I 200 shiko

Shōta Akimichi - PQ ambientata nel passato

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  1. Shitsubo
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    Scheda Shōta



    Narrato

    Parlato Shōta

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    Parlato altrui 2

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    Parlato altrui 4


    Al diavolo!

    Dopo aver impattato con la punta del sandalo, un sasso schizzò dritto contro il tronco di un albero, colpendolo e rimbalzando in un ruscello che, scorrendo lentamente, si perdeva serpeggiando tra le conifere.

    …schifo di mondo… guerra di me**a…

    Sbuffando e camminando con i pugni serrati, Shōta si diresse verso il punto d'atterraggio del sasso. Aveva smesso di correre da diversi minuti ma era comunque un bel pezzo che continuava a vagare senza meta e adesso il suo corpo reclamava un po' d'acqua.
    Giunto che fu sulla riva, si inginocchiò sull'erba umida e si curvò in avanti. Trovandosi a tu per tu con il riflesso del proprio volto adornato sulla guancia dal contorno di cinque dita, si fermò un attimo. Sollevò il braccio con l'intenzione di assestare un colpo a quella sgradevole immagine e farla sparire dalla propria vista ma non riuscì a completare l'azione. Con sua grande sorpresa, si rese conto di non essere poi così arrabbiato e, ripensando agli improperi pronunciati fino a poco prima, ebbe l'impressione di aver quasi recitato una parte di fronte a se stesso. Era una strana sensazione, come se si fosse imposto di essere adirato ma senza riuscirsi.
    Quasi a voler lavare via la patina che gli ottundeva la mente, si sciacquò vigorosamente la faccia. Una goccia gli scivolò dalla punta del naso e gli umettò le labbra. Nuovamente in preda alla sete, il bambino giunse le mani per formare un contenitore, raccolse un po' d'acqua e bevve. Il freddo liquido incolore accarezzò la lingua asciutta, colmò di sé in maniera gratificante la gola riarsa e poi scivolò giù, sino a trovare pace nello stomaco. Raccolse l'acqua una seconda volta, poi una terza e così via, finché non ebbe bevuto a sazietà. Quando fu appagato, si rialzò.
    Ripensando a quanto era accaduto, adesso gli sembrava di essere più lucido e di vedere tutto sotto una luce diversa, benché la rapidità con cui si era dissolta l'ira fosse per lui incomprensibile. Forse non credeva abbastanza a ciò che aveva detto? Possibile che anche lui, come il padre, avesse finito per ripetere le solite argomentazioni stantie? Quello era stato davvero un dialogo o la somma di due monologhi?
    Con queste domande in testa, decise di incamminarsi verso casa. Guardandosi intorno, si rese conto di aver fatto molta più strada di quanto non credesse. Era evidente che aveva camminato con la testa da tutt’altra parte, perché il sentiero percorso gli sembrava totalmente estraneo. L’unica cosa che poteva ragionevolmente supporre era che il ruscello scendesse a valle per confluire nel torrente sfruttato dagli abitanti del villaggio. Se ciò fosse stato vero, seguendolo sarebbe riuscito a tornare a casa. Cominciò così a incamminarsi lungo la riva.
    Dopo un po’ notò che il corso d’acqua si restringeva andando ad infilarsi tra due enormi pareti rocciose. Sul bordo c’era appena il margine per transitare in punta di piedi. Così fece, prestando molta attenzione e iniziando a maledirsi per essersi cacciato in quella situazione.
    A fatica, spuntò infine dall’altro lato del crepaccio e si ritrovò in una specie di radura circolare racchiusa nella roccia e tagliata nel mezzo dal ruscello. A est del corso d’acqua svettava per circa 30 metri una farnia spoglia che, sola con la sua altezza, riusciva a raggiungere l’apertura circolare alla sommità, là dove le era possibile assorbire la maggiore quantità di luce solare. Il bambino non aveva mai visto un posto del genere. Probabilmente il ruscello faceva dei giri strani e ciò lo aveva portato fuori strada, allungando il tragitto. Comunque a questo punto non aveva alternative, se non continuare a seguirlo.
    Prima di muovere un passo, sospirò e si guardò attorno. Non fosse stato per lo scroscio dell’acqua e il sibilare del vento, il silenzio sarebbe stato quasi totale. Il freddo era attenuato e l’aria era pervasa da un forte sentore di muschio. I raggi del sole raggiungevano solo parzialmente quegli angusti spazi, riducendo la luminosità. Aguzzando gli occhi, Shōta iniziò a dirigersi verso il lato opposto rispetto a quello dal quale era entrato.
    Individuò chiaramente un’altra fenditura nella roccia ma l’oscurità che la caratterizzava era già un segnale di quanto potesse essere lunga e stretta.
    Certo, quel nero era fin troppo intenso… quasi solido… quasi vivo… si muoveva addirittura…?!
    Il bambino si fermò di colpo mentre una massa oscura cominciava a emergere lentamente dalla roccia. Il cuore iniziò a battergli come un tamburo mentre il sudore gli imperlava la fronte. Dapprima pensò ad un’allucinazione, poi, a mano a mano che la massa si spostava nella zona più luminosa, gli riuscì di discernerne i contorni. Ma ciò che vide non lo tranquillizzò affatto.
    Si trattava di un grande esemplare maschio di yak selvatico, dall’aspetto tutt’altro che mansueto.
    L’animale, a occhio alto più di un metro e mezzo e pesante svariati quintali, camminava nervosamente scuotendo il capo di tanto in tanto.
    Nonostante l’altitudine insufficiente del luogo lo rendesse altamente improbabile, Shōta non poté fare a meno di pensare che quello fosse il suo territorio e che lui rappresentasse uno sgradito intruso. Così come non poté fare a meno di maledirsi una volta di più mentre le gambe iniziavano a tremargli e un forte senso di pericolo lo attraversava dalla cima della testa alla punta dei piedi.
    Si guardò rapidamente intorno per cercare una via di fuga: a sinistra aveva il corso d’acqua, in quel punto troppo largo e profondo per essere guadato; dietro, neanche a parlarne, c’era la strettissima spaccatura da cui era entrato; a destra c’erano diversi metri di spazio tra lui e la parete rocciosa, con al centro la quercia. Non aveva altra scelta se non tentare di scappare in quella direzione, sperando che lo yak si allontanasse dalla fenditura abbastanza da permettergli di raggiungerla.
    La bestia cacciò dal naso una nuvola di respiro caldo, emise un verso sinistro e improvvisamente iniziò a caricarlo.
    Con l’adrenalina che gli pompava in corpo, il bambino prese a correre verso destra. L’animale si rivelò più agile del previsto e curvò la traiettoria per cercare di intercettarlo. Con il cuore che gli batteva all’impazzata, Shōta fece uno sforzo immane per cercare di raggiungere l’albero, nella speranza di poterlo sfruttare come riparo almeno momentaneo. Correva come un dannato mentre nella sua testa ripeteva meccanicamente “non lo faccio più, non lo faccio più”.
    Improvvisamente sentì il piede tradirlo. Inciampò in un sasso e volò lungo disteso per terra. Il rumore della belva inferocita era sempre più vicino, non sarebbe riuscito a rialzarsi in tempo. Forse era tutto un incubo. Avrebbe voluto risvegliarsi e scoprire di essere ancora nel suo letto. Si coprì il volto con le mani. Gli sembrò di udire una voce

    Doton: Doro Gaeshi!

    Percepì una forte vibrazione, poi un tonfo sordo, poi i versi rabbiosi dell’animale in collera. Aprì gli occhi e vide di fronte a sé un muro roccioso di forma quadrata che aveva tutta l’aria di essersi sollevato per ribaltamento dalla zolla di terra che gli si dispiegava davanti. Girò la testa e si rese conto che a fianco a lui c’era Shingo, con le mani poggiate a terra

    Che posto di me**a è questo?? Si può sapere come diavolo hai fatto a finire qui?? Ci ho messo una vita per trovarti!

    Il bambino sentì che la paura gli si scioglieva nello stomaco come una capsula solubile. Avrebbe voluto abbracciare il fratello ma non era proprio il momento: dall’altro lato del muro cominciarono a provenire rumori di testate rabbiose e nel mezzo della parete apparvero delle crepe

    Ca**o! Non resisterà ancora a lungo! Scappa verso l’uscita, io lo terrò occupato!

    Ma… non posso lasciarti solo

    Mi hai sentito o no?? Ti ho detto che sta per sfondarlo! Corri!

    Quasi incapace di intendere e di volere, il bambino si fiondò verso l’uscita ma, a metà del percorso, un rumore fortissimo lo costrinse a girarsi.
    Il muro era crollato senza possibilità di appello e al suo posto si levava un nuvolone di polvere che rendeva impossibile vedere chiaramente cosa stesse succedendo. Stringendo gli occhi, Shōta individuò la sagoma dello yak e, dietro l’animale, la sagoma di Shingo che si apprestava a colpirlo con un pugno. Gli zoccoli delle zampe posteriori della bestia affondarono con forza nello stomaco del ragazzo sollevandolo ad un metro da terra

    Shingo!!

    A mezz’aria, il fratello assunse una strana espressione e iniziò a… spappolarsi?! Shingo non c’era più, al suo posto c’era solo un mucchietto di terra informe.
    La bestia, distratta dal clone di terra, aveva la testa girata a sinistra e non si accorse del vero Shingo che, arrivando da destra, riuscì ad afferrarla per le corna. Il ragazzo iniziò quindi una prova di forza che non aveva praticamente nessuna speranza di successo. La bestia si agitava e cercava di farlo volare via ruotando repentinamente il collo, mentre lui si sforzava di tenere i piedi saldi per terra e non farsi ribaltare.

    Vedendo il fratello in quelle condizioni, Shōta si sentì un vero schifo, completamente inutile e anche colpevole di aver causato il problema. E più si sentiva inutile e più lo diventava effettivamente, rimanendo completamente imbambolato a guardare la scena senza muovere un dito.
    Shingo si accorse che era ancora lì

    Dannazione! Allora non mi hai ascoltato?! Scappa!

    Improvvisamente, tutto quello che era accaduto quel giorno cominciò a passare davanti agli occhi del bambino come una serie di diapositive. Questa proiezione lo estraniò dai fatti, troncando la catena dell’emotività. La sensazione che provò fu affine a quella provata prima al ruscello, quando si era reso conto di non essere davvero arrabbiato come credeva. Forse anche la paura che stava provando in quel momento faceva parte della recita? Se avesse smesso di farsi condizionare in questo modo, forse avrebbe potuto considerare le cose da un altro punto di vista.
    Dietro di lui c’erano molti rami caduti dalla quercia, alcuni più spessi e diritti di altri. Gli venne in mente il Bō, poi tutti gli sforzi che aveva fatto per diventare capace di recuperare l’equilibrio. Dopotutto, anche il panico dal quale si era lasciato assalire in quei minuti poteva essere visto come una temporanea perdita di equilibrio ma Shōta era troppo piccolo per poterci ragionare sopra in maniera così approfondita. Tutto ciò, in lui, si concretizzava in una serie di sensazioni e di impulsi ad agire

    …equilibrio…

    Alzò gli occhi verso i due contendenti. La sua attenzione fu catturata da un dettaglio insignificante: ogni qualvolta Shingo gli toccava il collo, l’animale si innervosiva ancora di più e muoveva la testa a scatti per allontanargli il braccio

    Ma perché è così incazzato?!

    …perché è così… ripeté Shōta con uno sguardo inespressivo. Gli sovvennero le parole della madre sulla pazienza e per un attimo nello yak rivide se stesso, spaventato e incapace di accettare qualcosa di fastidioso che, però, c’è.
    Shingo ormai era allo stremo, la bestia lo stava provando come non mai e presto avrebbe ceduto ma tutto quello sforzo aveva un unico, semplicissimo, scopo: far scappare il piccolo

    Si può sapere che ci fai ancora lì?? Vai via, ADESSO! Hai capito??

    Il bambino si voltò verso l’uscita e iniziò a camminare

    …si, adesso ho capito…

    Il fratello tirò un sospiro di sollievo ma gli andò di traverso mezzo secondo dopo.
    Shōta si chinò e afferrò il ramo più lungo e robusto che gli riuscì di pescare nel mucchio, poi si voltò verso lo yak.

    Shingo, al quale quella scena sarebbe stata ampiamente sufficiente per sbottare, per una frazione di secondo rimase completamente basito perché gli parve di aver visto una strana luce negli occhi del fratello

    ma che ca…?!

    OST


    L’attimo di distrazione gli fu fatale. La bestia riuscì a rovesciarlo di lato facendolo rotolare via per diversi metri, poi si girò verso il bambino e, con gli occhi spiritati, iniziò a caricarlo come una furia

    Shōta sollevò il ramo con entrambe le mani e cominciò a correre verso lo yak mentre il fratello, dolorante e impolverato, assisteva incredulo alla scena

    TI SEI BEVUTO IL CERVELLO??

    All’improvviso, fu come se il tempo avesse iniziato a rallentare. Sembrava che né la bestia né il bambino fossero creature dotate di ragione. Ad ogni metro percorso dall’una corrispondeva un metro percorso dall’altro, cosicché la distanza tra i due diminuiva ad una velocità incredibile.
    Arrivato a due braccia dal bersaglio, lo yak chinò il capo per colpire. Fu in quel momento che Shōta abbassò con decisione il bastone davanti a sé conficcandolo nel terreno e, contemporaneamente, si diede una spinta fortissima con gli arti inferiori, sfruttando l’inerzia della corsa per lanciarsi in diagonale. Mirando con i piedi allo spazio tra le corna del bovino, abbandonò la verga alla sua sorte e si proiettò in alto, passando a pancia in giù sulla testa dell’animale. Il ramo incontrò rapidamente la propria fine infrangendosi contro la marmorea fronte e riempiendo l’aria con le proprie schegge. Con il vento che gli fischiava nelle orecchie, gli scompigliava i capelli e gli stropicciava i vestiti, Shōta si ritrovò in posizione di sorvolo a pochi centimetri dal collo dello yak, nei cui occhi gli parve per un istante di vedere il proprio riflesso distorto.
    Abbassò il braccio come se volesse accarezzare l’animale e poi, rapidamente, affondò la mano nel folto pelo. Allora sul suo volto si dipinse un sorriso calmo e sicuro. Strinse il pugno e tirò con forza.
    Qualcosa venne via dalla carne con un sottile fiotto di sangue caldo. La bestia lanciò un verso agghiacciante e proseguì la sua corsa andando a sbattere contro il tronco della quercia. Il bambino terminò il suo volo venendo catapultato addosso al fratello

    uoooffff!!!
    uuaaahh!!

    I due rotolarono sul prato mentre una sonora craniata nel legno riduceva il bovino a più miti consigli.
    Shingo si girò verso il fratello con gli occhi di chi non ci stava capendo più niente

    Si può sapere che ca**o è successo??

    Shōta si voltò con un sorriso a trentadue denti. Nella mano stringeva un dardo insanguinato

    Aveva questo conficcato nel collo, perciò era così nervoso!

    Il fratello prese l’arma e la osservò

    Cacciatori di frodo, eh? Probabilmente sono stati loro a spingerlo qui giù. Ma tu come l’avevi capito?

    Non l’avevo capito. Avevo solo l’impressione che sul collo ci fosse qualcosa che lo mandava in bestia

    E sulla base di un’impressione hai fatto una cosa così stupida?? Potevi morire!

    Beh, a te non permetteva di afferrarlo e non mi è venuto in mente un altro modo

    Oltre che ai propri occhi, adesso Shingo non poteva credere neanche alle proprie orecchie. Era davvero il fratello quello? Quanto poco lo conosceva in realtà? Forse qualcosa in lui stava cambiando più velocemente di quanto potesse immaginare.
    I due si rialzarono e videro lo yak accovacciato a terra, apparentemente senza forze. Memore di quanto appreso in altre occasioni, Shōta gli lavò la ferita con l’acqua e poi, strappando dei lembi di vestito, preparò una rudimentale fasciatura per fermare l’emorragia

    Non sembra grave

    Si, non penso che fosse avvelenato

    Lo yak stette buono per tutta la durata dell'operazione, guardandolo di lato. Poi si girò verso di lui e gli leccò la faccia

    ahahah credo che tu stia bene, si

    L’animale si alzò e iniziò a camminare.
    Shingo, che adesso era decisamente più calmo, lo osservò mentre si allontanava in direzione dell'unica uscita possibile per lui

    Bene, ti sei fatto un altro amico… senti, a proposito di quello che è successo… ti va di parlarne?

    Shōta sorrise pensando che al fratello non veniva tanto bene la parte di quello con cui confidarsi

    no, davvero, tranquillo. Ci ho riflettuto sopra e ho capito i miei errori

    I tuoi? E quelli di papà? Comunque penso che ne sia consapevole. A quest’ora i sensi di colpa lo staranno divorando, lo sai com’è fatto

    Shōta abbassò gli occhi. Il suo sorriso si fece più serio e riflessivo

    lo so… è per questo che voglio tornare a casa il prima possibile per parlargli

    Shingo sorrise di rimando

    Sono contento di sentirtelo dire. Bene, allora mettiamoci in marcia prima che ci diano per dispersi entrambi!

    Così i ragazzi presero la via del ritorno

    […]

    Siamo tornati!

    Non avevano nemmeno varcato la soglia che il padre si lanciò ad abbracciare Shōta. Alla fine non ci fu bisogno di parlare perché ognuno dei due aveva riflettuto sul proprio atteggiamento, scoprendo quanto poco ci fosse di veramente serio in tutta quella testardaggine.

    Vi prometto che, d’ora in poi, vi coinvolgerò in tutte le decisioni che vi riguardano. E, se volete, beh… resteremo qui

    Si girò a guardare la moglie, che sorrise soddisfatta.
    I due fratelli si guardarono, poi Shōta decise di fare un passo indietro a sua volta

    …no, non è necessario. Possiamo partire, a patto che sia davvero l’ultima volta

    Si illuminò il volto del padre
    certo, certo! È l’ultima volta, giuro!

    Quindi il bambino si voltò e iniziò a salire le scale in tutta fretta

    E adesso perché te ne vai così all’improvviso?

    Vado a preparare la valigia, no?

    I genitori si guardarono in faccia e poi scoppiarono a ridere. Lui non ci capì granché e fu la madre a fugare ogni dubbio

    Che c’è?

    C’è che è un po’ presto per quello, visto che non partiremo prima di tre mesi, ecco qua

    Il bambino non poté evitare di sentirsi leggero come una nuvola

    dici davvero??

    Il padre gli si avvicinò

    Beh, non conviene mica partire in pieno inverno e poi… ho deciso che mi ritaglierò un po’ di tempo per integrare i tuoi allenamenti. Sei o non sei un Akimichi?

    Allora la gioia di Shōta divenne davvero incontenibile. Shingo lo prese sotto il braccio e lo strizzò

    Ehi, non ti scordare di me! Riuscirò ad arrivare a 200 shiko prima della fine dell’inverno, vedrai!

    Prima o poi voglio arrivarci anche io!

    Con un sorriso sereno, la madre osservò il ritorno della quotidianità.
    Da un certo punto di vista, si poteva dire che anche la famiglia aveva ritrovato l’equilibrio perso. Tutti sarebbero stati più tranquilli nei giorni, nelle settimane e nei mesi a venire.
    Se ciò fosse destinato a durare, nessuno avrebbe potuto dirlo con certezza in quel momento

     
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