Tangan Takao

PQ - Shinji Obata

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    ▲Tangan Takao▼


    Pese del ferro, Anno 16 d.Z
    Residenza principale degli Obata



    «Prestando attenzione alle vostre spiegazioni, maestro, mi sembra tutto così semplice, processi così elementari che mi portano a pensare “potrei facilmente farli anche io”; nonostante ciò, ogni volta che mi comunicate il vostro procedimento logico, rimango esterrefatto, senza capire del tutto fino all’arrivo della vostra spiegazione finale. Eppure, credo che il mio occhio, sia buono quanto il suo» Osservò Shinji, toccandosi quasi istintivamente la benda poggiata sull’occhio mancante, come se temesse che, in fondo, il suo “nuovo” deficit nascondesse una gravità maggiore del previsto.
    «Esattamente» rispose Takao, fumando la sua Kiseru «Il tuo occhio è più che sufficiente, il problema è che tu vedi ma non osservi, e la differenza è sostanziale.» il maestro si mise seduto a gambe incrociate e senza distogliere lo sguardo dal suo allievo, continuò l’esposizione «Quanti gradini ci sono all’ingresso dell’ala del palazzo dedicata ai tuoi studi? Ci passi molto del tuo tempo, li avrai percorsi migliaia di volte, sai dirmi il numero preciso?» Il giovane Obata cercava di non distogliere lo sguardo, di mantenere acceso quello “scontro”, ma quegli occhi non facevano altro che comunicargli la risposta che sapeva di dover dare
    «Non so quanti siano, maestro»
    «Ecco il punto, tu hai visto, ma non hai osservato… Io so benissimo che i gradini sono quattordici in totale, puoi anche controllare»
    «No, mi fido»

    Quello scambio di battute turbò Shinji. Il ragazzo cercò di ricordare, in preda alla frenesia, il numero di molte cose che vedeva abitualmente: quanti gradini ci fossero in totale nel palazzo, quante porte, quanti sassi sistemati nelle decorazioni del giardino, quante spade di legno fossero presenti nella sala degli allenamenti. La risposta era sempre la stessa, per quanto cercasse di focalizzarsi ed isolare quegli oggetti nei suoi pensieri, nulla portava ad un risultato concreto, nessun numero finito, gli venivano in mente parole come “moltitudine”, “qualche paia”, “dozzine”, ma nessuna precisione degna del suo maestro. Iniziò istintivamente ad osservare tutti gli oggetti della stanza, prendendo a contarli, memorizzandone il numero preciso, quasi come si stesse preparando per un’eventuale “interrogazione” di Tangan Takao.

    Ciò che Shinji non capiva era che il suo metodo era destinato inevitabilmente ad un fallimento. Non aveva assolutamente carpito l’insegnamento che il suo maestra volevo trasmettergli. Takao gli era avanti anni luce su quei concetti, aveva passato anni e anni della sua vita a perfezionare la sua interazione con la realtà che lo circondava. L’esempio portato al giovane allievo, quello dei gradini del luogo dove si trovavano, era solamente l’ultima manifestazione della sua “abilità”: un processo divenuto ormai automatico, naturale, che non richiedeva più alcuno sforzo mentale da parte sua, quasi inconscio.

    «Non crucciarti, sono qui per insegnarti, se tu fossi già pienamente consapevole delle potenzialità del metodo e delle sue applicazioni io non avrei nulla da insegnarti, sarei inutile»
    Tangan Takao era il primo maestro che si era presentato a lui senza brandire alcuna spada, senza presentarsi come un samurai o comunque un militare navigato. Era evidente che dinanzi a lui si trovasse qualcuno diverso dal combattente dei racconti che leggeva, diverso da quell’archetipo del guerriero senza macchia che si butta a capofitto contro le situazioni che gli si parano davanti, senza il bisogno di analizzare, di carpire i dettagli di ciò che andava ad affrontare. Sembrava essere un profondo conoscitore della psiche più che delle tecniche di combattimento, ed all’epoca, il giovane non sembrava sapere che in un combattimento, questa conoscenza poteva segnare il confine tra la vita e la morte. Takao gli avrebbe donato un’educazione tesa a migliorare le sue facoltà di pensiero consapevole, e a utilizzarle per realizzare di più, pensare meglio e decidere in modo ottimale.

    «Ciò che voglio comunicarti, quando ti parlo della differenza tra la presa visione e l’osservazione, è che non devi mai confondere l’insensatezza con la consapevolezza, l’approccio passivo con la forma del coinvolgimento attivo.» Shinji lo guardava ed ascoltava attentamente ogni sua parola, quasi non volendo stava continuando a fare il “giochetto” di prima, quella memorizzazione che a niente lo avrebbe portato. Cercava però di carpire tutte le informazioni che gli stava consegnando il maestro, da quelle più esplicite a quelle meno. Non aveva afferrato il concetto principale, forse, ma nella sua mente quelle parole stavano prendendo forma. Iniziava a pensare che l’approccio passivo fosse il farsi scivolare addosso tutto ciò che ci circonda, prestando poca attenzione, invece il coinvolgimento attivo era la consapevolezza del mondo a noi esterno, quella consapevolezza ottenuta dopo aver analizzato attentamente una stanza dopo esserci entrato ad esempio, la consapevolezza quindi della sua forma, di tutti gli oggetti che la compongono. L’idea di base era giusta ma non era difficile equivocare quei pensieri così astratti che venivano enunciati.

    «Vediamo in maniera totalmente automatica, siamo sottoposti ogni giorno a decine e decine di informazioni che assimiliamo con totale passività, senza soffermarci sugli elementi che ci vengono sottoposti. Facciamo fermare la nostra mente all’azione in sé, guardiamo, senza sforzo alcuno se non quello di aprire gli occhi. Potremmo persino non renderci conto di avere visto qualcosa che abbiamo proprio davanti agli occhi.» continuò il maestro, prendendosi varie pause per fumare la sua pipa tradizionale, ma forse erano più atte a permettere che gli argomenti venissero assorbiti efficacemente.
    «Osservando, tuttavia, siamo costretti a porci in maniera diametralmente opposta. Siamo costretti a porre attenzione a tutto ciò che stiamo analizzando, passiamo, dunque, dall’assorbimento passivo alla consapevolezza attiva. Dobbiamo impegnarci. E questo è vero per qualsiasi cosa; non soltanto per la vista, ma per ogni singolo senso, per ogni pensiero.»

    Shinji ormai era totalmente immerso nel discorso, rapito dalle parole del suo sensei, come mai era stato finora. Il suo cervello era stato stimolato dagli scritti, dalle leggende, dalle storie che gli venivano propinate ma mai in lezioni così veritiere. Lì non si stava parlando dell’eroe della storia e delle sue imprese, si stava parlando di come sfruttare al massimo la propria materia grigia, cosa decisamente più importante per un samurai, anche se effettivamente meno poetica.




    Edited by ZVNote - 8/4/2020, 16:43
     
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    Il ragazzo osservava il tenue fumo che scivolava via dal terminale della kiseru del suo maestro. Il suo sguardo veniva catturato da quella piccola massa all’apparenza densa e fluttuante, la utilizzava quasi come catalizzatore d’attenzione, come se, nei momenti di pausa, non volesse far abbassare la sua concentrazione, incanalandola in un dettaglio destinato ad essere sostituito dalle parole del suo maestro che sarebbero seguite.

    «Fin troppo spesso, quando si tratta del nostro cervello ci dimostriamo sorprendentemente trascurati. Continuiamo a vedere, ignari di tutto ciò che veramente ci sta passando davanti agli occhi, di quanto poco riusciamo a cogliere e di quanto potremmo stare meglio se solo ci prendessimo il tempo per capire, ponderare, riflettere. Proprio come te prima, percorriamo delle scale per migliaia di volte, senza nemmeno riuscire a ricordare un dettaglio così banale come il loro numero, non mi sorprenderei se non riuscissi a dirmi nemmeno il loro colore effettivamente...»

    «Color del legno bruciato» Takao ammonì con lo sguardo il suo allievo, la domanda era retorica e non desiderava risposta, apprezzandone comunque la memoria.
    «Ripensa alla tua infanzia, ripensa ai momenti felici della tua fanciullezza, scommetto che se ti chiedessi di parlarmi delle stanze dove giocavi da piccolo, saresti in grado di ricordare moltissimi dettagli. I colori delle cose, le manie dei tuoi compagni di giochi, come cambiava il colore delle stanze a seconda della luce delle stagioni…»
    «Quindi è un dono che perdiamo col tempo?»
    «Potrebbe essere una definizione, ma necessita di un approfondimento»
    Shinji attendeva il continuo della spiegazione, impassibile, senza tuttavia riuscire a mascherare la sua impazienza durante le svariate pause del maestro, a dir poco seccanti per la sua voglia di sapere.

    «Da bambini siamo ciò che esattamente dovremmo provare a raggiungere. La nostra mente assorbe, non fa altro. Riusciamo a processare informazioni in maniera talmente rapida che lo facciamo senza esserne consapevoli. Nuovi panorami, nuovi odori, nuove persone, nuove situazioni, nuove emozioni: impariamo a conoscere il mondo che ci circonda e a farlo nostro. Essendo nuova, ogni cosa risulta eccitante e degna della massima curiosità. A causa di quest’immensa mole di novità siamo eccezionalmente vigili, e soprattutto memorizziamo, perché siamo motivati e impegnati. Crescendo, invece è l’indifferenza a farla da padrona.»

    La spiegazione fu interrotta da Etsuko, la giovane serva messa a disposizione del primogenito degli Obata. Aveva portato il tè verde, rito al quale il maestro non voleva mai rinunciare. Entrò a passo insicuro, testa bassa e nascosta tra le spalle, era molto timida e di poche parole, carattere perfetto per il suo ruolo. Appoggiò le tazze e fece per andarsene. «Etsuko, rispondimi senza guardare Shinji, di che colore è il vestito che gli hai portato oggi?»

    «Grigio scuro con la fascia verde.»

    Takao ringraziò e congedò la ragazza. Il giovane Obata non rimase molto colpito dalla cosa. Etsuko si era sempre rivelata una gran lavoratrice, prestava attenzione a tutto ciò che faceva e riponeva la massima cura ed accortezza in ogni sua mansione, era davvero degna di fiducia.
    «Ti è molto devota mio giovane allievo»
    «Svolge bene il suo lavoro, nulla in più»
    «È questo il punto.»
    Shinji non sembrava aver afferrato il concetto e, per quanto fosse nascosto dalla tazza di tè, il suo viso non riusciva a mascherare i suoi dubbi.

    «Passare dal tuo sistema di pensiero al mio richiede consapevolezza unita a motivazione. Consapevolezza nel senso di partecipazione costante della mente, quell’attenzione e quella presenza assolutamente essenziali a una reale e attiva osservazione del mondo. Motivazione nel senso di un interesse e un desiderio sempre attivi. Quando compiamo atti decisamente insignificanti come mettere le chiavi nel posto sbagliato o perdere gli occhiali per poi ritrovarceli sulla testa, la colpa è del sistema che usi tu. È il motivo per cui spesso dimentichiamo quel che stavamo facendo se veniamo interrotti, o perché ci ritroviamo in giardino senza sapere perché ci siamo andati»

    «Quindi Etsuko sapeva bene che cosa avessi io indosso perché è molto motivata nel suo lavoro? Perché ci tiene particolarmente a svolgerlo bene e a soddisfare il suo superiore?»

    «Non fossilizzarti su di lei, è solo un esempio per aprirti a qualcosa di molto più ampio ed estremamente complesso. Lei ha memorizzato quell’informazione perché li ha probabilmente scelti con cura, perché ha preso attivamente parte al momento della scelta, non assorbiva passivamente informazioni»

    La lezione ora sembrava chiara. Shinji aveva capito il concetto, aveva inteso che per iniziarsi a quel modo di pensare doveva assolutamente essere vivo, partecipe, doveva sforzarsi ed impegnarsi per mettere sempre il cento per cento di sé stesso nelle sue azioni e non solo in maniera astratta, doveva essere sempre lì col cervello, il samurai che voleva diventare doveva assolutamente avere queste caratteristiche. I due continuarono a sorseggiare il loro tè, il discorso non era assolutamente concluso ma un attimo di pausa e di ristoro era di sicuro necessario.

    «Molte volte, nei miei viaggi, ho parlato di questo metodo di pensiero. Secondo te perché, tra tutti coloro che si sono sottoposti alle mie lezioni, i vecchi sono coloro che hanno avuto i risultati migliori?»

    Shinji posò la tazza di tè verde che gli era stata portata e si raccolse per qualche secondo a pensare. La risposta gli venne appena il suo pensiero si concentrò su suo nonno: un orgoglioso samurai che da giovane era considerato la leggenda di tutta la famiglia Obata. Le sue azioni gli erano state raccontate più e più volte, la sua forza era conosciuta come un dogma nell’ambiente familiare.

    «Se collego questa domanda alle cose che mi avete detto prima, mi viene da pensare sia perché spesso le persone più anziane sono molto più motivate nelle loro prestazioni. Si sforzano di più. Si impegnano di più. Sono più serie, più presenti, più coinvolte. Per loro la prestazione ha una grande importanza. Dice qualcosa circa le loro capacità mentali, e loro vogliano provare di non avere perso colpi con l’età.»

    «Eccellente»





    Edited by ZVNote - 8/4/2020, 17:13
     
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    La sua risposta era stata accolta con entusiasmo dal suo insegnante, felice di come il suo allievo fosse stato rapido ed efficace, la prontezza di cui un samurai necessitava. Ci sarebbero state migliaia di domande che Shinji avrebbe voluto porre al suo insegnante, domande di ogni tipo. In quel momento la sua mente elaborava, era attiva, era motivata, stava già entrando nell’ottica di pensiero che gli era stata presentata.

    «Credo che per oggi possiamo finire qui la lezione»
    «Aspettate. Avrei una domanda, se possibile»
    «Prego dimmi pure»

    Il maestro stava per alzarsi ma la richiesta di Shinji lo costrinse a risedersi, tuttavia non aveva l’aria di chi era stato infastidito da qualcuno, anzi, l’attiva partecipazione del ragazzo alla lezione lo rallegrava, gli si leggeva in volto che sarebbe volentieri rimasto a parlare di quell’argomento per ore e ore.

    «Esiste un qualche trucco, uno schema da attuare per facilitare e velocizzare la totale assimilazione del vostro metodo di pensiero?»
    «Non esistono scorciatoie mio giovane allievo, se è questo che intendi.»
    «Non cerco assolutamente scorciatoie, in ogni campo ci sono vari metodi per mettere in pratica qualcosa, sarete sicuramente a conoscenza di qualche regola da seguire per avviare definitivamente il processo, vi sto chiedendo un consiglio, non una scorciatoia.»

    La diplomazia era sempre stata una buona dote del ragazzo, ritrattare il concetto frainteso era una buona arma, ma di sicuro un maestro di tale livello aveva capito che la domanda era semplicemente figlia dell’impazienza. Impazienza giovanile, quella di ottenere velocemente qualcosa che altri hanno dovuto combattere anni per avere.

    «Mi limiterò a dirti quanto segue. L’aspetto fondamentale di chi vuole ottenere questo sistema di pensiero è quello di possedere un naturale scetticismo, la curiosità nei confronti di ciò che ti circonda, come ti ho già detto. Nulla viene considerato per come appare. Ogni cosa verrà esaminata e vagliata, solo successivamente sarà accettata. Sfortunatamente, di base, le nostre menti sono contrarie a un simile approccio. Per poter pensare come me, devi innanzitutto vincere questa resistenza naturale che pervade il tuo modo di vedere il mondo.»


    Il sensei si alzò e iniziò a sistemare la sua pipa tradizionale e gli scritti che erano stati utilizzati per la lezione del pomeriggio. Il cielo diventava sempre più scuro e le lanterne avevano iniziato ad accendersi, segno che si stavano dilungando troppo sulla lezione odierna.

    «La mente opera sulla base di un doppio sistema. Il primo è rapido, reattivo, una sorta di allerta sempre attiva. Non richiede un particolare sforzo per essere attivata e funziona quasi in automatico. L’altro è il contrario: più lento, più deliberante, più approfondito e logico; allo stesso tempo più dispendioso. A causa del costo mentale di questo sistema distaccato e riflessivo, la maggior parte dell’attività di pensiero si rivolge al sistema irruente e reattivo, assicurandosi in sostanza che il nostro stato naturale di osservatori assuma le caratteristiche di quel sistema: automatico, reattivo, rapido nel giudicare. E procediamo di conseguenza. Solo se qualcosa cattura davvero la nostra attenzione o ci obbliga a fermarci o in qualche modo ci colpisce iniziamo a conoscere, attivando il fratello più attento, riflessivo, distaccato.»

    Il discorso era arrivato chiarissimo alle orecchie del ragazzo: quando si pensa in modo automatico, le nostre menti sono predisposte ad accettare qualsiasi cosa venga loro proposta. Per prima cosa crediamo, e solo in seguito ci poniamo domande. Per dirlo in un altro modo, è come se al principio il nostro cervello vedesse il mondo come un esame vero/falso in cui la risposta predefinita è sempre vero. E mentre non occorre alcun tipo di sforzo per restare nella modalità vero, passare alla risposta falso richiede attenzione, tempo ed energia.
    «Posso dirti semplicemente che il mio metodo è quello di trattare ogni pensiero, ogni esperienza e ogni percezione allo stesso modo in cui si tratterebbe un drago. In altre parole, inizia con una sana dose di scetticismo al posto di quella credulità di base. Non presumere che le cose siano come sono. Pensa a ogni cosa come fosse assurda quanto un animale che non può esistere in natura. È difficile, specie se assunto tutto d’un tratto, ma non è impossibile»

    Terminò così la sua lezione, con queste frasi e congedandosi con un inchino. Shinji continuava ad osservare il punto dove prima era presente il suo maestro. Ora gli era chiaro che tutto ciò era un semplice esercizio da praticare con grande insistenza, la tessera finale del puzzle: pratica, pratica, pratica. Occorreva integrare la motivazione consapevole con il duro esercizio, per migliaia di ore. Non c’era modo di aggirarlo. Ne era consapevole. D’altronde persino il suo sensei non era nato con questa dote, anzi. Lui nacque, proprio come il giovane Obata, con il sistema basico di pensiero ai comandi. Solo che non volle restare in quella condizione. Prese il “sistema basilare” e gli insegnò a operare secondo le regole del sistema della consapevolezza, imponendo il pensiero riflessivo laddove esistevano reazioni automatiche.
    Per la maggior parte del tempo il sistema basico è quello abituale. Come aveva sottolineato Takao, lui aveva preso l’abitudine di attivare il sistema riflessivo in ogni momento di ogni giornata. Tramite la semplice forza dell’abitudine ha portato i suoi giudizi istantanei a seguire il corso dei pensieri di un approccio di gran lunga più riflessivo. E avendo stabilito questo fondamento, gli ci volevano pochi secondi per fare le sue osservazioni. Ed era ciò che toccava a lui adesso.




     
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    Io vengo dalla luna che il cielo vi attraversa e trovo innopportuna la paura per una cultura diversa

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    Complimenti intanto per la narrazione! Puoi prendere il max
     
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