Estorsione

PQ

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    There is no God and we are his prophets

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    L e g e n d a
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            Incipit
    Per tutta la gioventù Revy ha vissuto nella fattoria di famiglia, localizzata in un piccolo villaggio sperduto nei deserti a ovest di Suna. Le giornate le trascorreva frequentando la scuola e nel tempo libero lavorava in fattoria, come la maggior parte dei suoi pochi coetanei. Ma gli anni passavano con terribile lentezza perchè dentro di sé Revy ardeva dal desiderio di lasciarsi quella monotonia alle spalle per intraprendere la via del Ninja. Il sogno di diventare uno Shinobi era un chiodo fisso piantato in profondità nel teschio del ragazzo. Non faceva altro che pensarci. Innumerevoli le notti che aveva passato insonne, disteso sul tetto di casa propria a fissare le stelle, fantasticando di un sé stesso alternativo che invece esistere in quel buco dimenticato dal mondo, frequentava l'accademia Ninja divenendo ogni giorno sempre più abile e capace. Tutto ciò andò avanti per anni e portò a molti interminabili litigi con i genitori, i quali non esitavano a tarpargli le ali ogni qualvolta Revy esprimeva liberamente i suoi desideri. Lo volevano lì alla fattoria, a portare avanti assieme al fratello ciò che la famiglia Boruken aveva costruito generazione dopo generazione.
    Ma in tutti quegli anni il fuoco che ardeva dentro il ragazzo non accennò mai ad affievolirsi, ed il motivo era semplice: Revy sapeva che compiuti i quindici anni di età sarebbe stato considerato indipendente dal resto del nucleo famigliare. A quel punto i genitori non avrebbero più potuto impedirgli di compiere le proprie scelte in autonomia.Ed infine il giorno del quindicesimo compleanno di Revy arrivò...



            Inverno del 19 d.Z. - Giorno del compleanno
    Ovviamente non aveva chiuso occhio. Tutti gli averi di Revy erano impachettati in un angolo della sua stanza e lui aveva passato la notte seduto sul letto ad osservarli con il ritmo cardiaco accelerato. Non c'era stato un singolo minuto in tutta la notte in cui il suo cuore avesse rallentato. Ora che il sole era sorto Revy era esausto, ma non gli importava, ne valeva la pena. Cominciava a percepire i rumori dei suoi famigliari che si svegliavano, si rigiravano nel letto, camminavano sul pavimento scricchiolante per raggiungere un qualche armadio o il bagno. Presto si sarebbero riuniti in cucina per fare colazione. Ma il ragazzo non si mosse dalla sua stanza. Non si mosse perchè non voleva vedere i suoi genitori. La sera prima era avvenuta l'ennesima litigata, la più intensa di sempre. Revy aveva annunciato cosa avrebbe fatto il giorno dopo, ed ai genitori questo non era andato giù, specialmente al padre. Nessuno aveva desistito dalla propria posizione, quindi oramai si sapeva che Revy se ne sarebbe andato l'indomani.

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    «Revy»

    Eppure il ragazzo sapeva che nel profondo i genitori pensassero che in realtà fosse tutto un bluff, che il loro figlio un po' ribelle non avrebbe mai osato spingersi a tanto. D'altronde, bene o male si trattava di una famiglia felice. Quindi Revy non aveva nessuna voglia di scendere ed incontrarli, perchè sapeva che stava per dargli la delusione più grande della loro vita. Ma ormai gli accordi erano stati presi: da un momento all'altro sarebbe arrivato un carro che l'avrebbe raccolto assieme a tutti i suoi bagagli e l'avrebbe portato al Villaggio della Sabbia.
    I suoi pensieri furono interrotti da un inconfondibile suono di sferragliamento lungo la strada che portava alla fattoria di famiglia. Con uno scatto improvviso Revy si alzò dal letto e si affacciò alla finestra. Voleva confermare con i propri occhi ciò che i timpani avevano già percepito: era arrivato il carro che l'avrebbe portato a Suna.
    Per un lungo momento il ragazzo rimase a guardare il carro che si avvicinava dondolante, mentre il suo respiro si faceva affannoso ed il battito cardiaco arrivava a martellargli le tempie. Non riusciva a distogliere lo sguardo da quel veicolo. Significava così tanto! Quel carro l'avrebbe portato verso una nuova vita, una svolta che Revy aspettava da anni. Era eccitato, ma allo stesso tempo terrorizzavo. "E se mamma e papà avessero ragione? E se fosse tutto un grande sbaglio? Magari essere uno Shinobi non è come penso, forse dovrei rimanere qui a casa... in questa fattoria ho un futuro assicurato, privo di rischi ed imprevisti, ed io sto buttanto tutto all'aria per inseguire un sogno che potrebbe trasformarsi in un incubo. Forse dovrei essere più grato per quello che i miei genitori mi hanno dato." pensò il ragazzo. Pensieri che aveva avuto già più e più volte per tutta la vita, domande che lo tormentavano e a cui non riusciva a dare una risposta definitiva. Ed anche se ogni volta si era ripromesso di non ricadere più negli stessi pensieri, questi riaffioravano. Ma Revy sapeva che erano pensieri dettati dalla paura di sbagliare.
    «Se la paura di sbagliare mi impedisce di provare, non saprò mai cosa mi sta aspettato oltre il confine...»
    Mormorò Revy tra sé e sé. Un mantra che le sue labbra avevano pronunciato già innumerevoli volte, la preghiera che gli permetteva di scacciare tutti i dubbi che gli affollavano la mente. Ma questa volta era la più importante, perchè nel momento in cui fosse salito su quel carro, non ci sarebbe più stato spazio per la paura.
    Il lungo momento cessò quando la lenta corsa del carrò terminò difronte alla fattoria, proprio sotto la finestra da cui Revy si era affacciato. Era giunto il momento di uscire dalla propria stanza ed affrontare le conseguenze delle proprie scelte.

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    «Revy» | «padre di Revy»

    Con gambe tremanti e gola arida, Revy si caricò in spalla il pesante zaino per poi afferrare una valigia in ogni mano. Varcò la soglia della propria stanza e scese giù per la stretta scalinata che portava in cucina, dove sapeva che avrebbe trovato i genitori ed il fratello oramai intenti a fare colazione. Invece quando posizionò un passo incerto sull'ultimo scalino, trovò la cucina completamente deserta. Per qualche momento rimase lì, spaesato e insicuro sul da farsi. Ogni mattina della sua vita scendendo le scale aveva trovato papà seduto a tavola e mamma indaffarata ai fornelli per prepararela colazione. Non era mai capitato uno scenario in cui la cucina fosse vuota a quell'ora del mattino. Fu in quel momento che Revy realizzò la vera gravità della propria scelta, ed ogni sua convizione vacillò pericolosamente. A quel punto si diresse verso l'uscita e quando spalancò la porta con una spinta, il fratello ed i genitori erano lì ad aspettarlo. Erano girati verso il carro, ma quando aveva aperto la porta, tutti si erano girati verso si lui. Revy incrociò prima lo sguardo del fratello, il quale si affrettò a guardare da un'altra parte come se si vergognasse. Poi guardò propria madre, le cui guance erano solcate dalle lacrime e gli occhi puntati a terra, nella sabbia ai piedi del figlio. Infine condivise un lungo sguardo con il padre, l'unico che sostenne quel confronto. Negli occhi di papà lesse la solita disapprovazione, ma per la prima volta notò una punta di tristezza che gli gelò il sangue nelle vene. Per un interminabile momento nessuno osò rompere il silenzio, poi il padre di Revy pronunciò le parole che il quindicenne temeva di più:
    «Se sali su quel carro, non tornare mai più indietro!»
    Nessun figlio vorrebbe sentir pronunciare quelle parole dal proprio padre. Anche se Revy sapeva che suo padre non l'avrebbe mai sostenuto nella sua decisione, nel profondo aveva ingenuamente sperato che il papà alla fine l'avrebbe quantomeno capito, o comunque che rispettato questa difficile scelta. Scoprire che invece quell'uomo fosse pronto ad eliminare il figlio dalla propria vita, ferì Revy profondamente. Percepì chiaramente le fibre muscolari dei proprio cuore tendersi con violenza fin quasi a lacerarsi. Per poco il giovane non crollò a terra sopraffatto dall'emozione. Era come se suo padre fosse appena stato assassinato difronte ai suoi occhi, e che non potesse incolpare nessuno dell'omicidio se non sé stesso. Ma il ragazzo nei suoi più oscuri pensieri aveva anticipato anche questo possibile epilogo e si costrinse quindi a non desistere, nonostante in quell'esatto istante avesse appena perso la propria intera famiglia, così, come se niente fosse. Una famiglia che tutto sommato amava, perchè gli aveva donato tanto. Revy non cedette e dal suo volto rabbuiato come una notte senza luna vennero pronunciate le ultime parole verso il padre:
    «Mi dispiace papà...»

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    "Chi sia io non è importante - è il mio messaggio ad esserlo."

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    «Revy» | «padre di Revy» | «madre di Revy»

    Sistemò la presa sulle valigie e s'incamminò verso il carro che lo aspettava qualche passo più avanti, passando tra il padre furente e la madre scossa dai singhiozzi. Ad ogni passo la speranza che qualcuno dei tre famigliari che si stava lasciando alle spalle gridasse il suo nome si faceva sempre più fievola e quando infine raggiunse il carro, anche il volto di Revy era solcato dalle lacrime. Con un immenso vuoto dentro il petto caricò le due valigie e lo zaino nel retro del carro trainato da un cavallo, per poi issarsi anche lui assieme ai propri averi. Frugò con mani tremanti in una tasca dello zaino per recuperare il piccolo pacchetto di banconote che porse al conducente per pagare il trasporto, dicendo con un filo di voce:
    «Puoi andare.»
    L'uomo non se lo fece ripetere due volte, ma nell'istante stesso in cui scosse le briglie per incitare il cavallo al trotto, un grido disperato interruppe il silenzio:
    «REVY ASPETTA!»
    Il ragazzo riconobbe a stento la voce della madre, tanto era spezzata dalla tristezza.
    «Fermo!»
    Si affrettò a dire al conducente. Poi si voltò verso la fattoria, e vide la donna quasi inciampare mentre correva per raggiungerlo.
    «MAMMA...»
    Rispose il ragazzo. Era stato colto così tanto alla sprovvista da quel grido, che il panico si impadronì del suo corpo, ed improvvisamente si sentì indifeso. Pensava che la madre volesse ancora una volta convincerlo a restare, e temette di essere troppo debole resistere anche questa volta. Quando la donna lo raggiunse, gli afferrò la mano tra le sue e la strinse con calore. Gli sguardi di entrambi si fissarono l'uno nell'altro senza battere ciglio per un lungo momento, nonostante le lacrime che innondavano gli occhi sia di madre che di figlio. Revy non sapeva cosa dire ed anche la madre parve faticare a trovare parola. Ma ciò che infine disse la donna, lasciò il giovane esterrefatto:
    «Revy... ti prego... perdona tuo padre... perdonalo... perdonaci tutti...»
    Detto ciò si voltò e, come era arrivata, se ne andò.
    "Tutto qua?" pensò Revy mentre il carro partiva aggiungendo rapidamente distanza tra lui e la sua famiglia. "Tutto qua?" si ripetè ancora una volta. La madre non aveva cercato di fermarlo, ne aveva cercato di consolarlo, ne gli aveva detto che era dalla sua parte, che lo sosteneva.

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    «Revy» | «padre di Revy» | «madre di Revy»

    No, niente di tutto ciò. Aveva semplicemente cercato di farsi perdonare per aver abbandonato il proprio figlio. E Revy, mentre osservava con sguardo perso la propria casa sparire dietro ad una duna del deserto, totalmente stordito da quanto era successo, si sentì solo, irrimediabilmente solo. Ma poi strinse i pugni, e si accorse che nella mano afferrata pochi minuti prima da sua madre, era presente un foglio ripiegato più volte su sé stesso. Il ragazzo abbassò lo sguardo sul biglietto, troppo rintronato per capire subito che era stato lasciato lì da sua madre, e lesse:

    Bambino mio,
    se stai leggendo queste parole significa che hai deciso di partire. Probabilmente in questo momento starai odiando me, tuo padre e tuo fratello. Probabilmente ti starai sentendo solo ed impaurito. Ma c'è una cosa che non sai, c'è una cosa che non ti abbiamo detto per proteggerti. Tuo padre mi ha sempre impedito di dirtela, ma nonostante ciò voglio che tu la sappia, voglio che tu capisca il nostro comportamento e che tu ci perdona per ciò che ti abbiamo fatto. Tutto è cominciato cinque anni fa...


    Le parole scorrevano lentamente riflesse negli occhi di Revy che più leggeva, più l'incredulità si impossessava del suo animo. Nonostante le lacrime che gli offuscavano la vista e gli scossoni del carro che procedeva sul sentieri di pietra, lesse una dopo l'altra le parole che riempivano densamente quella lettera. Lesse di quando la fattoria di famiglia prese fuoco... ricordava di quella notte, dello spavento, e ricordava di come i suoi genitori avessero imputato la causa ad un semplice incidente. Poi lesse qualcosa che invece non sapeva: un gruppo di individui poco prima dell'incendio si era presentato più volte alla fattoria offrendosi di "proteggere" la proprietà di famiglia in cambio di un pagamento. Revy scoprì così che mentre le sue uniche preoccupazioni erano costituite dalla scuola e dall'impossibilità di seguire il sogno di diventare un Ninja, la sua famiglia in realtà doveva affrontare continue minacce e tentativi d'estorsione a cui il padre non cedeva. Minacce che si erano poi avverate quando era scoppiato l'incendio alla fattoria. Continuò a leggere scoprendo che lo stesso gruppo di estorsori si era poi ripresentato dopo l'incendio ripetendo la propria "offerta", e facendo intendere che in caso di un altro rifiuto le conseguenze sarebbero state peggiori. Continuò a leggere di come suo padre si era opposto ancora ed aveva finalmente mandato una richiesta di aiuto al Villaggio della Sabbia. L'aiuto era arrivato, ma non era il tipo d'aiuto che il padre di Revy si era aspettato: gli Shinobi che si presentarono in soccorso della famiglia Boruken infatti altri non erano che gli stessi estorsori che avevano appiccato l'incendio, con la differenza che questa volta erano in divisa. Gli estorsori avevano così rivelato la propria identità, ovvero Ninja della Sabbia corrotti che guadagnavano estorcendo soldi a chi non poteva difendersi. Quindi avevano fatto capire al padre che era inutile chiedere aiuto alla giustizia, perchè erano loro la giustizia, e nessun altro li avrebbe aiutati.

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    «Revy» | «padre di Revy» | «madre di Revy»

    La lettera poi raccontò che infine il padre era stato costretto a cedere a pagamenti sempre più cospicui. Pagamenti che stavano portando la famiglia verso una disastrosa bancarotta e che avevano spinto il padre e la madre di Revy ad odiare profondamente gli Shinobi e quel sistema di giustizia che non era capace di difendere il proprio popolo.
    Prima di leggere le ultime righe di quella lettera, il ragazzo fu costretto a distogliere lo sguardo per qualche minuto. Chiuse gli occhi e respirò profondamente, cercando di sopprimere la nausea che lo spingeva a rimettere. Era sopraffatto da forti emozioni contrastanti che si alternatavano gettandolo in una profonda confusione. Si chiedeva perchè fosse sempre stato tenuto allo scuro della difficile situazione famigliare, ma soprattutto cominciava a sentirsi tremendamente stupido: gli anni passati a leggere delle grandi imprese Ninja ed a guardare documentari di guerre ed eroismi avevano fatto si che nella sua mente si costruisse un immagine dello Shinobi come figura di giustizia, bontà, perfezione, forza e superiorità. Ed ora tutto ciò crollava mattone dopo mattone tra le sua mani che stringevano febbrilmente quella lettera maledetta.
    Infine si fece forza e lesse quelle ultime righe:

    Io e tuo papà non siamo perfetti. Non sapevamo se fosse giusto raccontarti la verità oppure se portare il fardello unicamente sulle nostre spalle. Io volevo incoraggiarti a partire per Suna, in modo che tu ti allontanassi da pericolo che incombe sulla nostra fattoria. Tuo padre invece temeva che diventando un Ninja, il potere ti avrebbe dato alla testa e l'avresti usato anche tu con scopi malvagi. Ma nessuno di noi sapeva veramente cosa fare in questa situazione senza via d'uscita.
    Alla fine tuo padre si è sentito tradito ed abbandonato dalla tua decisione di partire, ed ha smesso di ragionare con la testa.Tutto ciò che ne è conseguito, è stato dettato dalla disperazione.
    Concludo queste parole ricordandoti che nonostante tutto, io e tuo padre ti amiamo più di ogni altra cosa al mondo. Mi auguro che tu possa trovare un futuro splendente oltre questo orizzonte buio.
    ...Addio bambino mio!


    «Addio bambino mio... Addio bambino mio... Addio bambino mio... Addio bambino mio...»
    Revy rilesse più e più volte quell'ultima frase, mormorando con un filo di voce le parole che si immaginava pronunciate dalle labbra di sua madre. Si rese conto di aver appena perso ogni cosa in suo possesso, con l'unica eccezione di quelle parole. Una sorta di preghiera che decise di custodire gelosamente. Un dono modesto, ma che per lui valeva più del diamante più prezioso. Gli bastava rileggere quelle tre semplici parole, scritte nell'inconfondibile calligrafia di sua mamma, per riuscire a combattere quell'immensa tristezza che lo spingeva pericolosamente verso l'orlo dell'oblio. "E' questo il prezzo per aver sognato troppo arditamente?" si chiese in un moto di pura autocommiserazione. Erano eventi confusi quelli che avevano condotto il presente verso quell'amaro epilogo. Impossibile decifrare la chiave per risolvere l'enigma. Impossibile prevedere come queste nuove consapevolesse avrebbero mutato l'animo dell'individuo che le aveva acquisite. L'unica domanda che resistette nella mente di Revy era: "E' questo il prezzo che devo pagare?"

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