Gli Obata.

PQ - Shinji Obata

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    ▲gli Obata▼


    Pese del ferro, Anno 20 d.Z
    Accademia militare

    L’esame per entrare nel corpo militare dei samurai era andato a buon fine. Shinji aveva da poco terminato la prova con successo, era stato il primo del suo gruppo a svolgerla ed ora, dopo essere andato in armeria per prendere ciò che gli spettava dopo la promozione, si era incamminato verso l'uscita del'edificio.
    La grigia giornata non era sfondo così trionfale ma la cosa non lo infastidiva più del dovuto, di certo era stato molto più disturbato dall’infelice commento del commesso dell’armeria sulla sua menomazione. A volte sembrava dimenticare ciò che gli era accaduto, come fosse qualcosa di ormai superato, assorbito totalmente nella sua quotidianità, nonostante la parziale perdita di profondità alla quale si era ormai abituato.

    Il neo-samurai sembrava già programmare le sue prossime azioni. Si era accomodato poco fuori l’accademia militare, sedendosi su di un tronco che pareva esser stato messo lì apposta. Le sue mani andarono a cercare l’arma che gli era stata consegnata da poco: una wakizashi, l’arma piccola del daisho, la coppia di spade che un samurai porta con sé. Sfoderò la lama studiandone la forma, la pesantezza, quasi provandola. Le dita percorrevano il perimetro tagliente dell’arma, al ragazzo sembrava di avvertire il brivido della battaglia, il contatto della pelle su qualcosa di così sottile, così perfettamente lavorato e levigato. Gli sarebbe bastata la minima spinta per tagliarsi una falange. Il fodero con il quale gli era stata donata non era dei più pregiati, anzi, lasciava molto a desiderare, tornato a casa lo avrebbe sostituito con uno dei tanti decorati dall’effige familiare.

    Quest’ultimo pensiero fece trasalire il giovane. Casa. Un sorriso comparve sul suo volto.
    La sua mente aveva già pensato al lungo tragitto che avrebbe dovuto fare per tornare alla sua abitazione, aveva già programmato quali sarebbero state le sue attività di quella giornata, quali le materie studiate. Aveva viaggiato così tanto con il pensiero da dimenticare un dettaglio fondamentale: quella che lui aveva considerato casa fino a quel momento, ora non era più la sua dimora. Le leggi della famiglia gli imponevano di dover abbandonare l’abitazione principale una volta intrapresa la carriera di samurai. Nessuno poteva sottrarsi a questa regola, lo fece suo padre, lo fece suo nonno ed il padre di suo nonno prima di lui, era una tradizione secolare. Per fortuna gli erano stati consegnati mille ryo per sostentarsi in attesa delle missioni ed una residenza costruita appositamente per lui. Era abbastanza chiaro il motivo per il quale gli Obata avevano costruito svariate abitazioni sparse per il paese del ferro nel corso dei decenni.

    La posizione di quella che sarebbe stata la sua nuova casa gli era stata comunicata il giorno precedente. Si trattava di un modesto edificio a metà strada tra il villaggio principale del paese e le vaste catene montuose tra le quali si nascondevano i territori di Iwa. Non era vicinissima ma una bella passeggiata non gli avrebbe fatto male, d’altronde aveva mezza giornata totalmente libera, vista la breve durata dell’esame.

    Il percorso, come spesso accadeva, era nascosto nel fitto della foresta che circondava il villaggio del ferro. Quegli alberi alti trasmettevano perennemente una sensazione di gelo, il freddo sembrava onnipresente guardandoli. Avevano un alone di mistero che da sempre affascinava il giovane samurai.
    Chiuse l’occhio.
    Gli sembrava quasi di udire un suono, le urla di alcuni bambini che giocavano e si divertivano, erano familiari, tremendamente familiari. Le immagini sembravano proiettarsi dinanzi al suo sguardo perso nei ricordi. Il sole, nascosto dalle nuvole, sembrò rinascere ed accendersi di nuova luce appena il ricordo prese forma. Poi una folata di vento.
    Shinji riaprì l’occhio e tutto era svanito, aveva davanti solo una triste ed anonima vastità di alberi. Quel vento tra le foglie gli ricordava quando suo nonno, durante una delle numerose passeggiate nei pressi della residenza principale, gli raccontò che quel suono che sentiva era il soffio degli antenati che lo spingevano e spronavano ad andare avanti. Per tutta l'infanzia si sforzò di credere a quel racconto ed anche quel giorno, a distanza di anni, pur sapendo che fosse una favola inventata da suo nonno, Shinji provava a crederci e ad accantonare la grigia razionalità che lo tratteneva.

    I ricordi d’infanzia sembravano averlo catturato in una ragnatela di nostalgia. Da quel giorno non avrebbe più vissuto con la sua famiglia, con i suoi fratellini, non li avrebbe visti crescere, non avrebbe svolto il suo ruolo da fratello maggiore. I suoi amici e cugini di palazzo, uniti tra chi apparteneva alla casata degli obata e chi invece era lì per motivi politici, di unioni familiari e così via. Non era raro infatti che un bambino venisse affidato ad una famiglia per stringere accordi di natura politica riguardante il controllo dei vari villaggi della regione. Un mondo, questo, che non aveva mai catturato troppo l’interesse del giovane, nonostante l’immensa mole di studi, a riguardo, che era stato costretto ad affrontare. Tuttavia, grazie a questo motivo, nel corso degli anni, aveva avuto tantissimi compagni di giochi con i quali aveva legato in maniera indissolubile ed ora, ritrovatosi a vivere da solo senza la possibilità di vederli, a causa delle rigide regole della sua casata, si sentiva quasi perso.


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    Pese del ferro, Anno 20 d.Z
    Residenza di Shinji Obata

    Shinji continuava a domandarsi come sarebbe stata questa nuova sistemazione. Le case della sua famiglia erano sempre molto rustiche, con pochi tratti decorativi e prive di qualsiasi forma di arredamento sfarzoso. Non che la cosa gli interessasse granché, ma di sicuro avrebbe voluto una casa con un ampio giardino dove leggere e studiare. Purtroppo, il clima non lo permetteva. Non aveva mai fatto caso a quanto odiasse quella neve e quel freddo, così utili quando si ha voglia di isolarsi ma anche così stantii e faticosi da sopportare.

    Era da un po’ che camminava ed era arrivato in un punto dove la foresta sembrava essersi aperta, lasciando spazio ad un piccolo corso d’acqua. La zona gli era tremendamente familiare: ricordava molto il luogo dell’incidente che lo aveva coinvolto qualche anno prima, lasciandolo menomato.

    Di nuovo la benda. Ogni volta che pensava a quel giorno, la bendava sembrava animarsi e stringere la sua morsa attorno alla sua testa, straordinariamente comoda fino a qualche istante prima. Shinji, abituato a quel tipo di sensazione, andò a massaggiare la zona che sembrava dargli più fastidio, quella immediatamente sotto la fronte, mentre con l’altro occhio cercava il tratto finale del sentiero che lo avrebbe portato alla sua meta ed al suo riposo. Non fu molto difficile trarlo, dovette semplicemente superare un piccolo ponte fatto di pietra per poi imboccare una strada molto più ampia della precedente, più comoda e meno angusta.

    Finalmente casa.
    La casa si presentava esattamente come se l’aspettava. Il perimetro era composto da mura non troppo alte e spesse, più per tenere lontano gli animali che eventuali intrusi. Il portone era interamente di legno, sotto ad un’arcata con tettoia. Le decorazioni del portone erano completamente assenti, non vi era nemmeno dipinto lo stemma di famiglia che però era presente ripetutamente sulle mura. Il samurai bussò al portone con decisione e venne aperto quasi immediatamente. Il comitato d’accoglienza non era molto numeroso però erano più persone di quanto si aspettasse.

    Tutti i “sottoposti” della precedente abitazione, che avevano svolto un ruolo a stretto contatto con il primogenito degli Obata, erano stati trasferiti lì.
    «Non l’aspettavamo così presto, signor Shinji. Dobbiamo dedurre che come previsto ha superato l’esame in maniera brillante.»
    «Sì, è stato molto più facile del previsto»
    La risposta di shinji era autoritaria ma soprattutto sbrigativa. Nel suo cuore iniziò a farsi strada un dubbio ed il suo sguardo non riuscì a non tradirlo, portando i presenti ad intuire i suoi pensieri.

    «Stia tranquillo. Etsuko si sta occupando della sua camera» la risposta, strappò un sorriso a tutti i presenti, soprattutto vista la reazione del neo-samurai, che sembrò calmarsi istantaneamente.
    «Purtroppo non siamo riusciti ancora a sistemarla, abbiamo avuto dei problemi nel trasporto di alcuni dei suoi effetti personali»
    «Non preoccupatevi, non ha molta importanza, ora voglio solo riposare» li rassicurò il giovane mentre entrava a passo spedito lasciando sullo sfondo i pochi membri della servitù che gli erano stati concessi, intenti a chiudere il portone e tornare alle loro faccende.

    Lo spartano giardino costituiva la prima sorpresa di quella casa: gli era stata preparata una piccola saletta, appartata dal resto della casa, con il genkan lasciato “all’aperto”, al quale seguiva una porta scorrevole tradizionale che serviva a mantenere la sua privacy. L’entrata principale dell’abitazione era anch’essa incredibilmente tradizionale e rigorosamente in legno.

    Una volta sbarazzatosi delle scarpe, il ragazzo salì immediatamente a piano di sopra che era quasi nella sua interezza, camera sua. Si trovò subito davanti alle tipiche shoji e dalla carta traslucida sembrava udire ed intravedere la ragazza che gli era stata più vicino in questi anni. Etsuko era una parte molto importante della sua vita. I due avevano poca differenza d’età, un annetto al massimo, a favore della ragazza, risultando praticamente coetanei. Cresciuti assieme, Etsuko aveva iniziato ad occuparsi solamente del primogenito Obata dall’età di nove anni, durante i quali lo aveva seguito passo passo in ogni capitolo della sua crescita, era stata anche colei che si occupò del fare entrare il ragazzo nel mondo degli adulti, e che non lo facesse solo per dovere o devozione era più che lampante.

    Fu la ragazza ad aprire la porta scorrevole, rivelando una stanza preparata ed ordinata dal dettaglio più piccolo a quello più ingombrante. Cinta nel suo tipico happi, la giovane salutò Shinji con un formalissimo e rispettoso inchino.
    «Vado a prepararti il bagno?»
    «Sì, grazie. Ti raggiungo subito» congedando la ragazza, Shinji, si iniziò a mettere comodo, abbandonando gli abiti da cerimonia che gli erano stati consegnati dalla stessa Etsuko qualche ora prima. Inutile dire che il bagno fosse ciò che più desiderava in quel momento. Potersi abbandonare alle amorevoli cure della propria serva mentre l’acqua calda contribuisce a coccolare il proprio corpo, qualcosa che farebbe gola a chiunque.

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    Edited by ZVNote - 17/4/2020, 23:57
     
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    Pese del ferro, Anno 20 d.Z
    Residenza di Shinji Obata
    La vasca per il rito del furo era, come da tradizione, in legno di cipresso ed aveva l’aria di non essere mai stata usata. La giovane dai capelli corvini lo aspettava dopo aver riscaldato l’acqua, sapeva perfettamente ciò che voleva Shinji e lo anticipava sempre nelle sue richieste, anche quella volta, iniziando a massaggiarlo una volta che si fosse immerso nella vasca.
    «Nessuno ha voluto spiegarmi perché ci siamo trasferiti. Tutti hanno risposto con “è la tradizione della famiglia” nulla in più…» quasi indispettita la ragazza iniziò questa lamentela per poi cambiare tono ed avvicinarsi all’orecchio del padroncino. «Vuoi illuminarmi tu?»
    Un brivido d’eccitazione percosse la schiena del ragazzo mentre le mani della sua compagna lo ripulivano dalle “fatiche” della giornata.

    «Vedi… la mia famiglia è molto antica ed incredibilmente attaccata alle tradizioni, per quanto assurde esse possano sembrare» Shinji iniziò a muovere il collo, segno che voleva che le cure della serva si trasferissero su quella zona in particolare.
    «La tradizione impone che all’età di sedici anni, ogni membro della famiglia che sceglie di intraprendere la via dei samurai, e quindi di farsi carico del blasone degli Obata, debba abbandonare l’abitazione principale e non farvi più ritorno.» la rivelazione per un attimo bloccò la ragazza che, non appena incontrò lo sguardo stupito del ragazzo riprese la sua mansione.
    «Non mi aspettavo ci rimanessi male, sai?» Shinji iniziò a ricambiare il massaggio alla ragazza che si trovava alle sue spalle, prendendo a carezzarle il braccio. «Tranquilla, noi torneremo. Gli Obata funzionano quasi come un branco, dove vige la regola del più forte e del maschio alfa. Chiunque osi intraprendere la carriera da samurai sfida l’autorità del capofamiglia, nel mio caso io ho sfidato l’autorità di mio padre. Quindi quando farò ritorno dovrà essere solo per sfidarlo e prendere il suo ruolo.»

    «Quindi dovrai sfidare tuo padre per diventare capofamiglia e poi?»

    «Poi qualsiasi membro samurai della famiglia potrà sfidare me se vorrà prendere il mio posto. Storicamente siamo una famiglia piena di fratricidi. Lotte intestine per il potere e per il comando delle aree che governavamo erano all’ordine del giorno. Ovviamente adesso abbiamo perso gran parte di quel potere, siamo in un lento e inesorabile declino.»
    Etsuko era a dir poco sorpresa. Non pensava che le tradizioni della famiglia che serviva fossero così sanguinarie. Per qualche secondo regnò il silenzio, interrotto solo dal ritmato rumore dell’acqua che veniva spostata dal movimento dei due.

    «Ma quindi tuo padre è riuscito a sconfiggere tuo nonno? Lui non è il leggendario Obata che non ha mai subito una sconfitta?»
    «Oh sì, lo è eccome. Col tempo, ovviamente la cosa è divenuta sempre meno aggressiva rispetto al passato, con mio nonno specialmente. Diciamo che tra loro due c’è stato solo un combattimento dove, pur perdendo, mio padre è stato riconosciuto degno di diventare il nuovo capofamiglia. Ogni tanto penso che sia questo il motivo del suo essere eternamente corrucciato.»

    Etsuko fece quasi una risatina che venne interrotta dalla serietà improvvisa che assunse il giovane samurai.
    «Se mio nonno è l’Obata più forte di sempre, mio padre gli è subito accanto, non è mai esistito un Obata forte come loro due, non aver superato la leggenda non fa di mio padre un debole e non osare mai più ridere di lui.»
    Shinji era evidentemente stato ferito nell’orgoglio. Senza volerlo, Etsuko, aveva toccato un tasto dolente del ragazzo, scatenando la sua ira.
    «Mi scusiۛ»
    In quei momenti, la ragazza, sapeva che non poteva più permettersi le libertà che aveva di solito, ristabilendo l’ordine gerarchico che, per quanto mascherato, continuava a dividerli.
    «Vai in camera ed aspettami lì. Prepara il futon ed inizia a spogliarti.»
    Senza proferire verbo la ragazza asciugò le sue braccia e si diresse nella camera del padrone, sapeva che la rabbia di Shinji non durava molto e soprattutto riusciva sempre a farsi perdonare.
    Il giovane rimase da solo, nuovamente. La mente tornava a qualche anno prima. Shinji aveva appena scoperto che suo padre era stato l’unico a non rispettare la tradizione di famiglia, non riuscendo a sconfiggere il suo predecessore ed a stabilirsi come legittimo capofamiglia. A palazzo solo pochi sapevano della cosa e nessuno doveva divulgarla, ma appena la notizia giunse al giovane primogenito, fu come una freccia che gli penetrò il petto. L’aura di grandezza e di invincibilità che aveva sempre attribuito al suo vecchio era svanita del tutto. Si sentì perso, come se avesse smarrito la propria guida, il suo esempio, ciò che lui aveva sempre inconsciamente mitizzato era un uomo come tanti altri, anzi no, era un debole. Vani furono i tentativi di suo nonno nello spiegargli le cose come fossero andate, per il ragazzo ormai il padre era segnato.
    Eppure
    Eppure
    Il mito che aveva sempre avuto davanti agli occhi, quell’esempio irraggiungibile, riapparve come d’incanto, il giorno del suo incidente. Quel giorno fu lui a salvarlo. Quel giorno fu lui ad impedire che gli accadesse qualcosa di ancora più grave. Quel giorno, senza di lui sarebbe morto, senza il suo eroe ora non sarebbe lì. Non sarebbe più in questo mondo. Da quel giorno si promise che sarebbe diventato un samurai degno del suo nome, degno erede di Kiyoaki Obata, il figlio della leggenda.

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    Edited by ZVNote - 17/4/2020, 23:57
     
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    Io vengo dalla luna che il cielo vi attraversa e trovo innopportuna la paura per una cultura diversa

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    Puoi prendere il max
     
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