli si girarono dal lato opposto e Shōta ricominciò a spingere. Andò tutto bene, fin quando non erano arrivati a mezzo metro dalla fine. In quel momento, Shingo fece un passo di lato. Il fratello, non avendo più un punto d’appoggio ed essendo sbilanciato in avanti, cadde a terra

    Chiaro il concetto?

    Per essere chiaro, era chiaro, come tutto il resto. Le parole sembravano quasi superflue perché ogni cosa veniva appresa proprio “fisicamente” e, in tal guisa, rimaneva impressa a fuoco

    certo, senza punto d’appoggio perdi l’equilibrio. Ma non puoi evitarlo

    Tu dici? Adesso ribaltiamo i ruoli ma tu cerca di opporre tutta la resistenza di cui sei capace

    Shōta si rimise in piedi e si tolse il terriccio dalle ginocchia. Poi si mise in posizione di difesa.
    Shingo gli premette sul ventre con la mano destra e la spalla sinistra, poi iniziò a spingere. Nonostante si stesse impegnando seriamente, non riuscì minimamente a fermarlo o anche solo a rallentarlo. Ben presto si ritrovò al termine del diametro ma, memore di quanto accaduto pochi istanti prima, provò a sgusciare di lato per rendere al fratello pan per focaccia. Per un attimo quello sembrò in procinto di cadere ma, all’ultimo istante, fece avanzare di colpo una gamba, portandola davanti a sé e posizionando la coscia parallelamente al busto piegato, con il ginocchio a 90°, piantando il piede al suolo e arrestando in questo modo la caduta.
    Era impressionante. Sembrava davvero che stesse per cadere e invece…

    Hai avuto la risposta alla tua domanda?

    Il figlio annuì. Però questa situazione gli fece sorgere un altro dubbio

    …ma allora perché ieri sei caduto inciampando nel sasso?

    Shingo non la prese bene

    E adesso che c’entra?? Ero sovrappensiero, tutto qui!

    Poteva sembrare una scusa ma il padre parve di diverso avviso

    È sicuramente così. Infatti la concentrazione è il punto debole di tuo fratello ma tutti ne abbiamo uno e deve semplicemente lavorare per migliorarsi. Adesso fatelo un’ultima volta

    I due tornarono al margine del Dohyo e Shōta si rimise in posizione di difesa.
    Stavolta Shingo partì all’attacco come un lampo e sviluppò una spinta spaventosa. Il fratello spalancò gli occhi per lo stupore e gli fu impossibile fermarlo, nonostante si sforzasse di farlo con tutta l’energia che gli era rimasta in corpo. Cionondimeno, era ugualmente intenzionato a spostarsi di lato per farlo cadere ma si rese conto ben presto che era impossibile perché il fratello lo aveva afferrato per il Mawashi, rendendo così la sua presa più salda. In un batter d’occhio si ritrovò dal lato opposto del cerchio e, quando Shingo si spostò, vide che i suoi piedi avevano lasciato per terra due solchi paralleli, come le rotaie di un binario.

    Denshamichi. Questo è uno degli approcci basilari, in cui conta solo la pura forza

    In pratica aveva subito un vero e proprio railroading

    ma è normale che, se mi trattiene, non riesco a spostarmi

    Però non ci avevi pensato, vero?

    In effetti no.

    Il padre sembrava soddisfatto. Si voltò e si diresse verso una delle porte che conducevano al disimpegno

    Per oggi va più che bene così. Rimettete a posto il Dohyo, che è ora di pranzo

    Shōta stramazzò al suolo come uno strofinaccio bagnato

    …finalmente si mangia…

    Si, ma il pranzo non si cucinerà da solo lo stroncò Shingo.
    Poi, vedendo come era ridotto, proseguì …va bene… facciamo così: per oggi cucino io ma, in cambio, tu rimetti a posto il Dohyo, ripianando il terriccio e tutto il resto, ok?

    Il ragazzino alzò un pollice in segno di accordo e cercò con gli occhi la ramazza.

    Così, dopo un’attesa quasi infinita, si ritrovarono seduti tutti e tre insieme nella sala adiacente alla cucina.
    Nonostante il profumino lo stimolasse all’inverosimile, Shōta attese che il fratello servisse prima il padre e poi se stesso, arrivando a lui solo alla fine. Stava cominciando a capire la logica.
    Giunse le mani e ringraziò per il pasto e, quando ne ebbe la possibilità, si tuffò finalmente nel Chanko.
    Dopo una mattinata di allenamenti massacranti e l’assenza della colazione, una tale quantità e varietà di sapori lo risucchiò come un vortice paradisiaco. Tutto lo deliziava, dal gambero al ravanello, passando per il pollo e il Tofu. Ogni tanto Shingo gli passava una ciotola di riso o di noodles, versandoci sopra un fumante mestolo del brodo di cottura. Era una festa per il palato.
    Vedendo che mangiava così di gusto, il padre trattenne a fatica la voglia di ridere e si concesse un altro strappo alla regola. Dopo essersi ricomposto, gli spiegò che quel tipo di alimentazione non era scelto a caso: gli avrebbe fornito la giusta quantità di calorie, proteine e vitamine per mettere su peso e sviluppare energia, ottenendo così il doppio risultato di migliorare sia in attacco che in difesa. Questa spiegazione sembrò aggiungere ancora più sapore al pranzo e il ragazzino si abbuffò come mai in vita sua.
    All’ottava ciotola (aggiuntiva) di riso, si sentì finalmente sazio. Le altre due ciotole le spazzolò Shingo.
    A quel punto, il padre si alzò e si ritirò nei suoi appartamenti.
    Shōta lo salutò a fatica mentre un grosso sbadiglio lo scuoteva dal profondo. La cosa fu interpretata positivamente dal fratello

    bene… questo è l’atteggiamento giusto…

    …non mi prendere in giro… adesso mi sciacquo la faccia e poi vedi che sono pronto a riprendere l’allenamento

    ma che allenamento? Sei pazzo? Adesso si va a dormire

    come a dormire?

    non hai sentito quello che ti ha detto prima papà? Non devi sprecare una singola caloria di quello che hai mangiato e il modo migliore è farsi un bel sonnellino

    La notizia giungeva inaspettata e molto gradita. Così i due tornarono nella grande camera, stesero due futon, ci si spaparanzarono sopra e, nel giro di qualche minuto, caddero tra le braccia di Morfeo.
    Quando si svegliò nel tardo pomeriggio, Shōta si sentì riposato ma anche pieno di energie. Quel primo giorno di allenamento era partito maluccio ma si era sviluppato molto meglio.
    Adesso si sentiva pronto ad affrontare con spirito diverso il resto della settimana.

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    Il secondo giorno non ci fu bisogno di svegliare Shōta, che stava già iniziando ad adattare le proprie abitudini ai nuovi ritmi. Si alzò e andò verso il bagno dove, a giudicare dal gorgoglio dell’acqua, c’era già Shingo intento a farsi una doccia. Il ragazzino si accinse quindi a lavarsi.
    Con il volto ancora insaponato, sentì che l’acqua a pochi metri da lui aveva finito di scorrere

    Ehi, marmocchio. Mi passi l’asciugamano?

    Il fratello doveva essersi svegliato di cattivo umore. Shōta afferrò quanto richiesto e lo allungò alla sua sinistra

    grazie

    prego

    Aveva anche una voce strana



    Il ragazzino si voltò bruscamente

    AAAAAAAAHHHHH!!!!

    Si trovò di fronte nientedimeno che Kazuo, il ladro di zenzero. Che diamine ci faceva lì?
    Istintivamente, l’Akimichi si portò una mano sul braccio.
    Il tipo sorrise

    Tranquillo, non ti faccio niente. Anzi, mi dispiace per l’altra volta… potevate dirlo prima che eravate i figli del Megalito

    Figli di… che??

    Dai andiamo, che inizia l’allenamento fece lui, interrompendo il discorso e uscendo dal bagno.

    Dire che Shōta era confuso sarebbe un eufemismo. Ma, visto che dopo un generoso pizzicotto non accennava a svegliarsi, si affrettò a raggiungerlo per avere spiegazioni.
    Appena mise piede nel corridoio principale, si ritrovò circondato da un mare di gente che andava e veniva, entrava ed usciva dalle diverse stanze. Iniziò quindi a correre verso il Dohyo, nella speranza di rintracciare almeno suo padre o suo fratello.
    Arrivato che fu, spalancò la porta e si trovò davanti uno spettacolo senza precedenti: una quantità indefinita di persone di ogni tipo e di ogni età si stava allenando nei modi più disparati. La maggior parte era intenta ad eseguire Shiko nel mezzo della stanza; altri praticavano il Suriashi o sollevavano pesi; altri ancora si spingevano a vicenda qui e lì. Dal modo in cui si muovevamo, si capiva che alcuni erano esperti mentre altri erano totali dilettanti. Alcuni erano facce conosciute, membri del gruppo di Kazuo che Shōta aveva incontrato all’emporio.
    Nell’angolo, intenta a malmenare il palo a suon di manate, c’era anche Yuzuki. Quando si accorse del ragazzino, si girò e lo salutò sorridendo.

    L’Akimichi non sapeva cosa pensare. Quella non era la loro palestra? Perché aveva subito tale invasione?
    Mentre queste domande gli frullavano per la testa, ricomparve Kazuo

    Ehi marmocchio, abbiamo bisogno di altra acqua. Vai a prenderla al laghetto, che è più fresca

    Adesso gli dava anche degli ordini? In casa sua?
    In quel momento passò Shingo. Prima che il fratello potesse aprire bocca, gli si avvicinò

    Ah, allora è vero che ti sei svegliato da solo

    Bro, ma che ci fanno qui tutte queste persone?

    Come se fosse la cosa più naturale del mondo, Shingo rispose

    Che domande… si allenano, non lo vedi? Può sembrarti strano ma, quando papà organizza questi incontri, ci sono sempre decine di appassionati o anche solo semplici curiosi che si mettono in viaggio per partecipare. Sembra che sia così fin dai tempi del nonno

    Il ragazzino si sentì un po’ offeso e trattato come una figura secondaria in tutta la faccenda

    Avreste potuto avvisarmi prima… e di Kazuo che mi dici?

    Si, potevo dirtelo ma l’ho dato per scontato e non ci ho pensato. Per quanto riguarda Kazuo, non sapevo che lui e il suo gruppo fossero qui proprio per questo quando li abbiamo incontrati l’altro giorno

    Mi ha anche detto di andare a prendere l’acqua, ti rendi conto? Lui a me

    E tu che aspetti ad andare a prenderla?

    Shōta spalancò gli occhi. Forse non aveva sentito bene

    Stai scherzando? Dovrei obbedirgli? E perché mai?

    Perché sei più giovane. Da oggi funziona così... più tardi dovrai anche cucinare. Dai su, sbrigati… e, prima che tu vada a disturbare papà, sappi che non farebbe altro che confermarti tutto

    Non stava scherzando, aveva assunto un’espressione serissima. Al suo fianco, Kazuo lo scrutava con altrettanta serietà.
    Quindi era davvero così. Non solo questi estranei si erano appropriati dei suoi spazi, della sua privacy e dei suoi allenamenti ma gli toccava pure essere comandato a bacchetta. Come osavano? Quello era il suo mondo.
    Tutto ciò era assolutamente inaccettabile.
    Il ragazzino digrignò i denti, strinse i pugni e uscì dalla stanza. Si sentiva soffocare. Iniziò ad attraversare i corridoi di corsa, per arrivare il prima possibile all’esterno.
    Visto che non c’è due senza tre, dopo l’ennesimo bivio cozzò con forza contro qualcuno e cadde a terra

    OUCH!

    OUCH!

    Shōta??

    Jona!!

    Era davvero lui, il coetaneo dai capelli verdi contro cui aveva cozzato il primo giorno. Almeno c’era un volto amico in tutto quel trambusto

    Ma anche tu sei “nel giro”?

    Si, sono venuto con mio zio. Ma allora siete tu e Shingo i figli del Megalito!

    Era già la seconda volta che udiva quel termine

    Scusa, ma che significa?

    Jona assunse un’espressione imbarazzata e si grattò la testa

    …ehm… non ne ho idea… ho solo sentito che vi chiamavano così

    Non era destino che si potesse risolvere l’enigma in quel momento. Comunque Jona sarebbe stata la persona adatta per sfogarsi un po’

    Vorrei dirti “andiamo ad allenarci insieme” ma niente allenamento per me… mi hanno mandato a prendere l’acqua…

    Ti è andata bene. A me hanno chiesto di tagliare un po’ di legna… forse qualcuno ha in previsione un falò

    Mal comune mezzo gaudio? Certo era che l’incontro con l’amico risollevò il morale all’Akimichi

    Allora stiamo andando nella stessa direzione, no?

    Jona annuì ed entrambi si avviarono verso la porta d’ingresso.
    Appena furono all’esterno, il frescolino del mattino li pungolò delicatamente facendoli rabbrividire.
    Anche fuori c’era un gruppetto di persone. Quando videro Shōta, si girarono e iniziarono a confabulare tra loro. Si udì distintamente la parola “Megalito”

    Adesso mi sto scocciando… disse il ragazzino mentre iniziava a dirigersi verso di loro per chiedere spiegazioni.
    Non aveva nemmeno fatto un metro che un forte rimbombo di passi lo fece sussultare. Che stesse per arrivare un gigante?
    Più o meno, si. L’Akimichi si voltò e si trovò di fronte un omone.
    Tutti i presenti rimasero impietriti, tranne Jona, che sembrò anzi contento

    Zio! Dove ti eri cacciato?



    Era enorme

    Sono andato a recuperare un paio di cose… disse mostrando un sacchetto

    Poi si girò verso l’Akimichi, che era rimasto con gli occhi sbarrati e la bocca semiaperta. In effetti la mole di quell’uomo era impressionante ma l’espressione paciosa e bonaria finiva anche per tranquillizzarti

    tu devi essere Shōta, giusto? Come sei cresciuto!

    Si conoscevano? No, impossibile. Non avrebbe certo dimenticato un tipo del genere

    …ma…

    …no, eri troppo piccolo. Non ti puoi ricordare di me

    Ovviamente

    bene! Io entro e consiglierei anche a voi di fare lo stesso, appena vi liberate

    Detto ciò, si girò e si avviò verso la porta… già, la porta. Era decisamente troppo grosso per passarci, o no?
    Il gruppetto lì accanto ricominciò a confabulare: qualcuno chiese sottovoce “entra?” e qualcun altro rispose “non penso proprio”.
    Invece, giunto sull’uscio, “Lo Zio” (come da quel momento iniziarono a chiamarlo tutti) si mise di profilo, poi iniziò ad infilarsi nella porta come se fosse di gomma e con un “plop” sbucò dall’altra parte. Assurdo.
    Jona era l’unico su cui non facesse effetto

    Non me l’aveva detto che ti conosceva. Quante cose abbiamo in comune?

    Shōta, al quale tutte quelle novità stavano facendo girare la testa, pensò che sarebbe stato meglio prendere l’acqua e tornare dentro. Almeno si sarebbe distratto facendo qualche esercizio.

    […]

    Una volta che furono tornati nel Dohyo ed ebbero indossato il Mawashi (che, a quanto sembrava, indossavano solo gli uomini), i ragazzi furono risucchiati nel vortice della routine di allenamento, sotto gli occhi del padre che ogni tanto dava indicazioni e ogni tanto parlava con Lo Zio.
    Dopotutto, essere circondati da tutte quelle persone non era affatto male. Anzi, si rivelò estremamente proficuo, in quanto quelli più esperti elargivano spesso consigli e anche chi era più avaro di suggerimenti finiva per essere d’esempio grazie al modo in cui si allenava.
    Osservando meglio Shingo e Kazuo, i ragazzi notarono che erano in grado di arrivare quasi a 180 gradi con uno Shiko. Nel tentativo di replicare la cosa, ricevettero entrambi un consiglio dall’Akimichi più grande

    no, il punto non è quanto riesci ad alzare la gamba ma il modo in cui lo fai. Se calci verso l’esterno o se avvicini prima i piedi tra di loro e poi sollevi la gamba, non eserciterai il muscolo grande gluteo e non otterrai i benefici che questo esercizio dovrebbe darti. Devi prima spostare il baricentro dal lato opposto, scaricando il peso sulla gamba che farà da perno e solo dopo sollevare lentamente ad arco l’altra gamba

    Questo cambiò tutto. Dopo aver eseguito 10 Shiko in quel modo, Shōta si sentiva stanco come se ne avesse eseguiti 30 alla vecchia maniera e i muscoli indolenziti erano diversi. Si sentiva anche più “stirato”.

    Quando passò al palo, fu Yuzuki a dargli dei consigli sul Teppo

    Aspetta. Credo che tu abbia frainteso il senso di questo esercizio: anche se puoi avere questa impressione, non si tratta affatto di dare dei colpi al palo. Devi avanzare anche con la gamba mentre spingi con il palmo della mano, scaricando tutto il peso del corpo sul palo. Quello che conta non è l’impatto ma la spinta

    Ecco perché il giorno prima aveva avuto l'impressione che fosse troppo semplice e che non gli fosse servito a granché. Appena cominciò ad applicare i consigli della ragazza, tutto prese un aspetto diverso e il bruciore che avvertì nel tricipite brachiale sembrava un segnale inequivocabile.
    La compagnia di Jona aiutò ad alleggerire anche la fatica perché i due si dedicarono meticolosamente ad ogni esercizio, dandosi man forte anche per il Matawari.
    Quando ebbero terminato l'ultima serie, si disposero uno di fronte all'altro per allenarsi nella spinta e nella controspinta. Senonché, non ebbero modo di iniziare perché la loro attenzione venne distratta da Shingo e Kazuo, attorno ai quali si era creato un capannello di persone anch'esse distratte dall'allenamento.
    I due sembravano essere entrati in un vero e proprio flow competitivo, una gara a chi riusciva ad eseguire più Shiko prima di stramazzare al suolo. C'era chi diceva che fossero arrivati a 220, chi a 250 e c'era persino chi li dava a 270. Ormai le voci si rincorrevano come se si trovassero in una sala scommesse.
    Anche a costo di diventare paonazzi, i due ragazzi non accennavano a smettere e aumentavano il ritmo, sempre di più, sempre di più...
    Improvvisamente, una botta fortissima fece sussultare la stanza, paralizzando la folla, congelando i due sfidanti e zittendo qualunque rumore. Era lo Shiko del padre.
    Shōta e Jona trasalirono. Non volava più una mosca. Solo Lo Zio conservò la propria espressione paciosa.
    L'uomo si avvicinò al figlio e al suo rivale, mentre la folla si apriva per fargli strada

    Cos'è questo pollaio? Ricomponetevi. Shingo, mi meraviglio di te... l'entusiasmo è una bella cosa e aiuta a sopportare la fatica dell'allenamento ma qui si esagera. Per stavolta ci passerò sopra ma, alla prossima, fate i bagagli. Chiaro?

    I due chinarono il capo e annuirono silenziosamente, dopodiché ognuno tornò ai propri esercizi.
    Tutti tranne Shōta e Jona, che il padre trattenne ancora un po'

    Aspettate voi due

    Shōta si rese conto di che ora si era fatta e cercò di anticiparlo

    Si, dobbiamo andare a preparare il pranzo!

    Si, certo. Ma, prima di quello, volevo dirvi una cosa. Ho notato la vostra curva di progressione, soprattutto nel Teppo, e voglio insegnarvi una tecnica basilare

    Gli avrebbe insegnato personalmente una tecnica? Shōta non stava nei panni

    Quale??

    Senza sprecare ulteriori parole, il padre si abbassò leggermente. Poi, con un movimento molto rapido del braccio, si spostò in avanti colpendolo con il palmo della mano sul petto e contemporaneamente spingendo con parte del proprio peso.
    Il figlio, nonostante fosse migliorato parecchio nella propria capacità di mantenere l'equilibrio, venne preso alla sprovvista e vacillò all'indietro

    Quello era un Harite. Un colpo di mano il cui scopo non consiste nel danneggiare l'avversario ma nel fargli perdere l'equilibrio. Il principio è più o meno quello del Teppo ma ovviamente non ho sfruttato né tutta la mia forza né tutto il mio peso. Adesso provate un po' di volte tra di voi, poi potrete andare a cucinare

    L'idea di apprendere qualcosa di nuovo stuzzicò i ragazzini e diede loro le energie per continuare ad allenarsi.

    [...]

    Finito con l'Harite, Shōta e Jona si avviarono verso la cucina. Erano un po' dispiaciuti di dover lasciare ma ormai avevano assimilato bene la regola fondamentale e cioè che "le regole sono regole".
    Jona prese il sacchetto dello Zio e lo poggiò su un bancone: conteneva delle verdure fresche di giornata. All'interno di un cesto, Shōta intravide lo zenzero. Forse qualcuno lo aveva comprato oppure Kazuo non era poi tanto egoista e lo aveva portato con sé. In ogni caso, ben venga.
    Appena i ragazzini si misero all'opera, fu subito evidente che l'Akimichi se la cavava benino ma Jona sembrava proprio un cuoco nato: pelava, affettava, sminuzzava, tritava, bolliva, saltava in padella, spremeva, condiva, impanava e chi più ne ha più ne metta, come se non ci fosse un domani. Sembrava che ci fossero tre persone messe insieme a lavorare. Shōta era sbalordito

    Dove hai imparato a cucinare così? Lavori in un locale?

    ahahah no, magari... quello sarebbe il mio sogno! Per il momento mi accontento di cucinare per Lo Zio, che è davvero un buon gustaio oltre che un gran mangione

    Così, tra una pentola e un mestolo, venne fuori un banchetto coi fiocchi.
    Quando portarono le vivande nella sala, tutti i lottatori stanchi e affamati furono rivitalizzati già solo dall’aroma.
    I ragazzini servirono prima il padre e Lo Zio, poi i ragazzi più grandi, poi i più piccoli e infine se stessi. E avrebbero corso il serio rischio di ritrovarsi a rosicchiare torsoli e rimanenze di verdure bollite, se Jona non si fosse preventivamente preoccupato di moltiplicare le dosi di una volta e mezzo.
    La tavolata si rivelò più allegra del previsto, con ciotole e bacchette che venivano passate di posto in posto. Alla fin fine, anche il padre riteneva giusto fare strappi alla regola in certe situazioni ma il bello era che quell’atmosfera goliardica sembrava contagiare tutti indistintamente. Quando Shōta annunciò che era pieno, Shingo gli passò altre due ciotole di riso

    Non basta. Devi ingrassare

    Passo. Non riesco a starvi dietro rispose il fratello, scambiandosi un cenno di intesa con Jona, che pure aveva raggiunto il limite.
    I ragazzini provarono ad alzarsi ma Kazuo li rimise a sedere di forza, spingendo con le mani sulle loro spalle

    Shingo, sei troppo buono. CI penso io a farli mangiare questi qua disse ridendo, mentre strofinava le nocche tra i capelli di Shōta, il quale non si aspettava di poter aver questo tipo di rapporto con lui.

    Così si rimpinzarono finché a tavola non rimase più niente. A quel punto, Lo Zio commentò

    Buono l’antipasto. Qual è la portata principale?

    E tutti scoppiarono a ridere.

    […]

    Dopo aver lavato montagne di pentole, i ragazzi si ritirarono sul retro per fare spazio all’abbiocco post prandiale. La camerata nella quale era solito dormire l'Akimichi svelò il segreto delle proprie dimensioni spropositate: avrebbero dormito tutti insieme (ma solo i maschi).
    “Dormito” per modo di dire perché Shōta, con tutte le cose che gli frullavano nella testa, non riusciva a chiudere occhio. Decise di correre il rischio e si girò verso Jona

    pssst, Jona. Sei sveglio?

    Si, non riesco a dormire

    La risposta lo rincuorò. Nel silenzio di quel singolare dormitorio, rotto solo dal russare di alcuni, i due si persero a guardare i granelli di polvere fluttuanti illuminati dai raggi del sole. In sottofondo, una leggera brezza muoveva le fronde degli alberi e i rami che ospitavano gruppetti di uccelli cinguettanti

    Che pace… vorrei che non finisse mai…

    …già…

    …all’inizio non ero tanto convinto ma adesso credo proprio che questa sia la mia giornata ideale. Vorrei che tutti i giorni fossero così

    …infatti… manca solo una cosa per renderla perfetta…

    Cosa?

    un dessert

    L’Akimichi trattenne l’acquolina

    e perché non l’hai preparato?

    …non so preparare i dolci, sono il mio punto debole…

    Si guardarono in faccia e soffocarono a stento una risata

    Magari nel villaggio possiamo trovare qualcosa

    …ottima idea! Allora, alla prima occasione buona, ci facciamo una scappata!

    Si!
    Si!

    Si batterono il cinque.
    Da un angolo remoto della camera arrivò in volo una pantofola, accompagnata dalla frase “Silenzio! Vogliamo dormire!”

    I due si rannicchiarono ridacchiando.
    Dopo qualche minuto dormivano.


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    Tra un allenamento e una mangiata, i giorni trascorsero rapidamente. I ragazzi migliorarono a vista d’occhio e ingrassarono notevolmente (Shōta prese circa 3 Kg).
    Dopo il sonnellino pomeridiano, avevano dei momenti di libertà nei quali ognuno faceva un po’ quello che preferiva: c’erano quelli che giocavano a Shogi, quelli che facevano una passeggiata nei dintorni della palestra, quelli che si curavano il Chonmage a vicenda e quelli che si rilassavano in una delle vasche presenti nei grandi bagni. A volte facevano il bagno a gruppi, altre volte da soli.
    Giunti al termine della settimana, nell’ultimo giorno prima della partenza la temperatura fu più alta della media, così qualcuno riuscì a strappare al padre l’autorizzazione ad usare il laghetto al posto delle vasche.
    A metà pomeriggio, sulle rive di quel piccolo bacino idrico naturale si era raccolto un nutrito gruppetto, comprendente anche Shingo e Kazuo. Oramai quei due sembravano vecchi amici.
    Shōta e Jona non erano tra di loro. Stavano gironzolando per la palestra in preda a sentimenti altalenanti: da un lato l’emozione frizzantina dovuta a quel pomeriggio di maggiore libertà; dall’altro la malinconia dovuta al fatto che quella bella esperienza stava per giungere al termine.
    Per cercare di distrarsi, stavano esplorando le zone dell’edificio all’interno delle quali non avevano ancora messo piede fino a quel momento. In effetti erano solo due: una porta posta al termine di una rampa di scale che conduceva sotto il livello del pavimento e una botola posizionata sul soffitto nella parte finale di un corridoio. In realtà le scelte si erano ridotte da due a una perché la porta era chiusa a chiave e il padre aveva smorzato il loro entusiasmo rivelando che si trattava di una banale cantina, peraltro neanche mai utilizzata perché le dimensioni della dispensa erano già più che generose.
    Rimaneva dunque la botola, per raggiungere la quale i due stavano trasportando una scala in alluminio.
    Girato un angolo, si ritrovarono davanti un tipo che aveva davvero un pessimo aspetto. Shōta si preoccupò

    Ehi, ma che succede?

    Con due occhiaie profondissime e un’aura di malessere che gli aleggiava intorno al volto, il tipo rispose con un filo di voce

    Ma quanto cavolo si mangia qui… penso di aver fatto indigestione…

    Non gli si poteva dare tutti i torti. D’altra parte, anche per loro non fu facile all’inizio. Poi però si erano abituati, quindi Jona si chiedeva come mai non fosse accaduto lo stesso a lui

    Sono passati diversi giorni ormai…

    perché… vorreste farmi credere che voi vi sentite bene?

    Con perfetta sincronia, Jona iniziò la risposta e Shōta la completò

    In realtà si. Anzi, a dire il vero…
    …stavamo pensando che un dolcetto ci starebbe bene

    Il tipo si mise una mano sulla bocca come se stesse per vomitare, poi corse via a gran velocità.
    I ragazzini si guardarono e fecero spallucce, poi ripresero a camminare.
    Giunti sotto la botola, posizionarono la scala e salirono. Come si poteva facilmente immaginare, conduceva direttamente sul tetto dell’edificio (in verità Shōta aveva sperato fino all’ultimo che ci fosse una soffitta nascosta con chissà quale segreto segretissimo).
    L’edificio non era molto alto, quindi non si poteva godere di alcun panorama. Dopo pochi minuti, la scoperta era già diventata noiosa

    …e questo è tutto. Che si fa?

    Shōta rifletté qualche secondo

    E se facessimo una follia?

    Jona lo capì al volo

    …la scappata, dici?

    esatto… Dango? chiese l’Akimichi, che in quel momento aveva voglia di Mitarashi

    …e Dango sia! rispose il ragazzino dai capelli verdi, con l’acquolina in bocca. Poi guardò verso la botola

    …però mi rompo a fare il percorso al contrario… non è che possiamo scendere direttamente da un lato?

    Cominciarono così a percorrere il tetto in lungo e in largo, per vedere se ci fosse una zona di atterraggio morbido. L’unica cosa che trovarono fu il laghetto con i loro compagni spaparanzati al sole.
    I due si guardarono, poi si fecero un cenno di intesa

    …al tuo 3…
    …3!!!

    Con un salto, si lanciarono di peso al centro del laghetto.
    Diedero una panciata paurosa. Onde d’acqua alte un metro si rovesciarono addosso ai malcapitati mentre spruzzi e schiuma oscuravano la visuale.
    Prima che qualcuno avesse il tempo di realizzare cosa stesse succedendo, i ragazzini cominciarono a correre come dei pazzi verso il villaggio. Da lontano sentirono le voci di Shingo e Kazuo che lanciavano minacce a caso

    Dannati marmocchi!! Quando vi prendo…!!
    Tanto prima o poi dovete tornare!!!

    Con il vento tra i capelli e le gocce d’acqua che sbrilluccicavano attraversate dai raggi del sole, i due correvano e saltavano ridendo con spensieratezza. Volevano godersi ogni minuto rimasto, senza perdersi nulla.

    […]

    Giunti in paese, erano ormai asciutti. A furia di gironzolare, trovarono un’anziana signora con un carretto che vendeva proprio Dango. Poiché ne acquistarono una quantità superiore alla media, in omaggio ricevettero anche due biscotti della fortuna.
    Andarono a sedersi sul bordo di una fontana e iniziarono a gustare i Dango in tutta tranquillità

    …ahhh… ci voleva proprio

    …puoi dirlo forte…

    Shōta inspirò un sacco di aria, poi urlò

    CI VOLEVA PROPRIO!!!

    Tutti i passanti si girarono a guardare, qualcuno si affacciò alla finestra e i due si misero a ridere.
    Terminato il dolce, tirarono fuori i biscotti della fortuna. Erano più interessati al biscotto in sé che al biglietto ma un po’ di curiosità l’avevano. Jona aprì per primo il suo

    …che dice?

    dice “nel tuo futuro ci saranno fuoco e fiamme”

    …mamma mia… meno male che sono tutte scemenze disse l’Akimichi, vedendo che il suo amico aveva un po’ perso il buon umore

    e nel tuo cosa c’è scritto?

    Shōta ruppe l’involucro e aprì il biglietto

    dice “guarda il bicchiere mezzo pieno. Non tutti i raffreddori vengono per nuocere” … ma che significa? Non ha senso… Te l’ho detto che sono tutte scemenze

    I due fecero nuovamente spallucce, poi accartocciarono i biglietti e li gettarono via.
    Siccome il sole stava tramontando, si rimisero in cammino per tornare alla palestra.

    Lungo la strada, l’Akimichi ebbe più volte l’impressione che qualcuno li stesse seguendo ma, ogni volta che si girava, non vedeva nessuno.
    Pensò di esserselo immaginato.

    […]

    Arrivarono alla palestra che oramai era quasi buio. Davanti all’ingresso trovarono Shingo con le braccia incrociate e un’aria tutt’altro che pacifica

    Siete tornati…

    Immediatamente i due si gettarono in ginocchio e iniziarono a chinare il capo più volte, anche toccando a terra con la fronte

    scusascusascusa! Ci dispiace, non lo facciamo più!

    Si, si! Giuriamo! Accetteremo qualunque punizione ci aspetti!

    Il ragazzo chiuse gli occhi e si mise una mano sulla fronte sbuffando

    …ma che punizione e punizione… vi stavamo aspettando… mancate solo voi…

    I due si guardarono come ebeti

    …eh?
    …manchiamo solo noi… per cosa?

    per il torneo finale, che domande…

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    La mandibola di Jona arrivò a toccare terra e a momenti Shōta quasi soffocava con la sua stessa saliva

    Torneo?? Non si era mai parlato di un torneo!

    Beh, adesso te ne sto parlando replicò il fratello, come se fosse cosa da nulla

    Sbrighiamoci ad entrare, vi spiegherò tutto strada facendo

    I ragazzini lo seguirono dentro casa (a questo punto si poteva anche chiamare così). Mentre si toglievano le scarpe, Shingo cominciò ad accennare qualcosa

    Il torneo finale fa parte di questa nostra piccola tradizione. Non fatevi spaventare dal nome, non è una vera e propria competizione. Non si vince e non si perde nulla

    E allora che senso ha? chiese Jona mentre lottava con un fastidiosissimo micro-nodo che si era creato a causa della fretta con cui aveva tirato il laccio

    Serve per testare se stessi e comprendersi meglio. Forza con quelle scarpe, veloci! E non mettete le pantofole, non vi serviranno. A proposito… si può sapere cosa avete fatto tutto il pomeriggio?

    Avevamo voglia di qualcosa di dolce

    Appena furono a piedi scalzi, iniziarono ad attraversare velocemente i corridoi.
    Shingo proseguì

    Comunque è un torneo a sorteggio ad eliminazione diretta. Ognuno di noi affronterà un solo avversario, senza possibilità di replica, quindi mettetecela tutta senza risparmiarvi

    Non era mica una bella notizia. Qualche scontro iniziale sarebbe stato utile come riscaldamento. Inoltre c’era anche un’incongruenza

    Se vinci un incontro e poi non ne affronti altri, ci saranno un sacco di vincitori. Come si fa a decidere chi è il vincitore finale?

    Te l’ho già detto: non c’è un vincitore. Ogni performance verrà valutata in sé e per sé. Ognuno di noi riceverà un giudizio sulla base di quel singolo incontro… e di come si è comportato durante tutta la settimana

    Continuava a non essere del tutto chiaro.
    Dopo un po’ iniziarono a scendere le scale che conducevano alla porta chiusa. Shōta pensò che il fratello si stesse burlando di loro e ritenne di averlo sgamato in maniera clamorosa

    Ha-ah! “Torneo”, eh? Chi pensi di prendere in giro? Lì c’è la cantina

    Il fratello si girò e lo guardò con un sopracciglio alzato

    Cantina? Non c’è nessuna fot**ta cantina. Quello è l’ingresso della sala combattimenti

    cos…

    Era stato il padre a prenderlo per il naso, per farlo desistere dal proposito di scendere. Nella testa di Shōta comparve l’immagine del genitore che sorrideva facendo l’occhiolino

    …maledetto…

    Maledetto chi? Ma che ca**o di dolci hai mangiato? Cosa contenevano?

    Intanto erano arrivati in fondo. Shingo aprì la porta.
    Un forte bagliore accecò i ragazzini per qualche istante. Subito dopo, davanti ai loro occhi si mostrò uno scenario inaspettato: una stanza che eguagliava in superficie l’intero edificio soprastante e sulle cui pareti si aprivano delle finestre rotonde, al momento chiuse da alcuni battenti di legno. Ecco cos’erano quei dischi incastonati nel terrapieno che aveva notato il giorno dell’arrivo. Certo a quell’ora le finestre non sarebbero state di alcuna utilità. Probabilmente in altre occasioni il torneo si era tenuto di giorno.
    Comunque la stanza era stata abbondantemente illuminata dall’interno e, così, tutto ciò che conteneva appariva chiaramente: un Dohyo collocato a circa mezzo metro da terra, al centro di una più ampia zona quadrata attorno alla quale c’erano cinque file di spalti ad altezza progressiva. Tra il ring e la prima fila c’erano alcuni lottatori che si stavano scaldando e dei tizi mai visti prima. E proprio al centro c’era… il proprietario dell’emporio.
    Gli occhi di Shōta schizzarono fuori dalle orbite vedendo l’uomo in quella situazione, per di più con un Gunbai in mano e con indosso un abbigliamento quantomeno singolare



    Subito si girò verso Jona

    Non te l’ho detto ma, mentre stavamo tornando, avevo la sensazione che qualcuno ci seguisse. Ecco chi era!

    L’amico non sembrava del tutto convinto

    Ma è impossibile. Se era dietro di noi, come ha fatto ad arrivare prima?

    Forse è uno Shinobi, non lo so… di sicuro non “un vecchietto tranquillo”… disse girandosi verso il fratello, che così lo aveva descritto il primo giorno. Ma Shingo non gli prestò attenzione… era troppo occupato a scambiarsi sguardi di sfida con il suo nuovo amico-rivale Kazuo, che in quel momento stava passando di lì con il proprio gruppo per andare a prendere posto

    Allora ci siamo… disse l’Akimichi più grande

    …già… magari verranno estratti proprio i nostri nomi… replicò il tipo

    Lo spero… rincarò la dose Shingo

    …comunque a me va bene chiunque… l’unica con cui preferirei non combattere è lei… concluse Kazuo guardando Yuzuki con aria corrucciata. Poi si allontanò.
    Intanto i ragazzi si stavano spogliando per indossare il Mawashi. Notarono che le poche lottatrici di sesso femminile non erano nude, bensì erano vestite con tute da ginnastica o simili e, al di sopra di questi, indossavano ugualmente il Mawashi.

    Nel mentre, a fianco del droghiere (che si capì essere l’arbitro) si posizionò il padre, che eseguì lo stesso rituale già visto la prima volta. Quindi salutò e ringraziò i presenti in maniera molto informale e aggiunse

    Ricordo a tutti solo le regole fondamentali: si resta in gioco finché si è all’interno del cerchio. Solo le piante dei piedi possono toccare terra. Se qualunque altra parte del corpo tocca terra avete perso.

    Sembrava coerente con quanto avevano appreso in allenamento.
    Terminato di parlare, il padre andò a sedersi sugli spalti. Affianco a lui c’era Lo Zio, il quale invitò i ragazzi a raggiungerlo picchiettando sulla panca, per far intendere che c’erano dei posti liberi.
    Mentre lo raggiungevano, iniziò il sorteggio. L’arbitro estrasse due nomi a caso e i contendenti furono invitati ad entrare nel Dohyo.
    L’atmosfera iniziò a caricarsi, proprio come se una corrente elettromagnetica stesse attraversando l’aria.

    OST


    Respirando profondamente per cacciare la tensione, i due si posizionarono al centro del cerchio, uno di fronte all’altro. Piegarono le ginocchia e abbassarono il baricentro, poi avvicinarono le nocche al suolo. Nel momento in cui le mani di entrambi ebbero toccato terra, l’arbitro diede il segnale e i due si caricarono frontalmente in maniera così spericolata che finirono per darsi una brutale testata. Appena ripresisi dall’urto, si colpirono più volte con degli Harite. Quindi iniziarono a cercare di afferrarsi e, contemporaneamente, di sfuggire alla presa altrui.
    L’arbitro saltellava intorno a loro come un grillo per evitare di beccarsi una mazzata sui denti. Era davvero abile nello scivolare tra quei corpi massicci che scattavano da un punto all’altro del cerchio con foga bestiale.
    A un bel momento, uno dei due tentò una spinta avventata e il suo avversario approfittò dell’inerzia per spostarsi leggermente di lato, afferrargli il polso, posizionare l’altro braccio sotto l’ascella e tirare verso l’alto, sbilanciandolo e facendolo cadere fuori dal Dohyo

    Un Amiuchi davvero ben eseguito commentò il padre



    vince il reparto frutta! disse l’arbitro indicando la zona est della stanza, dove erano seduti anche gli Akimichi. Forse per un suo vezzo, aveva stabilito che quello sarebbe stato il “reparto frutta”, mentre quello opposto (dove erano seduti Kazuo e il suo gruppo) sarebbe stato il “reparto verdura”. Era un tipo strano.
    L’esito del primo scontro esaltò sia gli spettatori che i lottatori in attesa del proprio turno e fece entrare tutti nel giusto mood: quello era l’evento conclusivo, la ciliegina sulla torta, il climax di una settimana speciale che stava per giungere al termine e lo avrebbe fatto di sicuro con il botto.
    Al primo, seguirono molti altri incontri, uno più intenso e combattuto dell’altro. C’era chi vinceva in maniera più sofisticata, riuscendo ad ingannare l’avversario facendogli perdere l’equilibrio all’ultimo istante sull’orlo del bordo di paglia,oppure effettuando una presa talmente efficace da vanificare un iniziale svantaggio di forza o di peso tramite le leve. E c'era chi vinceva semplicemente in maniera "ignorante" con un railroad, magari bloccando le braccia del malcapitato e spingendolo di prepotenza fuori dal Dohyo.
    Quei corpi sudati, grossi ma al contempo agili e muscolosi, si scambiavano colpi che rimbombavano pesantemente andando di pari passo con le incitazioni del pubblico. I piedi scivolavano rapidamente sul terreno argilloso, talvolta scattando per evitare un attacco, talvolta inchiodandosi con forza al suolo per resistere a una spinta.
    All’ennesimo scontro, un tipo che stava quasi per perdere riuscì a ribaltare totalmente una presa e fece volare via il suo avversario con un capitombolo. La folla divenne incontenibile. Anche Shōta e Jona non si tenevano più: erano balzati in piedi e si spingevano in mezzo agli spalti, saltando da una parte all’altra.
    Prima che il padre potesse alterarsi, fu lo Zio a richiamare la loro attenzione. E lo fece con la solita aria paciosa

    Ehi ehi, ragazzi. Mi dispiace interrompervi ma devo dirvi che sarebbe meglio se rimaneste concentrati

    Non aveva nemmeno finito di dirlo che, alla successiva estrazione, uscirono il nome di Jona e di un tizio grande e grosso con il quale non avevano confidenza, poiché non ci avevano scambiato poi molte parole in quei giorni.
    Subito il ragazzino si irrigidì e Shōta cercò di incoraggiarlo

    Non ti preoccupare! Ci siamo allenati un sacco insieme, puoi farcela!

    A parole sembrava facile, ma loro erano i più piccoli là in mezzo e quello scontro era decisamente impari, l’avrebbe capito chiunque: il tizio era più grande, più forte e più pesante.
    Mentre prendeva posizione nel Dohyo, Jona sembrava terrorizzato. Aveva perso tutta la carica di prima.
    I due posarono i pugni a terra e, al via, scattarono. Immediatamente il ragazzone bloccò Jona afferrandolo per il Mawashi. Il ragazzino cercò di fare altrettanto e ci riuscì… ma la cosa non ebbe alcuna utilità: il suo avversario lo sollevò di peso da terra, si avvicinò al bordo del ring e lo depositò fuori con un “op-la-là”.

    vince il reparto verdura!

    Era finita. Così, in quel modo inglorioso. Il torneo, per Jona, era già terminato.
    Shōta si alzò e attraversò di corsa la stanza per raggiungerlo. Mentre correva, vide l’avversario che batteva il cinque con altri combattenti e sentì montare dentro un tipo di rabbia piuttosto sgradevole.
    Quando lo raggiunse, il ragazzino era ancora seduto per terra, girato dall’altra parte e con la testa abbassata

    Jona!

    Appena udì la voce dell’Akimichi, lui sobbalzò. Poi si strofinò rapidamente il polso davanti agli occhi e si girò sforzandosi di sorridere

    eheh… hai visto come sono stato veloce? Velocissimo… non ho fatto perdere tempo a nessuno…

    Shōta stava per dire qualcosa ma venne raggiunto da Shingo, che lo fermò. Sicuramente l'Akimichi più grande era convinto che, se lo avesse consolato, il ragazzino si sarebbe sentito peggio ma aveva anche un’altra ragione molto valida per distoglierlo da quella pietosa situazione.
    Infatti, appena il fratello si girò per chiedergli spiegazioni su quell’interruzione, lui indicò verso il Dohyo.

    L’arbitro teneva in mano due biglietti.

    Su uno c’era scritto “Shōta”, sull’altro “Yuzuki”


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    SvY



    Leggendo i nomi scritti sui biglietti, Shōta sentì un brivido corrergli lungo la schiena.
    Quale crudele scherzo del destino aveva fatto sì che la sua avversaria fosse proprio Yuzuki, una in grado di fermare un pugno di Shingo con disinvoltura, una che persino Kazuo non riusciva a prendere alla leggera? Perché la sorte gli era tanto avversa? Lo scontro sarebbe durato anche meno del precedente...
    Una pacca sulla spalla da parte del fratello e un pollice in su da parte di Jona lo aiutarono a ingollare l'amaro boccone e ad avvicinarsi al Dohyo, dove l'avversaria lo stava già attendendo da un po'.
    Mentre saliva, l'Akimichi vide che la ragazza gli rivolgeva un luminoso sorriso, incoraggiandolo con vistosi movimenti della mano a farsi avanti, cosa che lui fece con passo incerto.
    Appena le fu di fronte, il ragazzino cominciò a tranquillizzarsi perché capì che era proprio sua intenzione cercare di metterlo a proprio agio e stemperare il più possibile la tensione. Era davvero una brava ragazza

    Shōta! Come va? Ti sta piacendo il torneo?

    ...eh? Io... uhm... si rispose lui ancora un po' dubbioso. Poi si posizionò al centro del Dohyo e cominciò ad abbassarsi.
    Lei lo fermò

    Tranquillo, non c'è fretta. Tanto decidiamo noi quando deve iniziare lo scontro. Abbiamo qualche minuto per prepararci prima che l'arbitro ci chieda di procedere

    E questo era vero. Difatti, lo scontro non sarebbe cominciato sin quando entrambi non avessero posato i pugni a terra. Il segnale dell'arbitro serviva solo a confermare che non vi fosse stata una falsa partenza.
    L'Akimichi si rialzò ma rimase lì fermo senza far nulla. Poi, però, vide che Yuzuki faceva un po' di stretching e qualche Shiko e pensò bene di imitarla.
    Dopo un paio di minuti, presero entrambi posizione al centro del cerchio e si diedero reciprocamente atto di essere pronti.
    Shōta si sentiva decisamente più rilassato. Dopotutto la realtà era meno nera di come la dipingesse nelle sue fantasie. La ragazza gli fece l'occhiolino

    Buon incontro!

    Grazie! Buon incontro anche a te! rispose contento

    I due avvicinarono le mani a terra, toccarono il suolo argilloso con le nocche e partirono alla carica. L'arbitro confermò che tutto era regolare.
    Shōta era partito appena un po' più basso di Yuzuki, per cui evitò di un pelo la testata avversaria e impattò con la fronte all’altezza delle clavicole di lei. Questo gli offrì, molto prima di quanto potesse sperare, l'occasione di afferrarne il Mawashi. Purtroppo per lui, la ragazza ne era perfettamente consapevole e immediatamente gli annullò la presa deviandogli entrambi gli avambracci verso l'esterno. Piazzando un piede in posizione più avanzata per mantenere l'equilibrio, il ragazzino provò quindi ad afferrarle la gamba sinistra con l'intenzione di sollevarla e ribaltarla, ma anche questo tentativo fallì perché Yuzuki fece arretrare l'arto girando il busto in senso antiorario. A quel punto, approfittando del fatto che l'Akimichi si era abbassato tanto, gli mise la mano destra sulla nuca e spinse con forza. Ciò lo avrebbe costretto ad appoggiare le mani a terra per non cadere e avrebbe decretato la fine dello scontro. Il ragazzino provò a resistere con la sola forza delle gambe ma gli fu chiaro che la differenza in massa muscolare era troppa. Quindi, con una lucidità che sorprese lui per primo, afferrò il Mawashi dal lato destro, sotto il braccio della ragazza che era occupato a spingere. Lei provò a bloccarlo con il braccio sinistro ma non riuscì a raggiungerlo in tempo. Così Shōta si guadagnò una presa interna che avrebbe funto da "appiglio": se Yuzuki avesse continuato a spingere, lui si sarebbe “appeso” al Mawashi trascinandosela dietro. Si creò un piccolo stallo. Quindi l’Akimichi provò a dare due strattoni e notò che questo sembrava preoccupare Yuzuki, la quale rinunciò al tentativo di spinta verso il basso e ritirò il braccio destro. Immaginando che fosse sua intenzione usare entrambe le braccia per fargli perdere la presa, il ragazzino liberò a sua volta il braccio destro e tentò di darle una manata sotto il mento. Ma lei fu più veloce e glielo impedì deviando il colpo, dopodiché arretrò e questo diede anche a Shōta la possibilità di rifiatare un secondo e recuperare una posizione più stabile.
    Era strano che Yuzuki non tentasse mai di afferrarlo e cercasse, anzi, di tenerlo a distanza. Probabilmente il suo stile di combattimento era diverso da quello della maggior parte di loro, oppure temeva che la differenza di peso avrebbe potuto comportare dei rischi, qualora il suo avversario fosse riuscito ad ottenere una presa abbastanza solida.
    Con questa convinzione in mente, l’Akimichi ripartì all’attacco fintando una doppia manata al volto ma, all’ultimo istante, abbassò repentinamente le braccia per cercare una doppia presa interna. Il tentativo ebbe successo perché la ragazza, distratta dal primo attacco, alzò le braccia per deviare il colpo e scoprì i fianchi. Vistosamente preoccupata dalla situazione, decise di compiere un’azione alquanto precipitosa, approfittando della maggiore lunghezza delle proprie braccia per cingere Shōta in un “abbraccio” che le permise di ottenere una facile presa esterna. La situazione volgeva decisamente a favore del ragazzino per due motivi: 1) la sua avversaria aveva dato prova di non sentirsi a suo agio nelle prese; 2) avendo lui una doppia presa interna, il suo baricentro risultava più basso e ciò gli garantiva una maggiore stabilità. Quindi cominciò a spingere senza indugio.
    Mentre sentiva che il corpo di Yuzuki iniziava a scivolare inesorabilmente verso il bordo del Dohyo, l’Akimichi fu pervaso da una gioia incontenibile: era riuscito a vedersela alla pari con un’avversaria del genere. Quanto era migliorato in quella settimana? Sembrava tutto troppo bello per essere vero…

    …e infatti non lo era.

    Una frase di Kazuo, lanciata nel mezzo della sala affollata, mandò in frantumi all’istante tutti i suoi sogni di gloria

    Ehi, Yuzuki! Ma che ca**o stai facendo? Ho capito che ti fa tenerezza perché è solo un ragazzino ma non abbiamo mica tutta la serata…

    Mentre udiva queste parole, Shōta sentì che la sua marcia si arrestava di colpo. Alzò il capo per vedere cosa stesse succedendo e notò che Yuzuki sbuffava all’indirizzo del suo compagno

    …tsk… antipatico…

    Estremamente disorientato, il ragazzino si voltò un secondo verso gli spalti

    …eh?

    L’attimo di distrazione gli fu fatale. Si rese conto di non avere più niente tra le mani. Voltò nuovamente la testa e non vide più Yuzuki.
    Un istante dopo, una cannonata gli deformò il volto, piegandogli la testa all’indietro e facendogli vedere le stelle, mentre goccioline di sudore schizzavano via di lato.
    Mentre ancora barcollava cercando di tenersi in piedi, comprese che si era appena beccato in pieno un Harite di Yuzuki… uno serio, però.
    Al primo immediatamente nel seguirono altri, ora al petto, ora alle spalle, ora al volto, ora di nuovo al petto, in una specie di sbarramento di colpi senza fine che, istante dopo istante, lo stavano costringendo ad arretrare sino al lato opposto del Dohyo. Ogni suo tentativo di fermare le manate era assolutamente senza speranze poiché le raffiche erano troppo rapide. Anche il Mawashi era ormai fuori portata perché la ragazza si teneva a distanza grazie alla lunghezza delle sue braccia e perché non era grassa, cosa che riduceva di molto il suo girovita, allontanando l’obiettivo.
    Così si rannicchiò con la testa bassa, quasi come se non volesse guardare, beccandosi tutti i colpi sulla fronte. Mentre veniva inesorabilmente spinto verso la sconfitta, Shōta cadde in un abisso di sconforto. Come aveva potuto essere tanto ingenuo da credere che quello scontro fosse alla sua portata? L’impressione iniziale era esatta, poi il modo affabile della ragazza lo aveva illuso. Non era il caso di biasimarla perché non lo aveva fatto con cattiveria ma il risultato era che, così facendo, aveva proiettato attorno a lui un mondo illusorio che ora, infrangendosi, risultava ancora più doloroso. Lui e Jona non erano all’altezza, questa era la realtà. Avrebbe perso sotto gli occhi di Shingo e di suo padre, deludendo le loro aspettative… ammesso che ne avessero. Pensò che, considerato tutto, era ben probabile che nessuno dei due si fosse fatto illusioni, quindi non avrebbero nemmeno potuto rimanere delusi. E Jona? Beh, lui aveva già perso. Al massimo si sarebbero consolati a vicenda, che altro?
    Questi pensieri scomposti provocarono una massiccia sensazione depressiva nel ragazzino ma, subito dopo, quasi come se avessero oltrepassato la soglia, divennero neutri.
    Una cosa del genere gli era già accaduta con il dolore fisico, durante gli allenamenti, ma stavolta sembrava più simile a ciò che aveva provato quella volta che si era trovato ad affrontare lo Yak sulle montagne. Solo in versione amplificata.
    D’un tratto, fu come se ogni affanno e ragionamento fosse svanito e l’assordante chiacchiericcio che infestava la sua testa si fosse zittito, proprio come se fosse stato una radio la cui manopola era stata girata in posizione “off”.
    Tutti fenomeni che stava percependo prima continuò a percepirli ma con una grande differenza: ognuno di essi sembrava ora un atomo isolato e non più contenuto all’interno di un contesto di senso che lo collegasse agli altri. Per di più, ognuno di questi elementi sembrava aver perso qualunque significato logico e qualsiasi sfumatura emotiva: era un semplice evento del mondo, pienamente contenuto nella sua singolarità.
    I volti gli apparvero tutti inespressivi, o sarebbe più corretto dire che la sua testa non interpretava più certi gesti come espressione di stati d’animo.
    Le luci e le urla provenienti dagli spalti erano mere sensazioni visive e uditive

    CITAZIONE

    bagliore dall’alto // suono acuto da ovest - suono grave da est

    La manata che lo colpiva non era più un Harite che lo stava spingendo verso la sconfitta

    CITAZIONE

    spostamento d’aria - fruscio - schiocco secco - sensazione di dolore sulla fronte - sbilanciamento all’indietro

    Avendo troncato il collegamento con l’iperattività della fantasia, non subiva più l’interferenza degli stati d’animo. Questo gli dava maggiore lucidità e più tempo per prendere contezza delle cose. In realtà il tempo non era affatto aumentato ma poteva sfruttare anche un solo secondo in maniera molto più proficua rispetto a quanto non accadesse quando era in preda all’ansia per l’ignoto

    CITAZIONE

    <Che succede? Mi sento stranamente calmo… anzi, non sento nemmeno la calma… non sento niente>

    Era difficilmente esprimibile il “sentire di non sentire” ma nemmeno questo rivestiva importanza.
    Dopo essere stato tanto tempo con il capo chino, decise di alzare la testa per vedere se gli riuscisse di salvare il salvabile

    CITAZIONE

    sollevamento della testa - rotazione bulbi oculari - comparsa nel campo visivo di volto di essere umano di sesso femminile con occhi spalancati

    CITAZIONE

    <…Yuzuki… perché mi guardi così?>

    Forse credette di aver pronunciato quelle parole ad alta voce ma dalla sua bocca non uscì nulla.
    La verità era che all’esterno quella, che per lui era una situazione di pace estrema, apparve invece come qualcosa di piuttosto inquietante

    OST


    Quando il ragazzino rialzò la testa, apparentemente non era successo niente ma Yuzuki si trovò a tu per tu con qualcosa che le infuse un forte senso di "vuoto".
    Per questo, in preda ad un palpito, spalancò gli occhi ed emise un sospiro permeato di sincera angoscia. Quella inquietante vacuità non avrebbe saputo definirla a parole



    In tutto ciò c'era qualcosa di anomalo. Era come se fosse stata attivata una procedura non corretta. Come se uno scambio ferroviario avesse deviato un treno dal percorso che si supponeva dovesse seguire.
    Con la fronte imperlata di sudore, la ragazza interruppe a metà strada il colpo che stava sferrando.
    Nel contempo, sugli spalti, Shingo mise a fuoco la scena e si girò precipitosamente versò il padre con l’intenzione di dirgli “vedi? Questo è ciò di cui ti avevo parlato quella volta!”.
    Ma al suo fianco non trovò nessuno.
    Un istante prima, nella penombra di quei posti distanti dal centro della sala, un lampo di consapevolezza aveva attraversato gli occhi del genitore, che immantinente si era risolto ad agire il prima possibile.

    Shōta fu tratto bruscamente fuori dall’incantesimo da una poderosa stretta al braccio sinistro.
    L’imponente figura paterna si stagliava di fianco a lui nel centro del ring, per lo stupore di tutti.
    Nella sala era calato il silenzio - quello vero - e ogni cosa si era fermata. Il genitore si rivolse all’arbitro

    Basta così. Lo scontro è terminato. Shōta ha perso.

    Il figlio tornò in sé e si sentì fortemente affaticato, come se tutto il peso di cui non si era fatto carico in quel breve lasso di tempo gli fosse crollato addosso insieme.
    Il padre gli poggiò la mano sulla spalla e lo accompagnò fuori dal Dohyo

    …io…

    Non ti preoccupare... sei stato bravo

    Cosa intendeva dire? Shōta non lo avrebbe scoperto in quel momento.

    La sala aveva ricominciato ad animarsi. L’arbitro annunciò l’ultimo scontro della serata

    Shingo. Kazuo. Accomodatevi

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    Una mano dalla stretta poderosa e dall’immensa forza afferrò l’Akimichi e lo sollevò inesorabilmente, traendolo dalle profondità dell’abisso in cui era caduto…
    …o, almeno, questo fu ciò che provò Shōta in quel brevissimo lasso di tempo caratterizzato da totale confusione e commistione di sensazioni che è tipico di un risveglio improvviso

    *zzzzz* … *RONF* …AH!

    Il ragazzino si rizzò a sedere con la schiena rigida mentre, in una miriade di luci e di suoni, cercava di prendere contezza dell’ambiente circostante… dov’era? E cosa stava facendo? Certo… il torneo! Shingo!
    Scandagliò rapidamente la sala e fissò infine lo sguardo sul Dohyo. Al limitare dello stesso, c’erano suo fratello e Kazuo, immobili, entrambi con il fiatone e in un bagno di sudore ma con una importante differenza: Shingo era all’interno del cerchio, il suo avversario aveva un piede fuori dalle balle di paglia

    Vince il reparto frutta! confermò solennemente l’arbitro

    Il clamore che seguì la proclamazione fu assordante. Lo scontro era finito. Shingo aveva vinto, anche se probabilmente per un soffio.
    Quando realizzò di essersi perso l’incontro, Shōta non la prese affatto bene. Poiché il padre era già lontano, in cammino verso il Dohyo, il ragazzino si voltò verso Lo Zio

    perché non mi hai svegliato??

    Con la consueta flemma, l’uomo replicò

    Dormivi così profondamente che sarebbe stato un peccato. Il combattimento deve averti stancato parecchio perché sei crollato appena ti sei seduto

    La risposta non soddisfece per nulla l’Akimichi, che immediatamente si rivolse a Jona

    E nemmeno tu?? Bell’amico che sei!

    Il ragazzino dai capelli verdi si allarmò sinceramente, agitando le braccia

    Ero troppo concentrato sull’incontro! Non mi ero accorto che stessi dormendo! Giuro!

    Non c’era ragione di dubitare della sua buona fede.

    Mentre il padre prendeva posto al centro del ring per un discorso di ringraziamento e di commiato, i due contendenti scesero e tornarono tra gli spalti scambiandosi vicendevolmente complimenti

    …mi secca ammetterlo ma sei veramente bravo… nonostante tutto, sono contento che sia stato tu a battermi

    Anche tu non scherzi… mi hai fatto faticare parecchio, non sarei riuscito a continuare ancora

    Shōta corse loro incontro

    Bro! Cos’è successo durante l’incontro??

    Il fratello spalancò gli occhi

    Ma perché? Tu dov’eri, scusa?

    io… lo so che è assurdo ma mi sono addormentato!

    Shingo si risentì parecchio. Come aveva osato dormire durante il suo incontro? Decise che si sarebbe immediatamente vendicato: si girò verso Kazuo e si scambiò con lui uno sguardo di complicità.
    Poi i due misero su una scenetta

    Ah, hai capito? Stava dormendo. Peccato… questo vuol dire che…

    … non ha visto quando hai eseguito “quella tecnica”

    …già… e non ha visto nemmeno quando tu hai risposto con “quella contromossa” azzeccatissima…

    ahah… troppo buono… la mia contromossa non era nulla in confronto alla tecnica finale super forte con cui mi hai battuto…

    Montando su tutte le furie, il ragazzino berciò

    Eddai!! Quali sono le tecniche?? Volevo vederle!!

    I due si fecero una grassa risata, poi andarono ad asciugarsi e a reidratarsi mentre venivano sommersi di domande.

    Intanto il padre stava concludendo il suo discorso

    …e quindi credo di aver detto tutto. Adesso, per chi non ha fretta di andar via, abbiamo preparato una festicciola di chiusura. C’è anche un piccolo rinfresco… divertitevi e grazie ancora a tutti!

    L’uomo scese dal palco tra gli applausi, mentre diversi garzoni al servizio del droghiere predisponevano dei tavoli e alcuni lottatori, mostrando doti insospettabili, si esibirono in canti.
    Lasciandosi coinvolgere nel festeggiamento, Shōta si fece passare il capriccio.
    Mentre aspettava che il padre lo raggiungesse, gli sembrò che lungo il tragitto il genitore si fosse voltato per un secondo verso uno dei finestroni in alto, come se avesse notato qualcosa, per poi proseguire

    Shōta. Jona. Allora, vi siete divertiti? chiese l’uomo sorridendo mentre Lo Zio gli passava un bicchiere.

    Con la bocca piena di patatine e stuzzichini, i ragazzini annuirono.
    Il padre si fece una bella risata

    Bravi ragazzi, bravi. Ricordate che trarre piacere da quello che si fa è un ingrediente indispensabile per poterlo fare bene. È vero che il miglioramento può richiedere una certa dose di ossessione… però quella da sola rischierebbe di trasformarvi presto o tardi in un albero robusto ma che non dà frutti.

    Poiché sembrava essere tornato “il solito papà”, Shōta pensò di approfittarne per fargli delle domande. Durante tutta la settimana si era portato dietro diversi dubbi, più o meno importanti, ed era arrivato il momento di toglierseli

    Senti, ma allora è sicuro che questo non è un vero torneo?

    Se per “vero” intendi “ufficiale”, è esattamente così. È semplicemente “una cosa tra noi”, come l’allenamento e tutto il resto, d’altronde

    Prima di partire mi hai detto che questo allenamento mi sarebbe servito per arrivare pronto al giorno in cui avrei potuto apprendere le tecniche del clan. Quindi tutti gli Akimichi si allenano in questo modo?

    Non credo. Ad essere più precisi… non ne ho la più pallida idea. Al giorno d’oggi potrebbero esserci Akimichi in ogni parte del mondo ma io non li conosco. Ognuno potrebbe avere il suo stile. Semplicemente, nella nostra famiglia facciamo così e io continuo a reputarla la strada giusta

    Per un attimo, Shōta ebbe una leggera vertigine: il mondo era davvero più grande di quanto potesse immaginare.
    Poi continuò

    Ho capito… e senti, prima Shingo mi ha detto che il torneo serviva per testare se stessi e comprendersi meglio. È vero o mi stava prendendo in giro?

    È vero. Di certe cose non si diventa consapevoli sul momento ma prova a rifletterci un attimo: durante il combattimento ti è capitato anche solo per un istante di stupirti di te stesso? Hai pensato di aver scoperto qualcosa su di te?

    Il ragazzino abbassò lo sguardo

    Mi è sembrato di essere incredibilmente calmo ma era anche qualcosa in più di una semplice “calma”… era come se mi si fosse completamente svuotata la testa… non so come dire

    Il padre lo scrutò accigliato

    Capisco… mi piacerebbe liquidare la cosa dicendoti che la tua vera natura è quella della calma definitiva - e probabilmente è così - ma c’è qualcosa che non mi quadra… di ciò che è successo nel Dohyo ne dovremo riparlare

    Affidandosi saldamente all’opinione del genitore, Shōta evitò di insistere su quell’argomento e passò ad altro

    …Shingo l’altro giorno mi ha detto anche che è almeno dai tempi del nonno che ci alleniamo così. Ma il nonno non era di Hekisui e la palestra è qui. Quindi com’è possibile?

    Non è mica l’unica palestra, sai? D’altra parte è un semplice edificio in legno, cosa credi? Non è che ci voglia molto a costruirne una. Anche ad Iwa ce l’avevamo. Poi, quando ci siamo trasferiti qui, mi sono premurato di farne una replica abbastanza fedele, un po’ con i guadagni e un po’ con qualche aiuto

    Mentre pronunciava queste parole, indicò con la testa verso il droghiere/arbitro

    Ah! A proposito! Ecco un’altra cosa che volevo chiederti: non tutte queste persone sono Akimichi, vero?

    ahah certo che no. Molti sono amici o amici di amici. Oppure semplici appassionati di arti marziali incuriositi dal nostro stile

    Ma le arti del clan sono segrete! Nemmeno io le conosco… quindi loro non possono conoscerle

    Ovviamente no. Ma ti sembra che qualcuno ne abbia fatto menzione durante questa settimana? Delle arti segrete, che siano di clan o meno, non si parla mica al primo che passa

    Ma questo vuol dire che non potrò impararle in altri allenamenti simili!

    Esattamente… non potrai impararle in un allenamento simile, ma in uno di livello più avanzato chissà…

    …che intendi dire??

    I due vennero fatalmente interrotti da Shingo, che tornava bello tranquillo dopo essersi rinfrescato e rifocillato

    Esimio padre! esordì Non ci siamo nemmeno incrociati dopo l’incontro… non hai niente da dirmi?

    Il genitore lo guardò come si guarda un monello

    Shingo… sei stato molto bravo e sono orgoglioso di te ma non è bene vantarsi troppo dei propri successi. La modestia è una virtù essenziale da praticare con costanza

    ma si, ma si… lo so. Ma potrai concedermi di lasciarmi andare almeno per una sera. D’altra parte sono o non sono tuo figlio… caro il mio “Megalito”?? disse tirandogli una pacca sulla schiena

    Il padre lo guardò perplesso

    Come mi hai chiamato?

    Shingo chiuse gli occhi e, sorridendo, si strofinò un indice sotto il naso, con l’aria di uno che aveva fatto “la grande scoperta”

    eheh… non c’è più bisogno di nasconderlo… ormai conosciamo il tuo soprannome…

    Senza accenni di ironia, il genitore replicò

    …guarda che ti sbagli… quello non è il mio soprannome…

    eh?? Ma che stai dicen…

    La discussione venne interrotta da Kazuo che, apparentemente ubriaco, arrivò appoggiando le braccia sulle spalle di Shingo e di Shōta

    Ehi, amici, che festa! E dovreste sentire che buone le tartine!

    Così dicendo, li trascinò via con una faccia che era tutta un programma



    Insomma, com’è e come non è, furono tutti risucchiati nei festeggiamenti, fin quando la stanchezza non riuscì ad avere la meglio.

    […]

    Il mattino dopo si svegliarono abbastanza tardi. Con l’aiuto di chi era rimasto, rimisero a posto la palestra e si prepararono per ripartire.
    Il gruppo di Kazuo fu il primo a congedarsi, non appena ricomparve Yuzuki, che era misteriosamente sparita per una ventina di minuti...
    Ci furono tanti saluti, abbracci, pacche sulle spalle e pacchetti con avanzi della festa da portar via.
    Gli Akimichi poterono salutarli per bene solo quando ricomparve Shingo, che era anch’egli misteriosamente sparito per una ventina di minuti…
    Poi andarono via gradualmente tutti gli altri e infine rimasero solo Jona e suo zio.
    I ragazzini erano un po’ tristi al pensiero di doversi separare, dopo aver vissuto gomito a gomito per una settimana.
    Shōta si sentiva un groppo in gola

    uhm… va bene, allora… ci dobbiamo salutare…

    si ma non dirlo con quella voce… altrimenti…

    no, quale voce? Non sto mica piangendo!

    e chi ha parlato di piangere?? Nemmeno io sto piangendo!

    Così conclusero, prima di scoppiare entrambi in lacrime.

    A quel punto intervenne il padre

    ehi ehi… sembra quasi che non dobbiate rivedervi mai più. Ma non è così, non è vero? disse rivolgendosi a Lo Zio.

    Questi rincarò la dose

    Certo che no! Ho in programma diversi viaggi dalle vostre parti e sono sicuro che Jona sarà felice di accompagnarmi, dico bene?

    I ragazzini erano al settimo cielo. Si asciugarono le lacrime, fecero incontrare i loro pugni e poi si diedero il cinque

    Sentito? Non ti libererai facilmente di me, Shōta!

    Guarda che ci conto, eh? Non farmi aspettare troppo!

    L’Akimichi attese finché anche la pingue figura de Lo Zio non fu scomparsa dietro l’orizzonte, poi fece un respiro profondo e, zaino in spalla, raggiunse il padre e il fratello che si erano già messi in marcia

    Eccolo. Quanto avevi intenzione di farci aspettare, eh? disse Shingo

    Senti chi parla! Dove eri finito prima e come mai sei tutto allegro e fischiettante?

    Il primogenito arrossì e strinse il pugno

    Non sono fatti tuoi!

    Shōta si mise a ridere.
    Poi si girò per guardare un’ultima volta la palestra che, durante la settimana, era stata una seconda casa per lui e per gli altri.
    Avrebbe serbato per tutta la vita quel ricordo come uno dei più cari.

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