Nuovi Compagni

PQ e Sblocco 1° Elemento

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    Narrato | Parlato Shiro | Pensato Shiro | Kenta | Shizuka | Sensei

    Al suono della sveglia, aprii gli occhi. Erano le sei del mattino e la stanza era ancora immersa nell’oscurità. A fatica, mi misi a sedere nel letto, allungando il braccio per zittire quello strumento infernale. Avevo gli occhi socchiusi, pesanti a causa delle poche ore di sonno. Ero andato a dormire presto, come ogni sera, ma ero rimasto vittima di pensieri e preoccupazioni che mi avevano tenuto sveglio fino alle due di notte. Mi incolpai per la mia debolezza, ma la verità era che, nonostante odiassi ammetterlo perfino a me stesso, ero agitato. Quel giorno era troppo importante, unico nel suo genere.

    «Hai intenzione di rimanere seduto tutto il giorno?»

    Mi dissi con un filo di voce e lo sguardo perso nel vuoto. Quell’esortazione non fu molto efficace e fui tentato di appoggiare nuovamente la testa sul cuscino, anche solo per cinque minuti.

    «E tu vorresti diventare un ninja? Complimenti.»

    Continuai il mio monologo, poi, raccogliendo tutte le forze che avevo, mi obbligai ad alzarmi.
    Pensieri confusi annebbiavano la mia mente. Immagini, parole, suoni. Alcuni erano ricordi, altri fantasie. In quello stato di trance, mi apprestai a compiere come un automa i gesti che caratterizzavano la mia quotidianità: spalancare le finestre, preparare la colazione, lavarmi. Non impiegai più di un quarto d’ora. Il resto del tempo a mia disposizione, fino alle 6.45 per essere precisi, lo sfruttai per vestirmi. Non che fosse un’attività particolarmente lunga di per sé, ma il fatto che la mente fosse altrove contribuiva a rallentare ogni mio movimento.

    “Questo oggi lo lascio a casa, preferisco essere più pratico.”

    Pensai, guardando l’haori che Rokuro mi aveva regalato per la promozione a Genin. Ciò che, invece, non potevo non indossare era il coprifronte, oggetto che ancora faticavo a riconoscere come mio. Infine, prima di uscire, legai in vita il borsello porta armi, fissai il taschino al quadricipite destro e sfruttai il cinturone per mettermi sulle spalle la giara di sabbia che avevo appena acquistato.

    «Ma quanto cazzo è pesante?!»

    Urlai, varcando la soglia di casa.
    Erano circa le otto quando arrivai al Villaggio della Sabbia, in prossimità del palazzo del Kazekage. Sebbene fosse ancora mattina, le strade erano affollate. C’era chi si affrettava per andare a lavoro, chi portava i propri figli a scuola e chi, invece, era fuori casa semplicemente per fare una passeggiata, godendosi il clima leggermente più mite del Kiokutsuki. Io, invece, ero lì per un altro motivo. Il giorno prima avevo ricevuto un comunicato da parte del Villaggio in cui erano segnati il luogo e l’ora in cui avrei incontrato i miei compagni di squadra e il Jonin che ci avrebbe fatto da supervisore.

    “La piazza del ritrovo dovrebbe essere qui a destra. Ah, eccola!”

    Pensai, voltando l’angolo della strada. Al centro del piazzale, a una ventina di metri da me, era stata costruita una fontana di qualche metro di diametro. Intorno ad essa, una decina di palme facevano ombra ad altrettante panchine. La zona, che in origine doveva essere stata un’oasi, era delimitata da edifici di modeste dimensioni. I più erano negozi, ma c’erano anche un ristorante ed un piccolo condominio.

    “Dovrei essere in orario.”

    Pensai, avvicinandomi alla fontana. Una parte di me voleva guardarsi nei dintorni, in cerca di quelli che, di lì a poco, sarebbero diventati i miei compagni, ma non potevo cedere. Il protagonista non aveva bisogno di accertarsi della presenza delle comparse, così misi le mani in tasca e, assumendo un’aria spavalda, percorsi gli ultimi metri che mi separavano dal centro della piazza come se fossi sotto i riflettori.

    Weevil-Underwood
    «Ti prego, non dirmi che dovrò fare squadra con un tipo come te…»

    Sentii un suono. No, meglio definirlo come un rumore fastidioso, simile al ronzio di una zanzara. Distinsi delle parole e intuii che fossero rivolte a me. Mi guardai a destra, poi a sinistra: nessuno sembrava aver parlato.

    «Scusami, mi sono sbagliato. Uno come te non ha un quoziente intellettivo abbastanza alto da poter finire l’accademia: è evidente.»

    Fu allora che lo vidi: era un essere umanoide, alto circa un metro e venti e si trovava esattamente davanti a me. Aveva i capelli a caschetto simili ai miei, ma più ordinati, di un colore tra il verde chiaro e il grigio. Indossava un abito elegante, anch’esso verde, sotto il quale portava una camicia bianca con ricami in pizzo, in grado di far risaltare il papillon rosso che gli cingeva il collo. Infine indossava un paio di occhiali dalla montatura gialla alquanto bizzarra e in fronte aveva legato il coprifronte di Suna. In poche parole, il disturbo acustico della sua voce era completato dal fastidio visivo della sua presenza.

    «E tu chi cazzo sei?!»

    Urlai, afferrandolo per la camicia. Ero fuori di me: un individuo simile aveva rovinato l’atmosfera del momento, il mio momento, e dovevo fargliela pagare.

    «Come immaginavo: un bruto tutto muscoli e niente cervello. E anche di muscoli non mi sembri messo bene.»

    Rispose lui, con un ghigno malizioso e un tono pacato.

    «Piccolo bastardo, io ti ammaz-»

    momo-yaoyorozu
    Sollevai il braccio sinistro per tirargli un pugno, ma sentii un’altra voce alle mie spalle e mi fermai. Dietro di me c’era una ragazza alta un metro e settanta, con i capelli neri legati a coda di cavallo, fatta eccezione per una ciocca che le cadeva sul viso. Indossava una tuta blu anonima e in vita utilizzava il coprifronte come cintura.

    «S-scusate, ho notato che avete un coprifronte… anche voi siete qui per diventare un team?»

    Disse con un filo di voce, guardando verso il basso. Udendo quelle parole, spostai lo sguardo sul moccioso. Avevamo entrambi occhi e bocca spalancati, increduli, tanto da esclamare all’unisono, puntandoci il dito contro:

    «Anche tu?!»

    Stupore, rabbia, eccitazione, insicurezza: erano tante le sensazioni contrastanti che provavo in quel momento. Nessuno di noi si era presentato, ma ormai era chiaro che fossimo tutti lì per lo stesso motivo. Rimaneva solo da scoprire chi fosse il nostro supervisore.

    «Patetici.»

     
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    Appoggiato al bordo della fontana, c’era un uomo in kimono nero. La sua carnagione era scura, il suo fisico scolpito. Ad occhio poteva essere alto un metro e ottanta, forse di più. Portava i capelli lunghi, organizzati in trecce sottili che, tenute insieme dalla sciarpa che indossava, andavano a formare una coda. Non sembrava un uomo minaccioso, eppure la sua figura incuteva timore, sensazione alimentata anche dalla katana che gli pendeva dal fianco sinistro.

    tosen

    «Patetici.»

    Disse, guardandoci attraverso un paio di occhiali scuri.

    “Q-quando è arrivato?”

    Mi chiesi, lasciando andare lo sbruffoncello vestito di verde. Ancora non sapevo il suo nome, ma la questione al momento era secondaria.

    “Che sia sempre stato lì? Che sia…”

    Non terminai, poiché ero quasi sicuro della risposta. A giudicare dall’atmosfera che si era creata, anche gli altri due dovevano essere giunti ad una conclusione simile alla mia, ma nessuno parlò.

    “Merda, ma che mi prende?”

    Mi sforzai di dire qualcosa, qualunque cosa, ma era come se lingua e polmoni avessero smesso di funzionare.

    «Guarda, guarda: e io che pensavo che non avreste mai smesso di fare chiasso.»

    L’uomo si mosse in nostra direzione, portando la mano sinistra sull’elsa della katana. Senza nemmeno rendermene conto, balzai indietro. Potevo sentire il cuore che batteva come un tamburo e le tempie che pulsavano incessantemente. Smisi perfino di respirare, come se, dentro di me, sperassi di non essere notato, come se sperassi che, per qualche ragione, l’uomo passasse oltre. Non mi ero mai sentito così tanto in pericolo in vita mia.

    «Che ti succede, ragazzo? Prima eri così vivace.»

    I nostri sguardi si incrociarono ed ebbi la sensazione di sprofondare, come se mi trovassi immerso nelle sabbie mobili. Intorno a me si fece tutto più scuro e l’unica cosa che riuscivo ad udire era un fischio ovattato. Stavo morendo?
    *Paf!*
    Quel suono mi riportò alla realtà. L’oscurità era scomparsa, lasciando nuovamente spazio alle cose che mi circondavano, mentre il corpo sembrava essere tornato nuovamente in mio possesso. Non mi ero mosso, fatta eccezione per la testa che ora guardava verso destra, mentre dalla guancia sinistra sentivo provenire una sensazione di calore. La sfiorai: faceva male! E il tizio in kimono? Mi voltai: era a circa un passo da me, immobile, con il braccio destro proteso verso la sua sinistra. Il bastardo mi aveva colpito!

    «Che ti serva da lezione.»

    Disse in tono severo.

    «Vale anche per voi due.»

    Continuò, spostando lo sguardo prima sulla ragazza dai capelli neri, che sussultò, poi sul marmocchio vestito di verde.

    «Seguitemi e non fatemi perdere tempo o ne pagherete le conseguenze.»

    Si voltò, incamminandosi verso il lato opposto della piazza. Capii di non avere altra scelta così, infilando le mani in tasca e digrignando i denti, feci come disse. Gli altri due seguirono a ruota.

    «Il Villaggio vi considera ninja a tutti gli effetti e ritiene opportuno che facciate squadra, ma vista la vostra inesperienza vi ha assegnati a me. Chi sono io non ha importanza e riferitevi a me come più gradite, ma ci terrei a chiarire una cosa prima di cominciare.»

    Si fermò, voltandosi.

    «Per me non vi siete ancora guadagnati il privilegio di essere definiti “Genin”, perciò toglietevi subito quel coprifronte.»

    Noi, come mossi da un burattinaio invisibile, facemmo quello che ci era stato ordinato.

    “Quindi è così…”

    Fin dai tempi dell’orfanotrofio, non avevo mai smesso di voler emergere. L’essere sotto i riflettori mi faceva stare bene, mi aiutava a farmi dimenticare, anche solo per qualche istante, dei miei limiti, del mio essere maledettamente “normale”. Volevo che gli altri mi ammirassero, temessero e rispettassero. Odiavo chi si prendeva il centro della scena: quel posto doveva essere mio. Ora, però, qualcun altro si era seduto su quel trono e io non avevo modo di spodestarlo: tra noi c’era un abisso. Ecco cos’era in grado di fare il potere. Prima di quel giorno, non avevo mai assistito ad una dimostrazione così concreta e mi era sempre parso un concetto fin troppo astratto a cui non dare eccessiva importanza, ma quell’uomo mi aveva fatto aprire gli occhi. Finalmente potevo vedere che i miei erano solo trucchi e ostentazioni.

    «Yamada Shiro, Ren Shizuka, Nishimura Kenta. Dico bene? Avete superato l’Accademia, certo, ma la valutazione finale di ognuno di voi è alquanto deludente. Siete mediocri, ma questo non vi giustifica. Quello che contraddistingue noi abitanti del deserto è la capacità di valorizzare al meglio le poche risorse che abbiamo a disposizione. Ora sta a voi dimostrare di essere degni di servire questo Paese. Se non ci riuscirete, richiederò che vi venga revocato il diritto di esercitare la professione di shinobi.»

    Quelle parole avevano lo stesso peso di un macigno. Non potevo accettarle, non dopo aver cercato per anni di superare i miei limiti. Dovevo vincere anche questa battaglia e dimostrare a tutti che non mi trovavo lì per caso.

     
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    Passarono alcuni interminabili secondi, durante i quali continuammo a seguire l’uomo in kimono, immersi nei nostri pensieri. La sera prima avevo immaginato vari scenari, con dialoghi e personaggi diversi ma, come al solito, la realtà si era rivelata decisamente più fredda e inflessibile. La delusione di fronte ad aspettative forse troppo alte sembrava ormai essere una costante della mia vita, ma qualcosa ero riuscito ad imparare ascoltando le parole dell’uomo. Forse non sarei stato in grado di accettare la mia mediocrità per anni, ma potevo iniziare fin da subito a lavorare su quello che ero, dimostrando di essere degno di fare parte dei ninja del Villaggio della Sabbia.

    «Oggi non vi chiederò chi siete, per quale motivo avete deciso di diventare shinobi o cosa sperate di ottenere: a quelle stronzate ci hanno già pensato i vostri insegnanti. No, quello che farete è un semplice test.»

    Ci fermammo e solo allora mi accorsi di essere in un luogo che conoscevo molto bene.
    I campi di addestramento di Suna erano un’area molto ampia, circondata da una recinzione in metallo alta circa due metri. Una volta dentro, era possibile scegliere il settore in cui allenarsi, in base alle proprie esigenze. C’erano, infatti, una sezione desertica, una prevalentemente montuosa e una piccola oasi. L’uomo in kimono scelse il deserto.

    «Suppongo che vi abbiano già parlato del chakra e delle sue nature. Qualcuno di voi vuole rinfrescarci la memoria?»

    Conoscevo quell’argomento, era uno di quelli a cui mi ero interessato maggiormente, così, mettendo da parte lo sconforto, cercai di dare una risposta. Volevo dimostrarmi volenteroso e preparato, compiendo i primi passi nella direzione che mi era stata indicata. Ovviamente, ancora una volta, le cose non andarono come avrei voluto: non appena aprii bocca, il nano malefico vestito di verde fece un passo avanti e, alzando l’indice destro come se dovesse impartire una lezione ai presenti, iniziò a spiegare.

    «Il chakra non è di un solo tipo, come molti credono. Ci sono, infatti, cinque nature principali, che possono essere ricondotte a cinque elementi. Parlo di fuoco, acqua, terra, fulmine e vento. Uno shinobi è in grado di sfruttare queste nature per dare vita a potenti tecniche. Bisogna però fare attenzione a una cosa: immaginando questi elementi come i vertici di un pentagono, a partire dal fuoco, ognuno risulterebbe debole a quello alla sua destra. Viceversa sarebbe forte contro quello alla sinistra. Prendendo nuovamente come esempio il fuoc-»

    «Sì sì, va bene, abbiamo capito.»

    Tagliò corto il sensei, interrompendo la spiegazione. Il nano fece un’espressione indignata che per poco non mi fece scoppiare a ridere. Certe volte era proprio bella la giustizia.

    «Voglio vedere cosa siete in grado di fare. L’esercizio in sé non è complesso, tuttavia richiede un buon controllo. Ora vi darò un foglietto e voi dovrete immettere in esso il vostro chakra. Se ci riuscirete, noterete qualcosa di particolare. In caso contrario, le conseguenze saranno spiacevoli. Avete un’ora di tempo.»

    L’uomo assunse un’aria minacciosa che mi fece gelare il sangue, ma non potevo lasciarmi scoraggiare. Era in momenti simili che dovevo dimostrare le mie capacità.

    “Devi stare calmo, puoi farcela. Fa vedere a quel quattrocchi vestito di verde che farebbero meglio a portarti rispetto.”

    Il sensei mi consegnò il foglietto di cui parlava. Al tatto, non sentii niente di particolare. Forse la carta era leggermente più ruvida del solito, ma mi sarei aspettato altro. In ogni caso non potevo perdere troppo tempo, così diedi un taglio alle mie analisi.

    “Devo far fluire il chakra in questo pezzo di carta, eh? Non sembra un compito così banale.”

    In Accademia, mi avevano insegnato a dirigere il mio chakra verso i piedi, per permettermi di scalare gli alberi con facilità e di camminare sull’acqua. Forse potevo usare lo stesso principio e convogliarlo nelle mani, immettendolo successivamente nel foglietto. Prima di quel momento, non avevo mai pensato ad un’applicazione simile né, tantomeno, mi ero allenato nel metterla in pratica. Fare un salto nel vuoto di quel tipo mi metteva a disagio ma, nonostante la paura, dovevo farlo.

    “Coraggio, un po’ per volta…”

    Adagiai il foglietto sul palmo della mano destra, coprendolo poi con la sinistra. Chiusi gli occhi: mi aiutava a concentrarmi. Rimasi in quella posizione, immobile, per qualche minuto. Potevo sentire il chakra scorrere nel mio corpo, era un sensazione piacevole in grado di stupirmi ogni volta.

    “Bene, ci siamo.”

    Lentamente, iniziai ad alterare il flusso di quell’energia, cercando di indirizzarlo verso le mie mani. In principio ottenni scarsi risultati, poi sentii una sensazione di calore propagarsi lungo i miei arti superiori. Aumentai la concentrazione, immaginando di spingere manualmente il chakra per riversarlo nei miei palmi. Rimaneva un’ultima cosa da fare: espellerlo con violenza verso il foglio. Non sapendo come fare, mi lasciai guidare dall’istinto e, quando mi sentii pronto, gridai, rilasciando l’energia immagazzinata.
    Aprii gli occhi e capii di aver fatto una cazzata. Lo sguardo dei presenti era fisso su di me, in attesa di scoprire il risultato dei miei sforzi. Deglutii a fatica mentre sentivo che le mie gambe iniziavano a tremare, ma dovevo mostrarmi forte e impavido. Così, gonfiando il petto e assumendo un’espressione sicura, rivelai ciò che le mie mani custodivano.

    “Ti prego, fa che abbia funzionato!”

    Inizialmente cercai di non guardare ma, dopo qualche secondo, mi costrinsi a farlo, incoraggiato dall’espressione di stupore dipinta sul volto dei miei compagni. Il foglietto era stato tagliato in due. Sconcertato, rivolsi uno sguardo interrogativo al sensei.

    «Un tentativo un po’ maldestro, ma il risultato è soddisfacente. Il fatto che il foglietto riversi in quelle condizioni mostra che tu sei affine al chakra di tipo vento. Bene, ora che hai…»

    Non lo lasciai terminare, dimenticando completamente gli attimi di terrore che mi aveva fatto provare. Ci ero riuscito, ce l’avevo fatta davvero! Ero troppo felice per potermi contenere.

    «Hai visto, occhialuto bastardo? Che mi dici del tuo foglietto, eh? E pensare che sembravi così preparat-»

    Ogni cosa divenne sfocata e la mia vista si offuscò. Crollai a terra, perdendo i sensi.
    Mi risvegliai su un letto, circondato da mura familiari. La testa mi scoppiava, mentre un forte dolore si propagava lungo la mia nuca. Ma che era successo?

    «Quando imparerai a stare al tuo posto?»

    Riconobbi quella voce. A fatica, mi voltai verso destra. L’uomo in kimono era a pochi passi da me, seduto su una sedia.

    «Non mi piace ricorrere alle maniere forti, ma tu sei riuscito a farmi perdere la pazienza ben due volte in un giorno. Siccome sei rimasto svenuto per qualche ora, ti ho riportato a casa.»

    Avrei voluto controbattere e chiedergli come sapesse dove abitavo, ma avevo la gola secca e riuscii solo ad emettere un tenue sibilo. Tuttavia ricevetti le risposte che cercavo.

    «Se ti stai chiedendo come facessi a sapere che questa è casa tua, non devi essere un tipo molto sveglio. Ѐ stata l’Accademia a fornirmi tutti i tuoi dati. Ora riposa, ne hai bisogno. Nonostante tutto, ti sei rivelato più meritevole del previsto. La prossima riunione di squadra è tra una settimana: fatti trovare pronto.»

    Con quelle parole, l’uomo in kimono si congedò, lasciandomi solo. Provavo un certo odio nei suoi confronti ed era evidente che quel sentimento fosse reciproco, ma, proprio per quel motivo, mi sentii orgoglioso di aver ricevuto quel complimento. Avrei gridato di gioia, se avessi potuto. Le forze, tuttavia, abbandonarono nuovamente il mio corpo e sprofondai in un sonno profondo, privo di sogni.


    Fine PQ e sblocco Fuuton :rosa:
     
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    Colui che è e si spera sarà

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    Max exp del tuo livello -3 e sblocco approvato.
     
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