Bad Dreams

P.Q. Yurei Henge

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  1. Tenshi-1
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    Chapter III

    Yurei Henge

    [Commodoro]



    Scheda - Scheda Narrativa - Parlato - Pensato - Azione

    ???


    Ride of the Valkyries

    All'arrivo della notte stabilita, il fischio si levò tra i corridoi, un segnale quasi impercettibile ma carico di significato. Era il momento. Ogni prigioniero si mosse con l'urgenza di chi lotta contro il tempo, eppure con la cautela di chi sa che ogni passo può essere decisivo. Scivolammo fuori dalle nostre celle come ombre, uniti da un patto tacito di silenzio e determinazione. I nostri cuori battevano al ritmo della libertà mentre ci inoltrammo nei tunnel tortuosi scavati dalla persistenza e dalla speranza. Ogni respiro, soffocato nel tentativo di mantenere l'anonimato, era un inno alla vita che ci aspettava oltre quei muri. Adesso non eravamo guidati dalla luce del giorno ma dal bagliore interiore della libertà imminente, palpabile nell'aria carica di tensione e nell'elettrica anticipazione del tocco finale verso la salvazione.

    Mentre avanzavamo, ogni passaggio rivelava la complessità del piano che avevamo tessuto nelle tenebre. Non c'era spazio per errori o esitazioni; ogni movimento era sincronizzato ad arte, frutto di notti insonni passate a studiare i turni delle guardie e i punti deboli della struttura che ci imprigionava. Sentivamo le guardie sopra di noi, ignare della rete di libertà tessuta proprio sotto i loro piedi. Con occhio vigile e orecchio teso, eravamo pronti a fermarci immobili come statue al minimo rumore sospetto. Nel viaggio sotterraneo, supportati da mura di terra compatta e pietrisco umido, l'odore di muffa era sopraffatto dalla fragranza più dolce dell'indipendenza che ci stava attendendo. E mentre il primo chiarore iniziava a segnare l'orizzonte lontano, con l'adrenalina come fedele compagna, ogni istante diveniva il preludio del nostro ritorno alla vita, al mondo, alla luce del giorno.

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    Potevamo sentire, più che vedere, l'inizio dell'alba che filtrava debole attraverso crepe nascoste, promettendoci che la fine del nostro viaggio era vicina. Inciampando su radici e rocce viscide, resistevamo alla tentazione di correre verso quella libertà tanto agognata; la prudenza doveva guidarci fino all'ultimo istante.

    Arrivati all'apertura segreta, ci soffermavamo un attimo per recuperare fiato e per assicurarci che ognuno di noi fosse pronto a cogliere quel decisivo frammento di tempo in cui la notte consegnava il cielo al giorno. Eravamo consapevoli che oltre quella soglia avremmo dovuto disperderci nella foresta circostante, diventando parte di quel vasto ed intricato universo naturale. Ogni prigioniero aveva memorizzato il proprio percorso, sapendo che la riuscita della nostra evasione si basava ora sulla capacità di sparire senza lasciare traccia.

    Mentre l'ultimo scorcio di notte iniziava a sfumare, ci avventurammo uno ad uno fuori dal nascondiglio. Le prime luci dell'alba accarezzavano timidamente le nostre figure esitanti e bruciacchiate dall'assenza prolungata del sole. La sensazione dell'erba umida sotto i piedi scalzi era un contatto tanto strano quanto euforico; eravamo liberi finalmente, anche se consci dei pericoli che ancora si celavano nell'ombra del nuovo giorno. Con passi rapidi ma misurati, ci disperdevamo nel ventre della foresta lasciandoci alle spalle i lunghi anni di sbarre e muri freddi; ogni ramo infranto sotto i nostri piedi ci ricordava la dolcezza vittoriosa della nostra liberazione.

    I raggi del sole creavano ora una tessitura viva tra gli alberi, disegnando pattern di luce e ombra che guidavano il nostro cammino incerto verso la salvezza. Il bosco si destava in un sinfonico risveglio mattutino, dove il canto degli uccelli era come musica per le nostre orecchie mal abituati al silenzio assordante delle celle. Ogni passo ci portava più lontano dalla nostra prigionia, e più vicino all'idea di una vita che avevamo sognato così a lungo. Con la cautela di chi sa di essere ancora vulnerabile, ci muovevamo tra gli arbusti e le fronde, consapevoli che il vero viaggio iniziava solo ora. Avevamo lasciato dietro di noi le catene, ma di fronte a noi si estendeva il cammino dell'incertezza: come vivere da innocenti per coloro che sono stati marchiati a vita? La sfida dell'adattarsi e del riemergere in una società che ci aveva dimenticati era tanto imponente quanto i muri che avevamo superato, ma quest'aria fresca di libertà correva potente nelle nostre vene, spingendoci ad andare avanti.

    L'alba era ormai un dipinto vivo nei cieli, e le nostre ombre lunghe si diradavano nella complessità del bosco che ora ci accoglieva come suoi figli smarriti. Avvertivamo negli occhi la bruciatura della luce, così diversa dall'oscurità a cui eravamo abituati, ma ogni lacrima era un tributo alla nostra ritrovata speranza. Le direzioni da prendere erano molteplici, come i destini che ora potevano riscrivere le loro trame; non c'era più un destino comune tracciato dalle catene del carcere - ora eravamo autori di scelte personali, inseguitori di sogni individuali. Alcuni tra noi si soffermavano per riempire i polmoni dell'aroma terroso del sottobosco, altri già pensavano a come procurarsi cibo e rifugio. L'istinto di sopravvivenza che per mesi era stato attutito dalle monotone giornate in cella si risvegliava feroce, guidandoci attraverso istintive strategie di caccia e sopravvivenza. Il bosco offriva nascondigli e risorse, ma anche insidie: da qualche parte in quella selva c'era la libertà, ma solo per chi fosse astuto e forte abbastanza per afferrarla.

    La vita nel bosco ci metteva alla prova con ogni suo sussurro e movimento, con le sue leggi non scritte di natura selvaggia a cui dovevamo adattarci in fretta. Se prima eravamo guidati da orari e routine imposti, ora la nostra unica guida era l'istinto e la percezione aguzzata dalla necessità. Anche le piccole vittorie, come trovare acqua fresca o raccogliere bacche commestibili tra i cespugli, erano trionfi straordinari. Per alcuni, la memoria di tali atti semplici era quasi svanita nei lunghi anni di reclusione; per altri, invece, riemergeva come un istinto ancestrale.

    Mentre procedevamo nel fitto della foresta, ognuno di noi si trovava ad affrontare i propri demoni interiori. L'angoscia dell'inseguito si mescolava con l'ebbrezza della libertà, dando luogo a un tumulto interiore che doveva essere domato per sopravvivere. La consapevolezza che ogni errore poteva essere fatale, che ogni scelta dipendeva solo ed esclusivamente da noi, pesava sulle nostre spalle più di ogni catena mai forgiata dall'uomo. Dovevamo re-imparare a fidarci dell'altro per sopravvivere, ma allo stesso tempo a fare affidamento sulle nostre capacità individuali. Il cammino della reintegrazione era iniziato.


    Edited by Tenshi-1 - 7/3/2024, 20:01
     
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