Il male più nero

Infermeria x Tisy

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    "Sei sicura? Avete provato con i trattamenti standard?"

    Un uomo dal lungo camice bianco sulla quarantina stava rivolgendo l'attenzione verso lo schermo del suo computer, dove brillava nitidamente il volto femminile di una sua collega dottoressa:

    "Sì Jack, abbiamo provato di tutto, ma la malattia è troppo estesa ed aggressiva perché possano avere un effetto duraturo, lo abbiamo mandato da voi cosicché possiate provare a capirci qualcosa, so che siete oberati di lavoro ma un caso così non ci era mai capitato"

    Lui non rispose, fece un lungo respiro si lasciò sprofondare sulla sedia della sua scrivania, giusto prima di levarsi gli occhiali dalla leggera montatura e passarsi la mano destra davanti al volto:

    "Mmm sì... qui ormai andiamo avanti a caffé e ad imprecazioni, non riesco nemmeno a ricordarmi l'ultima volta che sono riuscito a farmi più di tre ore di sonno consecutive...in ogni caso va bene Susan mandalo qui da noi con l'elenco di tutti gli esami e tutte le tecniche mediche che avete utilizzato, me ne occuperò appena entra in reparto"

    La sua voce stanca e quasi sconsolata trovò però un profondo e sincero sorriso di gratitudine:

    "Grazie, davvero stavamo cominciando a perdere le speranze, se puoi tienimi informata sugli sviluppi e salutami le bambine"

    Jack sorrise un'ultima volta alla donna prima che lo schermo tornasse di nuovo spento, si tirò su dal suo seggio con un poderoso colpo di reni che avrebbe quasi certamente pagato la mattina successiva, ma non poteva fare altrimenti, aveva già perso fin troppo tempo, a quel punto della giornata sapeva di volere un bicchiere di vino rosso, un bacio di sua moglie, uno da dare alle sue figlie e un posto dove poter schiacciare un pisolino, l'ordine di quelle cose però era ancora da definire.

    [...]

    Il paziente speciale arrivò poco dopo l'ora di pranzo a seguito di un lungo e travagliato viaggio, non servirono troppi avvisi dato che al ragazzo, per lo più cosciente, fuoriuscivano ad intervalli regolare sangue dalla bocca e dal naso, aveva evidenti difficoltà respiratorie ed forti tremori, per di più ogni colpo di tosse finiva per sporcare sempre di più la sua ormai zuppa maglietta; Jack in quel momento si trovava proprio a due passi dall'ingresso della clinica, stava leggendo la cartella di un signore di mezza età che si era rotto il femore destro cadendo dalle scale, una quasi comune rispetto alle decine di ninja feriti e in fin di vita che gli venivano portati ogni giorno, quando però si rese conto della situazione di quel ragazzo sgranò leggermente gli occhi e passò la pratica ad una vicina infermiera per fiondarsi sul giovane e rivolgersi all'uomo che se ne stava già occupando:

    "Portatelo subito in una sala di isolamento, fategli un controllo ematico completo e somministrategli dei sedativi leggeri per ridurgli i tremori, verificate che sia in grado di respirare correttamente da solo in caso contrario intubatelo, non dategli altro finché non mi rendo conto di che cosa possa avere"

    Il collega annuì vigorosamente e dopo aver dato un cartelletta al suo superiore trascinò con celerità la barella con il povero Atshushi in costante lotta tra la coscienza e lo svenimento verso un lungo corridoio blu pieno di stanza laterali che terminò in due grandi porte aperte e un ampio ambiente rinfrescato, illuminato da luci poste sul soffitto e riempito di diverse apparecchiature mediche; Jack seguì la barella allontanarsi scuotendo lentamente la testa prima di leggere i vari fogli che la sua amica gli aveva mandato:

    "Wow, non scherzava per niente, anzi è lodevole che sia riuscito ad arrivare fin qui in quello stato, se non lo operiamo subito e leviamo il sangue dai polmoni sarà ancora più difficile capirci qualcosa, spero di riuscire a fare in tempo"

    L'uomo richiuse con forza la cartella e se la mise rapidamente in tasca prima di dirigersi a passo svelto verso la stanza dove avevano portato quel ragazzo, la sua vita era appesa ad un sottilissimo filo ed ogni secondo non era importante, era fondamentale.

    tisy16 Ecco qui la tua infermeria, data la gravità delle tue ferite dovrai farmi 6 post, meglio scriverai e meno malus avrai al termine delle cure d'emergenza, quindi facci sognare :B):
    Ora descrivimi il viaggio dal campo a Kiri, sappi che come ho scritto il tuo pg sta soffrendo parecchio, ha forte dolorabilità in tutto il corpo, forte dolore alla testa e al petto, difficoltà respiratorie e sangue che gli esce dal naso e dalla bocca, oltre ad essere in uno stato di perenne confusione e svenimento per via del danno al cervello, fammi vedere che sai fare :rosa:


    Edited by Stompo - 5/10/2018, 00:50
     
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    Sognai una spiaggia. I miei piedi nudi calpestavano minuscoli granelli affondandovi per metà della loro altezza. Era una sensazione piacevole avvertire il calore che si propagava dalla terra ai miei piedi. In fin dei conti era l’eterna ciclicità della vita. Il sole arroventava la sabbia e da essa i miei piedi traevano calore trasferendolo al resto del mio corpo e da questo si disperdeva nell’atmosfera ritornando alla sua fonte originaria. Funzionava davvero così? Quali pensieri mi tormentavano? Quali e quante irrazionali illazioni scaturivano dalla mia mente?

    Dov’ero? Sì, ecco. Mi ero smarrito. Ero su una spiaggia. Faceva caldo ed ero nudo. Perché ero nudo? Mi metteva a disagio. Scrutai il litorale sabbioso da una parte a l’altra senza vedere nulla se non una piatta distesa di un giallo sporco. Ero solo, intorno a me, nessuno. C’era il mare luccicante e c’erano le onde che si infrangevano sulla spiaggia svanendo in una schiumata bianca. Alle mie spalle cresceva una fitta vegetazione. C’erano pini e abeti, querce e faggi, castagni e noci, ma anche palme e altre piante a cui non avrei saputo attribuire un nome. E potevo anche scorgere i dolci pendii delle colline erbose ed irti monti rocciosi.
    E il cielo? Il cielo era sereno, tinto di un’unica tonalità di azzurro vivace. Non avrei saputo dire se fosse mattina o pomeriggio.

    Mi sentivo così sereno nell’animo che dimenticai di chiedermi dove fossi. Ma fu un attimo effimero. Una sensazione giunta e sparita come il bagliore di un fulmine. La sabbia vibrò sotto i miei piedi diventando improvvisamente fredda, runandomi tutto il calore donatomi fino ad un attimo prima. Il sole si spense come fosse stato una flebile candela e l'oscurità invase la spiaggia. Il cielo, un attimo prima terso, si era fatto cupo, con bassi nuvoloni neri come la collera. Neri come la Morte. Il mare si era gonfiato diventando anch’esso più scuro, abbandonando le tenere tonalità di blu per adombrarsi fino a quando l’acqua non sembrò pece.

    Ci fu un tuono senza che nessun fulmine lo avesse preannunciato. Fu un tonfo sordo e potente tale da scuotere l’intera volta celeste. L’aria vibrò e le terra tremò paurosamente sotto la sua onda d’urto. Il terrore mi afferrò il cuore mentre tutto intorno a me perdeva colore. Le foglie degli alberi da verde smeraldo divennero grigie, i loro tronchi neri. La sabbia si scurì fino ad amalgamarsi con quel mare di pece le cui onde erano ora diventati cavalloni alti come case.

    La sabbia nera cominciò a scivolarmi da sotto i piedi e la testa prese a vorticarmi ed udii il sibilo del vento e lo sentii freddo sulla pelle nuda. Intorno a me alberi divelti si tuffavano in mare ed onde immense assaltavano le montagne come se volessero sommergerne le cime. Per un attimo il mondo perse il suo ordine e la terra e il cielo si invertirono. Ero terrorizzato da quel cataclisma e mi sforzai con tutte le mie energie di fuggire da quel sogno malevolo. Perché doveva solo essere un incubo, giusto? Allora mi sarei dovuto soltanto svegliare… bastava che io aprissi gli occhi… e…

    Ero in balia dei miei sensi offuscati e non vedevo niente, ma potevo sentire. Sentivo con orecchie ovattate il rumore di una perdita: una goccia ritmicamente si infrangeva sul pavimento con un sonoro “ploc”. E sentivo, o meglio, si faceva sentire un dolore diffuso dalla testa al petto e da lì si diramava come il sangue nelle arterie raggiungendo ogni cellula più remota del mio corpo inondandola di dolore. Non respiravo, ma vivevo. Quindi dovevo respirare. Tuttavia non sentivo più il mio corpo muoversi ma soltanto fitte spasmodiche sulla nuca e in petto. Non avevo più un cuore, bensì una lama che taglia e sfilaccia ad ogni battito. I polmoni erano mantici che soffiavano sulle braci della mia sofferenza. Ma ero sveglio? Mi ero svegliato in un incubo anche peggiore di quello da cui volevo scappare. Mi lasciai scivolare nel portale verso il mondo onirico chiudendo dietro la porta a quella realtà dolorosa nella quale ero intrappolato.

    E così i miei piedi furono di nuovo immersi nella sabbia. Il cataclisma sembrava essersi calmato. Il cielo era grigio e le onde non superavano i due metri. I colori degli alberi e delle montagne erano spenti ma senza quel tono catastrofico di apocalisse. Eppure qualcosa non andava. Capii di essere distante dal litorale sabbioso e dal continente oltre di esso. Mi trovavo su una deformazione terrestre che si era allungata verso l’oceano, forse a causa della violenta tempesta di prima. C’era ancora una striscia di terreno a tenere unito me e la mia futura isola al continente. In quell’esile istmo sabbioso riconobbi un’importanza fatale. Come se tutta la mia vita dipendesse da quel collegamento così fragile. Cosa voleva dire? Che fossi in punto di morte e mi stessi allontanando sempre di più dalla vita e dal mondo rappresentati dal continente sempre più lontano? Questo avrebbe giustificato il dolore che provavo nella vita oltre il sogno. E la tempesta? Ricordo di essere stato investito da una bomba d’aria o di fuoco o di pioggia. Non saprei dirlo. Qualcosa doveva essermi successo.

    Ehi, ma guarda. I monti sono sempre più piccoli e atoni. Gli alberi sembrano essere diventati sagome scure e la spiaggia… sì, quella misera striscia in lontananza… Sto andando alla deriva… Sto… morendo? Forse…

    L’istmo si riduceva a vista d’occhio, scorticato dalle onde da ambo i lati. L’ultimo ed unico mio collegamento con la vita. La sola cima alla quale mi sarei dovuto aggrappare per risalire dal mondo dei morti a quello dei vivi. Ed era lì, gracile e debole in procinto di spezzarsi da un momento all’altro una volta per sempre. Come la mia vita.
     
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    Jack era un chirurgo con tanti anni di esperienza alle spalle, aveva operato centinaia di persone con successo e si poteva dire che nella sua vita professionale aveva visto di tutto, o almeno così pensava. L'uomo varcò la porta della sala operatoria con addosso un camice sterile, capello e mascherina protettiva e già in testa tutto ciò che doveva essere fatto per poter dare al giovane qualche speranza di uscire vivo da quelle quattro mura e non si stupì nel vedere il povero paziente già incosciente e con una maschera che oltre ad aspirargli il sangue gli permetteva un minimo di respirare, ora toccava solo a lui cominciare le danze. Tutti i presenti, un collega più giovane, l'anestesista e altre due infermiere di supporto, lo videro chiudere gli occhi, unire con decisione entrambi le mani al petto e rimanere in quella posizione per qualche secondo e in istante le sue mani vennero ricoperte da un'aura di colore azzurro, non imponente o pericolosa ma bensì flebile ed appena accennata, un pratica che Jack aveva fatto centinaia di volte, eppure mai come in quell'occasione si era sentito così stanco e spossato, la mancanza di sonno stava davvero diventando un problema:

    "Comincio l'incisione, Hanzo stai pronto a contenere l'emorragia, avremo poco tempo per operare"

    Il collega si limitò ad annuire per poi prontamente avvicinare entrambe le mani coperte di un'aura verde al petto del ragazzo dal lato opposto del suo superiore, si leggevano palesemente sul suo volto sia la stanchezza arretrata che una genuina preoccupazione, lunghe e difficili ore li aspettavano.
    Dal preciso istante in cui la mano di Jack andò ad incidere su di un incosciente Atsushi, cominciò quella che avrebbe ricordato come l'operazione più lunga e difficile della sua vita: sangue a fiumi, organi interni sofferenti, più volte il ragazzo rischiò di andare in arresto cardiaco, tutto per colpa di numerose masse di tessuto anomalo che erano distribuite all'interno dei polmoni e di quasi tutti gli altri organi del tronco, aveva letto e trattato alcuni casi simili ma mai si erano rivelati così estesi in soggetti così giovani, una qualsiasi altra persona di età superiore alla sua non sarebbe mai riuscito ad arrivare nemmeno vicino alle porte dell'ospedale di Kiri, quel ragazzo doveva avere davvero qualcuno di importante a proteggerlo lassù in cielo...
    Le ore passarono senza sosta, quando il capo chirurgo finì di richiudere il petto del giovane il giorno aveva da tempo lasciato spazio alla notte, tutto lo staff era stanco e a corto di energie, malgrado la situazione sembrasse stabile Jack sapeva che quello era solo il primo round di una lunga e sanguinosa battaglia:

    "Ottimo lavoro ragazzi, al momento il giovane sembra stabile, dategli una sedazione leggera per quel che resta dell serata e poi interrompetela, da sveglio gli farò qualche domanda per capire cosa gli è successo e lo terrò in osservazione per qualche giorno, ci ancora dei valori sanguigni che non mi piacciono..."

    Finì di parlare levandosi mascherina e capello e mettendoli entrambi in una cesta con gli altri abiti sporchi, aveva ormai abbandonato, come del resto anche i suoi colleghi, la speranza di tornare a casa e di prendersi quel tanto agognato riposo, perciò si diresse a passo lento verso il suo ufficio e senza nemmeno salutare le due infermiere che gli passarono davanti prima imboccare la sua porta color pesca si lasciò cadere a peso morto sulla branda che aveva messo accanto all'ingresso.

    [...]

    Atshushi si svegliò stanco e spossato in una bianca stanza d'ospedale, era sdraiato su di un letto con il braccio attaccato con devi cavi ad una macchina che emetteva un ritmico e continuo rumore oltre che presentare dei numeri in continuo movimento che però non gli dicevano nulla di particolare; la stanza in cui si trovava aveva una piccola finestra a vetri che garantiva una modesta illuminazione e oltre alla porta d'ingresso presentava solo un piccolo comodino alla destra del letto e un pianta grassa piena di spine posta in un angolo lontano. Prima ancora di poter provare a dire qualcosa, il giovane avrebbe visto la porta aprirsi con delicatezza, rivelando un uomo sulla quarantina ma abbastanza atletico dai corti capelli biondi e una paio di occhiali da vista con una leggera montatura muoversi sorridente verso di lui:

    "Ah perfetto vedo che sei sveglio! Sono il dottor Misaka, ma puoi chiamarmi Jack se lo trovi più comodo, cerca di muoverti il meno possibile,ti sentirai a pezzi con mal di testa, magari vomito, dolorabilità generalizzata, fa attenzione soprattutto ai punti sul petto e sull'addome, sono ancora freschi e non vorrei che si potessero aprire..."

    Il dottore si avvicinò lentamente al volto del ragazzo e sollevando l'una dopo l'altra entrambe le palpebre diede per qualche secondo una controllata agli occhi prima di proseguire il discorso:

    "Scusa se sono così invasivo, non se te lo ricordi ma hai passato davvero dei brutti momenti, ti abbiamo dovuto operare d'urgenza ai polmoni per evitare che soffocassi nel tuo stesso sangue, per di più li avevi completamente pieni di un tessuto anomalo dannoso che mai avevo visto in così grande quantità e concentrazione, sai dirmi per caso che cosa ti è successo prima di dover essere portato in infermeria e finire in questo stato?"

    Jack si allontanò di qualche passo per dare un po' di respiro al giovane e per poter ascoltare per bene quello che gli avrebbe potuto dire, si era già fatto delle idee ma ogni altro dettaglio avrebbe potuto rivelarsi a dir poco fondamentale.

    Perfetto continuiamo, ovviamente l'operazione te la fai da incosciente quindi vedi tu come gestirtela, per il resto i sintomi li ho scritti, a te :rosa:
     
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    Sognai ancora. Sognai o forse ricordai mio fratello Nomosi. Lo avevo incontrato dopo essere tornato da Kumo con un polmone forato. In realtà fu uno strano incontro. Non avrei saputo affermare con certezza che si trattasse di un incontro reale. Ricordavo una fitta nebbia ed i miei sensi intorpiditi. Alcuni dettagli sfocati, altri troppo minuziosi. Sembrava più in incubo. Mi aveva accusato di non essere stato all’altezza del mio scontro con l’ishivariano e, più in generale, di non essere all’altezza di alcuna sfida la vita potesse pormi ad affrontare. Forse aveva ragione. Anche nella guerra in cui ero stato chiamato a partecipare avevo potuto fare ben poco. In quel momento non ne ricordavo nemmeno l’epilogo soltanto un grosso boato e poi tanto luce, come… come se fosse esploso il sole.
    Prima ancora di quel giorno, Nomosi mi venne a trovare nel coma in cui ero sprofondato a seguito delle ferite alla cassa toracica subite a Kumo da Azibo, l’ishivariano. In realtà non ero stato in grado di distinguere la sua figura poiché aveva lineamenti tratteggiati da ombre scure ed occhi piccoli come fessure, ma alla luce del secondo incontro e delle sue parole avevo potuto ricollegare i due individui in un solo uomo, Nomosi. Mi aveva parlato del destino ingiusto e del mio sangue…
    “sangue antico”…
    “più degli stessi villaggi” …
    Cosa volesse dire, lo poteva sapere soltanto lui. Io credetti che si trattasse soltanto di un mio vaneggiamento. Eppure, in quel momento di dolore e confusione pregai negli dei in cui non credevo per essere davvero speciale, abbastanza da poter sopravvivere. Provavo dolore, ma era un male così forte e logorante da non essere focalizzato su un punto ben preciso. Invece era diffuso in tutto il mio corpo, lasciandomi libero soltanto nel mondo folle dei sogni. Purtroppo anche le mie pareti mentali stavano mostrando segni di cedimento e con lui il mio mondo onirico sembrava essere sul punto di apocalisse fatale.
    Così sprofondai di nuovo nel limbo dei morti. Dove stazionano le anime in attesa dell’ultimo traghetto della loro vita, quello che porta oltre le porte dell’Oltretomba solcando un fiume di sangue, ossa e lacrime. Invece, il limbo era soltanto una distesa piatta e nera, fatta di oscurità e silenzio. In lontananza scorsi un’ombra leggermente meno scura dell’orizzonte nero avvicinarsi a me. Tentai di deglutire, ma il groppone mi rimase in gola. Avevo paura di un altro incontro scontro con Nomosi. Non volevo sentirmi dire di essere un inetto, buono a nulla. Ma prima che fosse abbastanza vicino per parlarmi, la nera cupola che fungeva da cielo crepitò. Ci furono alcune scosse e subito dopo si aprirono delle crepe dalle quali cominciò a filtrare sangue. Ci fu un boato e il cielo nero esplose sotto il peso di un oceano rosso come il sole al tramonto. Finii sommerso da quel liquido rossastro che mi entro nel naso, in bocca e giù in gola fino ai polmoni, inondandoli. Rimasi strozzato senza più ossigeno in circolo. I piedi si staccarono dal fondale nero e rimasi fluttuando come un’alga strappata dalla roccia.
    *
    Riaprii gli occhi sotto un cielo bianco. Sentivo un formicolio al braccio e lo scoprii collegato a un macchinario che emetteva ritmicamente un rumore mentre una sequenza di numeri si susseguivano su un display verde. Mi soffermai a leggere quelle sequenze, sforzandomi di dar loro un senso fino a quando non mi sentii sprofondare nel vuoto e la testa prese a vorticarmi. Feci appena in tempo sporgermi dal letto in cui ero steso per rimettere una breve colata di acido che mi arse la bocca l’esofago lasciandomi quell’insopportabile sapore acre in bocca. Mi risistemai sul letto trovandomi di fronte un uomo di mezza età fissarmi. Mi sorrise e si presentò come il mio medico curante. Mi informò circa la mia situazione e si avvicinò per controllarmi l’addome e così venni a scoprire di essere ricoperto di punti dovuti ad un’operazione. Io ero ancora stordito dal mal di testa e da una serie incalcolabile di dolori e fastidi di vario genere mentre il dottore mi chiese cosa mi fosse accaduto.
    Lo guardai con gli occhi sgranati e vacui. Mi sforzai di ricordare cosa fosse successo, ma ci misi un po’ per riesumare un affresco di immagini sconnesse e confuse. Mi sforzai di sistemarmi meglio sul letto prima di rispondergli.
    -Non…- Avevo la voce rauca e la schiarii provocandomi un dolore immenso.
    Notai una bottiglietta d’acqua sul comodino alla mia destra e allungai il braccio libero per tentare di berne un sorso.
    -Non ricordo cosa mi sia successo.- Ripresi con un filo di voce.
    -Ero in guerra e qualcosa di invisibile mi schiacciava al suolo.-
    Feci una pausa.
    -Mi ero rassegnato a morire.- Guardai il mio interlocutore per vedere cosa avrebbe pensato di uno shinobi che china la testa di fronte al boia.
    -Poi c’è stato un boato e un’ondata di luce ardente mi ha investito. Ci ha investito.-
    Rimasi in silenzio, ripensando a quei tragici momenti.
    -E poi mi sono svegliato qui. Non ricordo altro.-
     
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    Il ragazzo, come previsto del resto, era spossato, stanco, confuso, dava l'impressione di essersi risvegliato con dei brutti pensieri in testa e non sembrava ancora essersi ripreso del tutto, lo si poteva biasimare? Jack ascoltò le sue parole con attenzione, purtroppo per lui non c'era molto su cui lavorare, ma era evidente come il ragazzo in qualche modo si vergognasse di quello che aveva provato in quell'occasione, che in qualche modo se ne facesse una colpa, avrebbe tanto voluto dirgli che il peggio era passato, ma nello stato in cui si trovava sarebbe potuto quasi suonare come un commento sarcastico:

    "Va bene va bene tranquillo, non ci pensare e non ti preoccupare, adesso pensa solo a riposarti, purtroppo dovremo tenerti qui per farti altri esami e capire l'entità del danno e studiare una possibile terapia, fino ad allora tu cerca di non pensare ad altro che alla tua personale salute e se dovessi sentire qualcosa di anomalo non esitare a chiamare qualcuno con il tastierino che trovi accanto al tuo letto..."

    Il dottore gli indicò l'oggetto in questione che si trovava poco oltre alla sua sinistra:

    "Questo è quanto, se non ti serve sapere altro ti lascio..."

    Prima che finisse la frase l'uomo venne interrotto dall'apertura improvvisa della porta della stanza da cui fece capolino una bassa e bionda infermiera che porta all'altezza del petto un vassoio con un bicchiere ed una boccetta piena di un liquido giallognolo; Jack si girò sorpreso all'inizio ma non appena riconobbe l'intrusa annuì vigorosamente:

    "Ah perfetto giusto in tempo! Questo è qualcosa che dovrebbe aiutarti a gestire i fastidi che stai avvertendo, so che ha un saporaccio ma ne devi bere un bicchiere ogni 6 ore, ne va del tuo bene..."

    La donna finì la frase del dottore avvicinando alla bocca del giovane un bicchiere di quello strano liquido, che oltre al colore rassicurante aveva anche un odore poco invitante, ma purtroppo le medicine erano medicine. Bevuto quel liquido al giovane sarebbe rimasto bene poco da fare, entrambi i suoi curanti si sarebbero congedati e lo avrebbero lasciato per un paio d'ore a riposare e far agire le medicine che avrebbero alleviato notevolmente gli effetti indesiderati, ma quello era solo il primo giorno di degenza di una lunga serie, lento cammino verso una guarigione quanto mai incerta.

    [...]

    Una settimana passò tra esami clinici, lastre, ecografie prelievi di sangue e di tessuto infetto, il polmone rispose bene all'intervento, fortunatamente la porzione rimossa non aveva intaccato un elevato numero di lobi permettendo all'organo di mantenere una buona capacità respiratoria, anche se ci sarebbero voluti parecchi mesi per poterlo far abituare ad un elevato stress aerobico, il problema però si era spostato altrove:

    "Ti dico che ci abbiamo già provato, le tecniche basate sul calore favoriscono lo sviluppo del tessuto dannoso, quelle basate sull'acqua lo rallentano momentaneamente, per di più si sposta attraverso il sistema linfatico, attaccandolo troppo direttamente si rischia di fargli abbassare troppo le difese immunitarie con un rischio di fargli prendere altre malattie e se è ancora vivo è solo grazie a quello..."

    Jack stava parlando nuovamente al suo computer, aveva due grandi borse sotto gli occhi e sembrava sul punto di crollare a terra dal sonno da un momento all'altro, sfogliava freneticamente dei fogli di una cartella che teneva sulla sua scrivania mentre con il mignolo della mano destra si sistemava gli occhiali:

    "Lo so lo so, ma non possiamo nemmeno operarlo di nuovo, il suo corpo non reggerebbe ad uno stress simile e di certo non ha ancora smaltito la precedente anestesia, mandarlo in arresto cardiaco mi sembra l'ultima cosa che vogliamo ottenere..."

    La donna dall'altra parte dello schermo condivideva sia la stanchezza che le occhiaie, anche se erano in parte mascherate dal pesante trucco che si era messa addosso:

    "Certo quello ormai è fuori questione, il problema è che le cellule infette vengono ancora in parte riconosciute dall'organismo come proprie, quindi la risposta immunitaria è bassa, l'unica cosa che ci rimane da fare è... provale a bruciarle in modo mirato, forse è rischioso ma non vedo altro modo"

    Susan scosse la testa, non perché fosse in disaccordo ma semplicemente perché si stava rendendo conto che stavano ormai girando a vuoto:

    "E come vorresti farlo? L'unico modo sarebbe provare con le...aspetta non avrai mica intenzione di metterlo sotto ai raggi X vero?"

    Il tono era al limite dello sconvolto, ma si trasformò in semplice curiosità mano a mano che ci rifletteva sopra:

    "Sì, è l'unico modo, raggi a bassa intensità mirati nei punti di accumulo delle masse infette dovrebbero ridurle progressivamente, minimizzando i danni ai tessuti sani, certo è come mettersi a lanciare dei kunai ad un bersaglio in una cristalleria ma onestamente non vedo altre vie di uscita e più tempo perdiamo a pensarci e meno ce ne rimane per intervenire"

    La sua collega a quel punto si limitò ad annuire, sapeva perfettamente che era forse l'unica via di uscita da quella situazione, ma era qualcosa che non era mai stato provato con delle malattie così estese, se avessero esagerato con l'intensità dei raggi avrebbero potuto provocare dei danni permanenti o peggio, ma se invece fossero stati precisi avrebbero potuto risolvere la questione una volta per tutte, l'ultima battaglia contro quel tetro male stava ormai per cominciare.

    Siamo a metà, qui è passata una settimanella di esami e di degenza, immaginati la (divertentissima) routine che il pg starà passando e poi procediamo a grandi passi verso la fine :rosa:
     
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    Passai così tanto tempo in ospedale da perdere il conto delle ore e dei giorni. I primi giorni passarono senza che gravassero eccessivamente sulla mia sanità mentale. Le parole del dottor Misaka non furono per nulla confortanti e riuscirono ad accrescere la confusione regina dei miei pensieri. Io non sapevo cosa mi fosse successo e perché stessi così male, mentre l’esperto in materia pur avendomi già operato si trovava posto di fronte a un caso fuori dal normale, difficile da trattare.

    In effetti non era neanche facile per me definire il mio male perché provavo dolore, sì, ma non avrei saputo classificarlo in una categoria ben definita. Erano pulsazioni dolorose o era un’infiammazione che mi consumava lentamente? Lo sentivo nelle ossa, nelle articolazioni e nella carne. Ero dentro di me come corpo estraneo ed era parte integrante di me. Non riuscivo a stare steso, ma il solo pensiero di muovermi mi faceva gemere e stringere i denti. Inoltre, ero costantemente legato con un braccio a quello strano macchinario che emetteva di continuo suoni proiettando sequenze numeriche all’infinito rendendo esasperante anche cercare di prendere sonno. Come se non fosse già abbastanza difficile con quel logorante male che mi divorava dall’interno.

    Mi veniva somministrata come medicina soltanto uno strano liquido giallognolo contenuto in piccole ampolle di vetro. La prima volta lo dovetti ingurgitare sotto lo sguardo severo del dottore con l’ausilio di un’infermiera dall’aria docile ma con mani forti, con le quali mi strinse la mascella inferiore aprendo un varco per quel medicinale infernale. L’odore? Nauseabondo! Il sapore? Di carne rancida! Gli effetti? Beh, sorprendenti!
    Quando rimasi solo nella mia stanza, inizialmente mi sentii come prima, anzi, anche peggio perché alla bocca incattivita di vomito avevo aggiunto il saporaccio della medicina. Tuttavia con il lento scorrere dei minuti fu come se la mia mente si sganciasse dal mio corpo, lasciando con esso tutti i dolori e gli affanni.

    Mi risvegliai disturbato da un tocco deciso. Aprii gli occhi e riconobbi l’infermiera di prima. Stavolta reggeva in mano un vassoio.

    -La cena!-

    Io non mi mossi e la guardi con gli occhi stretti come due fessure.

    -Riesci a mangiare da solo? No che non ci riesci!-

    Sentenziò e senza darmi la possibilità di replicare cominciò a infilarmi in bocca una minestra scialba. La guardai con un misto di gratitudine e vergogna mentre continuava ad affondare il cucchiaio nella ciotola per poi rovesciarmelo in bocca. Con la sua risolutezza mi aveva risparmiato dall’umiliazione di ammettere di non essere in grado neanche di mangiare autonomamente. Terminato il vergognoso siparietto, mi obbligò a riprendere la medicina che accettai con meno remore, conscio del profondo sonno in cui sarei scivolato nel giro di poco.

    *



    Fui svegliato dalla colazione che si svolse nelle stesse modalità della sera precedente, ma da un’altra infermiera che si rivelò più chiacchierona della prima. Fortunatamente fu un pasto rapido, ma fece comunque in tempo a tempestarmi di domande e a rispondersi da sola parlando di sé, delle sue passioni finendo sempre a parlare del figlio. Così appresi di come fosse anch’egli un ninja. Era addetto agli uffici logistici così non faceva altro che protocollare fogli e roba varia. Tuttavia per sua madre era un eroe. Come lo ero anch’io, almeno per lei. Quando mi servì la mia medicina, bevvi quel pus giallastro con tale avidità da lasciare la paffuta donna meravigliata.

    -Dall’odore non mi sembrava tanto buono. Riposati, piccolo!-

    Dannazione! Cercai di spegnere il cervello aspettando il coma profondo in cui mi avrebbe fatto sprofondare quel medicinale affinchè dimenticassi quel quarto d’ora estenuante.

    “Un eroe uno spulcia carte… ma che cretina!”

    Un sorriso beffardo mi si appiccò in viso mentre le palpebre calavano sul soffitto bianco dell’ospedale.

    “Un eroe un storpio buono a nulla come me…”

    *



    Fui nuovamente svegliato dall’ingresso di qualcuno nella mia piccola stanza illuminata dalla fioca luce autunnale filtrata da una piccola finestrella quadrata. Due infermieri che parlottavano tra loro del praticantato entrarono nella stanza spingendo una sedia a rotelle. Ignorandomi completamente, come fossi un manichino, mi liberarono il braccio dalla macchina e mi sollevarono per poi poggiarmi sulla seggiola con le ruote e mi spinsero fuori dalla stanza. Non mi rivolsero mai la parola, mentre mi spingevano tra corridoi bianchi ed ascensori fino ad una stanza dove trovammo un uomo col camice bianco (loro indossavano pantaloni e magliette blu) il quale ordinò distrattamente di “mettermi in posizione”.

    Fui posizionato vicino a un grosso macchinario simile ad un pertugio cavernoso ma bianco e luminoso come ogni cosa in quell’ospedale. Fui fatto sdraiare con la schiena rivolta verso l’alto e poi spinto all’interno dalla forza motrice dello stesso macchinario. Cominciarono ad alternarsi luci di vario di colore accompagnate da rumori fastidiosissimi. Io ero ancora frastornato dal medicinale assunto forse poche ora prima, considerando il fatto di non avere ancora pranzato. Le luci si stabilizzarono su un blu opaco, ma i rumori continuarono incessanti, simili al ritmico battito di tamburi e di porcellana infranta, fino a quando, dopo un lasso di tempo in cui credetti di aver perso i sensi, fui fatto scivolare fuori dal rumoroso macchinario. Qui, con la stessa indifferenza di prima, i due tirocinanti mi caricarono dolcemente sulla seggiola e mi ricondussero nella mia stanza. Mi sistemarono sul letto riallacciando il mio braccio alla macchina dei numeri ed andarono via, parlando di quanto fosse bella e “disponibile” la nuova infermiera di urologia.

    Non riuscii a prendere a sonno, ma non dovette passare molto tempo fino all’arrivo del pranzo. Mio malgrado, c’era ancora la paffuta signora con i capelli a caschetto ed un amore smodato per il suo unico figlio.

    -Sai, mi sembra ieri quando si diplomò in accademia…-

    *



    I giorni si succedettero uno identico all’altro. Ormai ero completamente assuefatto a quella medicina che mi regalava sonni profondi privi di sogni o preoccupazioni. Colazione, pranzo e cena. Questa era la mia giornata tipo. Il massimo del brivido lo provavo quando i soliti due giovani vestiti di blu mi venivano a tirare su dal letto per infilarmi in strani macchinari controllati da uomini col camice bianco. Un paio di volte mi prelevarono qualche goccia di sangue. Di più non si poteva perché c’era la preoccupazione di rendermi più debole di quanto non lo fossi già. Non rividi più il dottor Misaka, anche se avrei voluto tanto chiedergli informazioni sul mio stato di salute. Sapevo che era inutile chiederlo alle persone incaricate della mia cura poiché ero abbastanza intelligente e lucido da identificarli come meri esecutori di servizi. Infermieri, tirocinanti, macchinisti. Per loro ero solo un paziente con annessi oneri e doveri per loro. Era il dottore a sapere la mia diagnosi e se fossi mai guarito.

    Purtroppo nella mia silenziosa degenza, cercavo di captare negli sguardi delle infermiere più sentimentali le mie possibilità di guarigione. E ciò che lessi riflesso nei loro occhi quando si incrociavano con i miei mi gettava nel più tetro sconforto. Continuavo ad essere imboccato e trattato alla stregua di un vegetale. Ormai ero stanco anche di dormire e il liquame giallo leniva a malapena il dolore che tornava incessante a battere incurante del mio esile corpo già stremato. Cominciai a piangere quando non dormivo. Piangevo perché cominciai a credere di aver evitato la morte per un male ben peggiore: l’impotenza. La stessa sensazione che mi aveva quasi fatto uccidere dai due pirati prima che io riuscissi ad avere la meglio su di loro in preda all’istinto folle della sopravvivenza. E mi ricordai anche dello sbigottimento provato quando il mukenin ci aveva sconfitto senza muovere neanche un dito. Quelle erano situazioni momentanee, fugaci momenti di debolezza, ma ora sarei diventato davvero impotente per il resto della mia vita. Non mi restava che piangere. Piangere per i sogni infranti e le promesse a me stesso infrante. Piangere per cancellare via le tracce di fallimento. Piangere perché invocavo silenziosamente la morte di venirmi a prendere.

    E siamo davvero a metà. Spero di essere andato bene finora!
     
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    La mattina prestabilita cominciò con il cambio della routine del giovane Atshushi, alle nove in punto infatti l'infermiera, invece che propinargli il solo bibitone, si limitò semplicemente a controllargli i punti, a fargli assumere per via orale liquidi e nutrimenti attraverso una modesta colazione per poi eclissarsi e lasciare al dottore che tanto si era fatto assente in quei lunghi giorni di degenza, l'uomo era visibilmente stanco e sfinito, le borse sotto gli occhi avevano ormai raggiunto livelli inimmaginabili e una ormai folta e riccia barba che aveva preso possesso del suo mento suggeriva come avesse ormai superato da tempo il suo limite:

    "Ciao...scusa se sono stato assente in questi ultimi giorni ma stavo lavorando giorno e notte a trovare una cura definitiva per quello che hai e dopo attente analisi ho trovato solo un' unica via possibile, se dovesse fallire anche quella...beh..."

    L'uomo non finì volutamente la frase, in altri momenti sarebbe stato probabilmente più discreto nel parlare di quelle cose ma a dirla tutta era un miracolo che riuscisse ancora reggersi in piedi:

    "Comunque non disperiamoci, oggi stesso sarei sottoposto ad un trattamento ai raggi X, so che l'idea può spaventare ma si parla di breve e concentrate emissioni che dovrebbero eliminare gli accumuli di tessuto dannoso sparsi nel tuo corpo, purtroppo questo ti porterà inevitabilmente a provare una forte stanchezza, frequenti mal di testa e una parziale se non totale perdita dei capelli, ma fortunatamente sei giovane e non appena avrai ripreso le forza ti ricresceranno in un batter d'occhio! Magari potessi avere io la stessa fortuna..."

    La battuta fu accompagnata da un debole sorriso a mezza bocca, un modo quasi ingenuo di voler stemperare una situazione che si stava facendo secondo dopo secondo più pesante; finito di parlare l'uomo si sarebbe avvicinato alla brandina del giovane e mettendogli una mano sulla spalla avrebbe cercato di dargli forza ed eventualmente consolarlo:

    "So che non stai passando un bel periodo, tra la guerra in atto e questa malattia di certo ti sembra di non aver più un attimo di respiro e di tempo per...per vivere, ma vedrai che risolveremo tutto il risolvibile, se tu sei il primo a volerti liberare di quello che hai dentro vedrai che non ci sarà niente che ti potrà fermare."

    Jack sarebbe rimasto fermo in quella posizione per qualche secondo, arrivando persino ad abbracciare il giovane nel caso in cui il ragazzo fosse arrivato a scoppiare a piangere o simili, purtroppo aveva visto tante volte le persone venir distrutte dai propri mali, era la maledizione di chi come lui faceva il suo mestiere, vedere decine e decine di anime che si aggrappavano con tutto quello che avevano alla loro volontà di sopravvivere e la cosa che faceva più male era che spesso quella non gli bastava, per quanto lui potesse fare c'erano persone che sembravano in qualche modo essere destinate ad andare oltre e dentro di se il dottor Mikasa sperò che quel giovane non ne facesse parte.
    Finito quel forte momento emotivo il dottore sarebbe uscito dalla stanza e dando istruzioni precise alle infermiere avrebbe fatto trasferire il ragazzo in una piccola stanzetta dalla bianche pareti al cui interno vi era una struttura chiusa di due metri per due sul cui esterno erano stampati dei segnali di pericolo e una scritta:

    -Non aprire quanto attiva, pericolo biologico di tipo 2-

    In un lato lungo della stanza vi era inoltre una postazione con un computer collegata con degli spessi cavi neri alla struttura centrale e seduto sulla sedia al comando vi era proprio il dottore intento a sorseggiare l'ennesimo caffé conversando con un suo collega:

    "...sì va bene ma tu ricordati ti tenere bassa la frequenza, non vorrei che il ragazzo poi cominciasse a brillare buio...ah bene sei arrivato, possiamo cominciare!"

    Vedendo arrivare il giovane l'uomo avrebbe sbolognato la sua bevanda al vicino e avrebbe dato massima attenzione al giudice, cominciando a spiegare un po' più nel dettaglio che cosa gli sarebbe capitato e spiegando perché gli stessero mettendo addosso una specie di cappuccio imbottito, un gilet con alcune parti del corpo scoperte e un paio di occhiali protettivi:

    "Allora... guarda a quello che ti stanno mettendo addosso come a delle protezioni, di fatto non vogliamo che i raggi X vadano ad intaccare organi importanti non interessati dalla malattia, altrimenti rischieremo solo di aggiungere altra carne al fuoco...in ogni caso non appena sarai pronto verrai messo dentro quell'ambiente controllato ed ermetico studiato per evitare il diffondersi di eventuali radiazioni nocive e verrai colpito in punti strategici che abbiamo individuato dai nostri precedenti esami, sappi che questo processo è del tutto indolore, al massimo potresti avvertire un leggero tepore e calore nelle suddette zone, ma ti passerà al termine del trattamento, per la durata del quale ti consiglio di non parlare e di non muoverti, vedrai che prima che tu te ne possa rendere conto sarà già finito..."

    Un altro sorriso accompagnò le sue ultime parole, dopodiché Jack fece cenno all'infermiera di far entrare il ragazzo nella struttura e la vide chiudere la suddetta in modo attento e scrupoloso prima di terminare definitivamente il discorso parlando nel microfono che aveva davanti a sé e che era collegato all'interno della macchina:

    "Molto bene siamo tutti pronti, comincio l'irradiazione con i raggi x tra 3...2...1..."


    Eheh sappi che questo up ti costerà molto caro :jason: Scherzi a parte arriva fino a qui, poi nel prossimo c'è il trattamento vero e proprio e nell'ultimo chiudiamo in bellezza(con la tua morte) :rosa:
     
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    Quando il dottor Misaka entrò nella mia spoglia stanza lo trovai molto cambiato. Così tanto che faticai a identificare nell’uomo con una folta barba non curata, i capelli arruffati e le pesanti occhiaie lo stesso dottore che una settimana prima era venuto a diagnosticarmi un male pressoché incurabile. Io anche dovevo essere cambiato e glielo lessi nel suo sguardo e nella sua smorfia di dispiacere nel vedermi pallido, emaciato e debole disteso sul letto con flebo e macchinari annessi. Comunque, sembrava essere la mia giornata fortunata perché mi disse di aver trovato una cura.

    -Certo, è meglio una speranza illusoria di una rassegnazione certa.- Sospirai fingendo un sorriso. -In effetti, non ho neanche capito cosa mi è successo e perché io sia ridotto così…-

    Il dottore proseguì con la sua analisi del mio problema a cui aveva trovato un presunto rimedio a base di raggi x, un particolare tipo di trattamento che avrebbe potuto portarmi alla calvizia temporanea. Sorrisi mesto.

    -Dottore, in questi giorni ho pianto tutte le mie lacrime.- E mi sentivo davvero gli occhi gonfi, stremati. -Crede che per me valgano ancora qualcosa i miei capelli? Che ricrescano o meno, io voglio solo tornare a poter essere un ninja.-

    Il dottore si avvicinò al mio posto letto e mi poggiò una mano sulla spalla tentando di darmi conforto. Credevo di aver esaurito le lacrime, ma invece mi ritrovai di nuovo con gli occhi umidi. Tirai su con il naso.

    -Dottore, la prego! Faccia quanto è necessario, ma mi riporti a com’ero prima…- Faticavo a trovare le parole. -Prima… prima di quel massacro.- Un lampo mi squarciò la mente. -Dottore, quanti sono sopravvissuti? Tra i miei compagni nell’isola di Nagi, quanti?- Ebbi il presentimento che sarebbe stato meglio non sapere la risposta.

    Era ora di iniziare quella disperata terapia. Se avevo capito bene, e non era facile restare lucido con tutti quegli antidolorifici assunti, mi avrebbe bersagliato con dei raggi laser mirati a rimuovere i tessuti ostili e dannosi che si erano accumulati a livello polmonare. Chissà perché finivo sempre in ospedale per ferite ai polmoni. C’era una malevola coincidenza nei miei mali.

    Con le stesse modalità dei giorni addietro, fui trasportato fuori dalla stanza e spinto fino ad una stanza chiusa oltre una porta con un segnale di pericolo per radiazioni. Svuotato com’ero di ogni emozione, non mi preoccupai minimante di cosa sarebbe potuto accadermi all’interno di quell’ennesima sala bianca. Come sempre, c’era un computer collegato con spessi cavi neri a un macchinario che stavolta era simile a una piccola cabina posta al centro della stanza, dove venivano ribaditi i rischi da contagio di radiazioni. Come in un gioco di scatole cinese, fui condotto all’interno di questa stanzetta in miniatura e prima di chiudere la porta il dottor Misaka mi raggiunse per le ultime spiegazioni.

    Non avrei dovuto provare dolore, ma ovviamente sarei stato contagiato da radiazioni nocive sia per me sia per i tessuti che era nostro intento rimuovere per tentare di ridonarmi il benessere fisico. Pregai che durasse poco perché non riuscivo a sopportare più il lento scorrere del tempo poiché mi separava dal sapere se sarei guarito o se sarei rimasto uno storpio per il resto dei miei giorni. Guardai il dottore barbuto con occhi supplichevoli ed egli, comprensivo, fece partire il countdown dopo avermi sigillato all'interno di quella cabina radiologica. La buona riuscita dell’operazione per lui avrebbe rappresentato soltanto un grande successo medico, per me era una questione di vitale importanza tra la vita e la non vita.

    Temevo non avessi visto la mia risposta. La tua media di 24 ore per una risposta mi getta in allarme quando tardi :please:
     
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    -Beep...beep...beeeeeeeeeeeeee-

    La macchina fece qualche rumore di accensione di prima assestarsi su un unico e persistente suono che si sarebbe protratto per tutta la durata dell'allenamento, niente di particolarmente intenso o assordante, ma era senz'altro qualcosa che sarebbe molto velocemente diventato quanto meno fastidioso. Come si sarebbe sentito in quel momento il giovane Atshushi? Spaventato? Speranzoso? Solo lui in quel momento poteva davvero sapere cosa si provasse a stare ad un passo dalla vita quanto dalla morte, quella era la sua ultima spiaggia, l'ultima carta del mazzo, se anche quella non fosse andata in porto non avrebbe potuto fare altro che aspettare che quel persistente male lo portasse una volta per tutte nell'altro mondo. Ma in cosa davvero consistevano i raggi X? Se n'era spesso sentito parlare come elementi dannosi e nocivi per l'organismo, ma non nell'ambito medico dove si era riuscito a sfruttarli, dopo diversi studi ed esperimenti, per effettuare precise scansioni interne del corpo umano consentendo di poterne osservare con notevole qualità l'apparato scheletrico e non solo, erano infatti in fase di sperimentazione altre decine di utilizzi per scopi terapeutici, sebbene nessuno avesse mai pensato ad un trattamento del genere, il dottor Misaka era stato il primo ad avere quest'intuizione e aveva passato notti insonni a ipotizzare e ragionare su tutti i possibili rischi ed effetti collaterali di ciò che stava facendo al povero ragazzo, un salto nel buio sorretto dall'intuizione di un genio e poco altro:

    "La frequenza mi sembra buona, cerchiamo di mantenerla costante su questi valori per almeno altri 20 secondi, poi portala al 35 %..."

    Jack monitorava costantemente tutti i valori che la macchina gli forniva, sapeva che un minuscolo errore in quel frangente avrebbe potuto causare un disastro:

    "Tutto bene lì dentro?"

    La domanda sarebbe potuta sembrare quasi ironica, alla fine il giovane avrebbe potuto solo sentire un leggero tepore diffuso in tutto il corpo, lo stesso che si avvertiva quando ci si avvicinava molto ad un grande falò, in ogni caso niente di doloroso, ma non far sentire solo il ragazzo in un momento come quello era una delle tante piccole cose a cui il dottore voleva stare attento in quel delicato momento. La situazione rimase stabile per diversi minuti, nella stanza si sentivano solo il fisso rumore della macchina, i presenti avevano quasi paura di respirare per interrompere un momento che sarebbe senz'altro entrato nella storia delle medicina moderna in un modo o nell'altro. Dopo quella che sarebbe sembrata a tutti un'eternità il dottor Mikasa avrebbe interrotto il trattamento spingendo una lunga serie di tasti e portando finalmente alla morte quell'ormai penetrante rumore che lentamente si spense nel silenzio:

    "Perfetto, tutto dovrebbe essere andato come l'avevo immaginato, adesso faremo passare qualche minuto prima di farti uscire da lì, per essere sicuri che non possa fuoriuscire nessuna radiazione molesta, per il resto non possiamo fare altro che monitorare i tuoi parametri vitali nelle prossime ore e fare qualche controllo per vedere se le masse dannose sono diminuite di dimensioni e se quindi possiamo stappare qualche bottiglia di buon vino..."

    L'uomo parlava con voce ferma e cercava di mantenere la calma, sebbene si capisse quanto fosse contento che l'esperimento fosse arrivato alla sua conclusione, veder realizzare una lunga e sofferta idea era già di per sé un grande successo, ma si sarebbe tenuto dentro tutta quella contentezza fino al meno al momento in cui non sarebbe stato sicuro di poter salvare quel giovane ninja. In ogni caso il dado era tratto, dopo circa cinque minuti Atshushi fu fatto uscire dal macchinario, gli furono levate le protezioni e fu riaccompagnato nel suo alloggio, nessuno, medico compreso, decise di dire o di aggiungere altro, si limitarono a sistemarlo e a lasciarlo da solo, del resto tanti dovevano essere i pensieri che stavano quasi certamente affliggendo la mente del ragazzo e un po' di tempo per se stesso non avrebbe potuto che fargli bene.

    Penultimo post, ormai siamo alle battute finali, daje forte :rosa:
     
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    Fu un'operazione incredibilmente lenta e fastidiosa. Fui fatto sdraiare con le braccia distaccate dal dorso per lasciare quanta più superficie possibile libera per l'azione del macchinario. Un suono intermittente mi trapanava il cervello scacciando ogni pensiero quando, presumibilmente, i raggi laser entravano in funzione. Le parole del dottore risultarono vere perché non sentii alcun dolore, ma soltanto un lieve tepore dove il raggio colpiva la mia pelle. Era paragonabile al tepore dato dall'acqua calda, si sarebbe potuto definire addirittura piacevole.
    Tuttavia non era per nulla gradevole tutta quella situazione. Non ci misi molto ad estraniare il beep relegandolo a una parte remota della mia testa, riacquistando il dono del pensiero.
    Così la mia mente cominciò a vagare come un mendicante affamato vagabonda per le strade.

    Allo stesso modo ripercorsi gli avvenimenti di quei giorni. Dal viaggio in barca fino all'arrivo nello spartano accampamento; dal discorso del comandante alla sua sconsiderata decisione di lasciare tutti i Genin indietro senza una guida; dal sangue nostro versato alla nostra riscossa fino all'arrivo del mukenin, il quale, senza alcun cenno di pietà, massacrò alleati e nemici. O almeno ci stava riuscendo fino a quando il mondo non fu investito da un'onda blu che cancellò ogni forma, colore e traccia di vita. Tranne me e, speravo, quante più altri ragazzi possibile. Almeno coloro i quali erano rimasti a fronteggiare il nemico. Per quanto riguarda i traditori, coloro che se l'erano data a gambe, io... Beh, in fin dei conti ero pronto anch'io a voltare le spalle al villaggio, ma non l'ho fatto! Ed avrei accettato la morte come giusta punizione per non essere stato all'altezza, ignorando gli errori della superiore gerarchia. Ed allora con che diritto loro, i disertori, avrebbero meritato di vivere quando tanti altri erano morti coraggiosamente?

    I miei pensieri furono interrotti dal dottore che mi chiese come stesse andando. Mi aveva detto di non parlare e di non muovermi per la buona riuscita dell'operazione, ragion per cui non feci altro che fare un impercettibile gesto del capo. Andava tutto bene. Certo.
    L'unica persona che poteva sapere come stesse andando era lo stesso dottore che me lo chiedeva. Cominciai a riflettere su quella strana cura. Stavo venendo colpito da onde radiologiche altamente dannose per i miei tessuti, ma allo stesso tempo erano lesive anche per quei tessuti "malsani e di troppo" accumulati nei miei polmoni. E se oltre ai tumori si sarebbero portato via anche organi o muscoli importanti per le mie funzioni vitali? Mi stavo iniziando a preoccupare quando fu finalmente annunciato il termine del trattamento. A dimostrazione della pericolosità di quelle scariche radiologiche mi lasciarono ancora nel macchinario con la porta ben sigillata per lasciare ai raggi il tempo di disperdersi... O di essere assorbiti dal mio organismo. Ma che potevo farci? Era il prezzo della guarigione. Della speranza di una guarigione quanto mai incerta.
    Il dottore venne a rassicurarmi con la sua faccia stanca e trascurata, ma non potei non notare una piccola fiammella nei suoi occhi, il timido barlume della speranza. Accettai quel lume come pegno di garanzia e venni riportato nella mia camera stringendolo metaforicamente tra i palmi delle mani. Avrebbero seguito giorni di convalescenza e di test per verificare se l'operazione fosse andata a buon fine. Mi soffermai a pensare ai miei capelli neri e si erano allungati parecchio dall'ultimo taglio: mi sarebbe dispiaciuto perderli. Cominciavo già a pensare come se fossi già guarito sebbene non avessi ancora alcun riscontro scientifico, avevo soltanto la scintilla negli occhi del mio dottore. Una volta a letto, mi assopii
    profondamente con l'illusorio tepore della speranza a scaldarmi l'animo.

    vedo la luce alla fine del tunnel
     
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    Lungo era stato il viaggio che aveva portato il giovane Atshushi in quella bianca ed ormai familiare stanza di ospedale, tanto gli era successo e tanto aveva subito sulla sua giovane pelle, cose che altri non avevano mai vissuto nemmeno in tutta la loro vita, la vera domanda però era: sarebbe riuscito il ragazzo a scrivere altre pagine della sua vita o si sarebbe fermato a quell'ultimo e triste capitolo? Fu il dottor Mikasa a rispondere a tale quesito entrando diversi giorni dopo l'esperimento dentro quelle quattro mura, aveva riacquisiti maggior colorito dall'ultima volta che il giovane l'aveva visto e sorrideva in modo quasi contagioso tenendo con forza tra le mani una cartella chiusa che:

    "Buongiorno ragazzo! Ho per delle grandi, ma che dico grandi, strabilianti notizie!"

    Il ninja di Kiri era abbastanza pallido, stanco, poche energie e purtroppo per lui con meno capelli, aveva cominciato a perdere delle chiocce già dopo poche ore dal trattamento e avevano continuato lasciare il loro naturale rifugio senza un attimo di sosta:

    "Le tue ultime analisi sono ottime, le masse dannose si sono ridotte notevolmente e continuano a regredire ad un ritmo incoraggiante, posso dirti senza ombra di dubbio che abbiamo ormai scongiurato il peggio!"

    Un altro sorriso a trentadue denti scandì quelle ultime ed importanti parole, poche volte il medico aveva desiderato così tanto di poterle pronunciare:

    "Sappi che già da domani potrai essere dimesso, ma ci vorrà parecchio tempo prima che tu possa tornare al cento per cento, ti sentirai stanco, debole, soprattutto perché dovrai assumere giornalmente lo stesso medicinale che preso nel pre-trattamento per almeno 2 mesi, al termine dei quali dovrai tornare per un, si spera, ultimo controllo. Devo dire che ammiro la tua tenacia e la tua determinazione, nessuno ha davvero affrontato quello che hai passato tue e ne sei uscito vincitore, sono certo che uscito da qui non avrai problemi a gestire quello che la vita ti metterà di fronte..."

    Tutte parole che gli partivano dal cuore e vere, quel giovane aveva patito le pene dell'inferno, aveva provato dolori inimmaginabili eppure aveva avuto la costanza di arrivare fino in fondo, aveva senza ombra di dubbio lo spirito del guerriero. Quelle che accaddero dopo furono mere formalità, fu dato al ragazzo un flacone del medicinale che avrebbe dovuto prendere due volte al giorno con tutte le raccomandazioni del caso, compreso il pieno diritto del giovane di piombare nell'ufficio del dottore in caso di qualsiasi disturbo o problema insistente, Jack vedeva quasi un figlio in quel povero giovane e dopo quello che era riuscito a fare per salvarlo non poteva non essere presente.
    E così dopo innumerevoli giorni di obbligata prigionia Atshushi poteva finalmente mettere la testa fuori e respirare l'aria fresca, chissà se dopo tutto quello che aveva passato aveva ancora lo stesso sapore.

    Bene abbiamo finito questa opus magna, fammi il post finale e poi ti do l'exp, non sei morto ma per 5 eventi avrai la riuscita ridotta di 1/5 e dovrai ruolarmi in suddetti eventi la stanchezza dovuto al trattamento che hai fatto(ti lascio scegliere se ruolare o meno il fatto che ti prendi la medicina, non sono così cattivo dai XD). Goditi la tua libertà e spera di non dovermi rivedere postare qui con il tuo nome in descrizione :rosa:
     
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    Stompo, puoi prendere tranquillamente il max -4
     
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    Il giorno dopo fui portato ad eseguire i tanto attesi controlli. Avevo dormito bene e mangiato di gusto. Ero teso e preoccupato, ma mi illudevo di scorgere la luce oltre il tunnel. Sul cuscino avevo lasciato molti capelli neri ed altri ancora potevo vederli vedere volare via mentre venivo trasportato sulla carrozzina. Mi ripeterono alcuni degli esami fatti prima dell'operazione e venni ricondotto in camera per il pranzo. Ero ancora collegato allo strano macchinario e una flebo mi seguiva ovunque andassi perciò non potei mangiare da solo, ma dovetti essere ancora imboccato. Dopo pranzo, vinto da una soverchiante stanchezza, mi addormentai. Fui svegliato dal dottor Misaka, che fece capolinea dalla porta sfoggiando un viso più solare e disteso, incorniciato da una barba sale e pepe tagliata di recente.
    Entrò annunciando con un largo sorriso la buona riuscita dell'operazione. Non potei che esserne felice,ma sentivo già a pelle in me un cambiamento in positivo. Ma non poteva essere tutto rose e fiori, infatti, la calvizia non sarebbe stato che il minore tra gli effetti collaterali dell'operazione. Il dottore mi diagnosticó una lunga convalescenza e mi indicò lo stesso disgustoso medicinale che avevo prima dell'operazione perciò mi sarei sentito spesso stanco e spossato. Avrei avuto difficoltà respiratorie, ma ormai ci ero così abituato che quasi non me ne sarei conto: prima solo un polmone forato, invece ora ero quasi sul punto di perderli entrambi cagionando la mia morte. Avrei avuto comunque molta difficoltà a compiere sforzi e riprendere le mie normali attività sarebbe stato difficoltoso.
    Il dottore specificò anche che sarei dovuto tornare per un controllo finale tra due mesi. Io mi sforzai di sorridergli, perché aveva speso parole molto gentili e rincuoranti nei miei confronti.

    -Dottore, le prometto che quando tornerò, resterà stupito per la mia guarigione. Non ho intenzione vivere come una giacca rattoppata.-

    Fui invitato a tornare per qualsiasi problema, a qualsiasi ora di qualsiasi giorno. Io non potei fare altro che tentare di dimostrare la mia gratitudine.

    -La ringrazio infinitamente dottore, quello che ha fatto per me significa molto. Lei è un ottimo medico!-

    Erano solo parole, ma non avevo altro da offrire.

    Fui dimesso il giorno seguente e fui in grado di tornare sulle mie fragili gambe fino a casa. Artosi non c'era e neanche Misu. Arrancai fino al divano e mi lasciai scivolare dolcemente nel mondo dei sogni.

    Venni a sapere da mio fratello che Misu era impegnata a causa della guerra ed era lontana dal villaggio. Io dovetti rassicurare Artosi per il mio stato di salute che si prodigó per farmi stare a mio agio, prendendosi pause dal lavoro per comprarmi pasto caldi dalle locande in strada e facendo rifornimento per conto mio della medicina gialla. Passai le giornate sul divano, leggendo romanzi o studiando manuali pratici per i ninja.

    Un giorno, Artosi mi portò una busta con il timbro di lacca blu del Mizukage. La aprii e non potei trattenere un grido di giubilo: era stato nominato chuunin per meriti sul campo di battaglia. Alla gioia si sostituí lesto il disagio di essere uno dei pochi sopravvissuti e di non essere stato in grado di far nulla, se non di eliminare due pirati con l'ausilio della dea bendata della fortuna. Cercai una scappatoia da quei pensieri tetri e sfruttai l'effetto lenitivo del medicinale per calare il sipario sulla mia mente.

    per eventi si intende qualsiasi ruolato ad eccezione di p.q.? Quindi missioni, allenamenti o eventi speciali?
    Beh, non dipende da me se tornerà o no il mio pg. Probabilmente, partecipando alla missione di nagi, ruoleremo direttamente il suo funerale.
    Grazie per la bella infermeria!
     
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    Colui che è e si spera sarà

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    Sì esatto, tutti gli eventi tranne le pq; di niente bello, 45 exp for you :rosa:


    Edited by Stompo - 1/11/2018, 20:26
     
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