I frutti della terra

PQ sblocco elemento Shōta Akimichi

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    L’ombra proiettata da un chiodo, arrugginito ma ancora diritto e saldamente conficcato in uno degli innumerevoli listelli di legno che componevano il carretto, rivelava chiaramente che il sole aveva da poco raggiunto il suo apice e si apprestava a superarlo. L’allegro vociare degli studenti d’Accademia e la fragranza di frittura, che partendo dal chioschetto lì vicino si spandeva nell’aere circostante, contribuivano a creare un’atmosfera da “pausa pranzo” che ricordava a tutti come la giornata fosse ben lungi dal terminare.
    Assiso sul suo carretto, il sig. Demegawa era intento a scrutare l’ingresso dell’Accademia, massaggiandosi la barba di quando in quando. Suo figlio Isao sarebbe uscito a momenti.
    In piedi vicino al cavallo c’era un giovane Akimichi fresco di diploma che rimirava il motivo inciso sul suo nuovo coprifronte. Mentre il viso paffuto si rispecchiava nel metallo della protezione, la sua mente corse all’esame appena concluso e all’espressione che si era prodotta sul volto del Sensei quando questi, in replica alla domanda “cosa ti ha spinto a diventare uno Shinobi?”, si era sentito rispondere che, per raggiungere le piante più rare nei luoghi impervi, un erborista deve avere i mezzi per cavarsela. Fortuna volle che l’esaminatore fosse dotato di un certo spirito d’avventura che, grazie a quell’osservazione, era stato involontariamente solleticato. Così, pur in ritardo rispetto alla media, Shōta era riuscito a terminare il suo percorso di studi e a diventare un Genin.
    Dopo due giorni passati in città, si apprestava ora a fare ritorno a casa. Il viaggio avrebbe richiesto alcune ore ma il caso voleva che il sig. Demegawa, cliente e amico del ragazzo e della sua famiglia acquisita, avesse un figlio che aveva da poco iniziato a frequentare l’accademia. Shōta aveva indugiato fino a quell’ora per poter approfittare del passaggio che gli aveva offerto.

    > Grazie Demegawa-san, è generoso come sempre

    > Non dirlo nemmeno. E poi dovrei essere io a ringraziarti: la confettura di albicocche che ci avete regalato l’ultima volta era superba. Mia moglie ne parla ancora con tutti quelli che incontra! Di solito l’albicocca ha un retrogusto un po’ aspro, eppure lì sembrava quasi che avesse una nota di dolce intensa ma non stucchevole

    > È esattamente così, perché alla ricetta originale abbiamo aggiunto il miele che produce mia sorella e…

    > Akimichi!

    La spiegazione venne interrotta da un ragazzo che uscì correndo dall’Accademia e venne incontro a Shōta con un’espressione raggiante, mentre mostrava il suo nuovo coprifronte di Konoha.

    > Visto? Te l’avevo detto che ce l’avresti fatta!

    > È tutto merito della tisana rilassante che mi hai preparato prima che cominciasse l’esame! Senza di quella non avrei retto la tensione… il sensei che mi è capitato era severissimo e sai quanto sono ansioso… sentivo che il Chakra era tutto scombussolato

    > Sciocchezze. Tiglio, passiflora e valeriana possono averti aiutato a distendere i nervi ma la bravura nel controllare il Chakra è tutta tua. Goditi il meritato coprifronte!

    I due chiacchierarono per una decina di minuti e, nel frattempo, anche Isao Demegawa uscì dall’Accademia. A quel punto, Shōta si accomiatò dal compagno e montò sul carretto, alla volta della fattoria.

    […]

    Nell’atto di eclissarsi dietro le colline, il sole tingeva i campi di un rosso fuoco vibrante. Il cavallo che tirava il carretto fece capolino dalla tortuosa mulattiera che, con una brusca curva, cambiava direzione e puntava verso sud, là dove c’era la proprietà dei Demegawa. Quel bivio era la fermata di Shōta, che scese e salutò i suoi accompagnatori.
    Mentre il carretto spariva all’orizzonte, l’Akimichi si incamminò verso casa. Lungo il percorso, il frinire dei grilli che accompagnava lo scalpitio dei piedi sui ciottoli del sentiero segnalò al ragazzo che aveva fatto più tardi di quanto preventivato. La cosa non lo turbò più di tanto e non ne affrettò l’andatura.
    Non troppo tempo dopo, la sempre maggiore oscurità dell’ambiente circostante fu dissipata dalle luci del “castello”, come ai ragazzi piaceva chiamarlo. In effetti si trattava di una grande cascina il cui edificio principale si collegava con altre costruzioni formando una specie di quadrato aperto solo da un lato. Non era sempre stata così, in origine era ben più modesta.
    Nella piazzetta antistante l’ingresso, ad attendere l’Akimichi c’era una ragazza di qualche anno più grande di lui con gli occhi arancioni e i capelli neri, lisci, raccolti in una coda di cavallo. Aveva uno scialle poggiato sopra i vestiti e, con una mano sulla fronte, scrutava i campi con aria un po’ tesa.
    Quando vide comparire il neo-Genin, si rianimò all’istante

    > Shōta! Finalmente! Avresti dovuto essere qui un’ora fa, ci stavamo preoccupando!

    > Kimiko, ciao! Tranquilla, ho solo calcolato male i tempi

    Tra le ragazze del gruppo, Kimiko era la più matura, seria ma anche dolce e apprensiva. Per gli altri, lei e Benjiro (che aveva la stessa età) erano qualcosa a metà strada tra genitori e fratelli maggiori, sebbene avessero caratteri molto diversi.
    Sentendo le voci, molti altri ragazzi si precipitarono in cortile e, nel giro di poco, si creò un gran chiasso.
    Siccome oramai era buio e l’aria cominciava ad essere fin troppo fresca, decisero che sarebbe stato meglio continuare a conversare a tavola.

    […]

    Alla luce del fuoco del camino (che qualcuno aveva insistito per accendere, benché non fosse più inverno), i ragazzi imbandirono una lunga tavolata mentre Shōta raccontava come erano andati i suoi due giorni in città. Dalla cucina uscì un ragazzo alto e atletico con i capelli castani chiari di media lunghezza, che indossava un vistoso grembiule e portava dei vassoi

    > è pronto. Bando alle ciance e preparate le mandibole! ahahah

    Con gli occhi azzurri semichiusi e il sorriso stampato sul volto, Benjiro trasmetteva sempre grande serenità. Chi non lo conosceva lo avrebbe preso per una persona poco seria ma ai suoi familiari acquisiti era ormai chiaro che faceva il finto tonto. Quando voleva, sapeva dimostrarsi determinato e carismatico.

    Stavano per sedersi a tavola quando sentirono aprire la porta d’ingresso. “Aprire” è probabilmente un eufemismo, visto che venne sbattuta con tale violenza da dare l’impressione che fosse in corso il blitz di un esercito di samurai.
    Shōta si girò verso la porta e sogghignò con gli occhi chiusi

    > Buonasera fratellone

    Sulla soglia si stagliava una figura alta, ovale, con la carnagione rossastra, i capelli biondi raccolti in una coda di cavallo e un cipiglio che pareva scolpito nella pietra. Shingo Akimichi si richiuse la porta alle spalle e avanzò verso la tavola facendo rimbombare i pesanti stivaloni da fango ad ogni passo. Si tolse gli spessi guanti da fabbro e li gettò per terra, poi si sedette a tavola

    > Buonasera un ca**o

    > Cos’è successo? Hm?

    L’Akimichi più grande poggiò i gomiti sul tavolo e intrecciò le dita, poi lanciò un’occhiataccia ai commensali. Qualcuno tremò ma i più non se ne crucciarono. Ormai lo conoscevano bene e si erano quasi affezionati ai suoi borbottii.

    > Non gliel’avete raccontato, eh?

    > Raccontato cosa?

    > Ieri sera Muramoto è stato qui con i suoi sgherri

    > Cosa? Lui in persona? E che voleva?

    Muramoto era un proprietario terriero che aveva dei possedimenti più a nord e che, da quando le pertinenze del “castello” si erano allargate, aveva tentato in tutti i modi di convincere i ragazzi a vendere. A fronte di innumerevoli dinieghi, pian piano aveva iniziato a passare a velate minacce e non era da escludersi che potesse anche fare di peggio.
    Benjiro si fece più serio ma non smise di sorridere del tutto

    > Solito. Ha cercato di proporci un “affare”, un’occasione “imperdibile” e blabla. Ci ha riuniti tutti quanti per mezz’ora nel cortile ma non ha tentato di forzarci. Abbiamo solo perso un po’ di tempo ma nessuno ha alzato i toni. Alla fin fine non ha insistito neanche troppo

    > hmpf… sarà, però la sua visita non mi convince. Oltretutto, quelli che si è portato dietro non sembravano i soliti scagnozzi. C’erano delle facce nuove

    > Probabilmente voleva solo scoprire che effetto ci avrebbe fatto vederlo comparire qui di persona. Comunque non gli darei molto peso, questa è la serata di Shōta e dobbiamo festeggiare la sua promozione a Genin. Il resto può aspettare

    Ne seguì una breve discussione ma, arrivati al dolce, di Muramoto già non fregava più niente a nessuno. Satolli e assonnati, i ragazzi iniziarono a sciamare in direzione delle proprie stanze.
    Dopo aver aiutato a lavare i piatti, anche Shōta salì in camera sua. Si mise il pigiama e appoggiò il coprifronte sul comodino. Era del tutto intenzionato a farsi una bella dormita, perché il giorno dopo aveva diverse cose da fare e, tra un’attività e l’altra, non gli sarebbe dispiaciuto allenarsi un po’.

     
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    Il leggero bagliore rossastro proveniente dal forno illuminava debolmente la cucina ancora invasa dalla penombra. Nell’attesa che il dolce appena infornato cuocesse, Shōta pensò bene di sedersi sul pavimento a fianco ad un Buddha di legno finemente intagliato che era stato ricevuto in dono e che, dopo 6 mesi di discussioni, litigi e furiose sessioni di sasso-carta-forbice, non si era ancora capito dove dovesse essere posizionato. Non era così raro che il ragazzo si sedesse per terra. Sosteneva che lo aiutasse a ripristinare la propria stabilità, qualunque cosa questo volesse significare.
    Era seduto da una decina di minuti quando udì un rumore attenuato di passi che si alternava con il tipico scricchiolio delle assi di legno.
    Dalle scale fece capolino una ragazza bassina con i capelli castani molto chiari raccolti a ciambella e una frangetta che le copriva due terzi della fronte. Con gli occhi chiusi e ancora gonfi di sonno, avanzò barcollando e sbadigliando in direzione del tavolo. Dopo aver aggirato l’ostacolo a tentoni, passò davanti al Buddha e alzò una mano per salutarlo

    > …‘giorno Shōta…

    Quindi proseguì altri due metri, si fermò davanti a Shōta, giunse le mani in preghiera e gli rivolse un piccolo inchino

    > Buongiorno a te, Yua

    Per poco alla poverina non veniva un colpo. La ragazza spalancò i suoi verdi occhi e, terrorizzata, fece un salto all’indietro

    > il B-B-Buddha mi ha salutato!!! ………. Shōta?! Da quando in qua fai questi scherzi idioti?

    La sua reazione provocò l’ilarità dell’Akimichi

    > ahahah guarda che hai fatto tutto da sola

    Quindi puntò l’indice verso il lavabo più vicino. Yua gli si avvicinò e si sciacquò la faccia con generose manate di acqua fresca

    > e poi, si può sapere che ci fai già in piedi a quest’ora? È presto

    > potrei farti la stessa domanda

    > io… non riuscivo a dormire. Continuavo a rigirarmi nel letto per via della discussione di ieri sera… senti, ma tu che ne pensi di questa storia? Che avrà in mente il vecchiaccio?

    > Chi può dirlo? L’unica cosa che possiamo fare è aspettare. Lui tornerà e ci chiederà sempre la stessa cosa. E noi rifiuteremo sempre.

    > eh, sarebbe bello se fosse tutto così semplice

    > No, non fraintendermi. In realtà credo che sia una situazione molto complicata. Però le difficoltà vanno affrontate quando si presentano. E anche quando sono presenti, te ne devi occupare, non preoccupare

    Con gli occhi chiusi e le dita intrecciate dietro la nuca, la ragazza si allontanò di qualche passo

    > uff… la fai facile tu…

    Shōta sapeva che Yua avrebbe voluto tanto condividere quel punto di vista ma non poteva davvero imporsi di essere tranquilla se in cuor suo non lo era. Quindi cercò di escogitare rapidamente un modo per distrarla cambiando argomento.
    Si ricordò che, dopo la parte pratica dell’esame, il Sensei gli aveva suggerito di provare a scoprire la propria natura del Chakra. Non era sicuro al 100% che il suo livello fosse già quello giusto per tentare ma, se pure non lo fosse stato, di sicuro gli si avvicinava molto. La prova consisteva nell’incanalare il Chakra all’interno di alcuni strani foglietti e notare la reazione degli stessi, tuttavia né Shōta né il Chunin avevano abbastanza tempo in quel preciso momento perché il primo doveva preparare i bagagli per il ritorno e il secondo era stato convocato per affari urgenti. Quindi il Sensei gli porse un paio di quei pezzi di carta e gli disse che avrebbe potuto provare anche successivamente, per conto proprio.
    I foglietti in questione erano ancora nella tasca del giaccone che aveva appeso vicino alla porta, per cui si alzò e andò a prenderli. Quando li mostrò a Yua e le spiegò a cosa servivano, lei sembrò molto interessata. Subito gliene strappò uno di mano e iniziò a concentrarsi per cercare di ottenere qualche risultato. Ma, prova che ti riprova, non succedeva assolutamente niente che fosse degno di nota. Ormai si era sforzata al punto tale da diventare rossa come un tizzone ardente, cacciare fumo dalle orecchie e mugugnare a denti stretti mentre fissava il foglio come se volesse ipnotizzarlo. Allora si stancò e gettò la spugna, lasciandosi cadere a terra con un lungo sospiro. Sembrava così stanca da non avere nemmeno la forza di preoccuparsi e questo fece pensare a Shōta che, dopotutto, l’idea non era stata tanto malvagia

    > uffa, non ci riesco! Perché non ci provi tu?

    Era proprio quello che l’Akimichi aveva intenzione di fare e che avrebbe sicuramente fatto nel giro di pochi secondi se non fosse che, proprio mentre afferrava il foglio, venne interrotto dalla calata dei barbari scesi in cucina per fare colazione. Niente da fare, tutto rimandato.

    [...]

    Quando il pasto fu consumato, ognuno andò a raccogliere gli arnesi necessari per svolgere il compito assegnatogli quel giorno.
    Prima del classico “rompete le righe”, Benjiro ci tenne a ricordare che le coltivazioni a nord sarebbero state interdette ancora per un po’, a causa della presenza di alcuni serpenti, probabilmente velenosi, dei quali si sarebbe occupato al più presto. Shōta, che non ne sapeva nulla, chiese delucidazioni a Yua (che quel giorno sarebbe stata sua compagna nella raccolta della lattuga)

    > Serpenti? Che serpenti?

    > Ah già, tu non eri ancora tornato quando è successo. Benji li ha notati ieri mattina e ci ha consigliato subito di non avvicinarci a quell’area finché non avrà trovato un modo per sbarazzarsene. Però… io ho bisogno solo di qualche fragola! Entro e esco in meno di un minuto! ti prego Benjiuccio!

    E prese a supplicare il ragazzo con gli occhi lucidi.
    Benjiro però non si fece intenerire. La sua risposta fu semplicemente “ahahaha… no.”

    Mentre la ragazza inveiva e protestava vigorosamente agitando le braccia, l’Akimichi la trascinò via tirandola per il collo della maglia

    > su su, lo sai che lo fa per il nostro bene. Dai, adesso andiamo. Prima cominciamo e prima finiamo

    […]

    Una mano per spingere delicatamente da un lato, l’altra mano per adoperare con sapienza e precisione l’affilato coltello e ZAC… con tutta la sua croccante freschezza, l’ultimo cespo era stato raccolto. Per il momento avevano terminato.
    Durante la pausa, i ragazzi avrebbero voluto fare un secondo tentativo con la natura del Chakra ma il sole stava cominciando a picchiare, per cui sarebbe stato necessario trovare prima un luogo più fresco. Yua propose di andare verso gli alberi che erano collocati un po’ più a nord-est e l’Akimichi acconsentì.
    Arrivati nel luogo prestabilito, il ragazzo afferrò un foglietto e iniziò a concentrarsi. Il processo sarebbe consistito nel richiamare le proprie riserve di energia fisica e mentale, bilanciarle in modo da ricavarne Chakra e mobilitare quest’ultimo incanalandolo all’interno delle diramazioni del sistema circolatorio che raggiungono le estremità del corpo. Si diceva “sarebbe consistito” perché, di fatto, la cosa si dimostrò stranamente ardua. Fin dalle prime fasi, Shōta percepì un leggero squilibrio - in favore dello spirituale e a discapito del materiale - del quale non sapeva spiegarsi la ragione ma che, dopo un po’, iniziò ad attribuire al fatto di aver consumato troppe energie lavorando.
    Per cercare di recuperare stabilità, il ragazzo si sedette per terra e chiuse gli occhi. Poi, sempre stringendo il foglietto tra le dita, decise di formare il sigillo del serpente, che spesso lo aiutava a focalizzare l'attenzione.
    Complice anche il silenzio, dopo un po’ cadde in uno stato di concentrazione tanto profondo da poter essere paragonato al calare della notte più buia. Restando nella metafora, in questa oscurità poteva ora sentire confusamente il Chakra come un leggero bagliore nebuloso che permeava la sua figura seduta. Questa situazione per lui familiare era il segno che era riuscito a raddrizzare il tiro. Rispetto all'ultima volta (cioè diverse settimane prima), però, notò qualcosa di diverso: depositati sul fondo, per così dire, c’erano quelli che sembravano essere dei residui o dei sedimenti. Questa cosa attirò la sua curiosità e gli suggerì che - sempre all’interno della metafora - potesse valere la pena farli emergere.
    Mentre si trovava in quella condizione, improvvisamente l’eccessiva quiete iniziò a sembrargli anomala: erano diversi minuti che Yua non spiccicava parola. Non era da lei, soprattutto quando era incuriosita da qualcosa, quindi il ragazzo pensò di richiamarne l’attenzione

    > ehi, va bene cercare il silenzio per aiutarmi ma non devi esagerare, è sufficiente così

    Non ricevendo risposta neanche dopo aver insistito, in preda ad un brutto presentimento, Shōta decise di rimandare l’esercizio e aprire gli occhi.
    Davanti a lui non c’era nessuno. Si alzò e, istintivamente, corse verso nord. Dopo una decina di lunghi salti in mezzo alla vegetazione, arrivò alle soglie del fragoleto. Come temeva, Yua era lì e stava riempiendo un cestino con quegli scintillanti frutti rossi.
    Appena lo vide, la ragazza trasalì ma si girò con un sorriso a trentadue denti

    > Fatto! Tutto ok! Ho già finito!

    Era fatta cosi. Un attimo prima si tormentava per un pensiero e, un attimo dopo, era capace di commettere un'imprudenza per un capriccio. Aveva davvero una faccia di bronzo ma Shōta non si indispettì per essere stato raggirato. Piuttosto, desiderava vivamente che lei si allontanasse da quel luogo, sia per la sua incolumità sia per rispettare il volere di Benjiro (l’Akimichi non non era il tipo che avrebbe violato una regola senza un valido motivo)

    > va bene. Però adesso esci, altrimenti dovrò trascinarti via io e sai che lo farei

    > va bene, va bene… quando fai così, sembri una di quelle guardie del corpo che non ti fanno mai divertire

    Tirò su il cesto con le fragole e iniziò ad avanzare verso di lui per uscire. Dopo pochi istanti, ai due parve di sentire un rumore, simile a uno sfrigolio, provenire dal terreno

    > lo senti??

    > un serpente?

    > che razza di serpente fa il rumore della pancetta abbrustolita?!

    Questo paragone accese improvvisamente una lampadina nella testa di Shōta.
    Gettandosi verso la ragazza, con tutto il fiato che aveva in corpo le urlò

    > VIA!

    Un botto fortissimo fece sollevare stormi di uccelli nel raggio di decine di metri

     
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    > Una cartabomba?! Perché queste cose succedono sempre quando non ci sono io??

    A parlare era una figura femminile a testa in giù che si reggeva ad una corda penzolante davanti alla finestra del soggiorno. I suoi lunghi capelli rossi protesi verso terra facevano ombra a Shōta mentre il ragazzo ricostruiva la sequenza di eventi che avevano avuto luogo nemmeno un’ora prima

    > Sapevo che l’avresti detto. Sei incorreggibile, Nyoko

    Producendosi in un’espressione da gatto malizioso, la ragazza annuì senza alcun pudore. Vivere quella disavventura per lei sarebbe stato eccitante? Non c’era da dubitarne. Di tutti i membri del gruppo, era la più incosciente e scapestrata. Sempre a caccia di nuovi stimoli, sarebbe stata capace di ficcarsi nei guai giusto per togliersi uno sfizio o per soddisfare la curiosità del momento. Sembrava acquietarsi solo quando si occupava degli animali e, conseguentemente, le era stata assegnata la cura delle stalle. Manco a dirlo, spesso le sue “cacce al tesoro” finivano per avere una pessima influenza su Yua.

    > e adesso lei dov’è? Come sta?

    > Sta riposando nella sua camera. Si è ustionata un po’ e credo che si sia presa un bello spavento. Benji e Kimi sono con lei. Ah, parli del diavolo… come si sente?

    La porta laterale del soggiorno si aprì e dal corridoio fece capolino Benjiro

    > Benone, direi. In questo momento sta esibendo come un trofeo le sue scottature o, meglio, quello che ne rimane dopo aver applicato la pasta spalmabile di calendula che avevi preparato. Le tue invece come vanno?

    Shōta si tastò il braccio e sorrise

    > Tutto ok. Non erano molto gravi e Kimiko le ha lenite con il Suiton

    > Va bene… disse Benjiro abbassando lo sguardo per un attimo. Poi si girò verso Nyoko, che era ancora appesa a testa in giù

    > puoi radunare tutti, per favore? Devo parlarvi

    > okkk rispose lei e, dopo essersi lasciata cadere a terra, scavalcò il davanzale, attraversò a salti il soggiorno e sparì nel corridoio.

    […]

    Dopo pochi minuti, erano riuniti lì tutti e dodici. Benjiro prese la parola

    > Ascoltatemi, ragazzi. Devo parlarvi di alcune cose che riguardano ciò che è successo

    Shingo, che già stava mostrando una certa impazienza, lo interruppe subito

    > Cosa vuoi dirci? Forse che non c’era nessun dannato serpente?? Perché quello ormai ci è chiaro!

    L’oratore assunse un’espressione più seria ma comunque pacata. Quindi riprese

    > Non negherò di avervi mentito. L’altra sera, quando Muramoto ha insistito per incontrarci davanti all’ingresso, tre cose mi sono sembrate strane: 1) che si fosse presentato di persona; 2) che si fosse rifiutato di entrare in casa; 3) che non avesse insistito granché, tagliando corto dopo nemmeno 15 minuti. Ho pensato che potesse avere in mente qualcosa e ho fatto finta di chiedere a Kimiko di andare a prendere un sacco di grano nel mulino. Muramoto non ha avuto reazioni e questo mi ha fatto pensare che non stesse combinando nulla nella zona a est. Allora, a un certo punto, ho detto che mi sarei allontanato giusto un paio di minuti per rimettere a posto un’asse pericolante nei pressi dei ciliegi e in quel momento lui ha risposto che non ci avrebbero rubato altro tempo perché andavano di fretta e la nostra conversazione sarebbe potuta anche terminare lì. Questo mi ha fatto pensare che potesse aver sabotato qualcosa nel frutteto ma non potevo averne la certezza e non sapevo cosa potesse aver fatto

    Stavolta a interromperlo fu Shōta

    > Aspetta, non ho capito bene. Perché la sua presenza e il luogo della riunione ti hanno fatto insospettire? E perché non poteva aver fatto qualcosa a sud o a ovest, nelle stalle?

    > La sua presenza avrebbe avuto senso se avesse avuto davvero argomentazioni nuove da proporci ma, a dispetto di quanto annunciato, l’incontro sembrava piuttosto vuoto. L’unico risultato che è riuscito ad ottenere mostrandosi di persona è stato attirare la curiosità di tutti, distogliendoci dal lavoro e radunandoci lì. Era strano anche che un tipo fintamente cerimonioso come lui rifiutasse di parlare di affari davanti a una tazza di tè. Per come è orientato, il salone ha finestre che danno a est, a nord e a ovest, quindi da lì si può notare se c’è qualche movimento sospetto in quelle zone. Lui, invece, ha preferito riunirci nel cortile anteriore da dove, al contrario, si può vedere solo ciò che succede a sud, zona che quindi era da escludere. Per quanto riguarda le stalle, invece…

    Qui si fece un po’ scuro in volto

    > …non penso che ci sarebbe tornato una seconda volta

    Shingo scattò di nuovo

    > che significa “una seconda volta”?? C’è già stato?? Quando??

    > Circa un mese fa. Ricordate l’agnello con la zampa ferita? Shōta ci aveva visto giusto: quelle non sono lesioni che si producono quando resti impigliato tra gli arbusti. Infatti l’avevo trovato in quelle condizioni all’alba davanti all’uscio e mi ero inventato quella storia per non farvi preoccupare…

    > Allora è per questo che nelle ultime settimane ci hai chiesto di fare una ronda notturna ogni tanto? Controllare che non scappassero gli animali era solo una scusa

    Tutto questo era davvero troppo per la corta miccia di Shingo. Non solo Muramoto e i suoi avevano ferito uno dei loro animali per lanciare un avvertimento ma avevano anche rischiato di far saltare un arto a suo fratello. L’Akimichi sollevò i possenti pugni e li fece ricadere tanto pesantemente sul tavolo che il legno, poca o nulla resistenza potendo opporre a quella forza, collassò con un boato

    > PEZZI DI ME**A!!

    Rapidamente si avvicinò a Benjiro e lo afferrò per il bavero della giacca

    > E tu sapevi tutto! E non hai detto niente!!

    Il ragazzo, senza scomporsi, replicò > Non sapevo che tipo di trappola potesse aver piazzato e mi ero preso qualche giorno di tempo per contattare un amico che avrebbe potuto aiutarmi a setacciare l’area. Per questo ho inventato la storia dei serpenti e confidavo nel fatto che nessuno si sarebbe avvicinato. Comunque, benché sia ovvio che l’artefice è Muramoto, non abbiamo alcuna prova e non possiamo lanciare accuse a vuoto

    Shingo digrignò i denti. I due si scambiarono qualche sguardo. Poi, bofonchiando qualcosa, il ragazzone lo lasciò andare, si girò e uscì dalla stanza sbattendo violentemente la porta.
    Quindi Benjiro si rivolse a Shōta

    > Mi dispiace… devo rendermi conto che non siete dei bambini. Forse, se vi avessi messo al corrente di tutto, a quest’ora sareste incolumi

    L’Akimichi sorrise e gli diede una pacca sulla spalla

    > Macchè, macchè, stiamo bene. Tu cerchi sempre di proteggerci e noi questo lo sappiamo. Sul fatto che non siamo dei bambini devo darti ragione, anche se vale solo per alcuni di noi… e sottecchi guardò verso Yua, la quale rispose facendo una linguaccia

    > non vi nasconderò più niente, promesso. Probabilmente d’ora in poi dovremo tenere gli occhi ancora più aperti e, a questo proposito, io e Kimiko dovremo cercare di riallacciare i contatti con una nostra vecchia conoscenza che potrebbe esserci d’aiuto. Per quanto riguarda Shingo…

    > Tranquillo, ci parlo io

    […]

    Sotto la spinta della mano dell’Akimichi, con un leggero cigolio la porta della fucina si aprì lasciando percepire con maggiore chiarezza il tintinnio del martello che picchiava sull’incudine

    > …si può…? La risposta fu una specie di muggito. Buon segno.

    Presosi il tempo per abituare gli occhi al forte contrasto tra la penombra e la luce vivida della fiamma crepitante, Shōta avanzò verso il fratello portando con sé un tovagliolo contenente uno dei suoi piatti preferiti. Per un istante Shingo girò la testa verso il fagotto, poi tornò a martellare.

    > questo lo poso qui… Senti, non voglio girarci intorno, Benji ha sbagliato a non coinvolgerci ma ha peccato per eccesso di prudenza e lo sai

    > non mi va di parlarne

    Shōta conosceva molto bene il fratello. Dalle più piccole sfumature del suo tono di voce sapeva intuire esattamente quando era il caso di insistere e quando no. Questo non lo era. Comunque non aveva dato di matto e non aveva cacciato anche lui dalla fucina e questo voleva dire che si era calmato

    > ricevuto disse sorridendo e, posato il fagotto, si girò con l’intenzione di andarsene ma Shingo lo fermò

    > aspetta… Poi com’è andata a finire quella storia del Chakra?

    L’Akimichi più piccolo rimase piacevolmente colpito dall’attenzione che aveva prestato al racconto e ai suoi tentativi di scoprire la natura del Chakra

    > con tutto quello che è successo, non ho provato più. Comunque credo di essere sulla strada giusta

    > Hai percepito qualcosa di particolare?

    > si. Come posso spiegare… ti faccio un esempio. Immagina che il Chakra sia una nebbiolina luminescente che pervade tutto il corpo. A un certo punto, ho avuto la sensazione che parte di questa nebbia, più densa e più opaca, fosse depositata sul fondo. Volevo provare a studiarla meglio ma non avevo ancora trovato il modo giusto per smuoverla

    Shingo sorrise. Sapeva perfettamente di cosa stava parlando, per esperienza personale. Lasciò il martello, afferrò una tazza di caffè e iniziò a girare il cucchiaino. Questo gesto valse più di mille spiegazioni per Shōta

    > ma certo, è come lo zucchero insoluto!

    Immediatamente afferrò il foglietto e si sedette per terra. L’unico rumore rimasto era il crepitio del fuoco. Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. Sentì chiaramente la pesantezza del proprio corpo rilassato e lentamente iniziò a calarsi nella concentrazione, come se un ascensore lo stesse portando al piano inferiore.
    Immerso nella calma oscurità, subito iniziò a percepire l’energia fisica, poi quella mentale, quindi il loro ottimale bilanciamento e il conseguente scaturirne del Chakra che immediatamente pervase ogni angolo del sistema circolatorio, fino al nodo più estremo. Con uno sforzo di visione interiore, il ragazzo rese più aguzza e penetrante la propria concentrazione, scandagliando le profondità alla ricerca di quei “residui”. Non gli ci volle molto per ritrovarli.
    A questo punto, complice l’esempio dello zucchero, cercò di provocare un movimento rotatorio nel Chakra più fluido e manipolabile. Lo stratagemma funzionò: dopo un po’ i sedimenti iniziarono a sollevarsi e a spostarsi verso l’esterno, quasi in preda a una forza centrifuga. Sentendoli più vicini allo sterno, Shōta cercò di agganciarli e fonderli al resto della “nebbiolina”. Il risultato fu un Chakra malleabile ma molto denso. Un leggero brivido corse lungo la schiena dell’Akimichi, che però tornò subito in sé. Sapeva che il momento in cui riesci a ottenere un risultato è spesso proprio quello che ti frega, facendoti perdere la concentrazione a causa dell’entusiasmo. Quindi, imperterrito, tenne fermo di fronte a sé quel nuovo Chakra e iniziò a spingerlo verso la spalla destra. Dopo una lenta salita, fu più semplice farlo scendere lungo il braccio, il gomito, l’avambraccio e il polso, per poi farlo arrivare, con un ultimo sforzo, verso la mano e la punta delle dita.
    Quando riaprì gli occhi, vide che il foglio si stava lentamente sgretolando e Shingo aveva un ghigno di compiacimento

    > Doton. Sei pur sempre mio fratello. Prova un po’ a infonderlo qui dentro e dai un colpo a quella vecchia incudine lì a terra e, così dicendo, gli lanciò un kunai

    A Shōta pareva molto difficile che un potesse scalfire un’incudine ma provare non gli sarebbe costato molto. Afferrò il kunai e, mediante lo stesso procedimento, cercò di far scorrere il Doton al suo interno. Si aspettava di sentire l’arma più pesante e, invece, la sentì in qualche modo più “densa”, più “presente” o più “concentrata”. Non sembrava che il Chakra di Terra le avesse aggiunto qualcosa dall'esterno ma più che ne avesse intensificato l'essere. Era una sensazione strana e non avrebbe saputo trovare dei termini adeguati per descriverla. Quindi si alzò e si diresse verso la vecchia incudine, sollevò il braccio e la colpì come se volesse trapassarla con il kunai. Nell’impatto si produssero delle scintille e, laddove l’arma ne uscì intonsa, la superficie dell’incudine ne risultò lesa. Dopo altri due tentativi la lesione si approfondì al punto tale che, con un ultimo colpo ben assestato, il kunai rimase conficcato al suo interno.
    Una mano sulla spalla e la fragranza del contenuto del fagotto ormai spacchettato gli segnalarono che l’allenamento era terminato.
    La giornata si era conclusa e il bilancio era stato riportato in pari. Nessuno si era fatto male seriamente, molti dubbi erano stati chiariti, Shingo si era calmato dedicandosi al fratello e Shōta ci aveva guadagnato un elemento.
    D’ora in poi avrebbero solo dovuto essere vigili e coesi.


     
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    Bella pq :rosa:
     
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