Il lamento della vittoria

Infermeria per Shane

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    Quel che sembrava essere una festa, una celebrazione della vita e libertà si tramutò in un vero e proprio incubo. Un lampo e le luci si spensero, l’intera città caduta nel favore delle tenebre urlanti. Morte, sangue e fiumi di sangue che sporcavano la purezza di una giornata destinata a ben altri tramonti. I sorrisi dei bambini si trasformarono in pianti, le risate dei giovani in lamenti e richieste d’aiuto. Konoha era di nuovo sotto attacco, la storia si ripeteva costantemente in una spirale scarlatta che ormai era dolorosamente familiare ai più. La sofferenza che prende il posto della speranza, che sia questo il fallimento dell’umanità?






    Tra le strade erano scesi moltissimi ninja medici, l’Ordine costituito da migliaia di guerrieri con una croce rossa dipinta sulla schiena continuavano a lottare e supportare dove potevano. Si distinsero in battaglia facendo leva sulla vocazione che li spingeva in qualsiasi cosa facessero, fosse salvare un combattente tra la vita e la morte o uscire uno spirito combattivo tale da stendere qualsiasi tipo di avversario che gli si parava davanti. In mezzo ai molti, agli sconosciuti, ai volti anonimi che non verranno mai ringraziati, troviamo Tenho: alto, muscolo e con una lunga chioma nera che veniva solitamente legata in una coda che sfiorava i fianchi per quanto era lunga. Si era distinto sul piano di battaglia portando scompiglio tra le linee nemiche, appariva e scompariva in un battito di ciglia sfruttando la sua forza bruta ed un’agilità quasi inumana, afferrava la vita dai capelli e strappava dalla morte chiunque gli capitasse sotto mano. Una “furia” della natura ma che rivolgeva la sua forza travolgente solo a chi se lo meritava, gli stronzi che avevano attaccato il villaggio insomma. In ogni caso la battaglia era finita, la polvere si era posata sui primi cadaveri dando fin troppo lavoro all’ospedale centrale della foglia. Convogliavano feriti dappertutto, corridoi con gente insanguinata e che attendeva il proprio turno nella speranza che un ninja medico potesse curarlo. Cittadini che hanno perso la casa, ninja stretti in lacrime silenziose per compagni caduti tra le proprie braccia. Tutto questo il nostro Tenho l’ha visto per anni, l’ha vissuto sulla propria pelle fino a diventare il tutto come uno scudo, una corazza impenetrabile che imponeva tra sé e quel mondo di merda che continuava a richiamarlo nella famosa spirale scarlatta di sangue. Questa volta non è mancato all’appello, con passo svelto si muoveva nei lungi dedali dell’ospedale cercando di fare il possibile in mezzo a tutte quelle persone che lo vedevano sfrecciare da una parte e l’altra dell’edificio ormai stracolmo di emergenze e lucine rosse lampeggianti in ogni porta chiusa. Indossa ancora la divisa da battaglia, un giubbotto ninja aperto sul davanti che dà su una casacca bianca sudata e sporca di sangue, pantaloni bucati in qualche punto e con macchie scarlatte in alcuni punti. Viso impolverato, graffiato in vari punti e con qualche ciocca che disordina il viso tirato da una stanchezza presenta ma rilegata in un angolo remoto di un fisico prestante come non mai. Le mani sono avvolte in dei guanti perfettamente sterilizzati, le braccia rimangono spoglie e tirate decisamente più a lucido rispetto al resto del corpo, a quanto pare la pulizia e l’igiene sono ancora obbligatori anche in caso di emergenza come quello. In ogni caso i suoi passi lo portano nel pronto soccorso dell’ospedale, da qualche minuto è arrivato l’ennesimo ferito da ricucire. Un ragazzo con un morso sulla spalla, meglio darsi da fare.



    ShaneH ruola il tuo arrivo al pronto soccorso <3 Puoi tranquillamente rapportarti con un'infermiera che ti farà attendere l'arrivo del medico che puoi notare o meno! :rosa: In caso di dubbi sai come conttarmi :*):
     
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    Camminai ancora per qualche metro, finché, all'improvviso, mi accorsi di aver raggiunto un Ospedale. La fatica oramai divorava ogni essenza del mio corpo. La sentivo, la sentivo crescere in me. Ma oramai non potevo darmi per vinto, ero finalmente giunto nel luogo dove ricevere le cure. Non volevo di certo tornarmene a Suna con una spalla sanguinante, oppure addirittura senza un braccio. Volevo tornarmene in tranquillità e ricevere la ricompensa per quella folle missione.
    Detto questo, iniziai ad avvicinarmi alla porta d'ingresso, udendo subito un forte trambusto interno. Potevo sentirlo chiaramente: un vociare concitato da più zone, un camminare affrettato e qualche lamento. Dovevano esserci molti feriti.
    Spinsi lentamente la porta, facendola scorrere, per poi entrare zoppicando. La gamba sinistra mi si era un poco intorpidita, ma nulla di così tragico, il problema era la spalla sinistra.
    Immediatamente, non appena giunsi nell'atrio dell'ospedale riuscii a percepire un odore abbastanza unico nel suo genere. Sapete no? Quell'odore di ospedale, di sanità e detersivo, disinfettante, bisturi e "colla" (chiamata in gergo) per riattaccare la pelle dei malcapitati. Fissate nella mente quell'odore. Fatto? Beh, quel giorno il tutto era amplificato all'esasperazione.
    Volsi il mio sguardo verso una bimba a cui erano stati messi dei punti sulla guancia, che piagnucolava coccolata dalla madre.

    M-mamma... Sigh.. Papà starà bene??

    Poverette, dovevano avere un padre in missione per difendere il villaggio.

    Ma sì amore mio, tranquilla, vedrai che tornerà sano e salvo.

    Spostai lo sguardo, notando un'infermiera avvicinarsi con espressione abbattuta.

    Un altro ferito? Fammi vedere va...

    Sì avvicinò, osservando meglio la ferita. Di certo non ero in pericolo di morte immediata, ma il dissanguamento mi aveva già fatto perdere un po' di calore alla zona ferita. Fortunatamente la mano ancora rispondeva bene ai miei comandi, come l'intero braccio, ma la spalla la sentivo leggermente più fredda del normale. Attesi, mentre la ragazza osservava la ferita.

    Sei un genin immagino..

    Esattamente!

    Risposi, annuendo con il capo.

    E come ti sei procurato una ferita simile?Il buco che hai qui e qui sembra il morso di un qualcosa... L'affondare di un canino nella carne.

    Ci hai preso. Di un leone, praticamente.

    Ouch, deve aver fatto parecchio male vero? Poveretto. D'accordo, sei un codice rosso, poiché la ferita potrebbe essersi infettata. Siediti qui, dove sono gli altri pazienti, prestissimo giungerà il medico che si occuperà di te. Non stai per morire tra cinque minuti, quindi non ti pratico nessuna manovra di primo soccorso. Sta per arrivare uno dei migliori, quindi farà lui tutto nel migliore dei modi!

    Bene, menomale. Annuii, per poi sedermi attendendo l'arrivo del dottore.
    Passarono i minuti, lenti e pesanti. Tutto quel sangue e quei feriti dovevano essere qualcosa di terribile. Un qualcosa di straziante per i medici e gli infermieri. Dover affrontare la morte ogni giorno a viso aperto doveva essere stancante. Riflettei, quindi, sul perché molti di quei medici volessero usare le loro capacità per gli altri. Altruismo? Buon cuore? Sentirsi realizzati nella vita? Sbuffai. Non che non apprezzassi il sentimento e l'empatia di alcune persone, e per fare il medico devi averne, ma come poteva una persona investire così tanto tempo nell'aiutare gli altri? Appartenevo, ed appartengo, ad una visione diversa della vita.

    Non sarò mai quel tipo di persona.

    Mi dissi tra me e me, fissando in silenzio il pavimento.

    Il mio destino sarà ben diverso. Assolutamente.

    Continuai. In quel periodo, spesso utilizzavo il tempo per riflettere sul futuro. Su cosa sarei voluto diventare una volta scalate le gerarchie. E, dopo quell'evento così pericoloso, forse, qualcosa iniziò a muoversi. Volevo emergere, sì. Ma non imprigionandomi nelle vie scelte dalla società. Le mie scelte, le mie attitudini, mi avevano sempre emarginato dal mondo. Ma mai, come in quell'occasione, mi accorsi quanto fossi lontano dalla gente che mi stava attorno. E fu lì, in quell'attimo di riflessione che lo formulai:

    Dovrò trovare l'unicità dell'essere.

    Un pensiero enigmatico, una di quelle frasi che dice tutto e niente. Ma non era nulla di più e nulla di meno. L'intenzione vera, l'intenzione reale, che stava nascendo, pian piano, era quella di esplorare mondi non conosciuti e branche delle arti ninja perdute. Il desiderio di conoscenza montava, passo dopo passo, giorno dopo giorno, esperienza dopo esperienza. Ed un senso di responsabilità, di devozione verso quelle ricerche, cominciava a toccarmi. Non era un pensiero definito, non avevo un vero obiettivo, ma qualcosa era scattato. Una curiosità estrema e profonda. Volevo mettermi al servizio del sapere, riuscire a trasformare me stesso in quel sapere.
    Poi, d'un tratto, dei piedi entrarono nel mio campo visivo. Il mio sguardo fisso a terra sì alzo, lentamente, ed osservai un uomo tutto d'un pezzo osservarmi con sguardo vigile. Il mio medico era arrivato.

    Spero sia di tuo gradimento. Anche se è una semplice infermeria, vorrei renderla interessante poiché, l'evento a Konoha, è stato molto importante per il mio pg e lo sarà anche nel futuro.


    Edited by ShaneH - 17/2/2017, 08:20
     
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    Lo sguardo del dottore si posò sul suo ennesimo paziente, non rappresentava altro che una ferita da ricucire e nient'altro. Per quanto suonava poco professionale il suo interesse si limitava a quello, sicuramente rude ma un comportamento necessario per continuare a tirare avanti. Anni e anni di servizio sul campo si facevano sentire, il sangue dei compagni che scorreva tra le due dita servì soltanto a spegnere, lentamente, quel dolore che provava ogni volta che una vita veniva soffiata via davanti a lui. Qualsiasi cosa poteva provare dentro sé non una smorfia venne trasfigurata dal suo viso, impassibile nel suo sguardo glaciale che pagava dalla cartella sul corpo ingiuriato del Chunin.


    Leone?

    Domandò quasi stupito, una nota talmente lieve che sporcò un tono duro e dalla virilità quasi disarmante. Le pupille seguirono le ultime riga della cartella prima di fare un cenno con la testa al giovane. Evidentemente l’incaricato con cui aveva parlato il Genin poco prima aveva annotato delle informazioni nella cartella che il medico teneva in una mano.


    Seguirmi, la ferita va rinchiusa.


    Girò i tacchi e cominciò a muoversi in quel dedalo di persone ancora da curare, le schivava con una freddezza immane senza però sfiorarle. Non voleva loro del male, solo tenersi distante dal dolore che traspariva dagli sguardi e ferite di ogni persona presente. Se avesse potuto avrebbe aiutato tutti, sentiva quel bisogno corrodergli l’animo ad ogni passo, ad ogni lamento che giungeva alle sue orecchie. La volontà c’era, si sarebbe tolto addirittura la vita se potesse far tornare indietro anche solo una singola persona che ormai era stata spazzata via quel giorno. Purtroppo era lì, in quella spoglia mortale, a desiderare tutt’altro ma continuando a curare ciò che restava, a rimettere insieme i pezzi. Entrò in una stanza anonima, dentro l’ambiente era decisamente più calmo e un odore di disinfettate aleggiava pigro, un letto si trovava al centro della stanza mentre tutt’attorno c’erano strumentazioni, tavolini, strumentazione e qualsiasi cosa si poteva trovare in una normale stanza da pronto soccorso.


    Mettiti lì e levati la maglia, puoi anche buttarla te ne diamo una noi.

    Con un cenno del capo, l’ennesimo, fa segno di entrare e indica quel letto ricoperto dall’ormai familiare carta sterilizzata. Dopo aver chiuso la porta lasciando quel dedalo di feriti alle spalle andò in uno dei cassetti andando a recuperare una maglietta sterilizzata, ospedaliera, e qualche boccetta dal contenuto alquanto strano. Normale disinfettate per degli occhi più esperti, liquido rosso per chi non è ferrato in materia. In ogni caso comincerebbe il suo operato, con occhio clinico studiò la ferita cercando di seguirne i bordi e controllare se tutte le ossa erano ancora salde al loro posto.


    Prima di chiuderla devo disinfettarla, ci metterà un paio di minuti.

    E nel frattempo stappò la boccetta con una mano, ne versò il contenuto nella spalla andando a pizzicare la pelle del ninja con vigore. Quel liquido sicuramente bruciava ma bisognava ricorrere a metodi decisamente più drastici visto la fonte e l’entità della ferita riportata.

    Hai qualcosa di bello da raccontarmi?

     
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    Qualcosa dentro di me iniziava a crescere. Non folli piani di conquista. Né astrusi pensieri sull'umanità. Niente di tutto ciò. Qualcosa che rasentava la normalità più totale.
    Quante volte, da bambini, ci vien detto: "Studia! Sarai ricompensato!". Ebbene, volevo abbracciare quel principio.
    Per via delle mia natura per nulla dinamica e molto riflessiva, cominciai a notare, su quanto riflettere e pensare mi venisse bene. Già, già, ero proprio molto bravo. Pensavo, riflettevo, elaboravo ipotesi, strategie, teorie ed osservavo aspetti della vita che uno sfrontato o un vorace individuo non potevano cogliere. Leggere tra le righe, immedesimarsi negli altri. Ma non solo! Volevo ampliare la mia conoscenza. Ampliare i miei orizzonti, come si suol dire. Venni però destato dal torpore di tale pensiero quando il medico, il mio medico, giunse dove mi trovavo. Lo osservai per un istante, squadrandolo con espressione incuriosita.

    Anche lui dev'essere tornato da una battaglia...

    Incrociai il suo sguardo per un istante, restandone quasi folgorato. Immediatamente concentrai tutte le attenzioni su di lui, captando il minimo segno. Non sembrava come tutti i medici. Sapete? Quell'aria rassicuratrice che tentano di darvi quando varcate la soglia di un ospedale? Ebbene, nulla di ciò traspariva da quel tipo. Anzi, sembrava averne viste veramente troppe per raccontarle.
    Lo rispettavo, pur non conoscendolo. Sembrava sapere il fatto suo, sembrava essere davvero un uomo di valore. Non per il sangue sulla maglia, o per i pantaloni bucati. Ma il suo viso recitava ciò. Infine, parlò:

    Leone?

    Nel frattempo, mentre ero impegnato ad osservarlo, aveva già capito cos'aveva provocato la ferita.

    Sì, in parte ci hai preso.

    Risposi, notando che scorreva lo sguardo sulla cartella medica.

    Ok, d'accordo, non è un veggente e non ha fatto alcuna diagnosi. Ha letto solo la cartella. Che stupido.

    Pensai, tra me e me, mentre con un cenno mi invitò a seguirlo.
    Percorremmo un breve corridoio, la cui lunghezza però, nel momento stesso, sembrò infinita, interminabile. Sembravamo due privilegiati in mezzo a tutti quei feriti gravi. Sangue, ossa e lacrime. Ospedale di quel distretto era ridotto ad un concentrato di tutte quelle cose. E noi, invece, sembravamo baciati dalla fortuna. Capaci di camminare sulle proprie gambe: ma ci credereste mai? Probabilmente in altre mille situazioni di quel tipo saremmo stati soccorsi da metà quartiere, da casalinghe, persino da bambini intenti a dare una mano. Io con una spalla azzannata e quel medico in una condizione non pietosa, badate riusciva a reggersi benissimo sulle proprie gambe, ma era palese fosse tornato da uno scontro duro.
    In quello stato, in una situazione di normalità, noi saremmo stati l'anormalità del momento. Ma in quel caso no. L'odore di morte che si percepiva ad ogni angolo dell'edificio rendeva la mia condizione un qualcosa di passeggero.
    In quell'istante capii. Vi erano numerosi uomini e donne ridotte in stati peggiori del mio, che però richiedevano una costante vigilanza del loro stato di salute. Ed allora perché, perché volevano curare proprio me?

    Perché per loro non ci dev'essere molto da fare... Se non pregare.

    Conclusi, sempre pensando tra me e me.
    Entrammo in una stanza più silenziosa, priva di feriti e di sangue, chiudendoci l'orrore alle spalle.

    Mettiti lì e levati la maglia, puoi anche buttarla te ne diamo una noi.

    Annuii, per poi avvicinarmi al letto. Mi sedetti, in attesa, mentre lo vidi frugare all'interno di una cassetta del pronto soccorso. Ne cavò fuori: una boccetta che già conoscevo, che avevo visto nell'ospedale di Suna, ed una maglietta nuova. Dopodiché l'uomo si avvicinò, armato di boccetta. Osservava la ferita, muovendo gli occhi come a seguire i contorni della stessa. Stava sicuramente prendendo le misure per disinfettarmela. Ne ero certo. Anche a Suna venni sottoposto allo stesso trattamento e, ironia della sorte, era per l'altra spalla.

    Prima di chiuderla devo disinfettarla, ci metterà un paio di minuti.

    Sì, lo avevo intuito. Non sono nuovo a questo tipo di medicazioni...

    Sospirai, mentre versò un po' di liquido sulla ferita. Abilmente, il medico, cercò di distrarre la mia attenzione dalla ferita stessa, domandandomi:

    Hai qualcosa di bello da raccontarmi?

    Wow, quella domanda mi sorprese. Il motivo? Beh, diciamo che a Suna non ricevetti un trattamento simile. Il medico che mi curò, una ragazza, sembrava avere fin troppa fretta per interessarsi a me, come individuo. Mi ero sentito, all'epoca, come un pezzo di carne da dover sistemare. Quindi la domanda mi rallegrò un po'.

    Oh beh, Konoha è molto bella. Lo era, anzi, credo, prima del casino che è scoppiato. Ho lottato anch'io sai... E questo è un bel ricordo dell'accaduto. Ma non importa, ho imparato molto da questa giornata.
    Tu invece? Mi permetto di darti del tu.


    Aggiunsi, per non sembrare sgarbato.
     
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    Sì, lo avevo intuito. Non sono nuovo a questo tipo di medicazioni...

    Il medico alzò un sopracciglio, impossibile non notare quel velo di stupore che passò in quegli occhi sempre freddi ed inespressivi come il ghiaccio.

    Davvero? Sei passato parecchie volte sotto i ferri o studi medicina?

    Domandò tranquillamente, con un tono decisamente privo di qualsivoglia sentimento o tonalità peculiare di qualche stato d’animo. Nel frattempo, una volta che il disinfettante fece effetto si sfilò i guanti sterili e li buttò in un cestino accanto al muro. Si concentrò per richiamare quel chakra che scorreva vorace dentro il suo corpo, un flusso inarrestabile che afferrò con forza e costrinse in qualcosa di più regolare e decisamente costruttivo. Le sue mani si ricoprirono di uno strano alone verde dall’aspetto più tranquillizzante che preoccupante, i palmi ben aperti si posarono sopra la pelle lesa sfiorandone i legamenti recisi e la pelle ormai asettica. Come in un processo velocizzato il ragazzo poté sentire il suo organismo rispondere a quella strana stimolazione, le sue cellule aumentarono il ritmo di rigenerazione mentre lo sguardo vigile del medico continuava a tenere d’occhio la situazione. I lembi di pelle diventarono meno gonfi, i liquidi si riassorbivano lentamente mentre la ferita cominciava a ridursi ad un ritmo impressionante. La potenza di quella tecnica unita alle straordinarie capacità mediche del ninja riuscirono, in breve tempo, a richiudere il tutto lasciando una timida ferita pallida che si scorgeva appena in contro luce. Una sorta di firma da parte del villaggio, un ricordo per gli eventi passati in quella terra.

    Oh beh, Konoha è molto bella. Lo era, anzi, credo, prima del casino che è scoppiato. Ho lottato anch'io sai... E questo è un bel ricordo dell'accaduto. Ma non importa, ho imparato molto da questa giornata.
    Tu invece? Mi permetto di darti del tu.



    Lo era.. Konoha ritornerà come sempre, un fuoco non smette mai di bruciare lo sai? Anche il più piccolo tizzone può tornare a diventare un falò.


    Del resto il villaggio non era ridotto così male, aveva visto di peggio quella città segnata da una strana maledizione. Ogni volta che si rimetteva in piedi qualcosa la rimetteva in ginocchio, inesorabilmente.

    Io? Niente, semplicemente mi limito a fare il mio lavoro e non far morire la gente. Penso che tu li abbia notato là fuori, mi chiedo se potrò salvarli tutti.

    Le sue mani tornano ad un colorito normale mentre il chakra smette di scorrere tornando alla sua organizzazione confusionaria e non più ordinata. Si prenderebbe qualche minuto per riposarsi, non è affatto stanco ma sembra non voler riaffrontare quello che lo aspetta là fuori. Per quanto dura possa essere nulla appare nell’ espressione dell’uomo: duro e forte anche di fronte ad un piccolo vacillamento.

    Mi devi scusare, ho della gente da visitare. Se vuoi renderti utile puoi cercare di dare una mano al villaggio, altrimenti buon ritorno.


    Il suo tono è sempre lo stesso mentre si lascerebbe il ragazzo alle spalle, sparirebbe oltre la porta precedentemente aperta. Quel piccolo tizzone sepolto dentro l’uomo non si è spento e sarà suo compito, come quello di tutti gli abitanti di Konoha, mantenerlo acceso per il bene della sua terra, delle sue persone, della vita che tanto rinnega e protegge.



    Ultimo post per te :rosa: Io prendo 28
     
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    L'uomo, così concentrato nel suo lavoro, improvvisamente alzò il sopracciglio, come spesso usavo fare anch'io, per guardarmi meglio. Sembravo aver catturato, per un istante, la sua attenzione reale. Strano no? Non mi sembrava di aver detto nulla di così interessante, eppure...

    Davvero? Sei passato parecchie volte sotto i ferri o studi medicina?

    Domandò interessato. Ecco spiegato l'arcano: credeva di aver di fronte un apprendista medico. Sbuffai, scuotendo il capo.

    No, no, niente studi dottore. La medicina non è una branca che ha ancora catturato il mio interesse.

    Conclusi, notando che, dopo la mia risposta, era tornato ad occuparsi del proprio lavoro con concentrazione. Magari chissà, sperava di scambiare con un apprendista qualche parere, così, per distogliere i pensieri dai suoi compiti di routine. Purtroppo non potevo aiutarlo parlandogli di quanto mi interessasse la medicina poiché, a dirla tutta, non trovavo alcun interesse particolare verso di essa. L'idea di poter curare però, una parte del mio corpo ferita, senza dover per forza dipendere dal medico di turno, non era così malvagia. Ma mi interrogai, in quell'istante, se il gioco valesse la candela. Esercitare la professione di medico per tali vantaggi? Un lavoro simile? Così stressante?

    Non sono sopravvissuto allo schiavismo per chiudermi dentro un ospedale.

    Mi dissi, mentre il medico continuava il suo lavoro.
    Un rumore mi riportò sulla realtà, quando, all'improvviso, i guanti del ninja della Foglia caddero nel cestino. Il disinfettante lo aveva già posato sul comodino di fianco al letto, mentre sembrava pronto a proseguire con le cure.
    Attesi un istante, finché, come accadde con la rossa di Suna, le mani del medico cominciarono a brillare leggermente. Il chakra dell'uomo si materializzò sui palmi di quest'ultimo che, lentamente, con fermezza, fece aderire essi sulla mia ferita. Un pizzicorio, un bruciore passeggero, mi chiamò da lontano. La ferita si sarebbe rimarginata di lì a pochi secondi.
    Sorrisi, soddisfatto, mentre lo shinobi terminò la procedura. Spostai lo sguardo, poi, sulla spalla sinistra che ospitava, ancora pulsante, una piccola cicatrice piuttosto profonda. Tutto era andato per il meglio fortunatamente.

    Dottore, ora entrambe le spalle hanno un loro segno distintivo. Questa che ha rimesso a posto ha una cicatrice piccolina ma piuttosto profonda. Come se un canino fosse entrato, con violenza nella carne. Sì, non un bello spettacolo. E poi, a destra, invece, quest'altra. Questa dai, è più sobria. Non so neanche se è una cicatrice vera e propria... Sembra più un graffio.

    Conclusi, ma notai che il dottore se deva su di una sedia con gli occhi chiusi, perso nei suoi pensieri.
    Quell'immagine, fissa, si piantò nella mia testa per qualche secondo. L'uomo, così sicuro ed esperto in quel che faceva, sembrava totalmente diverso. Quasi sconfitto, dal peso che portava con sé. Un fardello enorme, che coinvolgeva mille e più feriti, mille e più morti. Ed io ero lì a bearmi delle mie cicatrici ridendoci su. Sospirai, riflettendo ancora.

    E' questo essere un ninja medico? Cercare cinque, brevi, minuti di riposo per compiangermi addosso? Non voglio fare questa maledetta fine. Pover'uomo.

    Con comprensione, rimasi in attesa, regalandogli un meritato silenzio ristoratore. Poi, di colpo, lo ruppe proprio lui.

    Mi devi scusare, ho della gente da visitare. Se vuoi renderti utile puoi cercare di dare una mano al villaggio, altrimenti buon ritorno.

    Non suonava come una richiesta d'aiuto, ma un po' lo sembrò. Forse vaneggiavo, e vaneggio ancora, ma sembrò essercene una vaga richiesta d'aiuto. Forse ero io, così impegnato nel cercare di leggere sotto le righe delle situazioni, per non capire mai la semplicità di esse. Sì, stava congedando, ma forse vi era anche dell'altro. Non potei mai saperlo, poiché la porta venne chiusa dopo pochissimi istanti: era andato.
    Rimasi lì dove mi trovavo, in silenzio.

    Il mondo è anche peggio. Ne sono certo. Non mi prenderò mai responsabilità così grandi. L'unica vera responsabilità sarò io, la mia carriera, il mio futuro, la mia vita.

    Conclusi, alzandomi in piedi.

    Non perderò le mie energie per gli altri. Nessuno per me lo ha mai fatto davvero.

    Terminai, uscendo dalla porta.
    Mi feci strada tra i malati: integro, sano, e felice. La morte mi aveva sfiorato, ma l'avevo elusa. Uno strano ghigno mi deformava il volto, ma non mi importava. L'impazienza, la superbia, mi guidavano. Volevo rifarlo ancora, volevo eludere la morte, schivandola. Camminai, camminai in mezzo ai feriti, soddisfatto della mia unicità. Amavo sentirmi unico, amavo sentirmi diverso. E mentre mi feci largo tra: sangue, ossa e disperazione, i miei pensieri erano tutt'altro che tristi.
    Forse, il giorno antecedente a quell'episodio, mi sarei fermato a dare un mano. Ma in quegli istanti di eccitazione la conoscenza mi aveva toccato. Ogni istante, ogni minuto, ogni ora sentivo di doverli dedicare a me stesso.
    Un servitore della conoscenza, niente di più, niente di meno.
     
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    Edited by Kuma° - 23/2/2017, 21:13
     
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