Un grandissimo idiota.

Sblocco Suiton - Seijo Hoozuki

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    I




    Era passata una settimana dall’esame genin.


    In una sola settimana erano successe molte cose, in realtà: al mio ritorno dall’esame, mia madre mi aveva “sorpreso” con una piccola festicciola in casa con tanto di torta e composizioni floreali ovunque. Dopo tutto sapeva bene quanto condividessimo la passione per l’ikebana. Beh, per quanto mi riguardava si trattava più di una passione nell’osservare le composizioni floreali, nel suo caso invece arrivava addirittura alla creazione delle suddette. Mi aveva infatti riferito che si era recata dal fioraio solo per acquistare i mazzi, ma le varie composizioni erano state create da lei in persona, ed erano davvero da lasciare a bocca aperta. Il clima di Kiri non è mai stato troppo generoso con la vegetazione e in particolar modo con i fiori particolarmente delicati. Eppure una di quelle composizioni, composta per lo più di anthurium, ancora durava e stanziava magnifica sul comodino di fianco al mio letto.
    La festicciola si era consumata in intimità e aveva visto come protagonisti principali me e mia madre. Per quanto ci fossimo sforzati, io e mio padre proprio non riuscivamo a venirci incontro: seppure avesse cercato di fingere orgoglio e incoraggiamento, potevo scorgere nei suoi occhi la delusione per il mio successo. Dopo tutto, per lui doveva significare il primo passo decisivo sulla via che mi avrebbe portato ad essere un ninja a tutti gli effetti. La via che lui, più di tutte, odiava. Mi avrebbe voluto sapere tranquillo, dietro ad una scrivania come lui. Ma era ora che comprendesse che il mondo non girava intorno a lui e che non era scritto da nessuna parte che io dovessi assecondare i suoi desideri: sarei diventato ciò che avrei voluto, senza pressioni esterne. Ad ogni modo, finsi a mia volta quel giorno. Provai ad esser cortese a mia volta e a nascondere il disgusto che provavo nei suoi confronti. Lo feci per mia madre, per non vanificare i suoi sforzi. E infatti ciò che ne uscì fu una bella festa intima e in famiglia che rimase piacevolmente nei miei ricordi anche nei giorni a seguire. Ero contento del traguardo che avevo raggiunto e festeggiarlo a quel modo, con mia madre, lo aveva reso ancora migliore.
    Ma, dicevo, erano successe molte cose: non solo la festicciola immediatamente successiva alla mia promozione. Ad esempio nei giorni seguenti mia madre, non contenta della festa e convinta di dover rimediare all’incapacità di mio padre di dimostrare orgoglio e affetto per il mio traguardo, mi fece il più bel regalo che potessi sperare: una katana appena forgiata. Seppure fosse una spada come le altre, me ne innamorai al primo sguardo: presentava un’impugnatura bianca con dettagli neri, una guardia color ottone e una lama leggermente ricurva d’acciaio. Mia madre cercò di farla passare come una pensata di mio padre, giurandomi e spergiurandomi che aveva proposto lui l’acquisto della katana, ma infondo sapevo chi era la vera mente dietro a questa spada e per questo decisi di chiamarla Ikebana, come la passione che ci legava. Come se già non ne fossi abbastanza certo, poi, sentii mio padre bisbigliare a mia madre:

    Avevo detto niente armi in casa!

    E vidi chiaramente mia madre rispondere con alcune pacche sul suo braccio, nel tentativo di placarlo.
    Infine, tra gli eventi clou della settimana immediatamente successiva alla mia promozione a genin ve ne fu uno più insperato di tutti: approfondii la mia amicizia con Kirara-chan, la ragazza con cui avevo avuto quella strampalata conversazione il giorno del nostro esame.
    Ero sempre stato un tipo solitario e non avevo legato particolarmente con nessuno in tutti quegli anni di accademia, eppure da quando avevo avuto quella conversazione con Kirara non riuscivo a togliermela dalla testa e desideravo approfondire la nostra amicizia. Avevamo preso ad uscire qualche sera, per concederci delle brevi passeggiate per le vie di Kiri. Passavo il tempo ad ascoltarla saltare da un discorso all’altro e raramente intervenivo per dire la mia: non volevo interrompere quel suo continuo flusso di coscienza che tanto mi affascinava. Somigliava tanto al mio, a quello che vivevo nella mia testa quotidianamente, ma lei riusciva ad esternarlo con una tale naturalezza da lasciarmi spiazzato. Volevo piacerle a tutti i costi, e così raramente esprimevo opinioni, per paura di dire qualcosa di sbagliato, ma al contrario mi limitavo a starla a sentire. Durante la nostra ultima uscita serale mi aveva confessato che a breve avrebbe avuto la sua prima missione, una livello D, e così le proposi di vederci la mattina seguente la missione, per farmi raccontare tutto.


    Quella mattina mi recai da lei abbastanza presto, sotto i timidi raggi di un sole pallido e oscurato a tratti dalle nuvole. La tradizionale nebbia del villaggio ingrigiva le strade di Kiri, che percorrevo tuttavia con una certa sicurezza e celerità: volevo arrivare da lei il prima possibile. E non solo: quella mattina mi ero prefissato di voler eseguire il test per scoprire se avessi già risvegliato un qualche tipo di chakra elementale. Da un lato, pensavo che fosse un poco prematuro; dall’altro però, ritenevo che la combinazione tra l’essere uno dei neo-genin più promettenti di Kiri e il fatto di discendere dagli Hoozuki mi desse un certo vantaggio in merito alla questione. Inoltre ero certo di possedere già un eccellente controllo del mio chakra, il che avrebbe agevolato ulteriormente l’allenamento che avevo intenzione di eseguire per scoprire se e quale tipo di chakra elementale avessi sviluppato.
    Immerso in questo genere di pensieri, giunsi senza quasi accorgermene di fronte all’abitazione di Kirara: una bassa villetta a due piani con un piccolo cortile frontale situata in una zona abbastanza centrale del villaggio della Nebbia. Passai lo sguardo su tutto l’edificio, ammirandone l’architettura minimalista e quasi spartana, poi mi soffermai su quella che doveva essere la sua camera. Le imposte si aprirono proprio in quel momento e dalla finestra si sporse Kirara, con un aspetta alquanto trasandato e i capelli alla rinfusa.

    Scusami tanto, Koeda-san. Scendo subito!

    Disse, scusandosi per il ritardo con la voce ancora rauca per il sonno. Doveva essersi svegliata da poco. Feci spallucce e mi appoggiai al muro esterno del suo cortile per alleviare l’attesa che mi aspettava. Pensavo un po contrariato a come non fossi riuscito a farle togliere il vizio di chiamarmi Koeda neppure dopo averle spiegato quanto mi infastidisse. Eppure era vero che il tono con cui lo diceva e la dolcezza della sua voce rendevano persino quello stupido nomignolo molto più accettabile alle mie orecchie. Non c’erano intenti canzonatori, ma solo la becera abitudine d’aver sentito chiamare qualcuno in un certo modo per anni e anni ed essersi abituati a propria volta ad usare quel nome.
     
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    II




    L’attesa mi sembrò durare un’eternità e con tutta quella immobilità l’umidità dell’aria mi penetrava nelle ossa. Ma infine, ecco che Kirara si fece viva e si palesò all’uscio della sua abitazione. Aveva spalancato la porta con veemenza e salutato i suoi genitori mentre ancora reggeva una fetta di pane al burro tra i denti.

    Schusha, ci shono! Ci shono!

    Mi disse, ancora tutta scombinata, mentre cercava di mandare giù quel gigantesco boccone di pane che si era ficcata in bocca, masticando a bocca aperta. Risi di gusto di fronte a quella scena: chiunque l’avesse vista avrebbe fatto fatica a credere che era una signorina e soprattutto che era una genin del villaggio della Nebbia. Eppure il coprifronte che teneva appeso al collo a mo di collana stava lì a testimoniare proprio quello.
    Si affiancò a me che intanto mi ero staccato dal muro su cui mi ero poggiato e già mi stavo incamminando verso l’accademia, lì vicino. La salutai augurandole buongiorno e lei ricambiò, abbagliandomi con quei suoi occhi color smeraldo.

    Allora? Com’è andata la missione ieri?

    Ah, non immagini! Son tornata tardissimo ieri sera e per questo ho fatto fatica a svegliarmi stamattina..
    Ma in realtà è stato un niente di fatto eheh


    Disse ridacchiando e poggiando le mani dietro la testa, affondate in quella chioma arancione abbondante che ondeggiava ad ogni passo. Io la osservavo, senza controbattere nulla: volevo che proseguisse il suo racconto e, non avendo mai eseguito una vera missione in vita mia, ero piuttosto curioso di sapere quali fossero le dinamiche esatte.

    Come ti dicevo era una missione di livello D. In sostanza, hai presente la farmacia Koshi & Kaemon? Doveva trasportare un carico di medicinali che invia a cadenza annua in un vicino villaggio di pescatori. Si trattava di un carico piuttosto grosso, tanto che avevamo un carro intero da scortare..E praticamente cercavano un genin che accompagnasse il loro viaggio per qualsiasi evenienza. Quella strada, come ben saprai, è piuttosto tranquilla e abbastanza battuta, quindi la mia presenza era solo per sicurezza..

    Disse, facendo una pausa sconsolata. Probabilmente avrebbe preferito qualcosa di più movimentato ed eccitante. Tornò a guardarmi per capire se la stavo seguendo e io accompagnai il tutto con un cenno del capo, facendole intendere di proseguire nel racconto. Ma probabilmente ci misi troppa enfasi e lei dovette capire che la mia curiosità era rivolta a se o meno ci fossero stati degli imprevisti o addirittura degli scontri, chessò con dei banditi magari.

    Ma niente! Te l’ho detto: nulla di fatto. E’ stato stancante per via della lunga strada da percorrere e l’attenzione da mantenere vigile sul carico. Ma alla fine nulla è andato storto e abbiamo raggiunto il villaggio con facilità…
    Sarebbe stato tutto piuttosto noioso se non ci fosse stato anche il garzone della Koshi & Kaemon, Shiro-san.


    Sobbalzai e immediatamente dopo cercai di ricompormi velocemente. Tentai disperatamente di assumere un’aria distaccata, ma il mio sguardo fisso sulle sue labbra mi tradiva: ero assetato di particolari. Chi era ora Shiro-san? Si certo, il garzone. Ma perché e come aveva allietato il loro viaggio? Ero curioso di sapere questi dettagli, ma d’altro canto non volevo mostrarmi troppo interessato. Il risultato fu un goffo tentativo da parte mia di assumere un atteggiamento distaccato mentre i miei occhi al contrario le chiedevano insaziabili di proseguire il racconto e specificare quanto aveva appena detto. Impaziente, decisi infine di aprir bocca.

    In che senso?

    Oh beh, mi ha tenuto compagnia per tutto il viaggio. Abbiamo parlato, riso, scherzato..
    Un po come facciamo io e te la sera, niente di che!


    Niente di che!

    Ripetei nella mia mente, mentre quelle parole mi colpivano come un kunai alla schiena. Quel discorso stava prendendo una piega pericolosa: se avesse continuato a snocciolare dettagli, probabilmente non avrei più potuto trattenere le mie emozioni, e queste si sarebbero manifestate in tutta la loro potenza nei gesti del mio corpo. Non potevo permetterlo. E poi che cos’era la mia? Gelosia forse? Non potevo proprio permetterlo: ecco cosa succedeva ad esporsi, a legarsi a qualcuno.
    Cercai una via di fuga da quel discorso, che in ogni caso stava volgendo al suo termine naturale. E tale via di fuga mi venne fornita proprio dall’arrivo alla nostra destinazione: svoltato l’ultimo angolo ci ritrovammo entrambi di fronte all’ampio edificio che costituiva l’accademia del villaggio. Ero stato lì appena una settimana fa, e prima di allora praticamente quotidianamente, eppure ora quell’edificio mi sembrava così estraneo, così passato. Varcai i cancelli con Kirara al mio fianco, entrambi piuttosto rapiti dalla nostalgia. Lei sembrava non aver fatto caso a tutto il turbamento che avevano causato le sue parole e neppure al fatto che non le avessi dato una risposta: dopo tutto doveva essersi abituata alla mia introversione e ai miei silenzi assorti.
    Camminammo fino al bancone della segreteria e lì trovammo ad attenderci la signora Iwagara, assistente scolastica da una vita. Ci accolse con un sorriso bonario e ci salutò chiamandoci per nome: dopo tutto lavorava lì davvero da un’eternità e conosceva personalmente ogni studente, pur essendo “solo” una segretaria accademica. Le resi manifeste le mie intenzioni: acquistare presso di loro il test per rivelare il chakra elementale. Frugò sotto il bancone che la separava da noi e se ne uscì poco dopo con un involucro in carta contenente il test. Le diedi in cambio un piccolo contributo in denaro, il prezzo da pagare per acquistare il test, dopo di che ringraziai e feci per voltarmi.

    Anche io, per favore!

    Irruppe Kirara, aprendo il suo portafogli e svelandone il contenuto: una bella sommetta di denaro, probabilmente il compenso per la missione eseguita appena il giorno prima. Anche lei ottenne il suo test e, dopo aver salutato, entrambi ci voltammo e ci dirigemmo verso uno dei campi di addestramento resi disponibili all’interno dell’accademia stessa.
    Attorno a noi, mentre ci giostravamo tra i corridoi labirintici dell’accademia, scorreva la vita scolastica che ci aveva visti protagonisti fino alla settimana prima: ragazzini del primo anno correvano da una parte all’altra, cercando la loro aula, mentre gli studenti più grandi stanziavano qua e là libro alla mano, assorti in qualche tipo di lettura.

    Le nuove generazioni sembrano promettenti.

    Dissi inorgoglito, tentando di darmi un’aria da veterano che proprio non potevo permettermi, non avendo eseguito neppure la mia prima missione da ninja. Lei ridacchiò, percependo probabilmente la comicità della situazione.
    Arrivammo entrambi al campo di addestramento che avevamo scelto di utilizzare per quella mattina: una distesa di terra battuta delimitata da una rete in ferro e con un piccolo cancello in ferro a fare da entrata. All’interno del campo erano presenti alcuni bersagli di paglia a forma di essere umano, con diversi kunai ancora conficcati al loro interno. Intorno a noi, in altri campi di addestramento limitrofi, alcuni studenti stavano eseguendo delle esercitazioni di vario tipo: chi si allenava nel lancio degli shuriken, chi nelle arti marziali e chi altro ancora nei jutsu accademici. Il baccano faceva da sottofondo, mentre io e Kirara ci posizionavamo al centro del campo in terra battuta.

    Comincio io.

    Affermai con fermezza, mentre stropicciavo l’involucro in carta per far fuoriuscire il foglietto imbevuto di reagente al chakra elementale. Tenevo il test stretto tra indice e pollice e non gli levavo lo sguardo di dosso, un poco preoccupato. Dopo tutto si trattava per me di una ulteriore prova da superare, dopo quella per diventare genin, ed era normale dunque che mi stesse gettando in un qualche tipo di stato d’agitazione. Dicevo, si trattava per me di una prova da superare poiché avevo saputo che per generazioni i membri del clan Hoozuki avevano sbloccato come primo elemento (e alcuni anche come unico) il suiton, l’arte dell’acqua. Era dunque per me una prova del nove: se ora quel foglietto non avesse reagito in nessun modo o se peggio avesse dato come esito uno diverso dall’arte dell’acqua, significava che non potevo ritenermi un degno erede del clan Hoozuki. Significava che veramente il mio era il “ramo spezzato del clan”. Il responso di quel test significava per me la conferma o la smentita dell’appartenenza al clan che ci aveva rigettato come reietti. Era la mia occasione di dimostrare in prima battuta d’esser degno dell’appartenenza al clan.
    Non c’era tempo da perdere: dovevo ricompormi e avere l’esito del test, star lì a crogiolarmi nei miei timori non avrebbe giovato per nulla.
    Strinsi ancora di più il foglietto tra le mie dita e proprio lì cercai di incanalare il chakra che intanto avevo preso ad impastare. Socchiusi gli occhi per agevolare la concentrazione e intanto sentivo lo sguardo ansioso di Kirara addosso. Dopo attimi che mi sembrarono eterni finalmente il foglietto sembrò reagire al mio chakra e prese ad avere una reazione. Riaprii gli occhi percependo il mutamento, che in realtà stavo già assaporando a livello tattile: le dita che reggevano il test si inumidirono e il foglietto prese a gocciolare per terra. Lanciai un pesante sospiro liberatorio e sul mio volto si dipinse un grosso sorriso.

    Suiton, non male! E poi è un elemento così raro qui a Kiri, sapevo che eri speciale!

    Disse prendendomi in giro Kirara. Probabilmente lei non immaginava quali tipi di turbamenti mi attanagliassero sulla quesitone, per questo si prendeva il lusso di canzonarmi bonariamente. Eppure io ero davvero sollevato: non potevo desiderare di meglio. Questo risultato infatti non solo dimostrava che avevo una padronanza del chakra tale da aver già sbloccato il Suiton al mio interno, ma ancora di più dimostrava che il sangue degli Hoozuki scorreva nelle mie vene e che la loro scomunica non aveva avuto alcun tipo di effetto sul mio chakra.
    Risposi alla provocazione di Kirara con una linguaccia e poi la invitai ad eseguire il test a sua volta. Ora toccava a lei dunque: ci scambiammo di posto, in modo che si trovasse lei al centro del campo d’addestramento. Spacchettò il suo test e lo strinse come avevo fatto io, iniziando a concentrarsi per richiamare il chakra. Io, dal canto mio, me ne stavo immobile a qualche metro da lei, intento ad osservare con attenzione l’esito del suo test. Con le mie iridi scarlatte colsi l’occasione per esplorare attentamente i suoi lineamenti così dolci: il volto paffuto e dalle guance rossicce, la folta e disordinata chioma arancione che tanto mi faceva impazzire, le curve del suo corpo e la sua aria trasandata ma determinata. Chissà cosa le stava passando per le testa in quel momento? Chissà se anche lei aveva dubbi nascosti e reconditi che la attanagliavano e le rendevano difficoltosa la concentrazione..
    Intanto però i minuti passavano e il suo foglietto sembrava non assumere mutamenti sostanziali, se non quello di essere di tanto in tanto agitato dalla fredda brezza che si era levata da est.

    Oh beh, dev’essere tarocco!

    Se ne uscì Kirara dopo qualche istante ancora d’attesa. Aveva sciolto la sua posa da concentrazione ed era tornata rilassata. Mi guardava con occhi ingenui, di fronte al mio sbigottimento: come poteva reagire a questo modo? Il test, sembrava aver funzionato perfettamente, semplicemente non aveva dato alcun esito positivo: Kirara non possedeva al suo interno ancora nessun chakra elementale. Ma lei non solo non era sembrata rimanerci male, ma aveva addirittura ironizzato sulla cosa con leggerezza. Eravamo così dissimili: io pieno di paranoie e dubbi e lei così rilassata e ingenuamente tranquilla. Eppure la invidiavo per questo: questo suo lasciarsi scorrere tutto addosso e vivere seguendo la corrente mi mandava ai matti. Sembrava tutto così semplice per lei e persino questo evento, che avrebbe causato in me grande delusione, sembrava non toccarla minimamente.
    D’altro canto, però, ero soddisfatto del risultato, in un modo tuttavia malsano e poco corretto. Godevo del fatto che lei non avesse ancora sufficiente controllo del suo chakra da sbloccare un elemento. Lei, proprio lei che aveva già eseguito una missione e che all’esame genin si era dimostrata così pronta, comunque rimaneva dietro di me. E ancora una volta godevo dell’esser primo, di esser migliore. Certo, un poco mi disgustava dover godere così delle debolezze altrui per innalzare me medesimo, ma ovviamente il mio temperamento non mi permetteva di cambiare. Volevo essere il primo, a tutti i costi. Volevo essere il più promettente tra i giovani ninja, e se questo significava dover sorpassare Kirara ero disposto anche a questo.
    Lei, da parte sua, sembrava ragionare proprio al di fuori di quest’ottica: non sembrava interessarsi a chi di noi due fosse migliore o più forte. E lo aveva dimostrato sufficientemente rispondendo ironicamente al fallimento del suo test.
    Le misi una mano sulla spalla, per cercare di consolarla dall’esito infelice, ma lei si scostò infastidita e mi puntò i suoi occhi a fessura addosso.

    Non trattarmi con sufficienza, sai??

    Disse, ma non riuscii a capire quanto fosse seria poiché per pronunciare quelle parole usò il suo solito tono scherzoso e determinato. E così ritrassi la mano incapace di comprendere il suo reale intento. Finsi una risata, così da togliermi dall’imbarazzo della situazione ma ciò che seguì fu un silenzio prolungato in cui la confusione di sottofondo tornò a farla da padrone.
     
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    III





    Il silenzio che ci divideva sembrava non dover mai finire e così decisi di prendere in mano la situazione e di spezzarlo con le mie parole.

    Senti, ti va un allenamento? Uno scontro amichevole, io contro te. Niente jutsu, solo tai.

    Dissi con tono di sfida. Il mio reale obiettivo era quello di testare il nuovo chakra elementale appena sbloccato, ma volevo mascherarlo come una banale sfida amichevole tra neo genin.
    Volevo esplorare quali fossero le potenzialità di quel nuovo chakra e capire come avrei potuto utilizzarlo a mio vantaggio nelle varie situazioni che si sarebbero presentate d’ora in avanti di fronte a me.

    Si, ma si fa sul serio e chi perde offre il pranzo!

    Disse lei, facendomi la linguaccia per provocarmi. Io annuii divertito, dopo di che ci posizionammo a debita distanza in attesa di far partire lo scontro.
    Osservavo i suoi movimenti aggraziati mentre si metteva in posizione di combattimento estraendo due kunai e impugnandoli con la lama rivolta verso l’indietro, a protezione del volto. Io invece strinsi i lacci del coprifronte per assicurarlo meglio sulla mia testa e poi estrassi Ikebana dal suo fodero che portavo legato appena sopra il mio sedere, in fondo alla mia schiena. Dopo tutto aveva chiesto di fare sul serio e io volevo approfittarne per affinare la mia tecnica con la katana appena ricevuta in dono.
    Passammo i primi istanti a studiarci, facendo danzare i nostri occhi tra i nostri volti e le nostre mani in attesa della prima mossa. Decisi di prendere in mano la situazione: strinsi a due mani l’elsa di Ikebana, piegai le ginocchia e subito dopo scattai in direzione di Kirara, tentando un affondo abbastanza prevedibile. Sì, si era detto di fare sul serio ma l’ultima cosa che volevo era deturpare il corpo della mia splendida amica con una cicatrice da arma da taglio.
    Lei non doveva essere dello stesso avviso, poiché parò con decisione il mio colpo deviandolo sulla destra attraverso il kunai che stringeva nella stessa mano, e con quello che invece teneva nella sinistra contrattaccò rapidamente causandomi un taglio poco profondo sulla guancia. Aveva mirato al volto, senza esitazione, seppure debolmente: mi aveva mostrato di voler fare davvero sul serio. Arretrai di qualche passo dopo il colpo subito e mi ricomposi tornando in posizione con ikebana tenuta salda a protezione del busto. Il sangue mi colò sulla guancia e mi finì sulle labbra, sprigionando un sapore nauseante di ruggine, tuttavia ebbe l’effetto di caricarmi ancor di più. Caricai nuovamente la mia avversaria, che a quanto pare preferiva difendersi e contrattaccare piuttosto che prendere direttamente l’iniziativa. Questa volta provai ad attaccarla dall’alto verso il basso, calando la lama verso la sua chioma arancione che tanto adoravo. Il colpo era decisamente più veloce e preciso: questa volta attaccavo per fare male. Senza batter ciglio però lei parò anche questo colpo e contrattaccò nuovamente alla stessa maniera.

    Troppo prevedibile!

    Pensai, mentre scansavo facilmente il suo affondo diretto al volto e giravo la lama della spada verso l’alto per attaccare nuovamente, questa volta dal basso verso l’alto.
    Kirara saltò all’indietro con tale velocità da farmi correttamente supporre che si fosse avvalsa dell’aiuto del chakra impastato nei piedi per incrementarne la rapidità dei movimenti.
    Ciò che seguì fu uno scambio di colpi appassionato, una danza elegante di acciaio e scintille: entrambi ci muovevamo sinuosamente e con movimenti composti e studiati, dimostrando con i fatti il motivo per cui eravamo ritenuti tra i neo genin più promettenti del villaggio della Nebbia.
    Ad ogni mio colpo seguiva una sua risposta pronta: una parata, una schivata o un contrattacco diretto. Presi a spazientirmi e incrementai la forza impressa nei miei colpi: ero io il più forte, il migliore, il primo…e dovevo dimostrarlo a tutti i costi. I miei movimenti composti e studiati si tramutarono in affondi brutali e violenti, che poco spazio lasciavano alla tecnica. Kirara doveva essersene in qualche modo accorta, poiché aveva preso a faticare nell’intercettare i miei colpi, pur facendosi trovare sempre pronta. Stavo spendendo molta energia, molta più di quanto avrei voluto e di quanto avrei creduto sarebbe stato necessario. Mi ero sempre considerato superiore a chiunque nella mia classe, Kirara compresa. E invece ora quella ragazzina mi stava rimettendo al mio posto, facendomi capire che non ero l’unico ad essersi dimostrato particolarmente promettente e soprattutto dimostrandomi che non ero il solo nella corsa al primo posto. Se volevo mantenere uno standard elevato dovevo continuare ad allenarmi e a fare sul serio, conscio del fatto che anche gli altri genin del villaggio della Nebbia sarebbero cresciuti e divenuti più forti nel tempo. Sentii il sangue ribollirmi in risposta a questi pensieri e persi la testa, ubriaco del solo obiettivo di battere Kirara, di lasciarla al suolo inerme e incapace di contrattaccare ad ogni mio colpo come stava facendo finora. Decisi dunque di provare ciò per cui fin dall’inizio avevo proposto quello scontro di allenamento: il chakra Suiton.
    Presi le distanze dal mio avversario per qualche istante, prima di caricarla nuovamente a spada tratta. La mia tattica era in realtà molto semplice, avrei fatto partire una catena di colpi abbastanza prevedibili per fissare la sua guardia in un punto e poi avrei rotto la monotonia della concatenazione mirando da tutt’altra parte con la lama carica di Suiton. Non sapevo se la cosa mi sarebbe riuscita, poiché era la prima volta che la provavo, tuttavia mi sentivo abbastanza in confidenza con questo nuovo tipo di chakra da voler quanto meno provare. E poi la tenacia di Kirara mi stava spazientendo e avevo iniziato a perdere la testa, alla feroce ricerca della vittoria a tutti i costi.
    Misi in atto la mia strategia: portai due colpi consecutivi verso la parte sinistra del suo corpo, ma vennero facilmente intercettati dalla kunoichi tramite i suoi due kunai. A quel punto roteai la spada sopra la mia testa per far cambiare direzione alla lama e attaccai la parte inversa del suo corpo, all’altezza del busto. Ma mentre ancora la facevo roteare rapidamente sulla mia testa concentrai il chakra Suiton nelle mie mani e cercai di incanalarlo all’interno della lama della mia katana, Ikebana. La sentivo come fosse un’estensione del mio corpo e pertanto non fu difficile per me, seppure fosse la prima volta, riuscire nel mio intento. Qualcosa però andò storto: persino quel mio colpo improvviso e carico di chakra venne intercettato e parato efficacemente dalla mia avversaria. Il chakra suiton, per la mia gioia, fece comunque il suo effetto: dalla lama scaturì una modesta quantità d’acqua che oltrepassò il kunai che aveva usato a sua protezione e le finì dritta sui vestiti, appesantendoli. Mi montò una gran rabbia e non riuscivo più a controllarmi: volevo solo vincere la sfida e dimostrarle di essere il migliore, migliore persino di quel suo Shiro-san di cui aveva parlato. Sfruttai i suoi movimenti appesantiti dall’acqua, mollai la presa di Ikebana affidandola alla sola mano destra e con la sinistra mirai al collo di Kirara. Le afferrai il collo e sbilanciai il peso del mio corpo in avanti, in modo da caricarlo tutto sulla presa. Kirara rovinò al suolo e io su di lei, ansimante e sudato. La mia mano sinistra stringeva il suo collo mentre la destra teneva salda l’impugnatura di Ikebana, che si era conficcata al suolo attutendo la mia caduta. Osservavo il suo sguardo determinato e mi montava ancora più rabbia: non si voleva arrendere nonostante tutto. Non voleva arrendersi alla mia superiorità.

    Arrenditi! Arrenditi!

    Pensavo mentre perdevo ogni controllo e stringevo sempre di più la mia presa intorno al suo collo. Il suo sguardo determinato si tramutò in uno di incomprensione: doveva faticare a comprendere le ragioni del mio accanimento. Io ricambiavo lo sguardo, godendo di quella lenta resa che pian piano si faceva strada nelle sue iridi verde pulsante. Kirara prese a produrre dei colpi di tosse piuttosto strozzati e ad impallidire vistosamente.

    Seijo..Cough cough…Smett..

    Le parole gli morivano in gola, mentre io stringevo e stringevo. Neppure mi ero accorto che per la prima volta nella sua vita mi aveva chiamato col mio vero nome e non con quello stupido nomignolo canzonatorio. Alla fine l’istinto di sopravvivenza le diede la forza necessaria per menare un colpo secco in direzione della mia mano, capace di farmi allentare la presa. Scivolò all’indietro e si rialzò a fatica mentre continuava a tossire senza sosta e a toccarsi la gola con le mani ormai libere dall’impugnatura dei kunai. Io me ne stavo a qualche metro ansimante e gongolante per la vittoria, ancora non avevo compreso la portata di ciò che avevo fatto. Posai i miei occhi su di lei e trovai il suo sguardo incapace di comprendere come mai mi fossi comportato in quel modo. Era lo sguardo smarrito di chi non sa bene cosa stia succedendo, faticando ad interpretare quanto appena successo.

    SEI UN GRANDISSIMO IDIOTA!

    Strillò non appena ebbe ripreso fiato. L’intero cortile si ammutolì e la confusione che faceva da sottofondo sembrò acquietarsi rispettosa di quella furia appena scaturita da Kirara. Il silenzio di impossessò del campo d’addestramento e gli sguardi attoniti degli studenti erano tutti su di noi. Solo allora realizzai ciò che avevo fatto: per la mia smania di vincere, le avevo ingiustamente fatto male. Più di quanto ci eravamo concessi di farcene in quell’allenamento. Era già battuta quando era al suolo, perché avevo voluto insistere così?
    Provai a balbettare qualcosa, ma lei si voltò e si precipitò fuori dal campo prima che io potessi direi qualunque cosa. Infine scomparve dalla mia vista.

    Sono un grandissimo idiota..

    Pensai mentre la guardavo sparire dal mio campo visivo, incapace di seguirla e di chiederle scusa.
    Passarono attimi interminabili prima che io mi riprendessi dallo stato di trance in cui ero piombato. Avevo ottenuto ciò che volevo: avevo sbloccato il chakra Suiton, lo avevo utilizzato magnificamente e avevo sconfitto il mio avversario. Eppure a quale prezzo? Temevo ora di aver perso l’amicizia di Kirara per la mia stupida fissa d’essere il migliore. Raccolsi Ikebana e la rinfoderai, soprappensiero. Avevo combinato un casino e ora dovevo pensare a come rimediare, ma il mio stomaco brontolava e di sicuro Kirara non mi avrebbe offerto il pranzo come pattuito. Così decisi semplicemente di tornare a casa mia ed escogitare un modo per farmi perdonare.

    Domani, magari.
    Per oggi ho già combinato abbastanza guai..




    Non ho inserito stamina e resistenza poichè non si trattava di uno scontro ufficiale, ma solo di un evento narrato all'interno dell'allenamento.
    Lo sblocco del Suiton l'ho narrato autoconclusivamente, spero non sia un problema :)
     
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    Puoi prendere 35 punti exp e richiedere l'aggiunta dell'Elemento Acqua
     
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