[PQ] (In)sperate sorprese

20 d.z.

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    I


    Sedici anni, special jounin. Atshushi aveva raggiunto un traguardo degno di nota, senza dubbio. Ma quali erano le sue sensazioni rispetto a questo? Sentiva di non meritarlo o, d’altra parte, si sentiva inadeguato rispetto al ruolo che avrebbe dovuto ricoprire. Uno sp.jounin poteva essere anche un comandante di uomini in missione, ma l’esperienza aveva insegnato al giovane Uzumaki che non era mai stato all’altezza della situazione in tutte le missioni alle quali aveva partecipato.

    Dalla battaglia del Golfo degli Squali era uscito per un puro miracolo, senza che potesse essere in grado di fare nulla contro quel diabolico nemico vestito di bianco. Successivamente, era stato promosso a chuunin, quasi come un premio per non essere morto. Solitamente era un grado raggiungibile attraverso un arduo esame, il quale faceva scrematura di tutti quei genin inadatti a ricoprire quel ruolo, ma ad Atshushi era bastato uscire vivo, seppur malridotto, da una battaglia in cui non aveva fatto altro che uccidere due pirati ubriachi.

    La storia si era ripetuta a Tetsu, dove il ninja non aveva fatto niente di eccezionale. Aveva visto con i propri occhi la riunificazione del Paese del Ferro, tanto desiderata dal mondo ninja, e aveva effettivamente contribuito a quell’impresa da libri di storia, ma in cuor suo sapeva di non aver apportato alcun contributo significativo. Non era nemmeno lontanamente paragonabile a ciò che aveva Jin Senju. Ma cosa poteva lui, un semplice Uzumaki? Sapeva pasticciare con i sigilli, mentre Jin sapeva creare titani di legno in grado di frantumare montagne. Ma la parte più amara fu vedere

    Geralt Aizawa graziato per i suoi scellerati peccati. Aveva decapitato bambini e abbandonato compagni sul campo di battaglia. Aveva abbandonato proprio Atshushi durante la Battaglia del Golfo degli Squali. Aveva appreso ciò parlando con Ryuga Senju, quello strano mukenin dal quale aveva appreso una lezione fondamentale: non tutti i mukenin sono uguali. E il giovane ninja di Kiri aveva imparato a proprie spese che nemmeno tutti i ninja erano uguali. Tra le fila dei villaggi, si nascondevano ninja corrotti e spietati come suo fratello.

    Atshushi era ritornato dall’isola dove, molti secoli prima che la guerra distruggesse il villaggio e costringesse all’esodo il suo popolo, vivevano i suoi antenati. Durante quell’esodo, diversi Uzumaki erano nati in tutto il continente alla rinfusa simili semi sparsi dagli uccelli sulla terra, senza mai riunirsi sotto in un’unica comunità; alcuni ignorando le proprie origini, altri rinnegandole, altri ancora sfruttando il potenziale del loro sangue per lasciare tracce indelebili del loro passaggio. Naruto, il più rinomato fra essi, era ancora lodato e ricordato per essere il ninja più forte mai esistito. Atshushi aveva letto che Naruto era stato una vera frana durante l’accademia e il suo successo era dovuto unicamente alla sua caparbietà, al suo nindo irremobile “non mi arrenderò mai!”. Ma il ninja di Kiri non si sentiva come lui. Non aveva difficoltà ad impastare chakra e fare sigilli: l’accademia per lui fu una formalità. Eppure a sedici anni Naruto salvò il suo villaggio dalla distruzione, pur essendo ancora un genin. Invece, Atshushi era uno special jounin e, nonostante avesse la stessa età del leggendario ninja, non aveva ancora combinato nulla.

    Il viaggio nella terra dei suoi antenati aveva nuovamente deluso le sue aspettative. Si diceva che era stato Jin Senju a sconfiggere Qayin. L’ammirazione e l’invidia per quel ninja si erano fuse creando un sentimento sconosciuto di repulsione e apprezzamento. Atshushi, con l’aiuto di uno shinobi di Suna di nome Zen e una non meglio identificata piratessa, aveva sconfitto una bestia frutto dei folli esperimenti del Figlio Maledetto del Caos e ciò gli aveva fatto guadagnare una strana armatura.

    Ne aveva osservato attentamente i riflessi molto cupi, le placche più nere della notte. Non era fatta di metallo, ma del carapace del mostro che avevano sconfitto. Al tatto era calda, come se scorresse ancora vita dentro di essa. A volte sembrava essere pervasa da riflessi di un rosso così intenso, tali da far pensare che al suo interno scorresse ancora il sangue di quel mostro. Atshushi l’aveva porta con sé, ma aveva paura di indossarla. L’aura demoniaca che emanava era percepibile a metri di distanza. Cosa ne avrebbe fatto?
     
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    II


    Kirigakure no Sato. Non era più il villaggio di prima. La guerra lo aveva stravolto. La distruzione permeava l’aria. Il palazzo della Mizukage era ancora una crisalide vuota orridamente fatiscente, con pareti crollate e impalcature che non riuscivano a far sparire velocemente il macabro ricordo di quel giorno. Il giorno in cui Kiri fu colpita direttamente nel suo cuore pulsante. Il giorno in cui la Mizukage venne rapita. Il giorno in cui si stentava a credere alla realtà. Un kage rapito mentre era nel suo ufficio. Assurdo. Semplicemente assurdo. Da quando Atshushi aveva guadagnato il coprifronte della Nebbia, ed erano passati soltanto quattro anni dal suo diploma, aveva già dovuto assistere alla tumulazione di due Mizukage e al rapimento della loro succeditrice.

    Quando Atshushi non era impegnato in qualche incarico, passava le giornate allenandosi, come sua consuetudine. Non sopportava saltare gli allenamenti e, qualora capitasse di mancare una seduta, si demoralizzava immediatamente nutrendo la sensazione di aver perso tutti i progressi fatti. Era diventata come una sorta di ossessione. Eppure c’erano così tante distrazioni . A volte si perdeva nelle pieghe di un libro fino a scomparire per giorni interi. Il suo era un vero e proprio tuffo nella letteratura. Entrava dalle note dell’autore e riemergeva ai ringraziamenti finali. Altre volte era semplicemente il divano a essere troppo caldo e comodo per staccarsene e allora perché non passare una giornata mangiando dolcetti e bevendo tè? Le montagne di Kiri brulicavano di pecore che davano un’ottima ricotta, la quale a sua volta dava origine e prodotti dolciari così buoni da far venire l'acquolina in bocca.

    Nonostante ciò, il conseguimento del nuovo grado lo aveva gettato in uno stato di inquietudine perpetua. Molto probabilmente avrebbe dovuto ricoprire missioni con incarichi di comando poiché, a causa del ristretto numero di ninja disponibili a causa delle perdite subite nelle guerre e del numero sempre maggiore di esigenze a cui essi erano chiamati, era diventato fondamentale capitalizzare al massimo ogni ninja. Ciò consisteva in uno sfruttamento massimo delle loro capacità, almeno quelle attestate sulla carta. Pertanto, era chiaro come al neo special jounin sarebbe toccato molto presto farsi carico di tale responsabilità. Almeno questi erano i suoi timori, fondati o meno che fossero.

    Aveva la necessità di sentirsi pronto, nei limiti del possibile, quanto meno per poter dormire tranquillo la notte. Il senso di inadeguatezza lo manteneva sveglio. Non era facile e le idee scarseggiavano. Poteva continuare a tirare kunai contro gli alberi e riempirsi di lividi e ferite combattendo con i suoi cloni, ma ormai questo non lo gratificava più. Sentiva il bisogno di fare di più. Ma come?

    *



    Era tra i monti fuori dal villaggio. Basse colline erbose, con sempreverdi che formavano piccoli boschetti a macchia di leopardo e querceti con le gemme primaverili pronte a sbocciare in nuova vita.
    I suoi cloni gli stavano dando non poche rogne e, uno dei tre, ritenne di dover aggravare ulteriormente lo svantaggio numerico dell’originale, evocando Gama. Durante il combattimento, Atshushi eliminò gli altri due cloni, ma finì bloccato dalla presa del grosso rospo arancione. La sua lingua pustolosa lo avvolse stringendolo con forza. A questo punto il ninja poteva decidere se folgorare il povero anfibio con una possente scarica elettrica oppure scegliere di divincolarsi con la tecnica della fuga. Gama era un suo grande amico, il quale era già fin troppo gentile e disponibile aiutando il ninja durante i suoi allenamenti, quindi non meritava certo di esser trattato troppo bruscamente.

    Dopo essersi liberato da quella presa, sistemò l’ultimo clone con un jutsu di fulmine e si lasciò cadere stremato sul prato. L’erba era umida e soffice al tatto. Amava il senso di beatitudine che gli infondeva quel letto verde.

    < Gama, cosa ne pensi? > Chiese al suo compagno anfibio.

    < Penso che dovrai offrirmi un bel pranzetto dopo questo allenamento. > Se non altro il buon Gama sapeva sempre mettere di buono umore l’Uzumaki.

    < Non mi riferivo a quello tontolone. > Un sorriso rilassato sul viso, le mani incrociate dietro la testa e rade nuvole simili a ciuffi di cotone in alto nel cielo. < Giornate di sole così sono rare, non credi? >

    < Sì, ma quindi volevi chiedermi del tempo? > Agitò una grossa zampa disegnando cerchi nell’aria con una delle dita affusolate. < Sul monte Myoboku c’è sempre bel tempo, non lo sai? Non come quest’isola triste e grigia. >

    Atshushi sospirò. < Hai ragione. Quest’isola è grigia e triste, ma è tutto quel che ho. > Un uccellino si poggiò sul prato, saltellando poco distante da loro. La primavera era già arrivata. <pensi che potrò mai salire sul Monte Myoboku? >

    < Non lo so. > Gama rispose dopo averci riflettuto alcuni istanti. Sembrava non essere sicuro. < A pochi viene concesso di scalare il monte e conoscere gli anziani saggi. >

    < Sì, ne ho sentito parlare. Fukasaku e Shima, giusto? >

    < Oh, sì! Proprio loro! Ma tu sai proprio tutto, eh Atshushi? >

    < So soltanto ciò che leggo, cara Gama. Se soltanto leggessi un po’ di più anche tu, sapresti le stesse cose che so io. >

    < Ma andiamo! > Il rospo agitò i propri arti con una teatrale serietà. < Con queste zampone? Non hanno ancora creato libri o rotoli adatti alle viscide zampe di un rospo. >

    Atshushi scoppiò in una risata. Era da tanto che non rideva.

    < Comunque pensi che finirà questo periodo di caos? > Gli ripropose la domanda, alla quale non riusciva a trovare risposta.

    < Quindi è questo che volevi chiedermi? > Il tono di voce del rospo era profondo e marcato, denotando una pigra lentezza, eppure vi era una velata vivacità nel suo modo di agire. < Tutto finisce prima o poi. Lo dice sempre anche il grande saggio. > Per un attimo sembrò esitare, ma poi proseguì. < Le guerre così come i periodi di pace si alternano dall’alba dell’era degli uomini. Anche il conflitto più lungo e sanguinoso un giorno arriverà a esaurirsi. Bisogna solo stringere i denti. >

    Atshushi gli poggiò una mano sulla zampa, dandogli alcune pacche fraterne. < Non mi aspettavo tanta saggezza da te. Con questa risposta hai proprio vinto un bel pranzetto. Cosa preferisci? >
     
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    III


    Atshushi aveva vissuto gli ultimi anni della sua vita nella casa del fratellastro, Artosi. Un luogo piccolo e per niente pulito, dove poteva dormire soltanto su un divano. Artosi gli voleva bene e Atshushi provava un senso di devozione nei suoi confronti per averlo accettato al pari di un fratello, ma non aveva mai sentito esserci un feeling particolare tra di loro. Non che si incontravano spesso, pur vivendo insieme. Artosi era sempre fuori per lavoro nelle ore diurne e la sera era solito fare il giro dei locali per salutare i tanti amici con tanti brindisi quanto erano i saluti. Forse erano troppo diversi l’uno dall’altro per costruire un rapporto che andava oltre quello spontaneo affetto reciproco per aver vissuto a lungo insieme. In quei giorni primaverili, decise che era ora di spostarsi e trovarsi un luogo tutto suo. Aveva messo una discreta somma da parte e poteva permettersi una casa dignitosa a Kiri. Aveva sempre titubato perché temeva di allontanarsi da Mizu, la fidanzata del fratello e sua istruttice di arti magiche, ma la ragazza era da molto che non si faceva vedere. Forse il trambusto della guerra e dell’attacco al villaggio l’aveva tenuta sempre occupata. D’altra parte lei aveva una sua casa e una sua famiglia e andava soltanto occasionalmente a dormire da Artosi.

    Aveva bisogno di una figura femminile nella sua vita. Pur inconsciamente, aveva assimilato Mizu a una figura matrigna, una dea buona e benigna pronta a scaldarti con il suo abbraccio, generosa nel dispensare consigli.
    Aveva bisogno di una famiglia. Che cosa ne sapeva di come si poteva cercare una casa a sedici anni? A chi chiedere, ai privati o alle agenzie? E in quale zona era meglio sceglierla? In una centrale o in una più tranquilla della periferia? E poi a quale piano, al primo o all’ultimo? O forse era più opportuno trovare un villino indipendente senza vicini rumorosi? Per non parlare dell’esposizione: doppia, singola, a est o da questi a ovest… Maledizione quanto era difficile.

    Forse era questo che voleva dire solitudine. Non avere nessuno a cui chiedere consiglio. Forse avrebbe dovuto parlarne con Jin? Offrigli una zuppa di ramen caldo e buttare in mezzo la questione prima ancora di spezzare le bacchette? A chi voleva darla a bere, Jin era il più rinomato Jounin del villaggio della Nebbia e non poteva avere tempo da sprecare con un ninja come Atshushi. La verità era che non aveva idea di come fare. Ci sarebbe voluto qualcosa, un impegno o una missione, che potessero distoglierlo da questi pensieri.

    Il fato parve esaudire questo suo desiderio, perché il giovane special jounin venne convocato nel palazzo del Mizukage. “Chiamarlo così ormai è una presa in giro.” Un palazzo del Mizukage senza Mizukage, che strana ironia. Parte dell’edificio era distrutto, ma alcuni uffici sopravvivevano ancora per tirare avanti lil carro sghembo della burocrazia.

    Atshushi arrivò lì con la luce del mattino che filtrava attraverso un sottile velo di nebbia. Il solito via vai di ninja che affollava quel luogo, fino a renderlo fin troppo intasato e caotico per i gusti dell’Uzumaki. Cercò velocemente l’ufficio nel quale era stata convocato, con la speranza di sbrigarsela velocemente e lasciare quel luogo. Vedere il Palazzo del Mizukage diroccato lo rendeva inquieto. Quanto ci sarebbe voluto prima che un altro attacco stravolgesse nuovamente il villaggio? I morti tra i civili sarebbero stati innumerevoli. Era un timore che gli faceva rimbalzare il cuore in gola.

    L’ufficio nel quale doveva recarsi apparteneva all’ala di gestione del personale, quindi poteva trattarsi semplicemente di un qualche adempimento formale per il recente passaggio di grado. Arrivato lì, chiese maggiore informazioni e venne indirizzato verso l’ufficio addestramento e studi. Poteva volere dire tutto o niente. Magari doveva prepararsi a qualche allenamento particolare in vista del suo nuovo grado. In fin dei conti era diventato special jounin senza mai dimostrare nessuna dote particolare. Era anche normale che ora il Villaggio volesse testare le sue reali capacità. Si lasciò trasportare così tanto da quest’ipotesi dal finire col nutrire una certa ansia verso la prova che lo attendeva.

    < Buongiorno, sono Atshushi. > Si presentò entrando da una porta già aperta. L’ufficio era pieno di fascicoli ammucchiati su traballanti scaffali. C’erano diverse scrivanie con altrettanti operatori seduti dietro di esse al lavoro. Quel luogo già piccolo di suo, per di più pieno in ogni suo spazio gli trasmise un senso di claustrofobia. < Mi è stato detto di venire qui perché c’era una comunicazione per me. >

    Un vecchio ninja con un ventre a botte e la divisa in disordine si alzò da una delle scrivanie e si spostò verso uno scaffale, dove prelevò una sottile cartellina gialla. < Sì, bene Atshushi. Devi soltanto mettere una firma qui. > Aprì il fascicolo e tirò fuori un foglio, lo girò in modo tale che Atshushi potesse leggerlo. Mentre gli occhi scuri del ragazzo scivolavano sul foglio, un sopracciglio gli si inarcò involontariamente incredulo.

    L’uomo indicò una linea a piè a pagina con un l’indice tozzo. < Devi firmare qui. Poi recati velocemente in accademia. Ci sono tre genin ansiosi di conoscere il loro nuovo maestro. >
     
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    IV


    L’accademia del villaggio. Da quanti anni non metteva piedi in quell’edificio? Sembrava passata una vita intera da quando aveva sostenuto l’esame genin. Ricordava vagamente quel giorno. La mattina aveva fatto colazione, i suoi genitori adottivi gli avevano augurato in bocca al lupo e, da solo, si era recato in accademia. Aveva fatto tre cloni, si era trasformato e non c’era stato neanche bisogno di mostrare la tecnica della sostituzione. Era stato promosso a pieni voti. Da solo, era tornato a casa. I suoi genitori si sono congratulati e hanno mangiato una torta insieme e, dopo quel fugace momento, la giornata era continuata normalmente. “Un giorno come tanti altri.” Si soffermò a pensare mentre varcava la soglia.

    Chiese indicazioni a un chuunin incrociato nell’androne d’ingresso e si recò nella palestra. Arrivò in una grande sala con pareti altissime diversi attrezzi ginnici lungo il muro. Al centro c’erano tre ragazzini. Dalla loro postura scomposta erano evidentemente in piedi da molto tempo e le gambe iniziavano a dar segni di cedimento. Non appena sentirono la porta aprirsi di schianto, si rizzarono ben dritti e i loro sguardi incerti si fissarono sul loro futuro sensei.

    Atshushi si sforzò di sembrare autorevole nel suo ingresso. Petto gonfio, schiena dritta, passo sicuro. Eppure ogni movimento gli sembrava così artifizioso da farlo sentire un perfetto imbecille. Aveva sempre ondeggiato le braccia in quel modo camminando? E aveva sempre poggiato prima il tacco a terra e poi il resto della pianta del piede? Doveva guardare i tre genin o scrutare un punto indefinito alle loro spalle? Che figura, un sensei spaventato dai suoi stessi allievi!

    Arrivò a pochi passi dal gruppetto e cercò di osservarli attentamente uno per uno. Due ragazzi e una ragazza. I due ragazzi erano fisicamente simili, entrambi magri, ma uno dei due spiccava per la sua altezza e per i muscoli più tonici. Aveva dei lunghi capelli grigio chiaro raccolti in un codino sulla nuca e gli occhi color cenere. I lineamenti erano duri e altezzosi. Un’espressione di superbia sul volto. L’altro ragazzo portava i capelli in un discutibile taglio a caschetto più nero della notte più buia. Non sembrava particolarmente in forma e una leggera deformazione della schiena in avanti faceva supporre che aveva passato troppo tempo seduto. La ragazza era davvero graziosa, Atshushi non poteva farlo a meno di notare. I lunghi capelli biondi sembravano una cascata dorata di preziosa seta. Gli occhi del colore del mare parevano nascondere un abisso dal quale lasciarsi cadere per l’eternità. Atshushi sentì le guance infiammarsi. Aveva anche un fisico piuttosto atletico, con lunghe gambe e…

    < Beh? Ti sei perso o sei davvero il nostro sensei? > Quel tono di voce altezzoso non poteva che appartenere al ragazzo con i capelli cinerei. Atshushi si rese conto di esser vestito di tutto punto, con la giubba chuunin, le protezioni, la wakizashi e il rotolo dietro la schiena. Inoltre un accenno di peluria gli aveva nascosto le guance bianche, facendolo apparire più uomo di quanto in realtà non fosse.

    < Quindi è a questo che si è ridotta la Nebbia? > Proseguì il genin con superbia. < Ormai mettono dei ragazzi a fare da badanti a dei ragazzini? Sentiamo, ci sei mai andato in missione tu? O hai appena passato l’esame e stai cercando un sensei che ti spieghi come non essere una nullità? >

    < Basta Hisashi! > Intervenne la ragazza con voce acuta. < Non dovresti parlare così ad Atshushi-san! > Abbassò la voce < Lui è stato in guerra... > La sua voce si ridusse ulteriormente fino a diventare un sussurro quasi impercettibile. < …Al golfo degli Squali! Ed è sopravvissuto. >

    < Mio fratello è morto laggiù. > Intervenne l’altro ragazzo < Dicono sia stato un massacro. >

    < Tsk! Se era come te, non mi sorprende che ci sia rimasto su quella cazzo di spiaggia. > Hisashi sembrava essere davvero un bastardo.

    < Come ti permetti?! > Il ragazzo magrolino aveva la voce incrinata da rabbia mista a paura. Gli occhi incerti dietro un paio di occhiali tondi. “Forse ha paura di prenderle se dovesse alzare troppo la voce.”


    < Altrimenti che fai? > Hisashi gli si avvicinò minaccioso. < Un mostriciattolo come te non mi fa paura. >

    < Non litigate di nuovo voi due! Che figura ci stiamo facendo con il nuovo sensei?! > La ragazza sembrava disperata. Disperata e impotente.

    < Non mi fai paura. > Il genin con i capelli a caschetto aveva del fegat da mostrare, sebbene non sembrasse nemmeno lui troppo convinto di quell’affermazione.

    Hisashi, ridendo, alzò la mano destra chiuse a pugno e fece partire un dritto a gran velocità verso la faccia del compagno.

    < No! Fermati Hisashi! > La giovane era sul punto di scoppiare in lacrime.

    Il pugno del genin dai capelli cinerei era ormai a pochi centimetri dal volto occhialuto dell’altro: l’impatto pareva inevitabile. Eppure il colpo non arrivò mai a destinazione. Il giovane genin rimase come cristallizzato in quel movimento, una statua immortalata nel momento di massima tensione.

    < Colpire i propri compagni è da vili. > Atshushi teneva una mano poggiata sulla spalla di Hisashi, gli occhi del ragazzo che roteavano da una parte all’altra come biglie. < Ora chiedi scusa al tuo compagno. >

    Il genin cercò di dire qualcosa, ma riuscì a tirare fuori soltanto un ringhio animalesco.

    < Oh, non riesci a parlare? Sarà colpa del mio sigillo. > Lo sguardo del veterano di Kiri si spostarono sugli altri due giovani. < Fa sempre così o oggi si è svegliato con il piede sbagliato? >

    < Atshushi-sensei! > La ragazza sembrava essersi ripresa. < Hisashi è un po’ nervoso ultimamente. >

    Atshushi sapeva già tutto. Quei tre ragazzini erano stati mandati in missione con il loro sensei. Dovevano raggiungere Suna per portare un dispiaccio urgente, ma erano stati attaccati durante il tragitto da dei mukenin e il loro maestro si era sacrificato per salvare quelle giovani vite. Era ovvio che ora avessero gli animi tesi e, probabilmente, avrebbero ripudiato Atshushi come sensei in virtù dell’affetto per il suo predecessore, poiché egli era un uomo fatto, mentre l’Uzumaki era poco più di un coetaneo.

    Hisashi poteva soltanto continuare ad emettere suoni gutturali, bloccato com’era dal sigillo del suo nuovo sensei. Atshushi sapeva bene che c’era un solo modo per dimostrare a quei tre genin che poteva avere qualcosa da insegnarli, sebbene egli stesso dubitasse della sua idonietà a ricoprire quel ruolo.
    < Lui è Hisashi, questo lo so. Ma voi altri come vi chiamate? >

    < Sono Katsumi! > Il sorriso della ragazza era un raggio di sole su un cielo plumbeo. Gli occhi il mare calmo dell’estate. La voce uno stormo di passeri in primavera. Le orecchi di Atshushi presero a bruciargli. “Cosa sta succedendo?”

    < Il mio nome è Moroi. > rispose con un filo di voce il genin con i capelli a caschetto e gli occhiali a lenti rotonde.

    < Molto bene. Io sono Atshushi e sarò il vostro sensei. > Spostò l’attenzione sul genin ancora paralizzato nella sua posa d’attacco. < Se hai tanta voglia di menare le mani, provaci con me. Dovete collaborare fra di voi come una squadra, non accapigliarvi tra di voi come galli in un pollaio. > Lasciò che il chakra nel corpo del ragazzo si disperdesse, concedendogli la facoltà di poter disporre nuovamente del proprio corpo.

    < Che ne dite di farmi vedere cosa sapete fare? >
     
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    Hisashi, Moroi e Katsumi si misero in posizione. La palestra dell’accademia era un luogo adatto per rompere il ghiaccio con qualche mossa di taijutsu. Inoltre, Atshushi avrebbe avuto modo di vedere a che livello erano quei genin. Non si sentiva adatto ad essere uno special jounin, ma sapeva di essere superiore a tre ragazzini usciti da poco dall’accademia.

    Hisashi fu il primo a partire, irruento come un toro scatenato, lasciando i due compagni sul posto. Partì con una serie di pugni. Era davvero veloce. Atshushi non era abbasta agile per schivare quei colpi, quindi potè soltanto pararli con i palmi delle mani aperte, indietreggiando. “Non male, davvero” Pensava mentre continuava a schiaffeggiare i pugni del ragazzo con i capelli color cenere. All’improvviso Hisashi si abbassò e provò una spazzata all’altezza degli stinchi che però fu evitata con un salto, ma il genin non si fece scoraggiare e raggiunse in volo il suo nuovo sensei. Tentò una nuova scarica di colpi, ma Atshushi fu rapido a respingerli.

    < Hisashi! Aspettaci! > Continuava a urlare Katsuki, finendo malamente ignorata.

    Il genin estrasse un kunai e ripartì all’attacco, con ancora più ferocia. Sul viso di Atshushi si fece largo un mezzo sorrisetto mentre evitava l’affondo del sottoposto. Gli afferrò il polso con una mano e con il palmo aperto dell’altra lo colpì sotto il mento, spedendolo a terra e strappandogli il kunai. Con l’indice nell’occhiello alla base dell’impugnatura fece rotare l’arma.

    < Non mi pare di aver detto che si potevano usare armi. > Lo apostrofò.

    < Maledetto! Sei una nullità! > Il viso del ragazzo era rosso e gonfio. < Ti farò a pezzi. >

    < Se non inizi a collaborare con i tuoi compagni, > il tono dell’Uzumaki era disteso e rilassato < ti farò molto male. > Forse la palestra non andava bene per quell’allenamento. < Facciamo così. Ci spostiamo in un luogo più tranquillo e voi darete il cento per cento. > Porse il kunai ad Hisashi, il quale era ancora con il sedere a terra. < E potrete usare anche le armi. Come se voleste uccidermi. >

    *



    Atshushi gli condusse fuori il villaggio, dove di solito si allenava con i suoi cloni. C’erano diversi alberi divelti e crateri sul dorso delle colline scoscese a testimoniare i duri allenamenti del giovane. Faceva caldo, ma il sole giocava comunque a nascondino con le nuvole.

    < Ascoltatemi bene ora. > Esordì lo special jounin. < Vi devo ricordare che io da ora in poi ho il compito di istruirvi e proteggervi. Non sono felice di aver avuto questo compito, come a voi non piace l’idea di aver dovuto cambiare sensei. So che eravate molti affezionati al mio predecessore, ma voi dovete diventare dei grandi ninja in suo onore. Sono sicuro che era quello che lui avrebbe voluto per voi. >

    Aveva pensato a quelle parole mentre li accompagnava in collina, ritenendole le più adatte a distendere un po’ i toni, ma non ci furono grandi cambiamenti nei tre genin. Hisashi continutò a fissare altrove con un cipiglio irritato; Moroi aveva un’espressione vacua, quasi assenza; Katsumi annuiva con la testa ad ogni parola del sensei, ma sembrava non aver recepito una sola parola.

    < Ora, ho bisogno di vedere cosa siete in grado in fare. Hisashi ha tutte le qualità per essere un combattente corpo a corpo. Si muove davvero bene e ha l’agilità di un felino, ma dovrebbe essere meno irruente. Caricare a testa bassa non è mai una buona idea. Moroi tu cosa sai fare? E tu Katsumi? >

    Si schiarì la voce per lasciare metabolizzare ai suoi allievi il senso del suo discorso.

    < Immagino che vi abbiano messo insieme tenendo conto delle vostre capacità, quindi uno di voi due sarà più portato per i ninjutsu. Moroi, sei tu? >

    Il ragazzo con i capelli a caschetto sembrò trasalire e con lo sguardo basso rispose: < Io? No, cioè… non credo di essere bravo nei ninjutsu. >

    < Ma cosa dici?! > a interromperlo su Katsumi. < Eri l’unico in accademia a saper fare otto cloni! Ti sei diplomato a pieni voti. >

    < Non è vero Katsumi! >


    “E quindi l’insicurezza è il suo tallone d’Achille. In effetti, ha proprio l’aspetto di un ragazzo insicuro. Taglio di capelli discutibile, occhiali a lente rotonda, fisico asciutto e poco tonico.” Atshushi rimuginò un attimo mentre osservava Katsumi. Era probabile che la ragazza non avesse nessun talento in particolare. Poteva essere una via di mezzo tra entrambi oppure…

    < Sensei > fu la stessa ragazza a farsi avanti. < Io sono brava con le armi invece. Mi chiamavano sniper in accademia perché facevo sempre centro con i tiri a bersaglio. >

    < Molto bene Katsumi. > La ragazza gli sorrise e Atshushi provò di nuovo quella strana sensazione alle orecchie. < Allora avete tutte le carte in regola per mettermi in seria difficoltà oggi. Cominciamo? >
     
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    VI



    Gli allenamenti del neo format team proseguirono ininterrotti mentre sole e luna si alternavano nel cielo, lasciando che i giorni scorressero inesorabili. Atshushi avrebbe ricordato per sempre quel periodo come uno dei più tranquilli della sua vita. Dover allenare quei tre ragazzini lo teneva impegnato giorno e notte, facendogli dimenticare tutte le altre preoccupazioni. Dargli lezioni su come affrontare un nemico e come cooperare in missione non era abbastanza. Infatti doveva occuparsi anche della loro crescita e doveva insegnar loro nuove tecniche. Si procurò un gran numero di rotoli e li studiò uno ad uno.

    Tecniche di apprendimento, come insegnare a controllare il chakra e via dicendo. Per Moroi e Katsumi non ebbe particolare difficoltà poiché doveva insegnar loro tecniche che lui già conosceva, ma con Hisashi entrava in un mondo a lui sconosciuto. Si procurò rotoli di taijutsu di vario livello e lo aiutò nel metterli in pratica. Tutto sembrava andar bene. Atshushi cercò di essere sempre umile con loro, autoritario quando serviva, ma volle sfruttare la loro vicinanza d’età per entrare in confidenza. Condividere paure, ansie e speranza con un sensei di soli quattro anni più grande era più facile.

    Quel giorno l’Uzumaki porse ai suoi tre allievi altrettanti foglietti.

    < Lasciate scorrere il chakra in esso. > Ordinò.

    I tre genin eseguirono e i loro foglietti reagirono. Katsumi e Hisashi videro il proprio foglio afflosciarsi e grondare acqua con occhi quasi estasiati, mentre quello di Moroi si separò in due, come tagliato, e lui mollò la presa spaventato.

    < Ottimo! > Atshushi applaudì lievemente. < Abbiamo due utilizzatori di Suiton, come è normale che sia a Kiri e tu, Moroi, sai usare il fuuton. Non male. >


    A tal propoisto, Atshushi aveva letto alcuni volumi sul come insegnare ad utilizzare il proprio chakra naturale. Ricordava bene come Mizu gli avesse insegnato l’uso del suiton, tanto tempo prima. Decise di seguire lo stesso metodo.

    < Impugnate tutti un kunai. > Attese che tutti avessero in mano l’arma. < Ora rivestitelo di chakra. >

    Atshushi fece lo stesso con il proprio kunai.

    < Io possiedo fulmine e acqua. Guardate. >

    Dapprima il suo kunai si ricoprì di energia elettrica e poi sembrò essere inglobato da una bolla di acqua blu.

    < Katsumi, Moroi. L’acqua è tutto intorno a noi. Lì c’è un fiume. Sentite lo scorrere dell’acqua. Intorno a noi c’è umidità, nell’aria che respiriamo ci sono particelle di acqua. E il nostro corpo è fatto per lo più di acqua. Chiudete gli occhi e pensate all’acqua come meglio vi viene. Che sia una cascata o il mare o un fiume non ha importanza. L’importante è che l’immagine sia chiara nella vostra mente mentre fate fluire il chakra nel kunai. >


    < Moroi > si rivolse all’altro genin < con te è il discorso è diverso. Tu possiedi il vento. Allontaniamoci per non disturbarli. >


    Atshushi aveva letto che per utilizzare il chakra fuuton bisogna dividere in due il proprio chakra e far collidere le due parti tra di loro.

    < Ascoltami bene Moroi. Il tuo chakra… lo devi dividere in due e far sì che queste due parti entrino in contrasto tra di loro. Non scoraggiarti, cercherò di aiutarti facendo questo esercizio con te. Neanch’io l’ho mai fatto. >
    Atshushi fece scorrare il suo chakra nel kunai e chiuse gli occhi. Cercò di separarlo e poi spinse le due parti l’una contra l’altra. Nel frattempo parlò al suo allievo. < A questo punto dovresti vedere il chakra intorno al mio kunai tremolare e oscillare, giusto? >

    < Sì, sensei. >

    < Ora cercherò di spingere sempre con più forza, con l’idea di affilare il chakra. Come una mola con il coltello, ok?>

    Atshushi fece collidere il suo chakra sempre più finemente, con accuretezza. Provò una strana sensazione e sentì qualcosa di diverso che del semplice chakra. “L’esercizio starà riuscendo?” Due sfere di energia che si smerigliano l’una contro l’altra fino a diventare sottili come un figlio di corta e poi…

    Lo special jounin aprì gli occhi e vide dapprima l’espressione di meraviglia di Moroi e poi il suo kunai rivestito di un chakra più chiaro del solito, pareva di sentire il soffio del vento del filo dell’arma.

    < Sensei! > Esclamò il suo allievo. < Hai mentito! Sai usare anche tu il fuuton! Sembra meraviglioso, voglio farlo anche io. >

    Atshushi guardò stralunato il kunai. “Che strano.” Pensò. “Sembra che io sia in grado di utilizzare anche l’elemento vento. Dovrei approfondire questo aspetto.”

    < Non distrarti Moroi, devi cercare di fare meglio di me. Tu puoi riuscirci. >

    Mentre dirigeva gli allenamenti dei tre genin, l’Uzumaki non fece altro che pensare a quella piacevole sorpresa. Non vedeva l’ora di avere il tempo per affinare quella nuova capacità.
     
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