[PQ] Whatever it takes.

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    ayumu himura
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    Ayumu Himura
    Buio. Era stato un periodo buio. Un lungo periodo buio. Un lungo, interminabile, periodo buio. L’invasione di Zero, il Parasyte di Jamiro, e tutte le successive e inevitabili conseguenze avevano avuto incredibili ripercussioni sulla vita di Ayumu. Siamo onesti, non era mai stata una ragazza coraggiosa né tantomeno una ragazza con quel briciolo di autostima in grado di permetterle di superare le difficoltà. Non si era mai arresa, quello no, ma non aveva neanche mai passato un periodo del genere. E, inevitabilmente, crollò. O meglio, procrastinò. Procrastinò il suo ritorno in scena, procrastinò la sua reazione. Si prese del tempo. Si prese tanto tempo. Si prese tempo in cui successero tante cose. Il Parasyte di Jamiro se ne andò, lasciando la ragazza spaesata, più di quanto lo fu durante quel periodo in cui quella creatura era al suo interno. I genitori andarono avanti senza di lei, costretta a vivere chissà dove, nascosta ai più, seguita solo da un vecchio amico di famiglia che le insegnò quello che poteva. Non era un ninja, era una persona che amava vivere nella natura e cacciare, alla vecchia maniera.
    Masashi. Un simpatico signore sulla cinquantina, dalla folta barba bianca, al pari dei capelli, nonostante l’età non fosse poi così avanzata. Amava portare un cane in giro con lui, nelle sue passeggiate nella natura. Aveva poco da temere, forse perché aveva poco da perdere. Era un eremita, fondamentalmente. Non un eremita ninja, un eremita… eremita. Un classico eremita che vive isolato dalla civiltà e che, davvero, non ha nulla da perdere. Il motivo per cui Ayumu era stata mandata lì? Perché lì poteva fare pochi danni. Difficile capire se la scelta era stata del Kage, il che rendeva Ayumu costantemente sorvegliata, oppure dei genitori, il che rendeva Ayumu ancora più sorvegliata.
    Aveva passato talmente tanto tempo in quella casa poco curata che aveva perso il conto degli anni. Aveva rinunciato – o era stata costretta a rinunciare – a quasi tutto. Non aveva praticamente più avuto affacci alla sua vita da Ninja, da dopo la promozione a Chunin. Non aveva mai visto l’accademia, non aveva più fatto una missione. Era rimasta lì, affinando da sola le proprie arti, esercitandosi per lo più in autonomia, senza il supporto di nessuno. Se non, appunto, di Masashi, che però, non essendo un Ninja, poteva aiutare ben poco. Ma in ogni caso, non si era demoralizzata. Non si era buttata giù. Aveva semplicemente procrastinato. Aveva procrastinato così tanto che aveva imparato a muoversi nella foresta e nei luoghi adiacenti da sola, senza bisogno di una mappa, senza bisogno di una guida. Riusciva a seguire le tracce dei cinghiali per ore. O di persone. Non che avesse mai fatto del male a nessuno, ma anche solo seguire una persona come allenamento era un qualcosa di più.
    Qualcuno bussò alla porta. Ayumu era stesa sul letto, col suo fedele quaderno. Era l’unica cosa dalla quale non si era mai separata. Cosa ci fosse scritto era un mistero per tutti, lo nascondeva costantemente in posti diversi della camera, solo per sicurezza. Qualcuno la chiamerebbe paranoia, ma è una questione di punti di vista. La ragazza scattò in piedi, atterrando su un vecchio tappeto utilizzato per coprire l’intera camera. Era più facile da pulire, secondo Masashi. Ma poco cambiava, perché alla fine puliva sempre Ayumu.
    Si avvicinò alla porta e la fece scorrere. Un rumore fastidioso accompagnò la porta, mentre questa si bloccò a mezza lunghezza. Succedeva sempre. Una leggera spinta in più e la porta si aprì del tutto. «Che dici, vieni a darmi una mano o vuoi dormire un altro po’?» Ayumu sembrò spaesata, per qualche istante. Inarcò un sopracciglio e ruotò il busto in modo da poter adocchiare la finestra. Tornò a guardare Masashi che, beffardo e sornione, aveva incrociato le braccia al petto e stava già muovendo il suo corpo per girarsi dall’altra parte. Ayumu aprì bocca, ma non fece in tempo a far uscire nulla, che il suo mentore alzò un dito. E, quando alzava un dito, voleva dire solo una cosa: silenzio. «Lo so, il sole sta sorgendo proprio ora, ma è per questo che ti ho svegliata così presto.» Abbassò il dito. A quel punto, Ayumu poteva parlare di nuovo «Dammi una buona ragione per la quale non dovrei buttarmi di nuovo sul letto. Oggi non dovevamo far nulla.» Sospirò, visibilmente tanto infastidita quanto rilassata. Stava semplicemente giocando con l’amico, era pronta già da diversi minuti. Aveva perso l’abitudine a dormire molto già da un po’. «Vedrai che ti piacerà.» Il vecchio fece spallucce, iniziando ad incamminarsi verso la cucina.
    Come al solito, la colazione era già pronta. «Forza, poi dobbiamo andare.» Ayumu annuì, sedendosi a terra e iniziando a mangiare. «Ti giuro che se questa volta non ne vale la pena…» Masashi la interruppe, tossendo volontariamente. «Sì?» Ayumu aggrottò la fronte, quasi rassegnata. «Se questa volta non ne vale la pena mollo tutto e ti abbandono.» L’uomo scoppiò a ridere. Rumorosamente. Tanto rumorosamente. «Guarda che chi ci rimette sei tu.» Lei non rispose. Arrossì. Sapeva che aveva ragione, ma era troppo testarda per ammetterlo. O troppo orgogliosa per accettarlo. Eppure, la risata del vecchio si interruppe presto. Non era stata un’interruzione improvvisa, niente che Ayumu ebbe modo di notare. Semplicemente, smise di ridere quasi naturalmente. Tentennò un istante. Stava chiaramente nascondendo qualcosa. Possibile, dopo tutti questi anni, aver tenuto nascosto alla ragazza qualcosa?
    E' il mio primo post dopo... cinque anni, circa! Non siate troppo duri!

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    Edited by Dwarfy Doc - 19/2/2021, 21:26
     
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    Ayumu Himura
    La porta d’ingresso scricchiolò sotto la forza del possente Masashi. O almeno, così ha sempre voluto far credere lui, non rendendosi conto che quella porta andava semplicemente cambiata o quantomeno riparata. Ayumu iniziò a seguirlo mentre il vecchio iniziò a muoversi verso una delle tante foreste limitrofe alla casa, se così la si vuole chiamare, dove aveva abitato negli ultimi anni. Da una parte sapeva benissimo dove stavano andando, anche solo a grandi linee. Dall’altra non poteva avere idea di cosa avesse in mente l’uomo, deciso ad allontanarsi così tanto da casa. Non che fosse una novità, sia chiaro, lo facevano spesso. Ma c’era qualcosa di diverso in quella mattina. Qualcosa che Ayumu non avrebbe mai potuto immaginare.
    Una sottile nebbia copriva l’esterno di Kumo, diminuendo leggermente la visibilità. Era quasi piacevole essere in giro così presto con quelle condizioni climatiche. I primi raggi di sole cercavano di farsi spazio tra le fronde degli alberi e poi tra la nebbia, regalando un paesaggio più unico che raro. Certo, il periodo dell’anno aveva sicuramente aiutato, ma lo spettacolo era da capogiro. In effetti, addentrati nella foresta, la nebbia era evidentemente più fitta del previsto. Anche la bionda, a quel punto, aveva un minimo di difficoltà ad orientarsi. «Non ho scelto oggi a caso.» Esordì Masashi, continuando a camminare. Non stavano correndo, stavano andando a un ritmo piuttosto sostenuto ma semplicemente camminando. La ragazza non rispose in un primo momento, pensierosa. Inarcò un sopracciglio, stupita, aprendo lentamente bocca e respirando a pieni polmoni, quasi come a voler assaggiare l’aria. «Ah no? E perché?» Rispose solo in seguito, dopo diversi secondi di silenzio. I passi svelti, il cammino quasi cadenzato, ritmico. Non aveva alcuna difficoltà, la Kunoichi, a stare al passo del mentore, ma preferiva restare sempre qualche passo indietro, giusto per sicurezza. In caso di attacco da parte di un Ninja, lui avrebbe potuto ben poco e tutto sarebbe passato in mano alla ragazza. Non poteva permettersi di lasciar morire l’uomo. Non era mai successo, ma lei cercava sempre di evitarlo. «Oggi è un giorno particolare. Diversi anni fa…» L’uomo iniziò a parlare, cercando di spiegare alla ragazza qualcosa. Ella, però, lo fermò immediatamente, lanciandogli un’occhiataccia che difficilmente il vecchio avrebbe potuto cogliere, dal momento che lei si trovava alle sue spalle. «Non iniziare con le tue avventure, me ne hai raccontate troppe e ho smesso di crederci anni fa!» Detto con un palese sorriso sulla bocca e nel tono, quella frase era ben lontana dall’essere offensiva o irrispettosa. E il vecchio lo sapeva bene, tanto che non se la prese in alcun modo, limitandosi a scuotere il capo. «Fammi finire, una volta tanto!» Anche qui, non c’era astio né nel tono né nelle parole, si stavano prendendo in giro, come capitava spesso. Passare anni da soli, quasi letteralmente, avendo pochissimi contatti con l’esterno e dovendo rimanere sempre e comunque seri sarebbe stato impossibile. Avevano iniziato a scherzare e a prendersi in giro ormai già da un po’, a dirla tutta. «Questa storia non riguarda me. Questa storia riguarda te.» E a quelle parole, Ayumu si fermò per un istante, quasi come se fosse stata colpita in pieno da un cazzotto. Erano parole semplici e banali, ma aveva già capito quale sarebbe stato il risvolto di quella situazione.
    Non amava parlare di sé. Era una cosa che aveva sempre odiato, che non era mai riuscita a sopportare. Lei, la prima a mettersi da parte, a escludersi, a farsi piccola piccola davanti a chiunque. Masashi aveva qualcosa in mente, e lei non poteva farci niente a riguardo. Avrebbe potuto scappare, non affrontare la conversazione, tornare a casa e rifugiarsi in camera. E l’aveva anche fatto diverse volte. Ma nel momento in cui si chiudeva a riccio, provando addirittura a non respirare, il freddo piombava dentro di lei, facendola cadere in uno stato di disperazione interno.
    Le tornavano alla mente i momenti peggiori della sua “convalescenza” a causa del Parasyte. Le tornava in mente il momento in cui era stata attaccata prima dalla bestia-leone e poi da Jamiro. Le tornava in mente il momento esatto in cui stava rischiando di uccidere tutti con la gorgone incontrollata. La sua innata che si risveglia, provocandole una sensazione mai provata prima. E quel senso di rabbia che le ribolle dentro. E quel senso di vuoto che sente dentro, accanto alla rabbia. Le tornava in mente, costantemente, un momento ben specifico. Da pochi mesi viveva con Masashi. Non si era ancora ambientata, aveva il Parasyte all’interno e tutto faceva schifo, semplicemente. Stava cercando di controllare la sua rabbia ma al tempo stesso di non dimenticare le arti Ninja, motivo per il quale, di tanto in tanto, utilizzava qualcuno dei suoi jutsu nel nulla, così da non poter ferire nessuno. In quel momento era alle prese con gli Squali Famelici, intenti ad attaccarsi tra di loro, quando Masashi si avvicinò inavvertitamente. Fu un attimo. Due degli squali partirono senza alcun controllo nella direzione dell’uomo, che sbiancò. Cercò di correre ma era impossibile. Lo squalo lo aveva puntato, non sarebbe mai riuscito a scappare. Ayumu riuscì a fermarlo giusto un secondo prima del disastro. Lo squalo si dissolse in una pozza d’acqua. Ayumu, in preda al panico e visibilmente impaurita, corse in casa, per rintanarsi nel letto e con ben poca voglia anche solo di respirare. Misashi cercò di calmarla, in qualche modo, ma era esattamente come parlare contro un muro. Non ricevette mai risposta. Passarono ore, prima che la Chunin riuscisse a riprendersi. Episodi del genere ti cambiano per sempre.

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    Edited by Dwarfy Doc - 19/2/2021, 21:26
     
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    ■ Post: 3/3
    Ayumu Himura
    «E in che modo sarei coinvolta io?» Domandò Ayumu, con un pizzico di esitazione nella voce. Continuavano a camminare, anche se la foresta stava iniziando a diradarsi. Masashi non rispose, si limitò ad alzare l’indice in una direzione, senza alcun apparente motivo. «Lì. Guarda attentamente lì. Cosa vedi?» Ayumu, prima ancora di guardare nella direzione indicata, guardò a terra. Qualcuno era passato lì recentemente e senza preoccuparsi troppo di non lasciare tracce. Cosa abbastanza normale, in realtà, ma per una persona paranoica come Ayumu, qualsiasi situazione fuori posto destava preoccupazione. «Qualcuno è passato di qui recent…» Si bloccò per un attimo. Guardò il posto che aveva davanti. Deglutì. Quel posto era lo stesso posto in cui, anni prima, aveva lasciato uscire tutta la sua rabbia contro un mercante che aveva cercato di ucciderla. Chiuse gli occhi per qualche secondo, cercando di cacciare via quei pensieri. «Che ci facciamo qui, Masashi?» Domandò, questa volta con il tono di voce evidentemente più duro. Masashi, dal canto suo, non rispose. Si limitò a muovere qualche altro passo, finché la nebbia non fu abbastanza diradata da rivelare la presenza di un ragazzo. «Lo sai meglio di me, Ayumu.» Non rispose, la Chunin. Non si mosse. Non annuì. Non fece nulla di nulla. Forse lo sapeva, probabilmente non voleva ammetterlo. Faceva ancora troppo male.
    Quel giorno, la vita di Ayumu era cambiata, in qualche modo. Aveva scoperto un lato di sé che mai avrebbe potuto immaginare. Un lato severo, un lato duro, un lato quasi cattivo. Lei non era cattiva, sia chiaro, semplicemente odiava chi si prendeva gioco di lei e per estensione di tutti quelli che gli stavano accanto, in qualsiasi modo. Forse per quello aveva accettato di chiudersi nell’eremo insieme a Masashi. Forse per quello non aveva mai pensato di tornare indietro. «Qui ha inizio la tua storia. Diversi anni fa, in questo punto, hai fatto una cosa che non ti saresti mai immaginata di fare.» Esordì l’anziano, mettendosi di lato rispetto al ragazzo e rispetto ad Ayumu, in modo da poter guardare entrambi. Un rapido cenno con il capo verso lo sconosciuto, come a voler ammettere un suo coinvolgimento nella faccenda. «Anni fa, tu, qui, hai lasciato andare la tua vera io, la ragazza combattiva e dura che cerchi disperatamente di nascondere.» Difficilmente Masashi aveva parlato in maniera così dura e diretta verso la ragazza, ma aveva ragione. Era innegabile. E la ragazza non ci provò neanche. Aprì la bocca ma fu interrotta dal solito dito alzato. «E oggi ti chiedo di ritrovare quella parte di te sopita. Quella parte di te che vuole difendere gli altri. Quella parte di te che ha voglia di combattere per gli altri.» Quella parte di lei ormai rimasta nascosta e sopita per troppo tempo e da troppo tempo. La stessa parte di lei che, davanti all’attacco alla foglia, era riuscita a impedire parte del piano ai figli di Zero, salvando l’hokage, anche se inconsapevolmente.
    Lo sconosciuto si avvicinò alla ragazza, allungando la mano come per presentarsi. Era un Jonin di Kumo, inviato lì per aggiornare Ayumu sui recenti avvenimenti, sulla guerra, sulla creazione dell’OSU e sulla necessità del suo coinvolgimento, dal momento tutta la potenza di fuoco disponibile doveva esser schierata. Ayumu ascoltò in silenzio quello che il Jonin aveva da dire. Solo quando ebbe finito, si schiarì la voce. «Masashi, mi hai fatto tornare qui per ricordare una parte di me che cerco di cancellare?» Domandò, non irritata, quando… amareggiata. Con se stessa. «Ho cercato per anni di dimenticare le mie origini, di far finta che non fossi un Ninja, allenandomi solamente per non dimenticare quello che so fare. Non avevo alcuna intenzione di tornare al villaggio.» Sospirò, scuotendo leggermente il capo. «Ma può, una persona così, chiamarsi veramente “ninja”? Può meritarsi questo titolo una persona che ha paura anche solo di respirare?» Quasi inconsapevolmente, chiuse gli occhi per un attimo e fece scorrere il chakra nei suoi occhi, accendendo di conseguenza l’innata. «Quindi, tu vorresti che io tornassi quella che non sono mai stata? Vorresti che mi schierassi di nuovo dalla parte del villaggio, che aiutassi il mondo intero in questa battaglia?» Alzò le braccia, quasi come se fosse sconsolata, ma nei suoi stessi confronti. «Non ne sono in grado. Io non sono quel tipo di persona. Io… Non ho saputo… Io…» Si interruppe. Gli occhi accesi in quel modo, quella rabbia che sentiva dentro, era diversa. Non era rabbia dovuta al Parasyte. Era rabbia dovuta ad altro. Era rabbia dovuta alla vita. Alla situazione. Al mondo che era, ancora, in pericolo. A Electra, a quella frase pronunciata poco prima di allontanarsi per strade diverse. Era una rabbia che riusciva a controllare e che non la mandava in tilt. Chiuse gli occhi. Li riaprì. Erano di nuovo celesti, normali, come al solito. Un sorriso appena accennato prese forma sul suo volto. «Io devo farlo. Ma devo farlo per me stessa.» Lo disse con serenità. Lo disse con consapevolezza. Non voleva, davvero, che altra gente si ritrovasse nella sua stessa condizione, come quella volta, ad affrontare persone evidentemente più forti di lei e con ben poche possibilità di fare qualcosa. Non avrebbe mai accettato l’idea che qualcuno, per colpa sua, si fosse ritrovato in pericolo, incapace di fare qualsiasi cosa. Non avrebbe permesso ad altri di far del male senza combattere. «E va bene, lo farò. Tornerò al villaggio. Tornerò nei campi di battaglia.» Era convinta, nel dirlo. Era sicura. Era decisa. «Grazie Masashi, per tutto quello che hai fatto.» Il vecchio sorrise. Era stato facile. Forse fin troppo. Ma era bastato. Ed era riuscito nel suo intento. Sapeva benissimo che la memoria di quello che era stato avrebbe potuto fare la differenza, avrebbe potuto farle cambiare idea.
    Il Jonin si avvicinò, consegnando alla ragazza un fogliettino. Era bianco, completamente, ma lei sapeva benissimo cosa fare. Lo prese in mano e ci infuse il Chakra sopra. Il fogliettino si ridusse in polvere quasi istantaneamente. Era una cosa che aveva già fatto, non ebbe bisogno di molto tempo per capire. Aveva la padronanza del Chakra Doton. Scosse appena il capo, guardando il Jonin. «Non ho perso la mano, fortunatamente.» Abbozzò un sorriso, girandosi poi verso Masashi. «Tornerò a trovarti. Per qualsiasi cosa sai come trovarmi.» Se l’era cavata da solo per tutta la vita, non avrebbe mai chiesto aiuto alla Chunin, presa da altre faccende. Salvare il mondo era eccesivo, ma sicuramente avrebbe impedito ad altri di fare del male. Non era un chissà quale gesto eroico, era paura. Paura che altra gente potesse passare quello che ha passato lei. Non lo faceva per gli altri. Lo faceva per se stessa. Ma questa cosa non l’avrebbe mai capita nessuno, probabilmente. Tornò indietro con il Jonin e, chiacchierando, gli rivelò la sua intenzione di unirsi alla sezione Gin, l’unica sezione adibita al combattimento ma non alla difesa. Forse non era pronta. Forse non lo sarebbe mai stata. Ma sicuramente ci avrebbe provato. A qualunque costo.
    Fine. Se possibile, oltre all'exp, vorrei qualche tipo di commento/critica. Non scrivo da anni, non ruolo da anni, sono arrugginito e vorrei sapere cosa ne pensate. Anche in PM, così in caso possiamo parlarne. Grazie!

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    Ti posso dire che, per quanto fossi arrugginito, la scrittura risulta scorrevole e non mi è risultata pesante :rosa:
     
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