Dalla morte, la vita

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    Sorrow

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    *Plop*
    *Plop*


    È questo il rumore che al momento mi sembra più assordante di qualunque altro. Vi siete mai trovati bloccati su un letto, coscienti ma inermi? Beh, ecco cosa mi sta accadendo. Sono sicuro che ogni neurone coinvolto nella trasmissione dell’impulso uditivo si stia concentrando su quel maledetto lavandino rotto nel bagno all’interno della mia stanza. Vi starete chiedendo dove sia finito, eh? Beh, non voglio tenere alcuna suspense: quello dal quale vi racconto la mia storia è un letto d’ospedale. Come ci sono finito? Ecco, forse per scoprire questo ci impiegheremo giusto un po’ di tempo in più.
    Sento ogni cosa: l’infermiera viene a prendermi la temperatura, sbuffa preoccupata, imbeve una spugna nell’alcol e la passa sulle mie giunture cercando di favorire lo scambio termico. L’odore dell’alcol è pungente e, se potessi, storcerei il naso. Forse l’ho anche fatto, a giudicare dal sussulto di sorpresa della caritatevole donna al mio fianco. Se mi concentro oltre il rumore delle gocce che si infrangono sul fondo del lavabo, riesco quasi a sentire il suo respiro stanco. Ha probabilmente lavorato parecchie ore di seguito senza fermarsi mai. Vorrei stringerle la mano con la quale brandisce la spugna e dirle di andare a riposarsi, che ce la farò, ma la verità è che non so nemmeno io quanta verità ci sarebbe nelle mie parole.
    D’un tratto arriva il medico. Dall’andatura pesante lo immagino corpulento, pacato, un gigante buono. Si rivolge all’infermiera con un tono nel quale tenta di infondere quanta più autorevolezza possibile. Posso percepire un candido imbarazzo malcelato, dal quale traspare una potenziale attrazione da parte del supposto omaccione nei confronti della sua collega.
    Riesco a percepire il tono della loro voce, ma non ogni singola parola pronunciata. Si scambiano qualche battuta che fatico a cogliere. Riesco però ad udire parte della diagnosi dalla rassicurante voce del dottore:

    Ipotermia… Quasi in asfissia… Funzionalità cerebrali non a rischio… Febbre alta… Da tenere sotto controllo…

    Un brivido freddo mi attraversa la colonna vertebrale, probabilmente generando uno spasmo che viene prontamente notato dagli attenti occhi dei due operatori sanitari, che si fiondano verso di me a controllare che non stia avendo un qualche attacco epilettico o simili. Appurato che non si tratti di nulla di simile, si limitano a sentire il battito cardiaco, per quanto flebile e rallentato sia, per poi tornare a discutere tra loro.
    Totalmente fuori dal mio controllo, le loro voci vengono sovrastate nuovamente da quel rumore di gocce d’acqua che incessantemente vanno ad infrangersi sul fondo di quel maledetto lavandino. I tiri mancini che il nostro cervello è in grado di tirarci sono innumerevoli e sempre molto strani.
    Beh, come vi avevo promesso, è il caso di raccontarvi di come sia arrivato su questo dannato letto d’ospedale. Magari riesco pure a distrarmi da questo straziante rubinetto.


    Qualche giorno prima…

    Sorrow! Sorrow! Presto!


    Capirete bene che le urla dell’anziano e malato padre putativo, le cui condizioni vi costringono a trascorrere un periodo indefinito ad assisterlo a causa di una maledetta gratitudine che provate nei suoi confronti, non siano il miglior modo per svegliarsi al mattino.
    Con ancora l’impronta del cuscino ben stampata in volto, faccio giusto in tempo a far capolino dalla finestra e notare che l’alba non ha ancora deciso di dare il via allo spettacolo mattutino dovuto al candore del gelido paese del ferro inondato di raggi solari incapaci di sciogliere anche solo qualche centimetro di neve. Scendo le scale in fretta e furia e raggiungo la stanza di Jin. Seppur con gli occhi ancora non del tutto aperti, l’espressione cupa dipinta sul volto del mio mentore è talmente palese che mi costringe a focalizzarmici del tutto. Abbandono già da ora l’idea di riprendere il sonno dopo l’eventuale risoluzione del problema. Non sembra una situazione facile da risolvere, a giudicare dall’atmosfera tinta di mestizia.
    Preso un faticoso respiro, l’anziano comincia il suo dire:



    Non posso più permettere che tu sprechi I tuoi migliori anni dietro ad ogni mio acciacco. Finirai per odiarmi per averti privato della parte più emozionante della tua vita. E non voglio che questo sia il tuo ultimo ricordo di me.

    Sorrido istintivamente, ma qualche lacrima tradisce la mia espressione rassicurante. Di certo non lo odio per quello che involontariamente mi sta facendo passare, però è effettivamente vero che mal sopporto il periodo di stasi derivato da questa prolungata permanenza casalinga per accudirlo. Chiamatemi pure egoista, ma vorrei vedere voi da questo lato della barricata. Nonostante tutto, I precetti del bushido e l’amore che provo verso questo uomo riescono a farmi andare avanti a denti stretti, pur mentre la fiamma dentro di me pian piano si affievolisce.

    Maestro… Padre, perché dici queste assurdità? Hai fatto degli strani sogni?

    Magari riuscissi a dormire. La mia mente perde ogni giorno di lucidità e il bisogno del sonno è sempre meno impellente. Saranno sempre meno I momenti in cui potrò permettermi di essere così lucido. Per questo voglio chiederti un ultimo favore.

    Qualsiasi cosa possa farti stare meglio. Chiedimi qualunque cosa.

    Il sorriso che gli si stampa sul volto sembra totalmente fuori contesto. A maggior ragione ascoltando l’effettiva richiesta, quel solco lungo il viso assume un significato del tutto diverso da ciò che avrei mai potuto immaginare.

    Aiutami a porre fine alle mie sofferenze. Voglio morire con onore. Come un vero samurai.

    Una vampata di calore si propaga dalla nuca ad irradiare tutto il corpo. Il battito cardiaco aumenta e il calore prende possesso del mio volto, colorando la già abbondantemente colorata carnagione ambrata che mi distingue dai miei compaesani. Non posso credere a ciò che ho sentito. E a rimarcare le sue parole, il braccio destro del mio padre putativo si estende verso il muro alle mie spalle, ad indicare la katana usata durante il periodo trascorso nell’esercito: vuole praticare il seppuku.
    Le poche lacrime che avevano inumidito gli occhi vengono sospinte sulle gote da altre che arrivano inondando I bulbi oculari. La richiesta di Jin mi lascia completamente inerme, tanto che il richiedente stesso mi scruta con lo sguardo cercando di carpire le mie emozioni. Dilaniato nell’anima, il pianto è l’unico metodo per esprimermi in un momento in cui qualsiasi parola sarebbe superflua.

    Edited by Ten - 15/4/2020, 13:28
     
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    Il concetto di “morte” per un samurai è ben diverso da quello che un qualunque ninja o chiunque altro possa mai solo sperare di concepire. I veri samurai sono in grado di espiare le proprie colpe pagando con la propria vita. Una morte onorevole è meglio di cento vite vissute da miserabile. La mia forma mentis mi permette di immedesimarmi appieno nei panni del mio maestro, ma nonostante tutto ho paura. Il concetto di morte onorevole, come tutti I precetti del bushido, è astratto. Quando ci si trova nella situazione, I punti di vista si mescolano in un vortice di ideali, emozioni e credenze. La confusione che mi pervade la testa è probabilmente ravvisabile anche dall’esterno. Jin, alla soglia dei 75 anni, ha iniziato a manifestare sintomi di demenza senile già da qualche tempo. E mi piacerebbe che questo fosse uno dei deliri che lo hanno visto protagonista negli ultimi tempi, ma non lo vedo così lucido da mesi. Tanto lucido da comprendere la mia posizione.

    Sapevo che avresti reagito così, ma credimi, ogni minuto che passa la situazione peggiora e…

    La voce dell’autorevole anziano si spezza. Non l’ho mai sentito tanto emozionato, né l’ho mai udito piangere o manifestare qualcosa tanto apertamente. I suoi occhi, forse invidiosi dei miei, già attraversati da un fiume in piena di lacrime, si riempiono anch’essi dello stesso materiale, per poi lasciarsi andare in un pianto che mai avrei pensato di veder scaturire da un uomo come lui. Ha paura. La paura più grande che un uomo possa avere.

    …Io non voglio vivere così, né tantomeno voglio che tu viva così. Non so quanto vivrò, ma voglio che la persona a cui tengo più al mondo si ricordi di me come colui che lo ha cresciuto, non come il peso che l’ha fatto affondare…

    L’ossuta mano dell’uomo dai capelli di cenere viaggia in cerca della mia e goffamente la afferra, tenendo salda la presa. La ricambio, tenendo ben salda la sua mano tra le mie. Non riesco a replicare a causa del singhiozzare repentino che mi impedisce quasi di respirare. Vederlo in quello stato mi dilania l’anima e sapere che non posso fare nulla per salvarlo mette una ciliegina marcia su un’enorme torta di merda.

    …Ho vissuto una vita felice. Ho servito questo paese al meglio delle mie capacità e non ho rimpianti, ma solo tante gioie. E tu, Sorrow, sei la più grande.

    I miei occhi si sgranano ulteriormente, agevolati dall’abbondante lubrificazione dovuta alle lacrime. Non mi sarei mai aspettato di sentirgli dire quelle parole.
    Ancora impossibilitato nel proferire parola, mi limito a racchiudere l’anziano nel primo – e probabilmente ultimo – abbraccio della nostra vita. Gli bacio la testa mentre gli accarezzo I secchi capelli color cenere. Dal punto di vista di un samurai il discorso di Jin è inattaccabile. Un uomo onorevole cresciuto sulla via del Bushido non riesce ad accettare di perdere il senno gradualmente fino a non rispondere più di se stesso. A maggior ragione, un uomo che del cervello ha sempre fatto un vanto come Jin, non può proprio arrendersi all’idea di doverci rinunciare a causa del naturale decorso fisiologico delle cellule neuronali. Il pensiero di rischiare di pisciarsi addosso o di dire qualcosa che non si pensa realmente invadono la testa, già compromessa, di un uomo tutto d’un pezzo. Un profondo respiro è ciò che mi serve per rallentare il ritmo del pianto incessante. Riesco anche, con la flebile voce che mi rimane, ad emettere qualche suono.

    Ti voglio bene, Padre. Non sono pronto a lasciarti andare.

    Non ho nemmeno il tempo di terminare la frase che Jin, ricambiando l’abbraccio con altrettanta intensità, replica elencando due dei principali componenti del Bushido.

    Meiyo. L’onore. Un samurai vero è giudice di se stesso. Le decisioni e le azioni che ne conseguono sono specchio della sua natura, che non può essere celata.
    Chugi. Dovere e lealtà. Il Samurai si assume la piena responsabilità delle proprie azioni ed è fermamente leale con le persone di cui si prende cura. È il mio momento di esserti leale. Ed anche il tuo, Sorrow.


    Il tono autorevole e pacato, nonché la capacità di ricordare ancora, seppur in maniera confusa, I precetti del bushido, genera in me una genuina sorpresa. Il battito del mio cuore si arresta per un attimo. È proprio questo l’attimo in cui mi rendo conto di non poter distogliere l’anziano dalla sua decisione, in nessun modo. Potrei aspettare che perda di nuovo la lucidità, ma sarebbe quanto di più meschino possibile gli si possa fare. Non vi nascondo, però, che l’ho pensato.
    I momenti successivi passano in un silenzio terrificante. Le mani ancora unite in una stretta che sembra eterna, seppur stia andando a sciogliersi pian piano. Non mi resta che assecondarlo.
    Non smetto di piangere nemmeno un secondo, mentre frugo nei cassetti del mobile presente nella stanza di Jin in cerca del miglior kimono per una situazione tanto importante. Un kimono di seta pura, rosso con incisioni in oro, infine, è stato il prescelto dal diretto interessato. L’unico capo d’abbigliamento che valga effettivamente qualcosa. L’unico sfizio di una vita austera.
    Ormai abituato a denudarlo per prendermi cura di lui, non ho mai fatto caso a quanto il suo corpo fosse cambiato negli anni. L’ho conosciuto più di 10 anni fa ed era ancora in forma, pur non essendo più un giovincello. Il tracollo subito è impressionante e probabilmente me ne rendo conto solo ora perché è l’ultima volta che lo vedo.


    Piego e ripiego il kimono in cerca delle aperture, come se non le trovassi. Sono consapevole di star solo prendendo tempo sperando di trovare una soluzione, ma gli occhi rigonfi di pianto non aiutano ad avere una visione chiara della situazione. Accompagno gli arti di Jin all’interno delle maniche del kimono, mentre lui mi fissa con aria inerme. Sta probabilmente cercando di non perdere la lucidità proprio ora.
    Gli mostro la sedia a rotelle indicandola con la mano destra aperta, invitandolo a sedersi. Qualche secondo per recepire l’informazione, scrutare la sedia, raggiungerla e sedersi emettendo strani rumori quali scricchiolii e sospiri affannati. La verità è che quell’uomo anziano vuole liberarsi da se stesso.
    Mi pongo alle sue spalle, afferrando saldamente I manici della sedia a rotelle. La spingo in avanti ed ecco che inizia il percorso verso la fine. Riesco quasi a sentire I battiti del mio cuore in gola, mentre il respiro si fa regolare.

    Hai già pensato a… Dove farlo?

    Si volta verso di me con aria interrogativa. Ha già forse dimenticato a cosa mi riferisco? C’è una speranza di fermare tutto questo? A quanto pare, dato il cambio repentino d’espressione, no.

    Oh sì. Ogni volta che ne ho avuto l’occasione ho pensato che mi sarebbe piaciuto morire con onore sulle sponde del lago a valle della montagna sulla quale abitiamo. Non ti chiedo nemmeno di fare molta strada.

    Farei miglia pur di offrirgli ciò che desidera.
    Ciò che più mi stupisce è la sua prima affermazione. Da quanto tempo medita sul compiere questo atto estremo? Come ho fatto a non accorgermene?
    Mi limito ad annuire, per poi riprendere a spingere la sedia a rotelle. Mi fermo all’ingresso della casa per prendere l’occorrente: la katana di Jin e una coperta grande per proteggerci dal freddo del mattino di Tetsu. Intanto, il sole inizia a tingere il cielo dei colori dell’alba più amara, ma forse nemmeno lui ha il coraggio di sorgere.
    Arrivato alla porta d’ingresso, mi avvolgo nella pesante coperta di lana, che riesce a coprire completamente anche l’anziano uomo vestito solo dal suo kimono migliore. Abbasso la maniglia e, una volta aperta la porta, il tepore di casa viene repentinamente sostituito dal gelo del mondo esterno. Pur coperto, inizio a battere I denti, mentre inizio a spingere Jin verso l’esterno. Devo subito aumentare la forza nella spinta a causa dell’affondare delle ruote nel candido manto nevoso, che genera un attrito non indifferente.

    Che ne sarà di me, quando non ci sarai più?

    Vi giuro che ciò che è uscito dalla mia bocca non è passato assolutamente sotto il controllo del mio cervello. La domanda più spontanea che potessi fare, forse a causa del freddo tagliente, forse a causa del panico, è stata posta. La risposta dell’uomo, iniziata con un sorriso tra I più gentili che abbia mai visto, non tarda ad arrivare.

    Ed io che mi chiedevo cosa ne sarebbe stato di te qualora fossi rimasto.
    A lungo ti sei sottratto dal vivere la tua vita, figliolo, per aiutarmi a vivere la mia, che evidentemente non mi vuole più. Finito tutto questo, devi tornare a combattere per te stesso, per il tuo paese o per qualunque cosa in cui tu creda. Sei speciale, Sorrow. Me ne sono reso conto dal primo momento in cui ti ho visto in preda al panico, dopo un naufragio, su una spiaggia. E il mondo se ne renderà conto solo se deciderai di mostrarglielo. Ed io sarò lì a vegliare su di te, fiero come lo sono già ora, solo che avrò un po’ di pesi in meno.


    Non smette di sorridere nemmeno un momento. Io però smetto di piangere. Le sue parole sono un abbraccio per la mia anima tormentata. È il momento di renderlo fiero di me.
    Siamo giunti a destinazione e ciò che mi si para di fronte è uno spettacolo davvero suggestivo.

    Edited by Ten - 15/4/2020, 13:27
     
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    Costeggiato da grossi alberi sempreverdi quasi per tutto il suo perimetro, un ampio lago si estende davanti ai miei occhi, permettendomi a malapena di vedere l’altra sponda, anch’essa nascosta da una fitta vegetazione arborea. Quello che più mi colpisce è la superficie del lago stessa, ricoperta da uno strato di ghiaccio apparentemente abbastanza robusto. Considerando che il sole non è ancora effettivamente sorto, non dovrei stupirmi di questo fenomeno, in realtà, considerando la temperatura giunta a diversi gradi sotto lo zero.
    Arresto la spinta della sedia prima di giungere sulla superficie congelata del lago, lascio I manici e faccio qualche passo in avanti, lasciandomi alle spalle l’uomo anziano. Il silenzio di questo luogo è incredibile. È possibile udire, di tanto in tanto, gli scricchiolii dovuti alla formazione di crepe nel ghiaccio che, seppur flebili, riescono a generare una modesta eco.
    Anche gli animali, forse per rispetto o semplicemente perché stanno ancora dormendo, decidono di stare zitti contribuendo ad alimentare il silenzio surreale del momento. Prendo un respiro profondo, mentre l’aria gelida che mi entra nei polmoni sembra quasi tagliare le mie vie aeree superiori, per poi voltarmi verso Jin, che osserva il tutto con l’aria estasiata di un bambino un po’ troppo cresciuto. Mi chiedo se sia ancora in sé.

    Da quanto tempo non mettevo il naso fuori di casa?

    Ok, ha risposto senza che lo chiedessi. È in sé.
    Il tono di voce è molto più debole di quello adoperato in casa, probabilmente a causa del respiro appesantito dal freddo. Tolgo la coperta dalle mie spalle e lo avvolgo completamente, mentre borbotta qualcosa come “ne hai più bisogno tu”. Ho già soddisfatto abbastanza richieste, per oggi.

    Ho bisogno di meditare per qualche minuto. Sai, arrivato a questo punto non è facile per nessuno.

    Annuisco. Che ci ripensi? Sdrammatizzo fra me e me asserendo che, qualora ci ripensi, morirebbe per mano mia. Lo lascio a meditare nel suo bozzolo di lana, mentre il mio corpo rimedia come può all’abbassamento di temperatura contrastato solo con un kimono pesante. Inizio a tremare per cercare di generare quanta più energia termica possibile. Mi specchio involontariamente sulla superficie ghiacciata del lago e mi rendo conto di come il colore della mia pelle sia paragonabile a quello della neve che mi circonda, per la prima volta nella mia vita. Il sangue ha già cominciato a deviare il proprio percorso per concentrarsi sugli organi interni, anziché irrorare la superficie corporea. Sono stupito dal numero di meccanismi automatici che il nostro corpo è in grado di innescare per sopravvivere alle situazioni più disparate.
    Nel frattempo mi volto verso il cielo che continua a tingersi dei colori dell’alba. Il sole è probabilmente sorto dietro le montagne, data la quantità di luce notevolmente aumentata. Il modo in cui tendo a concentrarmi su dettagli tanto stupidi per eludere la tensione è quasi imbarazzante, ma non riesco a fare altrimenti.

    Sono pronto.

    Accolgo quell’affermazione con un temporaneo blocco del battito del mio cuore, che produce un effetto sistemico: le gambe iniziano a rammollirsi, così come le braccia; il respiro si fa sempre più pesante; la salivazione si azzera. Sto per restare da solo. Per tornare da solo dopo gli anni più sereni di un’esistenza vissuta negli abusi. Qualsiasi frustata subita dagli schiavisti, qualsiasi tortura fisica o mentale è meno dolorosa di questo momento. O forse il mio cervello ne ha rimosso I ricordi.
    Liberatosi dal bozzolo di lana nel quale l’avevo avvolto, Jin concentra le energie spingendosi in avanti. La sedia viaggia per qualche decina di centimetri indietro, mentre l’anziano si trova ora con le ginocchia affondate nel bianco manto nevoso, rivolto verso il lago che sembra ora immenso. Accorro per aiutarlo ad assumere la posizione corretta, ma la sua mano destra si para aperta di fronte a me, in un segnale di stop. Affondo I talloni nella neve ed arresto la mia corsa. Osservo inerme il tutto. Non riesco nemmeno a proferire parola.

    OST: Harakiri



    La mano destra di Jin viaggia tremolante verso la Katana che porta legata alla cintura proprio sul medesimo fianco. Afferra saldamente il fodero, mentre con la mano sinistra inizia un viaggio che sembra durare giorni verso l’elsa. L’impugnatura è evidentemente impacciata, cosa che dimostra ulteriormente quanto la sua condizione fisica sia andata deteriorandosi con il tempo. Sguaina lentamente la spada con diverse incertezze a causa della mano che non smette di tremare. Estratta completamente la lama dal fodero, la mano dapprima impegnata a tenere fermo il fodero inizia a muoversi in aiuto della sinistra, a reggere l’elsa rendendo l’impugnatura quanto più stabile possibile. Passa un attimo e la lama cambia la direzione e punta verso il ventre dell’uomo che la impugna. Il modo in cui trema mi preoccupa non poco: rischia di infilzarsi nel punto sbagliato e soffrire più di quanto non sia già destinato a patire. Prende un respiro profondo trattenendo il fiato e la spada tremolante si trasforma repentinamente in un bisturi impugnato dal chirurgo dalla mano più ferma al mondo.
    Il tempo si ferma.
    Nel silenzio di quella landa desolata, il rumore della lama che trafigge il ventre del mio maestro risulta assordante. Mantengo gli occhi chiusi, ma è come se le mie orecchie riuscissero a marchiare nel mio cervello l’esatta immagine della scena.

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    Non un sussulto di dolore, non una lamentela sono percettibili durante l’esecuzione di quel rito tanto antico quanto macabro. È una vera e propria liberazione che rende il dolore fisico l’ultimo dei problemi.
    Apro gli occhi, seppur non sia abbastanza coraggioso da posare subito lo sguardo sul corpo di Jin. Il sangue ha dipinto la neve di un rosso acceso e viaggia velocemente verso la superficie ghiacciata del lago, scorrendo tra le insenature generate dalle crepe, perdendo sempre più velocità. Nonostante l’aria fredda sia più pesante di quella calda, l’odore del sangue riesce a viaggiare comunque fino al mio naso, generando in me la chiusura totale dello stomaco e un forte senso di nausea.

    Grazie, figlio mio. Hai messo da parte te stesso… Ogni tua insicurezza rinunciando alla mia presenza in questa vita. Questo ti rende un vero samurai e mi rende fiero di te. Per sempre.

    La voce esce flebile, ma continua, come se stesse usando l’ultimo moto di espirazione per enunciare un pensiero completo. Istintivamente mi volto verso di lui e lo vedo ancora in ginocchio, con la spada che gli trapassa il ventre da parte a parte, mentre la tiene ancora tra le tremolanti mani. Lo sguardo debilitato punta verso di me, scrutandomi nell’attesa di qualcosa.
    Il pianto torna inevitabilmente ad inondarmi gli occhi, quasi come a volermi impedire di focalizzare la scena per evitare di ricordarla. Mi asciugo velocemente le lacrime e corro vicino al mio padre putativo, inginocchiandomi al suo cospetto in segno di profondo rispetto.

    Ti ringrazio per ogni singolo momento passato insieme, padre. Ti voglio bene.

    Poche sono le parole che riesco a mettere insieme in un momento del genere. Poche e soffocate dal tentativo di reprimere il pianto. Un sorriso misto ad una smorfia di dolore si dipinge sul volto del samurai anziano, che esala il suo ultimo respiro lasciandomi con una speranza.

    Non è mai finita, Sorrow. Dalla morte, inizia una nuova vita. Sarà bellissima, piena di sogni, speranze ed avventure. E mi porterai con te ovunque andrai.

    Allunga la mano sinistra verso di me, andando a toccare il ciondolo a forma di testa di Toro che porto al collo, suo primo dono dopo la promozione a soldato di Tetsu. Lo macchia con il suo sangue, prima di lasciar cadere a terra la mano, per poi chiudere gli occhi con un’espressione tanto serena quanto inquietante, considerando il modo in cui è morto.
    Resto ancora qualche minuto in silenzio, inginocchiato al suo cospetto. Non riesco a smettere di piangere, seppur sia riuscito a diminuire l’afflusso di lacrime ai corrispettivi dotti. Faccio per alzarmi, quando un rumore sinistro turba il silenzio che aveva ripreso il sopravvento. Sta arrivando qualcuno. O meglio, qualcosa.
    Fine dei primi 3 post.
     
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    Un incessante ringhio giunge al mio orecchio e l’eco che genera non mi permette di localizzare l’esatta posizione di provenienza. Deglutisco a fatica, già turbato dalla situazione appena vissuta e con un occhio proiettato a quella che sta per arrivare. So già tutto o quantomeno lo immagino. Se fossi un lupo delle nevi, l’odore del sangue fresco sgorgante da un cadavere farebbe impazzire pure me. Non posso prendermela con loro, ma non sono certo disposto a fargli sbranare il cadavere dell’uomo a cui più tengo.
    Mi avvicino al corpo ancora inginocchiato, mentre con lo sguardo sondo ogni centimetro della foresta di abeti che ci circonda. Il sole è ormai sorto e la luce che offre è sufficiente a distinguere bene l’ambiente circostante, ma la fittezza della foresta non le permette di essere permeata più di tanto.
    Continuo a guardarmi intorno, mentre con la mano destra vado in cerca della mia wakizashi. E mi direte adesso: chi si porta dietro una wakizashi in un momento come quello appena trascorso? Beh, non io.
    Assunta la posa da combattimento, attendo il palesarsi del mio avversario. Con amara sorpresa scopro che l’uso del singolare è improprio.

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    Un poco raccomandabile branco di lupi si affaccia dalla boscaglia, zampettando energicamente nella neve. Puntano tutti con lo sguardo al corpo esanime di Jin. La bava che gli penzola dal muso è un segno assolutamente poco rassicurante. Resto fermo, per quanto si possa star fermi immersi nel gelo. Cerco di mantenere alta la concentrazione, mentre seguo ogni cauto movimento del branco.
    D’improvviso, il possibile maschio alfa affonda le zampe posteriori nella neve e spicca un balzo verso Jin, mentre I due immediatamente dietro si avventano verso di me. La restante parte del gruppo resta indietro, capendo che attaccare tutti insieme sarebbe solo uno spreco di energie superfluo.
    Mi fiondo verso il povero corpo di Jin, tormentato anche dopo aver ottenuto la libertà, per cercare di offrirgli quanta più protezione sia in grado di dare. Il primo lupo, partito con eccessivo zelo, finisce con la testa immersa nella neve dopo aver incassato un pugno sulla scatola cranica. Non si muove più. Mi dispiace, ma la natura non fa sconti a nessuno. Il resto del branco ulula, probabilmente sorpreso dalla fine del capo. La veloce occhiata che lancio alla mano destra, per notare come il sangue di lupo tinga ora le mie nocche, mi distrae dall’attacco degli altri due. Riesco ad evitare un morso al polpaccio destro ritraendo la gamba proprio all’ultimo istante, mentre per il secondo non c’è nulla da fare: il lupo spicca un balzo abbastanza in alto da riuscire ad affondare I denti nella mia spalla sinistra.

    Aiuto…

    Forse per Il freddo, forse per la paura, la voce non esce. Quello che dovrebbe essere un urlo disperato si trasforma in un flebile sussurro, mentre il dolore va pian piano ad estendersi lungo tutto il corpo, partendo dall’epicentro nella spalla. Sento tante piccole spade che mi attraversano la carne e continuano a farsi strada con forza, la stessa che il lupo mette nello stringere la mandibola.
    Diversi rivoli di sangue iniziano a scorrere lungo il mio corpo tingendo il mio kimono bianco. La mia mano destra si chiude istintivamente in un disperato pugno, che viaggia più volte verso il naso del lupo, finché la presa non si allenta e l’animale si stacca. L’altro lupo, fallito il primo attacco verso di me, continua l’offensiva balzando verso il cadavere dell’anziano. Mentre tampono la ferita con la mano destra ben salda, la gamba destra viaggia verso il canide profanatore In un calcio improvvisato che riesce a dissuaderlo.
    Il branco capisce che sono il suo unico ostacolo alla colazione. I componenti dapprima disinteressati iniziano ad alzarsi, assumendo posizioni simili a quelle assunte dai primi tre lupi.
    Mi volto verso Jin. Non so cosa fare. Una lacrima mi scende dall’occhio destro mentre sposto lo sguardo sui due lupi vicini. Quello capace di colpirmi è ancora intontito dai colpi sul naso, mentre la vittima del calcio sembra essersi ripresa. Gli altri tre mi studiano, ma sono pronti ad attaccare. Lo testimonia un ululato famelico, quasi da film horror.
    Il sangue continua a sgorgare dalla mia spalla, inebriando ancor di più I sensi di quei predatori con il desiderio di una colazione abbondante. Non nascondo che nella disperazione ho avuto il pensiero di estrarre la katana dal corpo di Jin ed usarla per affettare in poco tempo qualsiasi lupo mi si mettesse davanti, ma non potrei mai perdonarmelo dopo tutto ciò che ho fatto.
    Come previsto, I tre canidi restanti del branco, quelli che hanno deciso di guardare la scena da lontano, iniziano la loro offensiva lanciandosi all’attacco simultaneamente, richiamando l’attenzione dei due precedenti, più coraggiosi. Istintivamente faccio un passo indietro e il rumore che I miei sandali in legno producono è inconfondibile: ghiaccio che si rompe. Non ho minimamente pensato di avere alle spalle un lago ghiacciato e che finirci dentro potrebbe voler dire solo una cosa: affogare.
    I cinque lupi sono sempre più vicini e non ho idea di come affrontarli tutti insieme. Lo sguardo passa repentinamente dal branco al lago alle mie spalle, per poi posarsi sul cadavere di Jin. Se dovessi morire qui, lo lascerei in balìa dei lupi e non riceverebbe nemmeno la sepoltura che merita. Se fossi lucido e illeso, probabilmente elaborerei una strategia migliore di quella che sto per attuare. Almeno credo.
    I cinque attacchi vengono da cinque direzioni diverse, hanno cinque diversi obiettivi e puntano ad essere quanto più in sincronia possibile. Una strategia selvaggia, ma molto intelligente. Fanno in modo che non sia possibile evitarli tutti. Almeno uno andrà a segno.
    Quello che i lupi non sanno è che il mio fine non è schivarli ed uscirne illeso, bensì uscirne con meno danni possibili e trascinarli con me verso il baratro. Tattica non conforme alle promesse appena fatte, ma provateci voi a fare di meglio.
    La corsa dei lupi termina in un balzo e l’attacco viene portato a segno. Con dei piccoli movimenti riesco a coprire I punti vitali. Uno di loro puntava al collo e mi è bastato alzare la spalla destra per proteggerlo e fare affondare I denti del lupo proprio nella spalla. Il dolore è forte, ma “fortunatamente” l’attacco è simultaneo e con un singolo movimento riesco a coprire tutti I punti sensibili. I denti dei predatori affondano sempre più nella mia carne e il mio cervello continua a ricevere scariche elettriche continue. Incommensurabili segnali di dolore che mi conducono al giusto livello di disperazione che serve per portare a termine la strategia atta a lasciare il povero Jin a riposare in pace. Mi lascio andare all’indietro, ma poco prima di urtare la superficie ghiacciata del lago, l’istinto di sopravvivenza tipico di ogni animale mi permette di fare ciò che prima non ero riuscito.

    AIUTO!



    Una richiesta secca, disperata, urlata a squarciagola che sembra rimbombare per tutta Tetsu. La caduta, però, è inarrestabile.

    OST: The End?



    Sfondo la superficie ghiacciata del lago, tuffandomici dentro e portando con me ogni singolo lupo rimasto, che immediatamente tenta di staccarsi da me per nuotare fuori e salvarsi. Con le ultime energie che mi rimangono tento di afferrarli come posso per tenerli giù con me, in modo da evitare ulteriori ripercussioni sulla salma rimasta in superficie. Passa qualche secondo prima che il freddo glaciale del lago venga percepito dal mio cervello, che immediatamente smette di ricevere qualsivoglia tipo di dolore. Sono completamente anestetizzato. La vasocostrizione è tale da non permettere la fuoriuscita di sangue dalle ferite. Il cuore, però, lo sento battere sempre più lentamente. Quando ho pensato di buttarmi nel lago pensavo di morire per asfissia, pertanto morire congelato senza sentire effettivamente nulla, è meglio di quanto mi aspettassi.
     
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    Avete presente quel che si dice delle esperienze pre-morte? Dai, su, quella roba del vedere a ritroso ogni momento trascorso dal primo respiro al momento prima di esalare l’ultimo respiro. Beh, credo proprio sia vera. Il gelo mi attanaglia sempre più le viscere e gli occhi si fanno pesanti, mentre I muscoli sono troppo intorpiditi per contrarsi e permettermi anche solo di tentare la fuga. Mentre affondo, vedo ogni momento passato con Jin fino all’ultimo. E solo I dotti lacrimali ostruiti dal ghiaccio mi impediscono di aumentare il livello di quel lago. Rivedo I momenti trascorsi in accademia e la poca dedizione che ho riservato alla casta samurai per pigrizia, nonostante l’abbia sempre mascherata da assistenza a un padre malato. Ora una promessa sacra mi vincola a quel ruolo fin troppo a lungo ignorato.
    Ai ricordi più piacevoli si succede un profondo malessere che scaturisce dai ricordi del quasi annegamento che a dodici anni mi ha visto rischiare la morte dopo essere fuggito dalla nave nella quale ero tenuto prigioniero dagli schiavisti. Forse il destino ha deciso per me questo tipo di morte ed è ineluttabile.
    Tornando indietro, sembra ancora di sentire addosso la frusta degli schiavisti che mi schiocca accanto alle orecchie, mentre la sua estremità mi lacera la carne tra le risa di quei bastardi. Ricordo ogni singolo calcio ricevuto allo stomaco, alle costole, sulla schiena. La rabbia che le prime volte saliva e pian piano scemava ad ogni umiliazione subita in più. Mi ricordo che una volta pensai di togliermi la vita gettandomi in mare aperto durante la pulizia del ponte. A 9 anni.
    La luce che oltrepassa la superficie del lago è sempre più fioca ed I miei occhi sempre più stanchi. Il mio cuore batte ogni due secondi circa e non sento più nessuno dei miei arti. Nel frattempo, le immagini di un’infanzia abusata continuano ad affollare la mia mente sempre più indirizzata verso la fine.
    Ricordo bene I primi periodi sulla nave, nei quali nessun bambino era trattato da schiavo, anzi. Tutti si allenavano per servire la ciurma una volta diventati grandi, me compreso. Man mano che gli altri bambini si mostravano capaci di utilizzare strane tecniche ed abilità innate, venivano inclusi nel gruppo dei vincenti, nutriti per bene e vestiti con capi puliti. Io non manifestavo nessuna capacità particolare. Continuavo a perdere ogni scontro al quale mi obbligavano a partecipare. Sempre più debilitato e malnutrito, le speranze di vincere continuavano a diminuire e tutti mi scavalcavano. Non fui nemmeno buono da vendere, in quanto ritenuto fin troppo inutile. Restai come schiavo personale della ciurma, a subire ogni tipo di angheria. Persino I ragazzini con cui ero cresciuto all’interno della nave erano obbligati a picchiarmi davanti agli altri pirati per non subire il mio stesso trattamento.
    In questo continuo flashback, una brusca interruzione turba la mia psiche sull’orlo del baratro, tanto da scatenarmi un piccolo sussulto. Non ho idea di come Io sia arrivato su quella nave da schiavo. Una sorta di blocco mnemonico sembra impedirmi di andare più a ritroso del mio primo giorno sulla nave. Ho sempre creduto nella potenza delle mente umana e so bene che nei momenti estremi dà il meglio di sé, mostrando capacità mai viste prima.
    Con il poco fiato che mi rimane e la poca energia mentale rimasta, cerco di concentrarmi quanto più è possibile per cercare di avere qualche immagine antecedente alla vita da schiavo. Dapprima solo confuse sfumature di colori caldi mi invadono la mente, per poi lasciare spazio ad immagini più nitide di un luogo caldo, circondato dal mare e molto sereno. Forse sono già morto ed ho già messo piede in paradiso?
    Poi, proprio da quel mare tanto calmo e cristallino, esce una figura minuta. Una donna le cui fattezze si fanno più familiari ad ogni passo che compie verso di me. Ha la mia stessa pelle ed il mio stesso sorriso beffardo. Che sia…

    …Mamma?

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    Un pensiero nato spontaneo quanto veritiero. Solo una mente prossima alla fine è tanto potente da poter ricordare cose così remote. Cerco di focalizzare ogni mia speranza sull’immagine di quella donna. Lei parla, ma non riesco a sentire cosa dice. La gestualità è inconfondibile: mi sta chiamando a sé. Provo solo a concentrarmi ulteriormente sulla sua voce, cercando di ricordarla, ma riesco ad udire solo poche parole scandite da una voce dolce, molto femminile.

    Mugen! La mamma è qui con te, non avere paura…

    Mi sorride in un modo così rassicurante che, pur sapendo di essere in una sorta di sogno, inizio a camminare verso di lei con andatura incerta, come fossi un bambino appena in grado di camminare. La sua espressione è sempre più rassicurante. Si china per mettersi al mio livello e apre le braccia per accogliermi.
    Giunto in prossimità sono scosso da un repentino cambio di espressione nel suo volto. I suoi occhi passano dall’essere riempiti di una candida dolcezza all’essere svuotati da qualsivoglia essenza vitale. Le braccia si distendono sui fianchi e nel suo ventre un enorme chiazza rossa continua ad espandersi macchiandole tutto il vestito. La vedo inginocchiarsi a terra esanime, esattamente come il corpo del mio padre adottivo in superficie. L’unica differenza è che il suo sguardo incrocia il mio fino all’ultimo momento. Tenta di chiamarmi a sé con la flebile voce che le è possibile esternare date le ultime energie rimaste, mentre una forza invisibile mi afferra e mi allontana velocemente da lei. Anche in quell’occasione non riesco a staccare gli occhi di dosso a quel cadavere grondante sangue che scompare all’orizzonte, mentre inerme non mi resta che urlare, piangendo.

    MAMMAAA!

    Il mio cervello aveva totalmente rimosso un trauma di questa proporzione, forse per evitarmi danni psichici permanenti. Non posso biasimarlo.
    La reazione che scaturisce dalla vista di quelle immagini è inaspettata: gli occhi si aprono di scatto e sento quasi I capillari esplodere per la mancanza d’aria, probabilmente complice di questa reazione. Pur non sentendone la contrazione a causa del freddo, vedo le braccia e le gambe che cominciano ad agitarsi per cercare di salire in superficie. Un ultimo sprazzo di energia vitale si esaurisce come la fiamma generata da un fiammifero: divampa luminosa per qualche attimo, per poi sparire di botto. E così fa il mio corpo quando decide, dopo l’agitazione finale, di arrestare ogni movimento. Gli occhi si chiudono nuovamente, mentre ho ancora ben fissa in mente l’immagine dell’ultimo scambio di sguardi con mia madre. E d’improvviso, il buio cala ad ottundere ogni senso. Un rumore sordo, però, è l’ultima cosa che mi ricordo.
     
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    Ed eccoci finalmente alla fine, o meglio, all’inizio di questo racconto. Fermo su questo letto, tormentato da questo incessante rumore di gocce infrante sulla ceramica di quel maledetto lavandino.
    Il tempo corre lasciando indietro chiunque si fermi, però. E mentre io combatto contro il mio stesso corpo, fuori un’altra guerra si sta consumando: l’epilogo della duratura battaglia tra I veri samurai ed I mercenari. Nessuno si risparmia ed il fragore dei colpi è ben udibile dalla mia stanza, seppur non ne capisca la natura fin quando non sento il preoccupato vociare dei medici travolti dall’ondata di feriti più grande degli ultimi anni. Molti devono essere trattati con la massima urgenza e le mie condizioni, ormai stabili, permettono loro di ricevere tutte le attenzioni del caso.
    Resto solo nella stanza, mentre il lavandino ha ormai smesso di perdere e il rumore della battaglia che infuria all’esterno è accompagnato solo dallo sfilare delle barelle lungo il corridoio dell’ospedale.
    D’un tratto, il fragore che riempie l’aria sembra quietarsi quasi del tutto. Un’abbagliante luce bianca fuori dalla finestra è in grado di farmi strabuzzare gli occhi, seppur per un momento. Chiaramente non ho visto nulla e non sono riuscito a tenere gli occhi aperti per più di qualche momento, forse a causa dei sedativi o a causa del fatto che non li apro da diversi giorni.
    La porta della mia camera si apre di scatto. Un rumore di passi decisi scandisce il tempo che sembrava essersi fermato assieme ad ogni rumore esterno. Sono chiaramente passi di un uomo che si reca fino ad un punto della stanza, per poi adagiarsi su una poltroncina in un angolo. Sfoglia delle pagine. Che stia leggendo il giornale?

    So bene che puoi sentirmi. I tuoi segni vitali sono tipici di una persona cosciente. Ti stai chiedendo chi io sia, probabilmente…

    Il tono di voce è pacato, amichevole, ma risoluto. Non credo di averlo mai sentito prima. Quello che mi colpisce è che mi trovo davanti alla prima persona che si è accorta del mio stato di coscienza. Vorrei muovere anche un solo muscolo per rispondere alla sua domanda, ma il massimo che riesco a flettere è il dito indice della mano sinistra che, compiuto un movimento verso l’alto, viaggia verso il materasso, schiantandosi su esso e producendo un lieve rumore sordo.

    …Come sospettavo. Il mio nome è Jin…

    La casualità genera in me un sobbalzo che si traduce in un aumento del ritmo cardiaco, con conseguente aumento del ritmo respiratorio. Un nome la cui lacuna lasciata nella mia esistenza è troppo fresca per poter essere udito di nuovo senza ripercussioni.

    …E sono colui che ti ha tirato fuori dal lago ed ha portato in salvo il corpo del tuo maestro. Conoscevo Jin “Il Toro” Miyazaki. Un grande samurai troppo presto sottratto al suo cammino d’onore.

    Quelle sono le parole che vorrei incidere sulla lapide del mio padre adottivo, ora che di certo riuscirà ad averne una grazie al gesto caritatevole del signore che, dopo avermi salvato, mi regala la sua compagnia in una stanza ormai troppo solitaria. A che prezzo, mi chiedo?

    La guerra tra lo schieramento di Severa e quello di Chul Moo Lee è finita. Ha vinto la prima con l’aiuto dei ninja. Ti conviene svegliarti domani per goderti I festeggiamenti finali.

    Lo immagino sorridente, mentre finisce il suo dire continuando a sfogliare le pagine di qualsiasi cosa stia leggendo.
    Tento più volte di aprire gli occhi ed ogni tentativo mi premia con qualche istante di visione in più. Vorrei guardare la faccia di quell’uomo tanto misterioso, ma lo sforzo si fa sempre più consistente e finisco per crollare in un buio ancor più profondo di quello dato dai miei occhi chiusi, in cui ogni organo di senso finisce per spegnersi pian piano.
    Il giorno successivo riesco anche ad avvertire l’alba che mi illumina il viso, come segno di una migliorata percezione di ciò che mi circonda. L’infermiera entra in camera con il fare stanco di chi non ha chiuso occhio danzando tra una stanza e l’altra ad assistere chi più necessita di cure. Mentre si occupa di cambiare la mia flebo, sento la sua mano fredda andare in cerca del mio polso, probabilmente per sentirne le pulsazioni. Non so da quanti giorni mi trovo in quel letto, ma il minimo che possa fare è convogliare le energie verso il braccio che lei stringe tra le mani, ricambiando delicatamente la stretta, cingendo le sue dita con le mie.

    Grazie di tutto.

    Sussulta sorpresa quando capisce la mia situazione. Poi si lascia andare ad un sorriso commosso mentre completa I controlli di routine. La sento respirare in modo strano, come se stesse piangendo. E la sua voce rotta subito dopo lo conferma.

    È il mio dovere…

    Dice con risolutezza, ma sembra quasi ricordarlo a se stessa in un momento nel quale, forse presa dalla stanchezza, forse dallo sconforto, ne dubita anche lei. Lascia la stanza qualche momento, per poi tornare con il medico di turno. Quest’ultimo, informato della mia condizione, entra nella stanza già pronto ad espormi la sua visione.

    Hai proprio avuto una bella fortuna, giovanotto!
    Non sono tanti a poter dire di essere sopravvissuti ad un bagno nel lago ghiacciato di Tetsu. E probabilmente non potresti farlo nemmeno tu, se un ronin non ti avesse portato qui in condizioni gravissime. Hai combattuto bene, però. Il solo fatto che tu non abbia riportato danni permanenti è già una vittoria. E a quanto pare sei già cosciente. Se continui di questo passo, sarai in grado di andartene qui sulle tue gambe tra qualche giorno. E magari stasera potrai pure goderti qualche fuoco d’artificio.


    A quanto pare, Jin, il ronin che mi ha portato qui in seguito alla mia disavventura, non ha mentito riguardo ai festeggiamenti dovuti alla vittoria dello schieramento samurai. Non aver partecipato alla battaglia non causa in me dei sensi di colpa, perché non credo che sarei riuscito a combinare qualcosa, oltre all’aggravarsi della situazione di quella povera infermiera in ospedale. Probabilmente tutto il trambusto generato il giorno prima è scaturito da chissà quali tecniche ninja: draghi di fuoco, topi di fulmine, manguste di muschio o chessò io! Il deficit che mi porto dietro, non riuscendo ad usare in nessun modo il chakra, mi rende quasi inutile nel combattimento.
    Mi volto verso il medico e apro a fatica gli occhi, riuscendo quasi a percepire lo strozzamento della pupilla in seguito all’inondazione della luce esterna. Riesco a focalizzare sia lui che l’infermiera: una ragazza acqua e sapone, forse troppo impegnata per truccarsi, con un’espressione stanca in volto. Esattamente come l’ho immaginata. Sorrido e, con voce flebile, rispondo.

    Grazie. Vi devo la vita. Sapete dirmi qualcosa sul ronin che mi ha portato qui?

    Entrambi scuotono la testa rammaricati.

    Pensavamo di fare a te la stessa domanda, in realtà. Si tratta di un tipo parecchio misterioso. Non siamo riusciti nemmeno a vederlo in volto a causa del grosso cappello di paglia che gli copriva tutto il volto. Non si è nemmeno fatto più vivo, dopo.

    Celo la sorpresa dovuta all’ultima notizia con un sorriso forzato, per poi annuire e voltarmi verso il soffitto. Gli occhi tornano a chiudersi da soli, ma ciò che ho appreso non mi permette di riposare in nessun modo. Con chi ho parlato ieri, allora?
    Passano le ore e, tra una congettura e un pisolino, giunge la sera. I preparativi per la festa sembrano quasi la festa stessa, da quanto rumore generano, mentre io cerco di risparmiare le energie in attesa di poter scorgere un barlume di gioia dopo tanto dolore. Continuo a riposare.

    Urrà per Severa! Urrà per Tetsu!



    Mi sveglio di scatto a causa del forte rumore dei festeggiamenti. I fuochi d’artificio tingono il cielo notturno con I colori più vividi, mentre fuori è tutto un vociare allegro, un continuo brindare. Vorrei partecipare, ma al contempo so che non lo merito. Mi limito ad osservare dall’esterno come ho sempre fatto, mentre una voce interrompe il mio rimuginare.

    giphy


    Ti sei ripreso, finalmente.

    Mi volto di scatto accusando un forte dolore al collo. Sulla stessa poltroncina della stanza giace, in totale relax, un samurai vestito da un kimono blu, con una lunga chioma nera che, raccolta in una coda, lasciava comunque penzolare sulle spalle due lunghe ciocche di capelli. Lo sguardo interrogativo che rivolgo verso il soggetto vale più di mille domande.

    Già, sono rimasto qui tutto il tempo. Banali tecniche per celare la posizione bastano per chi non è avvezzo a questa roba.

    Porto una mano tra I capelli, mentre a fatica cerco di sollevare la schiena per assumere una posizione più adatta ad un dialogo, cercando di sedermi sul letto. Con non poco sforzo, riesco a posizionarmi con la testa che continua a girare per il cambio di posizione.

    Il ronin che mi ha salvato? Sei tu? Jin? Perché tutto questo mistero e questo continuo nascondersi? Chi sei?

    Sul volto del samurai si stampa un sorriso intrigante, che preannuncia una risposta succulenta, piena di informazioni. O forse ho solo troppe aspettative.

    È meglio che di me si sappia poco qui, almeno per il momento. Per quanto riguarda il nostro incontro, posso dirti che non è stato affatto casuale. Dovevo un favore al tuo paparino adottivo e mi serve che tu sia vivo per portare a termine il mio compito.

    L’entrata in scena dell’infermiera costringe il samurai a dileguarsi nuovamente, ma a giudicare dal riaprirsi della porta alle spalle della donna, credo che non si tratti di una semplice tecnica di celamento della posizione. È proprio andato via. Nel frattempo l’infermiera mi si avvicina con aria di rimprovero a causa dello sforzo eccessivo fatto per cambiare posizione. Mi esorta a sdraiarmi nuovamente, mentre le sorrido imbarazzato. Nel frattempo la mia testa continua a rimuginare sulle informazioni acquisite e crea collegamenti anche improbabili, mentre il mio sguardo fissa il vuoto fuori dalla finestra, oltre ogni spettacolo pirotecnico.
    Devo uscire da qui, Il prima possibile.
    FINEH.


    Edited by Ten - 21/4/2020, 20:01
     
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    Mi è piaciuta molto. Puoi prendere il massimo entrambe le parti
     
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