Le Origini del Male

PQ di Ambrose Hildebrand

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    "Chi sia io non è importante - è il mio messaggio ad esserlo."

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    Capitolo 1 - Il Richiamo dell'Abisso



    Adesso, a distanza di anni, col senno di poi, tutto ha assunto un colore più scuro...le sfumature di rosso che avevano da sempre contraddistinto la mia vita, adesso avevano mutato colore, assumendo lo stesso colore che ha il sangue rappreso ed essiccato da qualche giorno.
    A quel tempo non sapevo ancora quale fosse il profondo legame che legava la mia famiglia a quello che, in seguito, avrei scoperto essere il culto di Jashin, una divinità demoniaca che abita un piano diverso da quello umano, e che agisce tramite i suoi seguaci, di cui Yugakure è la casa, tempio e punto nevralgico di ritrovo.
    Col senno di poi, adesso, al termine della mia lunga, lunga vita, mi capita di ripensare a quei giorni di beata ignoranza, quando cercavo, disperatamente, di capire perchè i miei sogni fossero tempestati di incubi di sangue e visioni di battaglie alle quali non avevo mai preso parte.


    ...


    La mia vita scorreva tutto sommato tranquillamente, la mia carriera da ninja era decollata da poco, avevo recentemente scoperto quale fosse il mio elemento affine, il fulmine, e conducevo una vita basata sull'allenamento e sulla ricerca di qualche gratificazione lavorativa, il tutto condito da un sacco di vino rosso e qualche visita al bordello della città, il Daisy's giusto per non farmi mancare nulla.
    Una vita normale e rispettabile per un neo laureato all'accademia ninja in effetti, ma se le mie giornate trascorrevano all'insegna della normalità, di notte, una volta chiusi gli occhi, i mie sogni si tramutavano in visioni di sangue, visioni che non definirei incubi, ma vere e proprie esperienze extrasensoriali, come se qualcosa cercasse di comunicare con me attraverso i miei sogni.
    Mi svegliavo tutte le volte di soprassalto, sudato fradicio nel mezzo della notte, ma a differenza dei sogni, che ti dimentichi quando ti muovi dopo esserti svegliato, quelle visioni rimanevano impresse nella mia mente per tutto il giorno, senza mai lasciarmi andare.
    Ormai erano già 4 giorni che ogni singola notte facevo degli incubi mostruosi, ogni giorno sempre peggio, tant'è che avevo meditato di smettere di dormire, o limitarmi a dormire 3-4 ore a notte al massimo, così da limitare la mia esposizione a quelle visioni, visioni che ogni notte che passava diventavano sempre più cruente e ingannevoli.
    Ricordo la notte di quel giovedì anche adesso dopo molti, molti anni...perchè fu la notte in cui tutto mi divenne più chiaro, la notte che diede inizio a questo viaggio infinito.
    Una volta addormentatomi, non saprei dire dopo quanto tuttavia, sprofondai in un altro di quegli strani sogni, ma questa volta cercai di mantenere la lucidità, visto che sembrava che la mia coscienza rimanesse "sveglia" durante quei viaggi che facevo.

    Mi trovavo in piedi, vestito come lo sono normalmente, era notte, ed una enorme luna rosso sangue svettava sopra la mia testa.
    Mi guardai intorno per capire dove mi trovassi, ma l'unica cosa che riuscivo a vedere erano corpi, corpi di soldati morti e martoriati, pile di cadaveri ammassate come si fa col fieno, il sangue era ovunque, ovunque vi dirò, e il tanfo, cristo il tanfo di sangue feci e urina era talmente forte che avrei vomitato, se solo avessi potuto.
    Era un campo di battaglia, una battaglia alla quale io non avevo mai preso parte, e non avrei nemmeno mai potuto, visto che, da come erano vestiti i soldati morti, doveva essere stata combattuta centinaia di anni prima della mia nascita.
    Cominciai a camminare dritto davanti a me, cercando di non pestare i corpo in putrefazione dei soldati, seguendo la grossa luna di sangue che svettava adesso sopra una collina.
    Salendo la collina e guardandomi alle spalle, il terreno di guerra si estendeva fino a perdita d'occhio, ci saranno stati almeno 1 milione di corpi, non poteva essere successo davvero, non su questa vasta scala almeno.
    Raggiunta la vetta della collina, quello che vidi mi gelò il sangue nelle vene:
    Un uomo di mezza età, in un armatura adornata con decorazioni sfarzose, era inginocchiato a terra, con entrambe le braccia amputate ed una grossa spada conficcata nello stomaco, doveva essere il generale di una delle due armate che si erano scontrate su quel campo di battaglia, era incredibilmente sofferente, ma non aveva la forza di urlare, il sangue che sgorgava dalle braccia amputate e dalla ferita allo stomaco lo stava dissanguando.
    Trasalii, non osai avvicinarmi, ma notai che sul terreno attorno a lui, e dunque anche sotto di lui, vi era disegnato un simbolo arcaico fatto col sangue, il suo sangue...un triangolo inscritto in un cerchio, un simbolo che non avevo mai visto prima, ma mi era così familiare che istintivamente lo percepii come conosciuto.
    Quello che ritenevo essere il generale, da un momento all'altro, cacciò un urlo mostruoso, come se qualcosa lo stesse torturando alla follia, si dimenava e strillava in questo cerchio che continuava riempirsi di sangue, ero immobile, non mi sarei potuto muovere nemmeno se lo avessi voluto, quella visione era insostenibile...avrei voluto aiutarlo, ma, da dietro di me, dal nulla più assoluto, percepii una presenza che si posò accanto al mio orecchio sinistro, e sussurrò tre semplici parole.

    "Cerca il Segno"


    Appena sentii quelle tre parole, mi spaventai e mi girai di scatto per vedere chi le avesse pronunciate, ma in quel preciso istante mi svegliai nel mio letto, fradicio di sudore e con la pelle madida, il cuore batteva alla follia e il respiro mancava.
    Avevo tutto impresso nella mia mente, ma quella a volta sembrava diverso, sembrava come se io fossi davvero parte del sogno, e di chi era quella voce? Era sicuramente una voce maschile, ma non l'avevo mai sentita prima, e da sveglio non riuscivo a ricordarne il timbro.
    Mi gettai giù dal letto e cercai di riprendere il controllo di me, mille pensieri mi passavano per la mente, ma quel segno, quel segno e quelle urla erano indelebili, e quelle tre parole mi rimbombavano nella mente come un mantra, cerca il segno...cerca il segno....cerca il segno.

    Edited by Revan - 1/9/2020, 03:13
     
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    Capitolo 2 - Cerca il segno



    Gli avvenimenti di quella notte non furono che il preludio, ormai la mia sete di conoscenza era senza pari, bramavo conoscere i dettagli delle mie visioni e del perchè esse mi tormentassero così intensamente, nemmeno per un attimo avevo tenuto di conto che la mia vita sarebbe potuta essere messa in pericolo da una così scellerata ricerca della "verità a tutti i costi".
    Il resto della notte la passai in bianco, non riuscii ad addormentarmi nuovamente, un po per la paura di tornare in quel luogo empio, e un po perchè lo shock del risveglio aveva attivato ogni singola fibra del mio corpo, riprendere sonno a quel punto sarebbe stato impossibile.
    Erano le 5 del mattino, il sole sarebbe sorto a breve, così decisi di alzarmi dal letto e di scendere al piano inferiore, mi scolai un intera bottiglia d'acqua per recuperare i liquidi persi con tutto quel sudore, sudore che ancora mi grondava da tutto il corpo e appestava le lenzuola di cotone.
    Decisi di fare una doccia, e mentre l'acqua scorreva incessante sulla mia testa, la mia mente tornò a quell'incubo, era nitido, reale, non era un comune sogno, era come se la mia volontà facesse parte della visione stessa, mi ritrovavo a definirla una visione piuttosto che un sogno ormai, convinto che fosse un modo per comunicare con me, ma chi poteva mai essere quella figura oscura che mi aveva sussurrato quelle parole?

    Cerca il segno...il segno..il segno...


    Quelle parole mi rimbombavano nella testa come un martello di un fabbro su un ferro caldo, ero certo di aver già visto quel marchio da qualche parte...un triangolo equilatero inscritto in un cerchio, un simbolo geometricamente semplice, arcaico, qualcosa di elementare ma contemporaneamente indecifrabile.
    Mi gettai nel salotto, il centro nevralgico della casa, dove i miei genitori solevano passare la maggior parte del tempo, non so perchè io fossi convinto che li avrei trovato la risposta, ma mi venne quasi istintivo cominciare a rovistare un po ovunque, tra i libri che mio padre era solito leggere, la poltrona dove solitamente si sedeva, i suoi appunti, passai in rassegna tutto quello che mi trovai sotto mano, ma non trovai nulla di rilevante.
    Il mio salotto era particolarmente vasto, con un grosso caminetto attaccato al muro nord, una vasta libreria alla sua destra ed un ampia finestra che dava sulla strada a sinistra, il pavimento era coperto di tappeti finemente decorati e la mobilia era in legno di mogano, un classico a Yugakure, ma uno strano senso di "fuori posto" continuava a pervadermi, non riuscivo a darmi pace...continuavo a girare per casa alla disperata ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa, qualcosa che prima mi era sfuggita poichè non l'avevo ancora collegata alla visione che avevo avuto.
    Tornai quindi in salotto, cominciai a spostare la mobilia a destra e a sinistra in malo modo, facendomi prendere dalla rabbia e dall'impazienza di trovare qualcosa; spinsi il divano indietro a calci, emettendo versi di sforzo per scaricare il nervoso, rovistai furiosamente nella libreria, cazzo ero sicuro che quel segno mi fosse familiare, lo avevo sempre più in testa, e per quanto sentivo che mi stavo avvicinando, la risposta rimaneva sempre fuori portata.
    Mi portai davanti al caminetto, acceso e scoppiettante, amavo quel caminetto..mi dava un senso di pace e tepore nelle giornate più fredde e piovose.
    Un senso di pace e calma mi pervase, i miei nervi si distesero e mentre osservavo il fuoco scoppiettare ritmicamente, decisi che avrei proseguito le ricerche quella sera, era il momento di andare ad allenarsi.
    Come mi voltai, il salotto mi apparve sotto una luce diversa, il divano e la poltrona erano stati spinti a gli angoli della stanza, i libri erano a terra e la stanza aveva assunto tutta una nuova dimensione.
    Camminai al centro esatto del salotto, e li, guardandomi i piedi, fui colto da una sensazione fulminante.
    Mi immedesimai con la visione di quella notte, con il soldato decorato e morente, amputato di entrambi gli arti e in preda a spasmi di dolore lancinanti, inginocchiato in una pozza di fetido sangue in mezzo al marchio che tanto mi tormentava...e li realizzai.
    I miei occhi si spalancarono, come colti da un idea fulminante, mi gettai in ginocchio, come il generale...e quando le rotule poggiarono per terra con mediocre violenza, il suono percepito non era duro come ci si aspetterebbe, ma cavo...la stanza era il campo di battaglia, io il generale, e il cerchio...

    Cazzo...no può essere..


    Mi alzai di scatto e con foga cominciai ad alzare lanciare ai lati della stanza tutti i tappeti che ricoprivano il pavimento, rivelando il parquet di cedro, e rivelando anche il segreto nascosto sopra di esso.

    Impossibile....è stato qui tutto il tempo..



    Un enorme cerchio nero con all'interno un triangolo identico a quello della mia visione, benchè non fatto di sangue, cingeva tutta la stanza, dall'entrata principale fino al caminetto, perfettamente coperto dai tappeti, accuratamente posizionati in modo che non facessero spuntare nemmeno una piccola parte dello strano marchio.
    Mi portai al centro di esso, ancora sconvolto per quello che avevo scoperto...ero certo che fosse vicino, ma non credevo di averci convissuto per così tanto tempo senza saperlo.
    Ricordandomi di quel rumore cavo che avevo percepito poc'anzi quando ero caduto in ginocchio, mi portai al centro del triangolo, e fatto qualche passo indietro, con un kunai preso dalla mensola, cominciai a pugnalare il pavimento, prima ricevendo leggera resistenza, e poi finendo per forarlo completamente, finendo poi di staccare le ultime tegole a calci.
    Davanti a me, o meglio, sotto di me, una scala in pietra scendeva per un indefinita quantità di metri, era troppo buio per poterlo capire.
    Non riuscivo a crede ai miei occhi, questa casa non aveva uno scantinato, nemmeno quando ero bambino ricordavo di aver esplorato questo luogo...mi feci coraggio e presi una torcia elettrica che tenevo in cucina per le emergenze, e facendo attenzione a non tagliarmi con le tegole affilate rimaste attaccate al pavimento, scesi quelle scale in fredda pietra, facendomi luce con la torcia a batterie.
    L'odore era quello di una tomba, un odore freddo e acre, non lo definirei puzza, ma era molto pungente, e la temperatura scendeva ad ogni passo che facevo.
    Terminata la scalinata, facendomi luce, davanti a me si parò una stanza dalle dimensioni inferiori a quelle del salotto, sarà stata 15x15, con dei vecchi mobili pieni di ragnatele e un tavolo logoro con degli scarabocchi sopra. Tutta la stanza, i muri, i pavimenti, persino il soffitto, tutto era adornato da quel simbolo, assieme a scarabocchi fatti con del carbone, scarabocchi che riportavano frasi in una lingua indecifrabile, immagini grottesche, e qualche lettera del nostro alfabeto, ma nulla di comprensibile, come se un folle avesse cominciato a dipingere la sua malattia mentale ovunque.
    La mia mente era in subbuglio, non riuscivo a comprendere come i miei genitori mi avessero tenuto nascosto tutto questo, e che cosa facessero in realtà tutte quelle sere quando, dopo cena, io andavo a letto, e loro lavoravano su, in salotto, a qualcosa di cui non mi hanno mai parlato, sviando la conversazione o adducendo strane scuse e progetti inventati li per li di sana pianti.
    Procedendo per la stanza, mi imbattei in un piccolo diario, la copertina era stropicciata e la carta era ingiallita dal tempo, alcune pagine erano strappate nella loro totalità oppure in parte, ma la maggior parte di esse erano ancora leggibili.
    Istintivamente, aprii la prima pagina, l'unica scritta riportata su di essa, in alto a destra era "ciò che è fatto non si sciolga mai".
    Girai nuovamente pagina e lessi a mente le prime tre, quattro righe del testo, la mia faccia assunse un espressione di stupore, quasi di paura, mentre mi rendevo conto che quello che avevo in mano...era il diario di mio padre, l'unica testimonianza fisica che avevo di lui dopo la sua sparizione.
     
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    Capitolo 3 - Linea di sangue


    Tenevo tra le mani quello che, a prima vista, sembrava essere il diario di mio padre, un diario evidentemente segreto, che mai avevo visto girare per casa quando ero piccolo.
    Le pagine erano danneggiate ed ingiallite dal tempo trascorso e dall'umidità che appestava questa stanza, lo testimoniavano anche i mobili di legno, ormai marci e decadenti.
    L'intestazione del diario, "ciò che è fatto non si sciolga mai", era tanto criptica quanto inquietante, così come lo era l'ambiente in cui avevo rinvenuto il diario, pieno zeppo di graffiti indecifrabili e talvolta disturbanti.
    Voltai nuovamente pagina, e benchè alcune di esse risultassero strappate o troppo danneggiate dal tempo e dall'umidità per essere lette, l'incipit del diario sembrava essere la parte che si era mantenuta meglio negli anni.

    pag.1

    Ho deciso di tenere un diario, ho bisogno di mettere per iscritto quello che è successo e ciò che succederà, parlarne con Mira è troppo difficile, lei crede di essere scampata al pericolo, ma la verità è che esso ci ha seguiti fino qui, e adesso non sono sicuro che Yu sia un posto sicuro per vivere e crescere un bambino.
    Quando fui mandato ad Kumogakure per indagare su alcune voci poco chiare di una spia delle Nuvole nel nostro villaggio, Amegakure...non avrei mai creduto che avrei finito per innamorarmi di lei.
    Conobbi Mira poco dopo il mio arrivo nel villaggio, lei era una fiorista...creava delle composizioni meravigliose, le più belle di tutto il villaggio.
    A quel tempo aveva la pelle del colore del cioccolato, abbronzata dal sole cocente che irrora il villaggio per più di metà dell'anno solare, i capelli castani e due enormi occhi marroni, che al sole parevano verdi.
    Lei non aveva idea di chi io fossi a quel tempo...mi facevo passare come un mercante di tappeti preziosi di passaggio per la città, intento a vendere i miei beni ai ricchi possidenti terrieri del villaggio.
    Fu amore a prima vista, passammo insieme molto tempo, e ogni giorno che passavo con lei, era un giorno che mai potrò dimenticare nella vita, lei era la donna più meravigliosa che avessi mai conosciuto...ma la consapevolezza della mia menzogna mi logorava l'anima.

    ...

    Dopo circa tre settimane, trovai un indizio sulla spia di Kumo ad Ame, pare che fosse un jonin sulla 50ina di nome Matsumoto, sarebbe tornato nel villaggio a breve per fare rapporto al Kage, dovevo intercettarlo prima che potesse parlargli e metterlo a tacere per sempre, e scappare con Mira lontano da qui.
    Quella stessa notte, uscii di casa a notte fonda, lasciando Mira nel letto addormentata, e mi diressi verso la porta nord del villaggio, la spia sarebbe arrivata quella stessa notte secondo il mio informatore.
    Una volta giunto li però, la zona era deserta e silenziosa, troppo silenziosa, non c'erano nemmeno le guardie che solitamente fanno il turno di notte a sorvegliare la porta.
    In un attimo, fui circondato da 3 Jonin di Kumo, era una trappola, il mio informatore mi aveva tradito o venduto.
    Il combattimento fu estenuante, ma riuscii a mandare al tappeto i tre jonin e a sfuggire all'imboscata, sebbene fossi gravemente ferito all'addome e alla gamba sinistra.
    Trovai la forza di tornare a casa, sapevo che era pericoloso, avrei potuto condurre i ninja da Mira, ma non avevo altra possibilità.
    Quando Mira mi vide in quelle condizioni, capì subito che era successo qualcosa di grave, e prima di farmi qualsiasi medicazione, mi pregò di dirle la verità...era in lacrime, aveva capito che le avevo mentito.
    Tra un rantolo di dolore e uno spasmo alla gamba, le raccontai la verità, tutta, di quella che era la mia missione, e di come tutto fosse cambiato quando la conobbi, le dissi che per me lei era tutta la mia vita, e che non l'avrei abbandonata nemmeno a costo della vita.
    Medicò le mie ferite con sapienza, non era un dottore, ma ci sapeva fare con ago e filo, e nonostante fosse arrabbiata e ferita per la mia bugia, mi confidò in lacrime, questa volta di felicità, che aspettava un figlio...un maschio.




    Leggendo quelle parole, il mio cuore si riempì di dubbio e soprattutto tristezza, un sentimento che non provo di frequente.
    Finalmente conoscevo la storia dei miei genitori...o almeno quella di come si erano conosciuti, sapevo che mamma non era di Yugakure, ma ero convinto che invece mio padre lo fosse, e invece adesso vengo a scoprire che in realtà lui veniva da Amegakure.
    La mia sete di sapere ormai era incontentabile, avevo completamente dimenticato il marchio e la visione, adesso ero unicamente concentrato sul diario.


    pag.6

    Passarono molti mesi da quella notte, visto l'accaduto, smisi completamente di mandare rapporti ad Ame, per paura di essere scoperto, e rimasi chiuso in casa per così tanto tempo da non ricordare nemmeno con precisione quanto...dovevo aspettare che si dimenticassero della mia faccia prima di poter uscire.
    Era Mira che, seppur incinta, che si occupava di fare la spesa e di badare al negozio, io soffrivo da morire per non poterla aiutare, quindi facevo tutte le faccende di casa, e quando tornava dal negozio, la cena era sempre pronta in tavola, e lei sorrideva.
    Quando il piccolo nacque, decidemmo di chiamarlo Ambrose, come l'Ambrosio, un fiore meraviglioso che cresce vicino alle rupi delle nuvole, poco fuori Kumo.
    Ci fu chiaro che non potevamo crescere il piccolo li, poichè io non avrei mai potuto condurre una vita normale, e le persone avrebbero cominciato a farsi domande su Mira e sul di chi potesse essere il bambino.
    Decidemmo di fuggire, quindi, una notte, con il favore delle tenebre, fuggimmo dal villaggio attraverso un passaggio nella foresta, non avevamo una meta precisa, e per settimane camminammo verso sud, facendo sosta nei piccoli villaggi per mangiare, dormire e accudire il piccolo Ambrose, che cresceva a vista d'occhio, uguale a sua madre.
    Una notte, vicino al limite tra il Paese del Fulmine e quello delle Calde Acque, venimmo intercettati da un commando di ninja di Ame, inviato dal comando per darmi la caccia.
    Mi consideravano un traditore per aver smesso di comunicare con l'alto comando e aver lasciato che la spia continuasse ad agire indisturbata, insinuando anche che la spia potessi in realtà essere proprio io, che innamoratomi di una donna di Kumo, avessi deciso di fare il doppio gioco per sparire definitivamente assieme a lei, col favore del governo del Fulmine.
    Mira stringeva Ambrose in braccio, credevamo che fosse la fine, ma dal nulla sopraggiunse un uomo a me sconosciuto, senza coprifronte o particolari indumenti da ninja, con una benda nera sull'occhio sinistro, ed una lunga katana nera nella mano destra.
    Con rapidi e letali fendenti, eliminò tutti e 5 i ninja come se fossero comuni civili, e poi si avvicinò a noi, rivelando il suo nome, Damocle.
    Egli ci portò in salvo a Yugakure, un villaggio a noi sconosciuto poco lontano da li, ci ospitò nella sua casa e ci disse che saremmo potuti rimanere li per un po, dato che lui non abitava mai in quell'immobile.
    La nostra riconoscenza fu enorme, ci aveva salvati da morte certa, ma ci mise subito in guardia che gli stranieri non erano ben accetti li, e che se ci avessero scoperti, ci avrebbero sicuramente uccisi.
    Passammo i seguenti 2 anni tenendo un profilo basso, Mira aprì un negozio di fiori, ed io rimasi a casa ad occuparmi di Ambrose, Damocle saltuariamente ci passava a salutare, e fu proprio una di quelle volte, mentre Mira era a lavorare, che feci promettere al nostro salvatore di occuparsi di Ambrose, se fosse successo qualcosa a noi.
    Egli accettò di buon grado, si era affezionato a lui dopo tutto, e ogni giorno che passava, Ambrose assomigliava sempre di più a sua madre.


    ...



    Il restro del diario era vuoto, alcune pagine erano state strappate, e molte altre erano semplicemente in bianco, papà non aveva più scritto nulla.
    Tenendo in mano il diario, una lacrima scese dai miei occhi, cadendo sulla nuda e fredda pietra...adesso avevo le risposte a la maggior parte delle domande che per una vita mi ero fatto, ma molte ancora rimanevano insolute, che fine avevano fatto i miei genitori? Perchè da quella notte di 10 anni fà non li ho più ne visti ne sentiti?
    E soprattutto, chi era questo Damocle? Non avevo ricordi di lui da bambino, e perchè la mia visione mi aveva condotto qui? Cosa aveva a che fare il marchio di sangue con tutto questo?

    Molte domande erano ancora senza risposta, ma adesso avevo un nome da cercare, ed un passato da illuminare.

    - Fine -




    Questa era la prima delle due PQ introduttive del mio PG, se ne evince che sono nato a Kumo e perciò lo andrò a modificare in scheda.


    Edited by Revan - 2/9/2020, 10:36
     
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