C'è un miracolo in ogni nuovo inizio

Pq con Kerbe

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    Era un giorno estivo come un’altro quando la mia vita prese una piega inaspettata. Avevo circa 7 anni quando per puro caso incontrai Momoka, una ragazzina dai capelli rosa come I ciliegi in fiore e gli occhi neri come l’ossidiana.
    Ma andiamo con ordine, così da capire bene come tutto ebbe inizio.
    Come dicevo, in una giornata estiva non troppo afosa, mi trovavo assieme ai miei vecchi amici di scorribanda, Irumo e Kutaro, I quali, come ogni giorni, decisero -senza neanche prendermi in considerazione nella decisione- di combinare qualche guaio per il villaggio.
    Ai tempi, pensavo che la loro compagnia fosse quella più giusta per il mio essere, ma ovviamente era solo un modo come un’altro per fuggire dalla realtà di un’esistenza senza padre.
    I due, più grandi di 3 anni, mi accettarono all’interno del gruppo solo perchè più piccolo fisicamente, infatti, la mia statura mi permetteva di arrivare dove I loro fisici più sviluppati non potevano, quindi, ero un’ottimo strumento per portare a termine le loro scorribande.
    Pur sapendo ciò, ritenevo che I due mi considerassero davvero loro amico… sbagliandomi.
    Quel giorno, per qualche strano motivo, decisero di riprovare una delle missioni più pericolose mai compiute, ovvero assaltare l’orfanotrofio del villaggio.
    Non ci eravamo mai riusciti, ma questa volta, con il loro “geniale” piano, erano sicuri di riuscire a far breccia nella sicurezza dei guardiani del posto.
    Ci preparammo al meglio delle nostre possibilità e rispolverammo il piano.

    E’ davvero geniale questo piano

    Lo penso anche io!

    Non funzionerà mai…


    I due mi guardarono male… ricordate? La mia opiniona veleva meno di zero all’interno del gruppo, ma non ero comunque il tipo da stare in silenzio in queste situazioni, anche perchè mi piaceva creare scompiglio anche tra I nostri “ranghi”, quindi, continuai.

    Non funzionerà mai e lo sapete bene anche voi. Ci conosco tutti al villaggio, compresi I guardiani dell’orfanotrofio.

    Fu a quel punto che Kutaro si avvicinò a si abbassò in modo tale da essere faccia a faccia.
    Mi mise una mano sulla spalla, ma quello che accadde dopo non fu affatto piacevole… una testata mi colpì al centro del volto, schiacciandomi il naso e facendomi uscire una copiosa quantità di sangue.

    Dovresti smetterla di dare la tua opinione quando nessuno te la richiede.

    Già, e comunque, proprio perchè siamo conosciuti da tutti, tu sarai l’anello fondamentale… devi semplicemente fare finta di voler giocare con I bambini dell’orfanotrofio mentre noi sgattaioliamo all’interno. Vedrai che I guardiani ci cascheranno come delle pere cotte.

    I due, seppur ben consci del fatto che un colpo al naso con quel determinato tipo di potenza potesse tranquillamente fratturare il naso, non si degnarono minimamente di aiutarmi nei secondi successivi, lasciandomi in terra come l’ultimo degli stracci.
    Dolorante e ben poco divertito dalla situazione, mi rialzai e cercai di tamponare il naso con la stoffa della maglietta.
    Si rovinò a tal punto che sicuramente mia madre -dopo la ramanzina – l’avrebbe buttata. Non è facile lavare via il sangue, o almeno, questo era quello che mi diceva mia madre ogni volta che tornavo con qualcosa di sporco.
    Comunque, volente o nolente, dovetti seguire I due ragazzi, I quali, una volta arrivati al cancello dell’orfanotrofio, mi obbligarono a bussare.
    Ovviamente I due scapparono e mi lasciarono solo ad aspettare uno dei guardiani.
    Dopo qualche secondo, il portone si aprì e quella che mi ritrovai davanti fu una figura del tutto nuova alla mia vista. Una donna dai capelli argentei mi si palesò davanti e si mise in ginocchio.

    Oh cavolo, ma cosa ti è successo? Hai la maglia piena di sangue!

    Un piccolo incidente… non si preoccupi…

    Cercai di fare il duro, ma il naso ancora dolorante e I pezzetti di carta messi all’interno facevano capire perfettamente che non andava proprio bene.

    Oh piccolo, vieni dentro, sistemiamo tutto!

    La donna mi fece entrare e mi scortò in infermeria, dove venni curato e poi mi chiese se volessi giocare con I ragazzini dell’orfanotrofio.
    Risposi con un semplice cenno della testa e mi venne indicata la via da seguire.
    Fu a quel punto che incontrai nuovamente I miei due compagni, intenti a fare danni in giro. Cercai di non farmi vedere, ma quando I due cominciarono ad aggredire, seppur verbalmente una ragazzina dai capelli rosa, mi feci avanti.

    Ma che capelli sarebbero questi?

    Ma non ti vergogni? Sei proprio brutta… dovresti rasarli a zero, forse sembreresti più carina!

    HEY, dovete fare danno, non prendervela con I ragazzi!


    I due si voltarono nella mia direzione e aggredirono anche me, anche se in maniera molto più violenta che con la rosata.

    PER UNA BUONA VOLTA STA ZITTO!


    E un pugno in faccia mi fece ruzzolare a terra, seguito poi da diversi calci allo stomaco.

    Devi imparare a stare al tuo posto, dannato bambino!

    Andate VIA!

    Ma a nulla valsero I tentativi di scrollarmeli di dosso, sia da parte mia che da parte della ragazza dai capelli rosa. L’unico momento di libertà che riuscii a trovare fu quando I guardiano afferrarono di peso I due ragazzi e li buttarono fuori dall’orfanotrofio, per poco non fui sbattuto fuori anche io, ma la ragazza venne in mio aiuto.
    Gli uomini mi lasciarono col sedere a terra.

    Gliel’ho fatta vedere eh?
     
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    C'è stato un periodo della mia vita in cui la mia consapevolezza del mondo era effemira, basata puramente su ciò che i miei occhi da bambina potevano recepire al primo sguardo. A quei tempi era decisamente impossibile per me andare al di là delle cose, interrogarmi su ciò che era ed immaginare ciò che ancora doveva essere. Ero io il centro del mio mondo e lì, catturato dai miei occhi scuri quanto solari, questo si fermava. Non c'erano domande sul perché io, tra tutti, fossì lì, sola e senza genitori, in una casa piena di bambini proprio come me. Non mi chiedevo perché, invece di venire cullata tra le braccia di mia madre, dormivo con il dolce sottofondo del russare sommesso delle mie compagne di stanza. Non me lo chiedevo perché per me la realtà era semplicemente quella, non avevo mai conosciuto nulla di diverso. Ero felice? Non saprei dirlo neanche adesso.
    Era, come ho già detto, una vita come un'altra. Giorni che si susseguivano in linea di massima uguali a tutti gli altri, passando più o meno velocemente. Ricordo pochi avvenimenti importanti, degni di nota, di quelli che hanno segnato la mia esistenza in modo più o meno marcato. Ricordo quando, a mensa, scambiai il peperoncino con il curry e piansi a dirotto perché bruciava troppo per il mio palato, ma nessuno mi diede altro cibo e mi lamentai tutta la notte per la fame. Ecco, allora imparai che i cibi piccanti non mi piacciono per niente. Oppure, ricordo quando decisi che sarei stata benissimo in grado di saltare gli ultimi due gradini delle scale, proprio come facevano i bambini più grandi. Mi misero tre punti sopra il sopracciglio e quel giorno imparai che quando hai le gambe corte e sei una bambina di cinque anni piuttosto rotondetta, forse è meglio non cimentarsi in acrobazie sulle scale.
    Ma uno dei miei ricordi più preziosi risalenti in quel periodo, avenne in un'afosa giornata d'estate...

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    Un pomeriggio come un altro trascorso nel cortile dell'orfanotrio, in quel momento ghermito da una ventina di bambini dai cinque ai dodici anni, tutti presi dai loro giochi e impegni. Tra i più grandi che calciavano una palla di gommapiuma, i più piccoli al sicuro a giocare nelle sabbiere con tanto di paletta e secchiello, e poi c'eravamo noi.

    - Coraggio Momorin! -

    - Se stai a pensarci troppo finirai per farti male! -


    Da lassù, in piedi sul punto più alto dello scivolo rosso, a quell'ora più cocente che mai, ricordo di aver messo su il broncio e, dopo aver assunto la mia solita posa con le mani sui fianchi, avevo risposto a gran voce:

    - Saltate voi allora! Eh? Vuoi provare tu, Mina? Sana? -

    Minami e Sana sbuffarono di rimando, da lassù, pestando i piedi per terra come le due bambine che erano. In confronto a loro ero sempre stata la più bassa e la più tonda, forse fin troppo. Ma, nonostante quel loro hobby di volermi vedere in infermeria ogni giorno, mi volevano bene per davvero.

    - Ma tu hai le gambe più corte, non ti faresti nulla, Momorin! -

    - Davvero! Preferisci scottarti il sedere sullo scivolo, piuttosto? -


    - Certo che preferisco! Anzi, lo faccio subito! Non voglio rompermi il polso di nuovo, lo sapete che ho tolto le bende una settimana fa! -

    Purtroppo ci annoiavamo fin troppo spesso e quelle due bambine avevano una passione sfrenata per i giochi pericolosi. Da una combinaguai e bugiarda cronica come Sana, non c'era molto da aspettarsi. Ma da una tipa posata e tranquilla come Mina, non ci si sarebbe mai aspettato una cosa del genere. Del resto, si sa quanto la vita possa riservare soprese inaspettate. In ogni caso, decisi di non buttarmi giù dallo scivolo: gambe corte o no, sicuramente mi sarei fatta male. Per questo piegai le ginocchia e, perdendo l'equilibrio da sola (sono sempre stata una persona piuttosto goffa), caddi all'indietro, fortunatamente sulle travi di legno dello scivolo. Quest'ultimo appariva rovente ai miei occhi scuri, ma decisi di non demordere. Anche se mi chiesi se davvero bruciarsi fosse meglio di una caduta da appena un metro e mezzo di altezza. Resterà un mistero per sempre. Stesi le gambe unendole tra di loro e, a causa dei pantaloncini che indossavo, potei già sentire il polpacci scottarmi. Mi diedi una spinta con le mani e scivolai giù, sprezzante nel pericolo. O almeno ci provai.

    - OHIOHIOHIOHI! -

    Ero tonda. Troppo tonda. Per questo la mia discesa fu infinitamente lenta. Fu uno spettacolo pessimo a giudicare dalle facce delle mie due migliori amiche, vedere me che lentamente e ululando per le scottature mi dibattevo, tentando di scattare ma rallentando solamente il tutto. Finì poco dopo e, trattenendo a stento le lacrime, finsi il nulla più assoluto davanti alle due bambine.

    - Stai bene, Momo? -

    - Sembravi un gatto col pal di pancia per come ti lamentavi! -


    - S-sto benissimo, altroché! Vado g-giusto a sgranchirmi le gambe... sapete, la forza di gravità ti stanca... -

    Mi guardarono confuse e, invero, neanche io sapevo cosa fosse la forza di gravità. Ma mi lasciarono in pace e, ricacciando indietro i lacrimoni, corsi via da lì, saltellando e zoppicando come meglio potevo. Non avrei potuto guardarmi in pace senza essere beccata ma ero certa che i miei polpacci fossero rossi e ustionati. Quello scivolo sapeva essere una macchina mortale per noi bambini. Ci avrei messo un po' d'acqua senza farmi vedere, fu questo che decisi. Ma, quando accelerai il passo per dirigermi verso la fontanella, dall'altra parte del cortile, urtai qualcuno, finendo (di nuovo) col sedere per terra.

    - Ohi! Di nuovo! -

    Mi alzai con non poca fatica, massaggiandomi il sedere e lanciando un'occhiataccia risentita a quel qualcuno che avevo lì davanti. Sì, ero stata io a schiantarmici contro, ma non in quel frangente ero già scioccata per la storia dello scivolo, non avevo alcuna intenzione di chiedere scusa. Ma non ce ne fu bisogno. Mi ritrovai davanti due ragazzi che non avevo mai visto lì, decisamente più grandi di me. E le facce che avevano non erano amichevoli per niente, riuscii quasi a percepire che non avessero buone intenzioni.

    Ma che capelli sarebbero questi?

    Ma non ti vergogni? Sei proprio brutta… dovresti rasarli a zero, forse sembreresti più carina!


    Restai senza parole. Improvvisamente fu quasi impossibile ricacciare indietro le lacrime. Non credevo alle loro parole ma non capivo. Perché me le stavano dicendo senza neanche conoscermi? Nessuno in vita mia mi aveva mai detto cose simili e sentirmelo dire la prima volta fu uno shock da cui non riuscii a difendermi. Mi sentivo come se il solo fatto di aver pronunciato quelle parole avesse effetto su di me. E una vocina dentro di me si chiese se non avessero ragione. Perché se due sconosciuti notavano in me quei miei capelli biondo fragola, per prima cosa, forse avevano ragione. Forse non erano affatto belli. Forse non lo ero nemmeno io.

    HEY, dovete fare danno, non prendervela con i ragazzi!

    E poi qualcosa cambiò. Quello fu il giorno in cui imparai una cosa fondamentale. Alzai lo sguardo umido verso un bambino più basso degli altri due, dai capelli grigi fin troppo spettinati e l'aria da furbetto, di quelli che non piacevano ai grandi. Non mi chiesi da dove spuntasse, non mi chiesi neanche il perché se la fosse presa con gli altri due. In quel momento capii solo che i due bulli non mi stavano più infastidendo perché lui si era messo in mezzo. Restai lì imbambolata mentre gli altri due gli erano addosso. Ero spaventata? No. Ero positivamente incredula. Abituata agli scherzi delle mie amiche, era per davvero la prima volta che qualcuno prendeva le mie parti. Ed ero semplicemente contenta, nonostante il mio salvatore non se la stesse passando bene. Sono stata un'egoista? Non che avessi potuto fare qualcosa. Ci pensarono i guardiani dell'orfanotriofio ad intervenire fu allora che un lampo di coscienza mi rianimò. Stavano trascinando via i bulli, questo voleva dire che...

    - F-fermi! Sta con me! -

    Mi precipitai verso il ragazzino, sbracciandomi come un'ossessa. Mi misi di mezzo, fronteggiando a muso duro i guardiani che volevano prendere anche l'ultimo dei tre e rispedirlo in strada, lontano da quel posto. Ma non volevo permetterlo. Ci fu qualcosa che ancora non mi spiego ma, anche allora, ero certa che se non avessi parlato con quel ragazzo dagli occhi ambrati, non l'avrei più rivisto in vita mia.

    - È mio amico! Può restare? Perfavoreperfavoreperfavoree!-

    C'era da dire che mi conoscevano tutti lì, tutti conoscevano tutto di tutti, per cui erano abituati alle mie lamentele e sapevano bene che avrei continuato così fino a sera se non mi avessero accontentata. Per cui fui strafelice quando il personale della struttura si allontanò, lasciandomi sola con il bambino. Ero più che raggiante, forse troppo davanti a qualcuno che le aveva appena prese.

    Gliel’ho fatta vedere eh?

    Flettei le ginocchia per abbassarmi, circondandomi le gambe cicciotte con le braccia. Non riuscivo a non togliermi uno sciocco sorriso dal volto mentre i miei occhi brillavano verso il bambino. Annuii vigorosamente, dandogli ragione al cento per cento.

    - Sei stato forte! E mi hai aiutata! Sei come un eroe personale! -

    Ridacchiai contenta, dimenticandomi improvviso di tutto. Di essermi scottata le gambe, di essere stata presa in giro da due sconosciuti. Cosa importava se adesso ero lì con quel bambino?

    - Io mi chiamo Momoka a proposito! Ma tutti mi chiamano Momo. Tu come ti chiami? Dove abiti? E perché sei sporco di sangue? -

    Fin troppe domande si sovrapponevano a causa della curiosità che avevo per quel bambino. E capii ben presto che, per me, quello non era una persona qualsiasi. Tadakuni mi aveva salvata ma, più di questo, aveva creato qualcosa. La sua spontaneità e anche la sua testa dura, il suo preferirsi far picchiare piuttosto che non dire niente difronte ad un'ingiustizia; capii che quello sarebbe stato qualcosa di più per me. Non solo un coetaneo incontrato per caso e dimenticato subito dopo. Sapevo già dei pomeriggi passati a giocare insieme, dei compleanni passati più e più volte e di come sarebbe stato bello trascorrere il tempo insieme. Quel giorno capii che Tadakuni sarebbe rimasto per sempre al mio fianco ed io, proprio come la prima volta, non potevo che esserne felice ogni giorno di più.
     
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    Gliel’ho fatta vedere eh?

    Mi misi le masi nei fianchi e con sguardo tronfio guardai la bambina. In quel momento provavo dolore un po’ ovunque e quello mi era sembrato l’unico modo per deviare l’attenzione della ragazza su altro.
    La bambina si inginocchiò e cominciò a fissarmi con un sorriso che poche volte avevo visto nel volto dei ragazzini.

    Sei stato forte! E mi hai aiutata! Sei come un eroe personale!

    Ridacchiò a quelle parole e io non riuscii a far altro che arrossire e voltare lo sguardo, come se non m’importasse quel che stava dicendo e, fu proprio nel momento in cui mi voltai che mi disse il suo nome, forse preoccupata del fatto che me ne sarei potuto andare.

    Io mi chiamo Momoka a proposito! Ma tutti mi chiamano Momo. Tu come ti chiami? Dove abiti? E perché sei sporco di sangue?


    Una domanda di fila all’altra che sul momento mi spiazzarono, ma… la presenza di quella bambina mi faceva stare bene, come se finalmente fossi riuscito a trovare qualcuno di cui fidarmi e poter passare le mie giornate.

    Io sono Tadakuni… e abito non troppo lontano da qua, assieme a mia madre…

    All’ultima domanda titubai, non potevo sapere se la risposta sarebbe stata gradita o meno, ma alla fine mi espressi comunque.

    I due ragazzi di prima mi hanno malmenato anche prima di venire qua… Infatti guarda qua che roba, mi hanno messo delle specie di tamponi nel naso, ora sembro un maiale!


    Dissi mentre allargavo le narici e tiravo col dito la punta del naso, che, per via del trauma, ricominciò a sanguinare.

    Ble, ho tutto il sangue in gola…

    Ai tempi non ero ancora in grado di capire cosa avevo realmente creato con quella piccola azione. Solo col tempo riuscii a comprenderlo, in quella che fu una delle giornate più brutte e belle della mia vita.
    Il tempo era passato e giorno dopo giorno diventammo sempre più inseparabili io e la ragazza, ma più I giorni passavano e più ci addentravamo nel nostro percorso da samurai, più in cuor mio la preoccupazione aumentava… non riuscivo a non pensare a cosa sarebbe accaduto subito dopo il nostro diploma, o per meglio dire, il suo diploma.
    Io a mala pena riuscivo a passare I test teorici, mentre lei… beh, lei eccelleva praticamente in tutto, persino nelle prove fisiche era quasi, se non al mio livello.
    La odiavo, ma non per cattiveria, ma per via della sua scelta di frequentare l’accademia. Non volevo e non potevo permettere che arrivasse fino in fondo.
    Lo so, è un pensiero ben più che egoista, ma non potevo immaginarmi una vita senza di lei al mio fianco… era la mia migliore amica e al solo pensiero di tutto quello che sarebbe successo dopo il nostro diploma, beh… mi faceva venire la pelle d’oca.
    E per quanto volessi davvero appoggiarla in questa decisione, non riuscivo. Non questa volta.
    Quel giorno, quel maledetto giorno in cui quasi distrussi tutto quello che eravamo riusciti a creare in anni di incontri, decisi di parlare chiaro.
    Le consegnai una lettera senza neanche aprire bocca, non ne avevo bisogno, tutto quello che doveva sapere in quel momento era scritto la.
    Lei provò a parlarmi, ma non le risposi… girai semplicemente I tacchi e mi allontanai da lei.
    Dopo averle consegnato la busta con la lettera, andai al nostro solito punto d’incontro e la aspettai col cuore in gola. Non sapevo cosa sarebbe successo, ma dovevo fermarla.
    Mi guardai in torno e ovunque voltassi il mio sguardo, I ricordi mi assalivano e il mio corpo si sentiva strano. Mi sedetti sopra quella che era la nostra altalena preferita del parco e aspettai che il momento arrivasse.
    Mi dondolavo lentamente e aspettavo, mentre cercavo di formulare un discorso di senso compiuto in mente.

    Ok dai, non può essere così complicato…

    E fu in quel momento che mi accorsi della sua presenza.
    Alzai lo sguardo e I capelli rosati che si facevano trasportare dal vento mi colpirono in pieno. Non fisicamente, ma emotivamente.
    Il tramonto alle spalle, I capelli mossi dal vento e la mano intenta a bloccarli per non farli andare in faccia… fu in quel momento che capii cosa fosse realmente quella sensazione di stranezza che avevo provato prima, ma non credo lo si potesse definire amore o cose di questo tipo… ah, ma chi voglio prendere in giro.
    Serrai I denti e aspettai che la ragazza si sedesse nell’altalena accanto alla mia.
    Non la guardai neanche per un istante dopo il primo scambio d’occhiate, non ne avevo le palle, se l’avessi fatto, mi sarei sicuramente tirato indietro.

    Quindi sei venuta…

    Feci fuoriuscire una sottile tristezza assieme a quelle parole, probabilmente perchè sapevo dove avrebbe portato il tutto.
    Chiusi gli occhi e inspirai quanta più aria possibile, mentre cercavo di ricomporre la miriade di pezzi che mi si erano andati a sgretolare con un solo sguardo.
    Il cuore batteva… batteva tanto da far male e la lingua cercava di raccimolare quella poca saliva rimasta in bocca.

    Devo dirti una cosa.

    Strinsi I pugni sulle catene dell’altalena e, finalmente, mi decisi a voltarmi nella sua direzione. Era quasi palpabile la preoccupazione che stavo instillando nella ragazza, ma sapevo che in breve tempo sarebbe passato tutto. Era arrivato il momento.

    In questi anni sei sempre stata al mio fianco per sostenermi qualsiasi decisione prendessi e non sono mai stato in grado di ricambiarti e, credo… che probabilmente non sarò mai in grado di farlo. Non fa parte del mio carattere. Gli esami accademici si stanno avvicinando e per quanto quello che sto per dirti ti sembrerà trementamente egoista, voglio che non partecipi.

    Cominciai a strofinare le mani sudate e le chiusi in una morsa. Sembrava quasi stessi pregando la ragazza, ma no, stavo semplicemente morendo dentro e non potevo darlo a vedere.
    In viso non cambiai più di tanto, ma il linguaggio corporeo non poteva mentire.

    Semplicemente non puoi. Non voglio.

    Cercò di raggionare con me, ma la mia risposta non variò mai e… ad un certo punto il cuore mi si frantumò.
    Momoka, lei… si alzò e cominciò ad andarsene. L’avrei voluta fermare, ma una sola parola e il peso di quella discussione mi avrebbe spezzato. Dovevo atteggiarmi come mio solito. Dovevo essere colui che non si preoccupa di tutto ciò. Ma in realtà…

    Non andartene…

    Scusa, ci son stato un po' :please:
     
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