Personal Quest #2: Atshushi Nasushimo

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    Posta cronologicamente dopo lo scontro con Hisashi e prima della missione del pollaio.
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    Non tanto la sconfitta, fine a se stessa, era atta a far rimestare le membra del genin, quanto le consapevolezze che erano maturate mentre il combattimento volgeva al peggio. La semplice apprensione derivata dalle proprie limitate capacità era poi diventata una vera e propria conoscenza di sè nella giovane mente. A quell'età si è poco portati a lunghi ragionamenti o a riflettere sul proprio "io", ma Atshushi più volte era rimasto fermo a pensarci su: durante una passeggiata, mentre si allenava, quando non riusciva a dormire. Un tempo guardava gli angolo bui della sua camera e ne aveva paura. Ora invece, dal giorno della sconfitta, aveva smesso di farci a caso e rimaneva con gli occhi chiusi, speranzoso che il sonno arrivasse, mentre la mente divagava quà e là in cerca di una soluzione.
    Alcuni episodi si ripetevano molto frequentamente, forse anche troppo spesso. Non riusciva a digerire l'aria di sufficienza con la quale Hisashi lo aveva guardato dopo la sua resa. Vide in quei due occhi neri tutta l'indifferente compassione che riuscivano a esprimere.
    Gli avrebbe potuto fare molto male. Atshushi non aveva niente da poter usare contro il suo taijutsu, se non tecniche accademiche e altre di un livello appena superiore.
    Dopo che l'allenamento si era concluso, Atshushi con la scusa del fianco ferito si era subito ritirato a Kiri. Sulla via del ritorno, mentre scendeva il dorso di una collina cominciò a piovere leggermente. Arrivò al cancello nord del villaggio che la pioggerellina era diventata un vero e proprio acquazzone. Le guardie erano rintanate nel loro posto di guardi, ma non vi badò. Tirò dritto fino allla sua abitazione, passando per strade spazzate dalla pioggia. Le vie erano strette e contorte. Le pozzanghere già esistenti si ingrossavano mentre se ne formavano di nuove. Nessuno osava sfidare il maltempo e la strada era vuota e grigia. L'intero villaggio sembrava in lutto per il genin umiliato. Mise piede in casa, grondante di acqua.
    La casa era vuota e silenziosa con un pesante odore di muffa al quale l'unico residente era ormai abituato: tutto era nella norma. Sentiva la testa come avvolta in un panno di ferro che gli opprimeva i pensieri.
    Aveva temuto di incontrare Itomi lungo la via del ritorno. Il suo sensei gli avrebbe detto che non era capace di essere un ninja, che non fosse degno del coprifronte. Trovando la casa deserta, aveva potuto vincere anche l'ultimo timore. Non c'erano nemmeno lettere a terra, a quanto pare la notizia della sua incapacità non si era ancora diffusa. Slacciò il coprifronte e lo lanciò con noncuranza sul tavolo sicuro che non l'avrebbe più dovuto indossare, ma lo mancò e finì sul pavimento con un rumore metallico.
    Aveva bisogno di farsi una doccia. Si strappò letteralmente via di dosso la felpa, allargando il buco aperto dall'affilato shuriken. La lasciò nel corridoio che dalla cucina portava al bagno e alla camera da letto. Entrò in bagno mentre si abbassava i pantaloni bagnati di pioggia e cercava di far uscire i sandali dai piedi sfregandoli l'uno contro l'altro. In un attimo fu davanti allo specchio, nudo se non per la sottile maglia che aderiva umida fino a mezzo bicipite.
    Non era meno zuppa del resto dell'abbigliamento e lungo il fianco il sangue aveva creato una macchia scura. I capelli corvini erano impregnati d'acqua e ricadevano in pesanti ciocche sul pallido viso. Lesse una strana inclinazione nel suo sguardo che non seppe interpretare.
    Trasse un profondo un respiro e tolse anche la maglietta. La pelle era umida e sul petto bianco e ossuto penzolava la piastrina di grigio metallo con la sua data di nascita: era tutto ciò che sapeva sul suo passato. Sentì l'impulso di piangere per quella vita maledetta che doveva vivere, ma si trattenne. Scese con lo sguardo fino alla ferita sul fianco. Il sangue rappreso era sbiadito e un alone rossastro incorniciava un taglio di vivido rubino. "Io non sono nemmeno riuscito a sfiorarlo".
    Il duello era stato brevissimo, ma se si fosse protratto più a lungo l'unico a riportare lividi e ferite sarebbe stato lui. Con quella demoralizzante consapevolezza lasciò che l'acqua calda portasse via tutto. La ferita, sollecitata dall'acqua, ricominciò a sanguinare. Dopo essersi asciugato macchiando l'accappatoio, con indosso un paio di boxer cercò di medicarsi. Rastrellò nei vari cassetti un paio di cerotti e del disinfettante. Quest'ultimo messo bruciò fino a fargli dimenticare il motivo del suo malumore, ma fu soltanto un momento.
    Si sentiva a terra. Non credeva che una persona potesse essere demoralizzata al punto da ignorare ogni qualsiasi altro stato d'animo. Ricordò di essersi ripromesso di andare quella sera stessa in biblioteca per dei rotoli, ma sentiva le gambe molli e l'unica cosa che volesse fare era sdraiarsi in attesa dell'inevitabile. Era certo che non sarebbe più potuto essere uno shinobi. Come poteva fare il ninja? Aveva un repertorio scarno, un fisico emaciato, non si dimostrava particolari capacità mentali. Nel duello con Hisashi era in svantaggio, avrebbe dovuto capovolgere la situazione con qualche piano, ma l'unico pensiero razionale che gli era venuto in mente era stato di rifugiarsi su un albero. Chi volevano prendere in giro dandogli quel coprifronte? Non sarebbe mai dovuto essere un ninja. Non era il suo destino, forse sarebbe dovuto morire affogato quattro anni prima.
    Non doveva essere ancora mezzogiorno, ma non appena si sdraiò dormì profondamente, come non aveva mai fatto.


     
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    Si era addormentato con la pioggia che batteva con violenza contro la finestra. Quando si svegliò, del ruggente temporale non era rimasto che una lieve pioggerellina.
    Gli sembrava di aver dormito per una vita intera e ora aveva perso la cognizione del tempo. La sveglia segnava un orario ambiguo. Erano le sei e venti del mattino, o forse della sera, non riusciva a capirlo. Un cupo grigiume aleggiava oltre il vetro rigato da tante piccole gocce e di certo ciò non aiutava il genin ad prendere coscienza di che ora fosse. Decise che non era importante e si alzò a sedere.
    Sentiva la testa pesante come se avesse un grosso masso al posto del cervello. Le coperte gli scivolarono di dosso e si riscoprì nudo se non per boxer mentre impalpabili dita gelide gli giocavano a inseguirsi lungo la sua nuda pelle. La piastrina lo faceva rabbrividere ancor di più quando gli sfiorava il petto: fredda come la morte, fredda come la vita, la sua. Il sonno lo aveva preso prima che potesse vestirsi, prima che potesse fare i conti con la realtà. Girò il letto per andare all'armadio e cacciò i primi indumenti che gli capitarono tra le mani.
    Era ancora irrigidito dal freddo e dal sonno quando si ritrovò ad affrontare faccia a faccia la proprio vita. Sullo scadente pavimento del corridoio, ancora bagnata, c'era una felpa raggrinzita. La alzò e vedendo lo strappo insaguinato i ricordi sfondarono gli argini della stanchezza invadendogli la mente. Aveva dormito come un sasso dimenticando tutto ciò che gli causava un eccessivo stato di apprensione.
    Era stato sconfitto nell'allenamento col suo compagno di team, Hisahi, e ora aveva la consapevolezza di non essere portato per essere un ninja. Gettò via la felpa e uscì di casa.
    In strada faceva freddo. L'umidità lo avvolse appena cacciò il naso fuori dal portone del suo condominio. Una pioggia leggere e impertinente batteva sui tetti e sulla strada, costringendo i passanti a girare sotto pesanti mantelli oppure ombrelli o entrambi.. Atshushi tornò di sopra al secondo piano, dov'era il suo appartamento, per prendere anche lui qualcosa per ripararsi dalle umide intemperie kiriane. Purtroppo, non si poteva permettere un buon mantello, di quelli foderati all'interno di stoffa calda e incelofanati all'esterno per essere impermeabili, ma per fortuna aveva un vecchio ombrello.
    Per strada, la pioggia infangava ancora la via e un la nebbia sembrava munita di perfidi artigli ghiacciati capaci di scivolare sotto la felpa del ragazzo. Quel pomeriggio la via era deserta, ma ora, sotto la tenue luce dei lampioni, il villaggio sembrava aver ripreso vita. Passanti andavano di negozio in negozio, altri camminavano rapidi schivando pozzanghere e fango, altri ancora si tenevano passeggiavano tranquillamente lasciando saluti disitenressanti a chi incrociavano, incuranti di quel clima che forse era per loro un vecchio compagno.
    Adorava Kiri in quelle occasioni: il sole era calato e il cielo si era fatto ancora più scuro, senza stelle e luna, mentre gli edificini perdevano concretezza tra l'invadente foschia, assidua frequentatrice delle vie del villaggio. Gli abitanti sbrigavano le loro commissioni e svelti tornavano nelle loro case sotto un livido cielo.
    Atshushi abitava in uno dei quartieri peggiori. Le abitazioni erano ai limiti della decenza, mentre le tortuose vie erano costeggiate dalle attività di piccoli rivenditori e vari artigiani che solitamente tenevano il loro laboratorio nel retrobottega. C'era un negozio in particolare che catturava sempre l'attenzione del ragazzo fin da quando aveva iniziato a vivere lì. Aveva una strana insegna recante un nome intrigante: "Il Droghiere". Peccato che la parte finale era spenta da sempre e si riusciva a leggerla sono quando la visibilità era buona, quindi molto raramente. Perciò, Atshushi aveva attribuito a quel luogo un soprannome ancora più accattivante: "Il Drog". Una volta lo aveva detto a un ragazzo con cui aveva giocato a palla. La palla era del ragazzino, ovviamente. Doveva essere al primo o al secondo di accademia e si trattava di uno degli sporadici tentativi di instaurare rapporti con qualche essere umano. Era un giorno soleggiato di estate e il piccolo parco a un paio di strade di distanze era stato pieno zeppo di bambini chiassosi e felici per tutto il giono. Quando il sole aveva cominciato a farsi arancione, a poco a poco erano andati tutti quanti via chi con i genitori, chi con gli stessi amici con i quali stava giocando. Ne era restato soltanto uno che continuava a far rimbalzare la sua palla senza fretta. Athshushi allora si fece coraggio e scese dall'albero dove era stato rintanato tutto il giorno ad osservare. La folla non gli piaceva. Forse quel ragazzino era come lui: solo e senza orari da rispettare. Non ne ricordava il nome, nè il volto, ma ricordava di aver giocato con lui. Ricordava come le prime stelle si erano accese sopra le loro giovani teste, seguite dai lampioni. Si era vantato di conoscere un posto magico che lui stesso aveva chiamato "Il Drog" e che magari potevano andarci insieme. Ma l'anonimo ragazzino lo aveva sferzato col suo infantile cinismo. Non c'era nulla di magico in quel luogo e chiunque lo chiamava in quel modo perchè molti credevano che fosse proprio quello il nome reale di quell'emporio. Sentitosi svilito, aveva deciso di congedarsi e nonostante avesse un appuntamento con quel giovane il giorno dopo, preferì evitare di vederlo.
    Svoltato l'angolo c'era uno straniero della terra del fuoco che aveva aperto un ristorante specializzato in carne di tutti i generi. Ristoranti all'aperto e bancherelle ambulanti non attecchivano molto a Kiri per ovvie ragioni e quindi all'esterno sembrava una semplice bottega come tante altre, ma all'interno si dovevano almeno snodare un paio di sale abbastanza spaziose. Era l'edificio più lussuoso nel raggio di parecchie iarde e c'era sempre un andirievieni di clienti dalla stretta porta. "Gli abitanti del luogo devono essere abituati a piatti di pesce." aveva ipotizzato tempo prima. "Forse, per questo uno straniero ha fatto tanto fortuna cuocendo carne."
    Stavolta, però, aveva lasciato lo spirto d'osservazione da qualche altra parte, forse sul pavimento di casa insieme al coprifronte e ai panni testimoni della sconfitta. Aveva ripromesso a se stesso durante il combattimento che non appena fosse tornato al villaggio sarebbe andato di corsa in biblioteca per cercare di trovare una tecnica capace di renderlo più competitivo, ma da quando era rincasato non aveva altro che dormire e rassegnarsi all'idea di non essere tagliato per la vita da shinobi. Forse avrebbe dovuto anche lui un ristorante, potendo dire di essere arrivato da chissà quale esotica terra. Avrebbe inventato un menù particolare, unico. Avrebbe potuto chiamare il suo ristorante "Il Naufrago Fortunato". Già, avrebbe potuto. Ma non era in grado nemmeno di cucinare per se stesso e non si sentiva nemmeno minimamente fortunato. Come puo' un naufrago essere fortunato?
    "Nindo" quell'unica parola oscillava nella giovane mente di Atshushi, ipnotica come un pendolo, mentre si faceva largo tra pioggia e foschia, avanzando tra fanghiglia e pozzanghere senza una meta da raggiungere. Perchè non era di certo in biblioteca che stava andando. Non sarebbe più stato un ninja, che senso aveva imparare nuovi jutsu?
    In accademia era solito fantasticare su come sarebbe stata la sua vita di ninja, cosa avrebbe fatto e come avrebbe agito; che tipo di shinobi sarebbe stato e quale sarebbe stata la sua fine. L'idea di morire lo terrorizzava non poco, ma l'idea di non essere adatto a quel mondo di kunai e jutsu lo faceva sprofondare in un baratro oscuro. Cosa ne sarebbe stato di lui? Non aveva un vero e proprio nindo, e non ne stava cercando uno, ma sapeva che se lo avesse trovato prima che fosse troppo tardi sarebbe riuscito a rimettere assieme la sua autostima frammentata. Con questa speranza, vagheggiava per il villaggio, con dita fredde che lo stringevano e l'ombrello lo riparava dalla pioviggine. Ma cosa poteva sperare di trovare?
    Un uomo incapucciato gli si parò davanti. Dovette fermarsi di scatto per non andargli a sbattere.
    -Atshushi?- Sembrava sorpreso, ma il tono di voce era piatto e calmo. -Cosa ci fai quì?- Persino nascosto sotto un pesante mantello, aveva un'aria familiare.
    Si rese conto di essere finito in una via deserta, dove i lampioni erano radi e la nebbia li offuscava aggressivamente. Il cuore gli balzò nel petto.
    -Sei pallido.- Una chiostra di denti bianchi risplendette nella notte.
    I-Itami-taicho?!


     
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    -Veramente preferisco essere chiamato Itomi-
    -Scusatemi Capitano- Sentì un ignoto calore salirgli fino alla punta delle orecchie: aveva appena pronunciato male il nome del jonin, suo supervisore.
    -Dove stai andando?-
    "Vorrei tanto saperlo anche io" Tuttavia la necessità di una risposta lo costrinse a tirar fuori una banale scusa che più si avvicinava alla verità. -Stavo soltanto passeggiando.- La voce gli si incrinò in gola smorzando il suono delle parole lasciando Atshushi terrorizzato di fronte all'austera figura ammantata nell'umida notte Kiriana.
    -Non è esattamente la serata perfetta per fare una passeggiata, non credi?-
    Atshushi rimase in silenzio- Quanto era stato stupido: non solo non era tagliato per essere un ninja, ma lasciava molto a desiderare anche nelle vesti di mentitore.
    -Tuttavia non è che quì a Kiri ci sia mai un momento ideale per una passeggiata. Certo, a meno che tu non sia un amante di nebbia e pioggia. Atshushi, ti piace camminare sotto la pioggia?
    -Io, io credo di preferire la nebbia, signore.
    -Non siamo poi tanto diversi allora. Comunque non credo che sia opportuno continuare a parlare quà fuori. Ti va di accompagnarmi per una commissione?-
    Atshushi annuì e Itomi gli fece strada fino a una locando vicino la porta est del villaggio, dove sorgevano addossate l'una all'altra gli edifici più poveri del villaggio.
    Già dall'esterno la locanda rientrava perfettamente nel panorama di quel distretto. Una sola lanterna, battuta dalla pioggia, oscillava da una catena sferragliante e dalla sua luce altalenante si poteva scorgere l'insegna dell'attività: "Lo storpio incolume". Forse c'era anche una raffigurazione, ma l'oscurità la copriva. La struttura era a due piani, forse due a mezzo, difficile a dirsi.
    Itomi aprì la porta di legno marcio ed entrò. Atshushi lo seguì da dietro, dopo aver chiuso l'ombrello. La porta apriva direttamente sulla strada, senza un portico o anche una copertura per i viandanti, così gli toccò beccare un po' d'acqua prima di mettere piede nel degradato salone.
    Un'acre odore di muffa gli assalì le narici accompagnato da vari odori indistinguibili, ma disgustosi. La sala era illuminata poco e male. Alcuni clienti stavano chini sul lungo bancone che si allungava a lato, mentre pochi tavoli accoglievano ospiti, tuttavia su gran parte di essi c'erano bicchieri o piatti sporchi.
    -Seguimi-. Itomi avanzò tra sedie, tavoli e ubriachi fino ad arrivare a un tavolino incassato nell'angolo più lontano e più buio dalla porta dalla quale erano entrati. Il jonin posò un dito sulla candela spenta che stava abbondanata sul tavolo, poi lo allontano. Un attimo dopo un'esile fiammella gli illuminò il volto: la candela era accesa.
    -Allora, ti va di dirmi perchè sei così scosso?-
    Atshushi impietrì. Era davvero così evidente il suo dissidio interiore? "Come fa ad averlo già capito?" Evidentemente si era davvero lasciato andare alla più amara e triste autocommiserazione che l'aveva ridotto a uno stato tanto penoso.
    -Non ti va di parlarne con me? Sono il tuo capitano ed è mio dovere istruirti affinchè tu possa diventare un chuunin, ma è anche mio compito prendermi cura di te.-
    "Diventare chuunin..." Soltanto poco tempo prima aveva realizzato di non essere degno di essere un genin e lo credeva ancora tuttora.
    Itomi sospirò e posò i gomiti sul tavolo. Erano seduti l'uno di fronte all'altro.
    -Guardami Atshushi. E rispondimi.-
    Atshushi provò ad alzare gli occhi, ma una forza invisibile gli impediva di tenere dritta la testa. -Non credo che diventerò mai un chuunin, anzi io... Le parole gli si incastrarono in gola e sentì un nodo stringergli la trachea.
    Perchè dici una cosa del genere? Non mi sembra che l'ultima missione sia andata poi così male. Non è con le livello D che si valutano le vere capacità di un ninja, lo sai?
    La missione non c'entra! Sono io il problema, non sono fatto per essere un ninja. Uno shinobi dovrebbe saper combattere o almeno sapersi difendere. Io invece sono un completo incapace!
    Itomi sorrise ancora, Atshushi stavolta aveva avuto il coraggio di guardarlo mentre parlava e quei denti bianchi e perfetti gli fecero rivoltare lo stomaco. Aveva deciso di aprirsi al suo capitano e questo gli rideva in faccia. -Non c'è nulla di divertente-
    Arrivò un cameriere, che salutò educatamente il jonin ed ignorò il genin, prese le ordinazioni da Itomi che scelse due porzioni di zuppa calda e li lasciò soli.
    -Invece mi sembra tutto davvero buffo Atshushi. Perchè credi di non essere capace a combattere? Non credo che tu abbia mai davvero fatto un duello, ma forse tu ed Hisahsi avete seguito il mio consiglio e vi siete allenati insieme?- Atshushi assentì appena col capo. -Come pensavo. Ovviamente Hisashi ha dimostrato la sua superiorità, dico bene?-
    Lo costrinse ad assentire nuovamente.
    -E questo ti ha abbattuto a tal punto da vagare come un fantasma sotto la pioggia di Kiri.-
    -Lei non capisce. Non sono riuscito a combinare nulla, invece Hisashi ha evitato tutti i miei attacchi e non ne ha fallito nemmeno uno dei suoi. Sono riuscito soltanto a scappare su un albero e nascondermi. Per fortuna ho avuto il buonsenso di scendere e arrendermi.-
    Itomi gli sorrise ancora, stavolta più benevolmente. -Hai appena ammesso di non essere privo di qualità. Hai buonsenso che non è cosa da poco.-
    -Ma non combatte al posto tuo sul campo di battaglia-
    -Però ti aiuta a combattere meglio e a volte ti permette anche di non combattere, riuscendo comunque nello scopo. Noi siamo shinobi, non soldati. La nostra forza non si rivela soltanto nell'uso della armi.- Si prese una pausa per guardarsi intorno e Atshushi lo imitò. La locanda era come prima, c'era soltanto qualche cliente in meno e qualche candela in più si era spenta dando all'ambiente un'aurea ancora più tetra.
    -Non dico che non devi concentrarti sulle tue abilità combattive- continuò il jonin. -bensì che tu non ti debba far abbattere da episodi come questo. Hisashi è più grande di te ed è un esperto di taijutsu. Tu hai appena raggiunto l'età minima per essere un genin e sono certo che la tua via è quella dei ninjutsu o dei genjutsu. Non c'è da sorprendersi se lui sia molto più forte di te ora. Quante tecniche conosci oltre a quelle accademiche?-
    -Poche e tutte inutili per attaccare o difendermi.-
    -Dimostri di non essere stupido. Hai già inquadrato il problema: non puoi fare faville e battere un avversario che ti tempesta di pugni mentre tu hai soltanto la Kawarimi no jutsu per difenderti. Suppongo tu abbia imparato altre tecniche diversive per dar loro una definizione quindi ora invece di rimuginare sulle scontro perso vai a dormire e domani vai ad imparare nuove tecniche. E se dovessi fallire ancora, che sia una missione o un combattimento, chiediti perchè hai fallito e cosa devi fare per non fallire ancora. La forza di un ninja non sta in quanti duelli vince o perde, ma in quanti insegnamenti trae dalla sua vita.- Itomi lo aveva lasciato allibito.
    Non c'era niente che potesse rispondere, aveva ragione ed Atshushi lo sapeva. Piangersi addosso non aveva senso ed era da falliti. Credere di non essere tagliati per la via del ninja per un allenamento perso a dodici anni era anche più da fallito. Si sarebbe allenato ancora, avrebbe ampliato le sue conoscenze in ninjutsu e sarebbe diventato un ninja degno del coprifronte che portava.
    -Mi prometti una cosa?- gli chiese il suo capitano. -Promettimi solennemente che non mi metterai più in condizioni di fare discorsi del genere. Odio fare il moralista per ragazzini indisposti. Mi ha deluso vederti così stanotte.
    Itomi quella sera gli aveva mostrato una parte di se della quale Atshushi era rimasto affascinato. Con poche e semplici parole gli aveva risollevato il morale e per un attimo aveva lasciato la sua cappa di mistero e indifferenza verso il mondo esterno. Tuttavia sembrava fosse già tornato a fare la parte dello stoico.
    Glielo prometto capitano, non permetterò più che un passo falso mi affossi così. Da oggi ad ogni mia sconfitta o errore farò seguire un allenamento per colmare le mie lacune. Non la deluderò più.
    Arrivarono le zuppe calde e ad Atshushi la vista di quell'impiastro fumante gli fece spalancare lo stomaco. Aveva appena messo mano al cucchiaio che Itomi si alzò.
    -Non preoccuparti, devo andare soltanto alla latrina. Torno subito.-
    Così Atshushi rimase solo a svuotare la sua scodella, mentre il jonin sembrava essersi perso. Fu la visita al bagno più assurdamente lunga che Atshushi avesse mai visto.
    -Perdonami, ma ci è voluto più del previsto. Hai mangiato? Bene, possiamo andare-
    -Ma lei non ha nemmeno mangiato!- Obiettò il genin.
    Dal solo occhio del jonin arrivò uno sguardo duro e severo.
    -Promettimi che non parlarei mai a nessuno di questa sera.
    Atshushi lo promise.



    finalmente finita
     
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    La sera vado a letto con due bicchieri sul comodino. Uno pieno d'acqua e uno vuoto, nel caso abbia sete oppure no.

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