Mesmerismo; prigionia

[pq Mokou]

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +1   Like  
     
    .
    Avatar


    Group
    Tetsu's Samurai
    Posts
    7,137
    Location
    The Spiral

    Status
    Offline

    I - Atrium Carceri
    CloudyUnconsciousKillerwhale-small
    [Successivamente al rapimento; da qualche parte nella Oto sotterranea]



    [Sala del Trono]

    Chi non è mai stato rapito, trascinato via contro la propria volontà, non può capire quella sensazione. Forse riuscirebbe solo ad immaginare come potrebbe essere sentirsi immersi in un freddo gelido che proviene non da fuori ma dentro di te. Il battito del cuore è così basso che ad ogni respiro sembra non doverne seguire un altro, semplicemente troppo stanco per continuare. Non senti più le mani né i piedi; le gambe sono andate, atrofizzate per tutto il tempo in cui non ti sei potuto muovere. Non riesci neanche più a sentire il dolore formicolante dei muscoli che si lamentano, avidi di movimento. Non senti più il caldo e il freddo, solo la testa pesante. Gli occhi ancora di più. Le budella hanno smesso di contorcersi per la fame, saziata saltuariamente. La gola così secca che non ti escono neanche più fuori le parole. Uno strato di grasso umido ti ha coperto il viso e i capelli, rendendoli lerci; più scura la pelle, sporca e unta, tuttavia secca, tanto che le labbra hanno cominciato a spaccarsi da un pezzo. Le braccia stanno ben aperte contro la tua volontà, neanche provi a muoverle perché sai che le catene che le tengono ferme non si smuoveranno di un solo centimetro, anche tirando con tutte le forze che hai. Lo sai perché ci hai già provato.
    Tieni gli occhi chiusi per la maggior parte del tempo, in balia di un mondo che non è né realtà né finzione. Chissà dove i ricordi finiscono e iniziano le speranze spezzate, le aspettative che non ricordavi nemmeno di avere. Perché, fino a prova contraria, tu sei lì e da nessun'altra parte.
    Cosa hai fatto per finirci, cosa farai per tirartene fuori. Quando non ti dannò né cibo né acqua non riesci neanche a pensarci, stanco così tanto da riuscire solamente a respirare. Ed è quello l'importante. Continuare a respirare, tenendo gli occhi chiusi.
    CITAZIONE

    Intorno a lei era solo buio. Un freddo buio su cui si stagliava il profilo degli alberi, neri, il prato scuro e il fumo dell'aeronave distrutta, che si innalzava al cielo formando una nebbia fitta, dal presagio di morte. La rocca in lontananza, quella che teneva prigioniera sua madre, Yuka, tremava nella sua interezza. La terra stessa era scossa da violenti tremori che però non permettevano all'uomo che aveva davanti di perdere l'equilibrio. Il volto distrutto dalle cicatrici che mostravano una pelle cucita al contrario, viva e tuttavia morta, nera come il carbone ma perfetta in ogni suo particolare. Gli occhi brillavano sinistri, senza palpebre, con lo Sharingan che vorticava in sua direzione. E più lo osservava, più Mokou sentiva che il suo, non era più il suo corpo. Distante, poteva vederlo staccarsi da sé, restare come una statua inanimata che ora si voltava verso di lei. Il volto contrito in un'espressione di folle terrore, in grado di farle gelare il sangue nelle vene. Ma era proprio lei stessa, chi altri? Dalla parte di Jamiro, la guardavano fissa. Lui immobile con quegli occhi che, stranamente, si stavano facendo più grandi. Sempre più spalancati, come due bulbi insanguinati che vorticavano non più nelle cavità orbitali dell'uomo ma fuori. Si ingrossavano pulsando e vorticando, venosi e appiccicosi. La statua di Mokou ora sorrideva ma gli angoli della sua bocca le toccavano le orecchie, formando un sorriso demoniaco, su quel volto sempre più bianco, che perdeva i lineamenti. Le sopracciglia sparivano, la forma del mento. Nient'altro che una macchia bianca e quel sorriso dalle gengive rosse come il sangue. E gli occhi di Jamiro ormai erano come due palloni, vorticando uno in una direzione diversa dall'altro, rigonfi e pulsanti come due organi messi a nudo. Come se non bastasse, il sottofondo era quanto di più fastidioso ed inquietante l'Uchiha potesse sopportare. La stessa melodia che Kaguya, sua sorella, suonava con flauto. Questa, però, appariva distorta, suonata con le note al contrario in una liturgia di terrore e fastidio, se accostata a quella scena raccapricciante che la vedeva immobile, osservata da quegli occhi ipnotizzatori e quel sorriso malato che non riconosceva neanche come più suo. E, nel crescendo di quella musica distorta, risuonò forte e chiara, fin troppo bassa per essere di questo mondo, la voce tombale di Jamiro.

    Ti stavo aspettando, principessa.


    «!!!»
    Serrò di poco le labbra, tutto ciò che le riusciva di fare al momento.
    Se avesse potuto avrebbe sputato per terra, come faceva all'inizio, bestemmiare a gran voce come abbaia iroso un cane quando gli viene messo i guinzaglio. Lo fa per intimorire il suo nemico, trasformando in rabbia la paura che prova. Perché, seppur stia abbaiando e sia pronto a mordere chi gli si avvicina, il cane sa benissimo di essere quello che finirà in una gabbia. Così era successo per Mokou. Aveva smesso da tempo di lamentarsi. Sentiva la testa pesante e per questo la teneva bassa la maggior parte del tempo, verso sinistra. In questo modo il sigillo sul trapezio che le era stato marchiato come regalo di benvenuto in quel postaccio, atto ad impedirle di usare il chakra, si poteva intravedere sotto le vesti. Queste non erano le sue, o almeno quelle che ricordava di avere prima di giungere in quel posto che non era ancora riuscita a localizzare. I suoi effetti personali chissà dove si trovavano, ma quelli che indossava al momento erano vestiti regali. Un lungo kimono di stoffa pregiata, morbida contro la pelle nuda; dalla tinta di un rosso scuro e monocromatico che splendeva nonostante la penombra in cui era immerso. Il kimono era stretto sulla vita sottile da una larga e spessa cintura d'oro, intrecciata con cura da terzi, tempo prima, che terminava con un grosso e curato fiocco dietro la schiena. Ma questo Mokou non poteva saperlo, non essendosi mai alzata dal suo giaciglio: un largo e sfarzoso trono. Era proprio lì che era stata posta, su posto che le spettava come nuova Imperatrice del Fuoco.
    La sala in cui si trovava, infatti, doveva essere la sala del trono del palazzo del Kage, o qualcosa del genere. Mokou non ne aveva mai vista una e, in quel periodo, i suoi ricordi e la sua vista non erano più buoni come un tempo. Colpa della malnutrizione, quel sigillo che bloccava il suo chakra, la pazzia che la stava raggiungendo giorno dopo giorno. E forse anche altro... Troppo stanca anche per indagare quando per muoversi o parlare.
    Ma la sua mente, purtroppo, era ancora sveglia. Non le capitava mai, tuttavia, di essere lucida. Quando dormiva aveva solo incubi, troppo realistici per farla riposare. Quando era sveglia, era in preda ad allucinazioni di ogni tipo. A volte pensava di star impazzendo e che la sete le avesse fatto perdere qualche rotella. Altre sentiva con chiarezza la calcata di mano di qualcuno. Qualcuno che lei non vedeva ma che poteva immaginare mentre, percorrendo a passi lenti il lungo corridoio della sala, usava le Arti Illusorie contro di lei. Lei tra tutti, ora che il suo prezioso Sharingan non poteva aiutarla. Il fatto di averlo ancora negli occhi, comunque, era stato un sollievo fin da subito. Fin da quando Mokou Houraisan era ancora sé stessa. Di certo quel fantoccio dai capelli bianchi, ranicchiata su quel trono senza neanche la forza di aprire gli occhi, non era più lei.



    Fine prima parte
     
    .
  2.     +1   Like  
     
    .
    Avatar


    Group
    Tetsu's Samurai
    Posts
    7,137
    Location
    The Spiral

    Status
    Offline

    II - Necropolis
    tumblr_n0608rDdqW1t47x20o1_500


    La Sala del Trono era la copia esatta di una delle grandi stanze del Palazzo del Governo di Otogakure. Una riproduzione fedele nella struttura e nelle dimensioni, tuttavia il contenuto ne era puramente la copia distorta. Una copia, appunto, sicché neanche la diretta interessata, la nuova Imperatrice del Fuoco, era a conoscenza della loro esatta posizione. Si trovavano nel sottosuolo e l'unico indizio a riguardo era proprio il freddo pungente di quella vasta stanza e il fatto che non ci fossero finestre, né luci naturali. Sarebbe regnato il buio in quella sala che era un lungo rettangolo fatto di pietra e scavato nella terra, se non fosse per la serie di candelabri a muro disposti lungo le pareti. Equidistanti gli uni dagli altri, erano in ferro battuto e scuro e, senza particolari forme, i due bracci gemelli della composizione reggevano nient'altro che due spessi blocchi di cera. Il gruppo di fiammelle non riusciva però ad illuminare quell'ambiente nella sua interezza, lasciandolo in penombra per tutto il tempo, tanto che per Mokou era diventato stancante anche tentare di aguzzare la vista. Lo Sharingan non aveva più preso vita nelle iridi già scarlatte, poiché non ne aveva le forze. O meglio, la possibilità. Proprio a causa del sigillo di sopressione che le era stato imposto, nascosto sotto il kimono regale che indossava.
    La kunoichi non aveva idea di che ore fossero né da quanti giorni si trovava lì. Aveva anche imparato che conversare con le sei guardie disposte ai due lati del trono (tre per lato) era inutile. Questi "shinobi", se ne stavano fieri sull'attenti, con il mento alto e gli occhi puntati gli uni sugli altri, senza accennare al minimo movimento. Se non ci fosse stato il cambio della guardia, ogni sei ore circa, Mokou stessa avrebbe pensato fossero statue. Invece, proprio grazie a quel cambio poteva avere un'idea molto generica di quanto tempo trascorresse. Riconosceva solo uno di quei ventiquattro uomini che vedeva ogni giorno, darsi il cambio senza dire una parola, in perfetta sincronia. Riconosceva la mascella squadrata, attraversata da una vecchia cicatrice. Se ne stava al suo capezzale una volta al giorno e, quando tornata, l'Uchiha capiva che erano passate esattamente ventiquattro ore dall'ultima volta che l'aveva visto. Tuttavia, si era stufata ben presto di quel gioco, già durante la prima settimana. Era lì da fin troppo tempo. Mangiava sporadicamente, più per capriccio, avendo come quello l'unico modo di protestare. Ma ultimamente non aveva molta scelta.
    Anche in quel momento, il suo corpo veniva pervaso da spasmi che non riusciva a controllare, creati non dalle sue condizioni ma dal Genjutsu in cui si trovava. Le capitava spesso che qualcuno che non riusciva ad individuare si insinuasse nella sua mente, soggiocandola e rendendola inerme. Questo, si rese conto l'albina dopo qualche tempo, avveniva sempre quando era sul punto di divenire più lucida. Non era ciò che volevano loro, non era ciò che voleva Jamiro.
    CITAZIONE
    Stava rivivendo quell'illusione da ore, ormai. Ed era quasi tutto come lo ricordava. La sagoma di Oceania si perdeva davanti a quella di Yamashita, molto più alto di lei. I folti capelli rossi svolazzavano al vento e Mokou stessa poteva osservarli spostarsi e arricciarsi durante la corsa. Lei, invece, aveva già la mancina protesa verso l'altro Uchiha. La potenza elettrica del Mille Falchi che creava saette e ghirigori attorno all'arto, pronto per uccidere. Ma tutto si ripeté per l'ennesima volta: l'albina allungava il braccio e sentiva un caldo improvviso, schizzi di sangue che come uno schiaffo si scontravano col suo volto pallido. Ancora una volta, si era chinata su Kaguya, ad un passo dalla morte. Gli occhi scuri della sorella erano rossi e gonfi. Piangeva e basta, senza sosta.
    Mokou aveva smesso da piangere da qualche ora, ripetendo in un loop infinito quella scena. Avrebbe continuato, invero singhiozzava anche in quel momento, ma era anche distratta dall'altra Kaguya. Quella che se ne stava in piedi a braccia conserte, osservando il duo di sorelle con aria seccata. Era molto più giovane della Kaguya originale, poco più che una bambina. I lunghi capelli neri splendidi e il volto pallido di una bellezza difficile anche solo da immaginare.
    «Sorella, hai intenzione di stare a piangerti addosso per molto?»
    La rimbeccò con un sopracciglio alzato. Non si avvicinò di alcun passo, ma Mokou percepì quella presenza sempre più vivina a sé mentre, in lacrime, non poteva fare altro che rimbalzare lo sguardo tra sua sorella in punto di morte e quella che forse era solo una proiezione della sua coscienza.
    «Libera la tua mente. Non puoi restare prigioniera per sempre del tuo senso di colpa. Sono passati anni, ormai, e tu hai una nuova battaglia da affrontare».
    L'albina scosse la testa, non accennando a lasciar andare il corpo morto, ormai, di Kaguya. Il suo braccio sbucava ancora dall'altra parte del suo torace. Stava diventando sempre più freddo e i suoi organi si erano già arrestati.
    «N-non avrei voluto... non avrei... dovuto... mi dispiace...»
    Singhiozzava più forte senza neanche nascondere il volto rosso e gonfio dal pianto. Il loop stava per ricominciare, poteva sentirlo chiaramente. Già si sentiva più leggera mentre il corpo della sorella si volatilizzava tra le sue mani. Era forse la millesima volta, quel giorno. Tuttavia, prima che tutto diventasse nero per ripetersi di nuovo, l'albina sentì qualcosa. Una mano distinta, gentile, che si posava sulla sua spalla.
    «Ti ho già perdonata, Mokou».

    tumblr_p1ei2518zF1vfwgzjo1_400
    Sgranò gli occhi nel tentativo di respirare. Trasalì sul trono, agitandosi per lo spavento di essere andata in apnea. Pochi secondi in più e sarebbe morta in quel modo. Strinse i pugni di rimando, muovendo gambe e braccia, ma subito il presente le ricordò che era stata incatenata più volte, completamente, per evitare che scappasse. Digrignò i denti e quel gesto le costò più energie del previsto. La testa divenne nuovamente pesante e la ragazza sentì un capogiro scoterla con forza. Avesse avuto qualcosa nello stomaco, lo avrebbe vomitato seduta stante per la nausea. Invece buttò la testa all'indietro, sul trono. Nessuno la stava osservando, lo sapeva, ma volle nascondersi mentre un paio di lacrime scendevano veloci da entrambi gli occhi, a partire da quello sinistro. Per quanto altro tempo avrebbe dovuto restare lì?

    La dolce e allegra serenata la riportò alla realtà. Il mandolino suonava e la voce roca (sporca in un certo senso) ma intonata dell'uomo la accompagnava durante il risveglio, facendosi sempre più chiara ma mai forte. Cantava a media voce e, quando gli occhi scarlatti della ragazza si posarono sulla figura di quell'omone a terra, con i capelli lunghi e scompigliati e la rbarba incolta, lui non smise di suonare. Non avrebbe potuto accorgersi di quello sguardo, poiché cieco da tempo. Mokou sorrise appena, debolmente, quasi un ghigno storto dei suoi. Quel vecchio barbone l'aveva incontrato molte volte al villaggio della Foglia. Non era suo amico, ma più di un conoscente. Un confidente, in un certo senso. Qualcosa che l'albina non poteva spiegarsi ma non ripudiava. Forse perché ormai si era abituata a quella presenza, lì al villaggio. Eppure, era abbastanza sicura che quel posto non esistesse a Konoha.
    «Anche qui, vecchio?»
    Pronunciò ad alta voce, nonstante questa venne fuori quasi come un rantolio sommesso, rauco. Ma per il vecchio non ci furono storie:
    «Ovviamente, ragazza. Chi altro ti aspettavi? Sono un Cantastorie, del resto. Vado dove la mia musica mi porta».
    Era da lui dare risposte del genere. Mokou scosse la testa e questa volta il suo ghigno fu più evidente. Non mostrava però l'insofferenza tipica. A che pro? Lui comunque non avrebbe potuto vederla.
    «Mpfh. Non vedo cosa ci sia di musicale in un postaccio del genere. Dio, ti verebbero i brividi se potessi vederlo»
    «Ah! Bella questa! Ma in realtà non ho bisogno di vederlo. Lo percepisco, sai cosa voglio dire?».
    Mokou scosse la testa, scordandosi della ciecità del Cantastorie. Eppure, questi riuscì ugualmente a capire le sensazioni dell'altra. Continuò a suonare, in modo sommesso, accompagnando per tutto il tempo le sue parole che però non venivano fuori come un canto. Come parole, e basta.
    «Tempo al tempo, Gekikara. Tempo al tempo. Non credo tu sia destinata a restare qui. E nemmeno tu, non è vero?».
    Schioccò la lingua e mostrò un sorriso che non riuscì a trovare ricambio sul volto emaciato e stanco della ragazza. Questa, invece sospirò, spostando il collo per osservare le catene che non la lasciavano andare ormai da tempo.
    «Non lo so neanche più... Fury avrebbe già dovuto essere qui. Mi sembrano passati dei mesi».
    Il vecchio scosse la testa, contrariato.
    «Fury, Fury, lascia perdere Fury, mia cara. Le risposte sono già dentro di te. A cosa ti serve, uno come lui?».
    Prima che potesse rispondere, fu il Cantastorie ad interromperla. Non con le parole, ma voltò improvvisamente lo sguardo verso il fondo della Sala del Trono, il luogo opposto a dove si trovava Mokou, sul suo trono.
    «Ahi... stanno tornando gli Strani in rosso. Meglio che vada».
    Dicendo ciò il vecchio cieco smise prese da parte il suo mandolino, poggiando la mancina a terra come perno per sollevare le leve inferiori del corpo. Si mise su sotto lo sguardo attendo di Mokou. Questa, poi, rivolse lo sguardo verso il principio del corridoio che era la Sala del Trono, accigliandosi. Poteva già sentire il canto basso, la liturgia che non riusciva a capire ma che era in grado di farla rabbrividire al solo pensiero.
    «... non puoi restare... con me?».
    Azzardò con voce più dura di quanto volesse, suscitando l'ilarità del vecchio uomo. Egli ridacchiò ma non per schernirla. Come farebbe un padre sentendo il proprio figlio dire qualcosa di molto ingenuo e divertente. Senza guardarla, con il mandolino e la vecchia giacca in spalla, il barbuto dai capelli lunghi fece spallucce verso di lei, con le palpebre serrate.
    «Ragazza mia. Io sono solo un'allucinazione. Te ne sei dimenticata? Stai per svegliarti e io per sparire. Vorrei davvero aiutarti ma sai come funziona... Ci vedremo di nuovo, in ogni caso».
    Sparì in quel preciso momento, proprio mentre i sensi di Mokou cominciavano a tornare e il canto si faceva sempre più forte. Avrebbe ripreso conoscenza a momenti da quell'allucinazione. Purtroppo per lei, era arrivato il momento di fronteggiare quell'assurda e agghiacciante realtà.




    Fine seconda parte
     
    .
  3.     +1   Like  
     
    .
    Avatar


    Group
    Tetsu's Samurai
    Posts
    7,137
    Location
    The Spiral

    Status
    Offline

    III - Tenebrous
    original


    Il presagio di morte aleggiava attorno alla Sala del Trono, pregno di una tristezza e di un dolore difficile da dissipare. La vita dell'albina, ora ridotta ad un alto scheletro dagli occhi vitrei e scarlatti, era appesa ad un filo. E le Parche che lo reggevano tra le dita ossute, vi avvicinavano le lame delle forbici sempre di più. Ogni minuto passato immobile in quel luogo, buttata su quel trono di marmo freddo, incapace di riscaldarsi nonostante la presenza perenne di quel corpo, ricordava alla ragazza che ben presto sarebbe giunta la sua ora. Nulla avrebbe potuto salvarla. Se Fury Senju avesse voluto riprenderla con sé, mantenere le promesse che si erano scambiati, di certo l'avrebbe già fatto. Invece era ancora lì e sapeva bene che nessuno avrebbe mosso un dito per tirarla fuori. Non aveva amici dalla sua parte, neanche uno. Nessuno che si fosse accorto delle sua sparizione, nessuno che ne fosse preoccupato. Era dunque quello il suo destino? Perire in bilico tra la debilitazione fisica e quella mentale. Ma Jamiro non aveva intenzione di lasciarla morire, Mokou ne aveva già avuto la prova. Era arrivata ad implorarlo segretamente di lasciarla andare o ucciderla lì, strapparle quel poco di coscienza rimasta che ancora la teneva legata a quel mondo. Si era accorta realmente di quanto fosse sola al mondo, da quando si trovava su quel trono. Da quando era stata nominata Nuova Imperatrice del Fuoco.
    L'albina alzò lentamente la testa, frastornata dal canto che arrivava dalla fine del corridoio. Il Cantastorie della sua allucinazione aveva ragione: stavano arrivando.
    Una fitta le strinse lo stomaco e i pugni, che però non si mossero dalla loro posizione. E come avrebbero potuto? Era incatenata completamente. Riprese coscienza, alzando la testa e guardandosi attorno. L'aumentare di quel canto faceva crescere in lei una sensazione di panico e fastidio, una reazione che ormai aveva inconsciamente registrato. Accostava quella precisa musica ad una sensazione sgradevole, generata da ricordi terrificanti. Doveva essere quella la Giornata della Venerazione. Il solo pensiero diede il voltastomaco all'Uchiha. Il canto che sentiva era composto da voci maschili, molto gravi, quasi tombali, ma anche femminili. Componevano una lirica liturgica in una lingua antica, o forse non era nemmeno una lingua. Venivano accompagnati da quello che sembrava un organetto ma Mokou non riusciva mai a vederlo. Quel canto quasi gregoriano aveva qualcosa di inquietante con le voci basse, quasi tombali, mischiati con i vocalizzi acuti delle donne. Queste, in particolari, sembravano cantare trasalendo per il dolore, creando una melodia impossibile da ascoltare con piacevolezza. Come detto, l'albina non percepiva le parole e, a causa della nausea e dello stato in cui si trovava, ogni volta che provava a concentrarsi su queste le apparivano al contrario. Il che rendeva solo più disturbante la visione di quel gruppo di persone che, una volta alla settimana, si presentavano nella Sala del Trono. Aguzzini? Peggio: adoratori. Con il cuore in gola, l'Uchiha alzò debolmente lo sguardo verso il fondo della sala e già riconobbe gli Strani vestiti da particolari abiti rossi.
    Tuniche che larghe cadevano fino a terra, con i volti coperti da un copricapo che non aveva mai visto. Ampio, in grado di nascondere quasi tutto il volto grazie ai ricami che scendevano verso il basso, rossi come il sangue. Le teste erano avvolte da un bendaggio candido e bianco che si poteva intravedere anche alla scollatura ad "u" della tunica. Alla luce della penombra, questi si muovevano in gruppo, lenti, muovendo solo le bocche in quel canto disgraziato. Si avvicinavano lenti, dando tutto il tempo all'albina di irretirsi, impaurita come una bambina difronte ad un mostro che spunta direttamente dal buio. Era così che venivano fuori, dal buio della stanza.
    CITAZIONE
    Sbatté le palpebre e l'aria fredda del villaggio della Foglia la investì in pieno. Era in piedi sulle sue gambe, nel mezzo di uno dei campi di allenamento messi a disposizione dell'Accademia Ninja. Leggermente più bassa di quanto ricordasse di essere, più giovane. Se ne stava lì in piedi, fissando il ragazzo più basso di lei. Aveva un fisico asciutto, un volto pallido e vispi occhi cerulei. Riuscì a riconoscerlo dopo qualche secondo, chiamando il suo nome come il soffio spento del vento.
    «Prompto... sei tu?»
    Il ragazzo sorrise, annuendo con un cenno della testa. Ma non poteva essere. Lei non era lì per davvero, così come lui. Lo Shinobi se ne stava seduto a terra, a gambe incrociate. Tra le mani stringeva la sua macchina fotografica, aperta in modo da mostrarne il rullino all'interno. Tornando ad osservare l'aggeggio, il ragazzo rispose comunque all'altra.
    «Potrei. Posso. Credo di esserlo, se tu lo vuoi, Gekikara»
    Non riusciva a muoversi lei, nonostante avesse voluto raggiungere l'altro. Provò a muovere un passo e improvvisamente la sua condizione cambiò. Era sul trono, il suo trono. Era comparso improvvisamente nel bel mezzo del campo di addestramento di Konoha. Le catene venivano trattenute dall'aria stessa di quell'inverno passato.
    «Non deve essere facile per te, startene su quel trono. Dovresti andartene, persino questo canto è insopportabile»
    Storse le labbra. E ora, facendo molta attenzione, l'albina si rese conto che anche lì si poteva sentire quel canto diventare sempre più grave e forte, come si stesse avvicinando sempre di più. Non voleva più sentirlo ma, con panico crescente, si rese conto che Prompto si era alzato in piedi e ora le dava le spalle. Voleva andarsene e lasciarla sola?
    «Aspetta! Aiutami!»
    Urlò disperata, potendo già sentire gli occhi farsi umidi e il naso pizzicarle. Era da un po' che non piangeva. Ma Prompto non si voltò mai né l'aiuto. In quell'istante, le sue parole vennero fuori come un sussurro che però raggiunge Mokou. Lento, si ripeteva come un'eco infinita, perdendosi in quel canto dannato.
    «.. Io ho il terrore della solitudine..»

    Ebbe per un istante quella visione di un ricordo che pensava di aver ormai perduto. Senza che neanche lei sapesse il perché, le tornò alla mente il volto magro e lentigginoso di Prompto. Ma il biondo non era lì. E perché mai avrebbe dovuto? Lì con lei c'erano solo i suoi adoratori. Si erano disposti come sempre, in un doppio e largo semicerchio davanti a lei. La fila dietro continuava a cantare senza posa, puntando lo sguardo verso l'albina seppur lei non potesse vederlo. Ma percepiva le loro iridi che la dissacravano senza il suo permesso, bramando ogni centimetro di quella pelle di un biancore straordinario, reso male da quella malattia che aveva tramutato i capelli neri in bianchi, gli occhi azzurri in rossi. L'albina dal kimono rosso come il sangue; come le tuniche dei presenti. La fila davanti a lei era composta da uomini e donne non in ginocchio ma prostrati a pochi metri da lei. Si muovevano ognuno a suo piacimento, agitando le braccia in alto, poi in basso, pregandola con rantolii eseguiti in una lingua che non capiva. Blaterati come blasfemie antiche e veloci come le correnti di una cascata. Altre voci ululavano animate da un'isteria collettiva; altre piangevano straziate alla vista della Nuova Imperatrice del Fuoco.

    Durò un'ora precisa. E per tutto quel tempo Mokou non riuscì a distrarsi, non riuscì a non sentire il proprio sangue ribollire, le proprie budella contorcersi e la testa scoppiare. Era disgustoso e insostenibile per lei. Uno spettacolo che avrebbe forse dovuto farle piacere dato lo scopo per il quale era stato istituito, invece non faceva che danneggiarla mentalmente, incupendola, spaventandola. Perdeva sanità mentale ogni giorno di più, immaginando l'ombra umana che sarebbe divenuta alla fine dei suoi giorni. Completamente pazza, si immaginava. Ridendo sguaiatamente a quella cantilena, sputando a terra come faceva all'inizio, dibattendosi tra spasmi che ricordavano l'epilessia. Gli occhi rigirati al cielo mentre un sorriso si apriva da orecchio a orecchio. E gli occhi di Jamiro, grandi come due palloni, che vorticavano pulsanti e sanguinolenti su di lei, il sorriso bianco e demoniaco di Mokou statua, lì a fianco. E in sottofondo la melodia suonata al contrario dal flauto di Kaguya.
    «Bas... ta...»
    Riuscì a pronunciare prima di perdere i sensi. Non ebbe pace neanche allora, ma essere preda dei suoi incubi, aveva imparato, era comunque meno atroce di vivere quella mostruosa realtà.



    Fine terza e ultima parte
     
    .
  4.     Like  
     
    .
    Avatar


    Group
    Kiri's Ninja
    Posts
    7,532
    Location
    Wammy's House

    Status
    Anonymous
    Quanto stile? Max + 20
     
    .
3 replies since 1/5/2019, 17:47   198 views
  Share  
.