Se i soldati cominciassero a pensare, nessuno rimarrebbe a combattere

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    [Tetsu, territori contesi, Kumotsuki, 30° giorno]




    Non riesco a cogliere il motivo che spinge la mia gente a muovere guerra ai suoi fratelli dell’Est.
    In nome di quale razza di ideale ci degradiamo a tal punto da dover combattere contro le nostre stesse famiglie? Cos’è che ci rende indifferenti nel vedere macchiate le nostre mani con il sangue dei nostri fratelli, dei nostri cugini, dei nostri vicini? Non posso accettarlo e non voglio farlo. Possibile che nessuno si adoperi affinché questo fratricidio abbia fine? Nessuno che comprenda che non c’è bisogno di questa guerra civile, che questa fame di potere non fa altro che vendere i nostri soldati come se fossero animali esposti in una macelleria umana. Io non ho bisogno di questa guerra civile, ma sono completamente impotente, e lo sarò fino a quando il mio pensiero resterà una singola nota azzeccata di una lirica stonata.
    Non riesco ad immaginare di essere il solo a pensarla in questo modo, non posso crederci e non voglio. Sono convinto che altri, come me, siano dell’idea che non si ottenga la libertà sulla punta delle katane. Penso, anzi, credo fortemente che questo paese non potrà mai definirsi libero fino a quando l’assordante silenzio delle persone giuste, sarà più fragoroso delle grida di pochi fanatici vanagloriosi.
    Voglio credere che ci sia un modo, un sistema per far tornare grande questo mio paese, liberandolo dai vermi e dalle sanguisughe, che lo divorano dall’interno.
    Non il Bushido, né tantomeno l’assenza di appartenenza che sta alla base dello stato dell’Ovest, potranno salvare questo Paese, ne sono certo. Piuttosto, credo serva una commistione di queste due filosofie per poter portare pace e prosperità in queste terre, ma forse la mia è solo una visione utopistica.
    Eppure non perdo la speranza di vedere rinascere il paese del Ferro, una terra forgiata nuovamente e saldata da ogni sua crepa, compatta e unita come il metallo da cui prende il nome.
    Non perdo la fede e prendo insegnamento dalla natura, una maestra silenziosa che ci insegna come, anche la carcassa senza vita di un animale, possa essere nutrimento per una vita nuova, un’esistenza rinnovata.
    E Tetsu cos’è, se non non una carcassa di una tigre delle nevi in via di putrefazione? un lembo di carne in suppurazione, infestato dai vermi e dalle mosche. Un ammasso marcescente lambito dal terreno scarlatto, fradicio di sangue dei suoi stessi figli.

    Forse però, alla base di questo mio monologo, non vi è altro ipocrisia, perchè da quale pulpito posso criticare così saccentemente la mia gente e la mia terra, quando io sono stesso sono parte di questo sistema? l’ennesimo ingranaggio di questa macchina di morte, l’ultimo pezzo di carne gettato in pasto alla belva di nome guerra. Non so se sia solo un modo per appagare la mia coscienza, so solo che non posso più restare fermo a non far nulla.

    Vorrei trovare una soluzione, scorgere una luce alla fine di questo tunnel. Vorrei legarmi a un ideale per cui valga davvero la pena lottare. Vorrei fare tutto questo, ma il solo continuare a pensarci, mi stanca e svuota il mio animo. Sono mosso dalle migliori intenzioni, ma non ho la volontà necessaria per applicarle. Perchè un conto è starsene chiusi in una stanza a pensare e fantasticare su cose irreali, tutt’altra cosa è applicare realmente i frutti di questi vaneggiamenti. Ed io sono solo un codardo, troppo pigro per far qualcosa di diverso dallo starmene qui rinchiuso, illudendomi di poter cambiare qualcosa.
     
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    Mentre Shirai torturava se stesso, tormentandosi su la tristezza della propria esistenza, così miserevolmente incompleta, un nodo aveva iniziato a stringersi intorno alla sua gola, rendendo difficile anche il semplice respirare. La consapevolenza di non star facendo nulla della propria vita, lo stava facendo sprofondare dentro una densa e asfissiante coltre di disperazione, come se si trovasse intrappolato dentro a delle sabbie mobili. incapace di liberarsi dai rovi che, ad ogni suo tentativo di fuga, rinvigorivano il proprio abbraccio, stingendolo a loro con sempre più veemenza.
    Era una sensazione tremenda, una condizione ineluttabile che ravvivava le braci della sua rabbia. La testa martellava, la gola si chiudeva su se stessa, il battito del cuore accellerava il proprio battito e la rabbia fermentava dentro il ragazzo, come se fosse del buon sakè.

    Incapace di controllare il tumulto delle proprie emozioni, il giovane soldato esplose in un urlo di rabbia che riecheggiò in tutta la valle.
    L’eco delle sue urla gli rammentò di essere in missione e, all’idea di aver potuto rivelare la propria posizione, il giovane scaricò tutto il suo risentimento colpendo con un pugno le pietre di un parapetto roccioso. Il dolore fu intenso ma liberatorio. La mano si era scorticata un po’ sulle nocche e Shirai, leccando via il sangue, si compiacque di quel gesto. In un certo senso, si sentì vivo.

    Dovrei riprendere la marcia, sono ancora in territorio conteso. Non vorrei che mi trovassero, ora che ho urlato al mondo qualcosa di simile ad un: “Sono qui”. Quanto odio il dover andare in esplorazione...

    Così' dicevi ed era d'inverno
    e come gli altri, verso l'inferno
    te ne vai triste come chi deve,
    il vento ti sputa in faccia la neve.



    Shirai riprese la marcia, mentre la neve si faceva sempre più soffice e più profonda ad ogni passo che il giovane faceva per risalire la sponda del versante su cui si trovava.
    Il soldato di Tetsu era solo su quella valle, completamente isolato dall’intera compagnia. Tre campane prima, era stato mandato in esplorazione per conto del sergente della pattuglia. Un compito ingrato che Shirai non aveva digerito affatto. Era il più giovane della pattuglia e il cosiddetto “nonnismo”, aveva colpito ancora. Almeno questo era il pensiero del ragazzo.
    Ad ogni modo, era solo e doveva muoversi a uscire da quelle montagne, essendo queste ultime situate in pieno territorio conteso.
    Proprio dalla cime di quei monti, una nuvola bianca come il latte e rigonfia come un sacco di farina, iniziò a sputare neve a fiotti. Shirai, avrebbe dovuto accelerare il passo, onde evitare di trovarsi in mezzo a quella tempesta invernale.
    Il passo sempre più pesante, l’incedere sempre più faticoso. Shirai raggiunse a stento la cima di una collinetta bianca, posta a metà del versante. Questa altura, agli occhi del giovane, sovrastava in parte il percorso che avrebbe dovuto intraprendere per raggiungere la propria meta, impedendogli di stimare alla perfezione il tempo di marcia. Raggiunta la cima, Shirai alzò gli occhi al cielo, come per elemosinare la forza per andare avanti.

    Quando il ragazzo abbassò gli occhi dal cielo, vide davanti a sé un giovane che stringeva fra le mani una katana. Nonostante stesse tremando come una foglia si era comunque messo in posizione di difesa, indirizzando la punta della propria spada verso Shirai. Il soldato albino si ritrovò a fare lo stesso e, mosso soltanto dall’istinto, portò la lama del suo Wakizashi di fronte al proprio petto.
    Per la prima volta Shirai avrebbe affrontato un soldato nemico, il terrore di morire o quello di dover uccidere, sommerse la mente del giovane.
    La guerra stava costringendo Shirai a incrociare la propria spada con un soldato dell’Est, un ragazzo giovane come lui, uno che avrebbe potuto essere benissimo un suo amico, in una realtà alternativa.
    Eppure non era questo il caso, non era questo il mondo e la realtà gravava su quei due come un macigno. Una realtà che, sotto le vette innevate di quella catena montuosa, aveva riunito due ragazzi del solito Paese, due giovani che indossavano la stessa uniforme, ma del colore sbagliato.

    E mentre marciavi con l'anima in spalle
    vedesti un uomo in fondo alla valle
    che aveva il tuo stesso identico umore
    ma la divisa di un altro colore.



    Shirai si soffermò a guardare il ragazzo di Tetsu Est e, incrociando lo sguardo con questi, vi vide all'interno gli stessi timori che anche lui aveva, lo stesso desiderio di non morire. Quel giovane aveva due occhi davvero grandi, due occhi ricolmi di paura.. due occhi che non avrebbero più visto nulla, se non il cielo grigio di Tetsu.
     
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    Cadesti a terra senza un lamento
    e ti accorgesti in un solo momento
    che la tua vita finiva quel giorno
    e non ci sarebbe stato ritorno.




    La neve sotto i piedi era compatta e permise a Shirai di gettarsi contro l’avversario ad una velocità tale da lasciare quest’ultimo attonito. Due battiti di cuore dopo, le spade dei due ragazzi si mossero per andare a cercare il proprio bersaglio. Le lame, ben oliate, brillarono argentee per un solo momento. L’attimo dopo vide già il calare del sipario su quello scontro.
    Fu una sola la spada che riuscì a colpire il proprio bersaglio, l’altra fendette l’aria.
    Un calore umido bagnò gli abiti di Shirai, riscaldandolo piacevolmente dal freddo di quelle montagne. Non sentiva dolore, nonostante tutto quel sangue. Anzi era rinfrancato dal calore del sangue che, sempre di più inondava le proprie braccia. Quel sangue, si disse il giovane, non era il proprio.
    Il soldato albino alzò gli occhi, cercando lo sguardo del nemico. Trovò due pozze nere ricolme di lacrime. Lacrime che scendevano sul viso bianco, pallido, di quel ragazzo. Lacrime così calde da emettere fumi tutt’intorno al volto.
    La bocca bisbigliava parole, troppo incomprensibili per le orecchie di Shirai. Si muovevano tremolanti le labbra del ragazzo dell’Est, sempre più rosse, dipinte con i toni del sangue che fuoriusciva.
    Shirai gettò a terra la lama e abbracciò l’avversario prima che questi potesse cadere a terra, ora che non riusciva più a tenersi in piedi.
    Il giovane albino, appoggiò delicatamente a terra l’avversario e, solo in quel momento, si accorse che il giovane dell’Est aveva l’addome squarciato, lacerato da parte a parte. Shirai capì subito che non c’era nulla da fare.
    Il colletto della tunica del ragazzo albino venne stretto dal pugno dell’avversario. Un gesto disperato di un moribondo che chiedeva aiuto. Un aiuto che Shirai sapeva di non potergli offrire.
    Il Riot vide gli occhi del giovane offuscarsi, rimanendo poi vitrei e fissi nel vuoto, come ad osservare il cielo grigio di Tetsu.
    La tempesta colpì in quel momento.


    Fare la guerra è una cosa, uccidere un uomo è un'altra cosa

    Shirai si ritrovò a piangere sopra il corpo di quello sconosciuto. Il petto del giovane si era trasformato in un tamburo di guerra. La voce sommersa dalle lacrime, non riuscì ad esternare il proprio cordoglio. Parole rimasero dentro l’albino o, forse, furono trascinate via dal vento incessante.
    Il ragazzo si portò le mani al volto per coprire le lacrime, così facendo però si macchiò il viso di sangue caldo. Il sapore di ferro impregnò la bocca di Shirai mentre quest’ultimo si alzava in piedi, sconvolto.
    La neve aveva assorbito il sangue e adesso formava un tappeto rosso steso intorno ai due ragazzi.
    Confuso, tormentato e sicuro che il rimorso lo avrebbe inchiodato per sempre a quel momento. Shirai avrebbe voluto fuggire, anzi avrebbe voluto essere fuggito prima.

    Cosa diavolo ho fatto?


    Era perduto. La sua anima lo era. Legata indissolubilmente al carro dei vincitori. Ma non sopra di esso, quello era il posto destinato ai comandanti. No, la sua anima era legata dietro da una corda di infamia, trascinata nel fango e destinata a mangiare la polvere amara di quel carro.
    Shirai era risoluto, questa volta come non mai nella sua vita. Avrebbe strappato quella corda. Avrebbe spezzato le sue catene. Avrebbe messo fine a quella guerra che troppi fratelli di Tetsu aveva portato via.


    La guerra brama guerra e io la dispenserò se necessario, ma non voglio più macchiarmi le mani di sangue innocente. La neve dovrà abbeverarsi del sangue di quelli che hanno scatenato questa guerra. Severa, Chul Moo-Lee e tutti gli altri; Devono pagare. Tetsu deve essere unita, libera e in pace.
    Se non lo capiscono, la neve berrà il loro sangue e ogni crimine sarà pulito con esso.
    So che questo equivale al tradimento, ma se tutti fossero pessimi soldati come me, la fine della guerra giungerebbe presto. E allora non resterebbe nessuno a piangere la morte dei figli di questa terra, non ce ne sarebbe bisogno. Non ho nulla da perdere, la mia vita vale molto meno di quella del ragazzo che qui è morto, almeno così la penso. Se anche io, per raggiungere questo fine, dovessi morire, dovessi essere dimenticato, dovessi diventare cibo per vermi; allora che sia, ma almeno mi sarò sentito parte di qualcosa di più grande, qualcosa per cui sia valso versare il mio sangue.


    Shirai si strappò la sua divisa da soldato, là dove il simbolo di Tetsu Ovest campeggiava.
    Recise quel simbolo con la spada, come se fosse stato un coprifronte da mukenin e lo bagnò con il sangue di quel ragazzo. Poi lo gettò a terra.
    Piantò nel terreno la katana del giovane, a pochi passi dal suo corpo. Nel farlo, fece attenzione a penetrare con la punta il pezzo di tunica che aveva reciso.
    Quello sarebbe stato un degno altare per il proprio ideale.
    Non aveva il tempo di seppellire il cadavere, sperava lo facessero i suoi commilitoni.
    Per facilitare il ritrovamento del cadavere, prese un segnale luminoso e lo sparò in aria.
    Di norma serviva per chiedere aiuto, ma sperava avrebbe funzionato lo stesso.
    Poi corse via, prima che qualcuno lo trovasse e si vendicasse.

    Devo diventare più forte se voglio liberare Tetsu e, comunque non potrò farlo da solo…

    Il timore stava minando di spegnere sul nascere il nuovo intento di Shirai, come sabbia gettata sopra un fuoco acceso. Shirai scosse la testa per scacciare la paura.

    Ci proverò, anzi ce la farò. Lo devo a quel ragazzo. Non sarà morto invano.


    La tempesta portò via ogni pensiero del giovane, lasciandolo solo, troppo concentrato a fronteggiare la forza del vento.
     
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    Colui che è e si spera sarà

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