Chi scegliamo di essere

PQ Shirai

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    A volte mi chiedo che cos’è che spinga gli uomini a cercare di rovinarsi a vicenda, impiegando così tanto zelo e fatica nel farlo. Ingegnandosi nel perpetrare una distruzione irrazionale e fratricida che si snoda viscida tra i sentieri della morte. Di questo macchinare, l’uomo ne ha fatto un’arte: l’arte della Guerra. Una scienza nata con il solo scopo di prevaricare, distruggere e assoggettare le masse. Un’abilità così degradante che ci trasforma in null’altro che bestie, creature senza raziocinio che si divorano a vicenda. Ma che dico? Noi siamo molto meno che delle bestie; perchè nemmeno gli animali si massacrano a indistintamente, limitandosi a soddisfare il proprio istinto di conservazione e lottando fra loro, con i soli mezzi che la natura gli ha fornito. Sono diversi da noi uomini che, del nostro ingegno e della nostra tecnica, abbiamo fatto un'arte diabolica atta soltanto a perpetuare un indiscriminato e immotivato fratricidio. Eppure, nonostante questa mia visione della condizione umana, sono qui, succube e vittima di un sistema che vuole trasformarmi in un’arma, una marionetta manovrata dalla mano dei potenti. Sono il perfetto sacrificio che viene offerto a una società intessuta soltanto di dolore, castigo e sofferenza. Una società che nullifica la volontà individuale, portando l’uomo a sottrarsi alle proprie inibizioni e facendolo regredire fino a uno stato primitivo, un essere ricettivo solo e soltanto all'appagamento dei propri più bassi istinti. Ed è proprio così che sono nate e proliferate figure svincolate da ogni qualsivoglia sorta di morale o coscienza. Esseri senza un briciolo di umanità, senza alcun valore positivo.


    Cosa sono i soldati o i ninja, se non questo? Mercenari muniti dei massimi strumenti di potenza, costretti a sacrificare se stessi per dei valori insensati e vanagloriosi. Individui che fin da giovani sono stati svezzati alla guerra, allevati e nutriti al fine di divenire bestie pronte per il macello. Ed io, impotente come sono, non ho saputo rompere queste catene, queste corde che mi imprigionano e mi costringono a vivere questa realtà. Perché là dove la guerra fa la sua apparizione, la lotta dell'uomo contro di essa è senza speranza.

    E nonostante io sia consapevole di essere uno schiavo in un mondo che mi ha divorato, masticato e rigurgitato; mi illudo di avervi ho trovato una serenità insperata. Rassicurato da un appagante senso di appartenenza che mi fa sentire in pace con il mondo, anche se in guerra con me stesso. Un conflitto che mi lacera dentro ma a cui non posso sottrarmi. Perché, più della guerra, esiste un’altra condizione umana che desidero allontanare: la Miseria. Una subdola tarma che si insinua nella mia testa e che fa di me un individuo senza bandiera né fede. Un uomo che vede nella Guerra, seppur disdegnandola, l’unica via d'uscita dalla sua miserevole esistenza. Perché miseria chiama sempre miseria ed è per questo che, se combattere è l’unico modo per elevare lo status sociale di un uomo, allora sono disposto a distruggere la mia identità, soffocare il mio orgoglio, spezzare la mia dignità... pur di riuscire a vivere. Perché la miseria non ti permette di vivere e neppure di sopravvivere. Lei ti uccide pian piano, inesorabile e silenziosa, e lo fa dopo averti comunque privato di dignità, orgoglio ed identità. Non voglio morire e nemmeno sopravvivere. Io vivrò, io sarò come l’albero che, per crescere e trovare nutrimento, schiaccia e distrugge le altre forme di vita.


    E adesso che mi guardo allo specchio è amaro è il sorriso che vedo. Penso al fatto che sarò costretto ad uccidere, a strappare i figli alle proprie madri, i fratelli alle loro sorelle. Massacrare vite innocenti solo al fine di rincorrere una sola cosa, il denaro. E allora mi chiedo cosa sia peggio? essere un fanatico che uccide seguendo un ideale sbagliato o essere, come sono, un mercenario pronto ad assassinare per pochi ma luccicanti pezzi di metallo? Non sono sicuro di saperlo, forse non l’ho mai saputo, ma nonostante questo non mi fermo a riflettere, non voglio. E in questa mia situazione, sull’orlo di un baratro, mi appresto a partire per la mia prima missione...
     
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    Parlato Sergente
    Parlato Hiro


    Sarò meteopatico, ma l’angoscia che provo nell’intraprendere la mia prima missione sembra essersi rispecchiata nel cielo. L’estate sta lasciando spazio all’autunno mentre i venti freddi delle montagne tornano a farsi sentire freddi come loro solito, bussando a quel che resta delle mie finestre. Il sole dovrebbe ormai stagliarsi al massimo del suo chiarore al centro del cielo, ma oggi proprio non vuole saperne di uscire. E io come lui mi nascondo, mi nascondo perchè ho paura. Paura di morire o, ancor peggio, paura di perdere me stesso, di smarrire la mia umanità. Temporeggio, ma è tardi... ne sono consapevole, ma voglio prendermi fino all’ultimo momento che posso per raccogliere le energie, per farmi coraggio. Chiudo la porta di camera, piano, per non far rumore. Mia madre dorme ancora, anche se è mezzogiorno, deve aver fatto tardi a lavoro stanotte. La lascio dormire e, anche se mi aveva chiesto di salutarla, non la sveglio. Soffrirei a guardarla negli occhi. Non sono pronto a dirle che suo figlio parte quest'oggi, forse per andare a strappare dei figli alle loro madri. E così esco di casa; una luce fioca dipinge di grigio l’acciottolato della strada. Un grigio smorto, spento come il mio animo.
    Percorro le strade del villaggio: la vita fiorisce fra i banchi del mercato e all’interno dei negozi. La pace porta benessere e tranquillità, eppure, al giorno d’oggi, è un privilegio assai raro. Cammino tenendo lo sguardo al cielo e alla fine arrivo al cancello Est. Ho di fronte il luogo dove mi sarei dovuto presentare. Qui, ad aspettarmi, trovo tre volti a me ignoti, quelli che, a un primo sguardo, sembrano essere un sergente e due ragazzi. Presumo che questa sia la mia squadra. Il sergente mi guarda e non proferisce parola. Sembra essere poco più grande di me, ma questo non smorza la soggezione che incute nel mio animo. Dice infine di chiamarsi Shin e lo fa mentre si toglie l’elmo, liberando al vento lunghi capelli biondi, selvaggi come la steppa del nord. Ha un naso aquilino, occhi azzurri affilati come il ghiaccio. Possiede lineamenti fin troppo delicati, indefiniti. I suoi tratti eterei lo fanno assomigliare a un angelo caduto dal cielo; i nostri occhi si incrociano ed è come se fosse uno shock. Sto tremando, sto tremando, sto tremando forte.
    Sono impietrito e non riesco a soffermarmi a osservare gli altri due. Non sono importanti, sono soltanto comuni e insignificanti soldati, proprio come lo sono io. Non perdiamo altro tempo e immediatamente, appena finite le brevi presentazioni di circostanza, partiamo. Il sergente non apre bocca e noi con lui. Il silenzio si fa assordante; la tensione palpabile. Respiro a fatica, ho i muscoli del collo totalmente irrigiditi. Non demordo e continuo a correre nei boschi in direzione Sud-Est, seguendo la mia squadra. Non so ancora nulla riguardo alla missione e questo inizia a farsi preoccupante. Non so davvero cosa aspettarmi, spero solo di non dover estrarre la mia lama, non sono pronto a macchiarmi le mani di sangue. L’ansia che mi assale e io mi sento così male. Mi chiedo perché Il sergente non abbia voluto dirci nulla. Si è limitato a indicare l’Est, intimandoci di seguirlo. E io lo faccio, lo seguo, come un cane ammaestrato, perché è questo che sono, perché è così che mi vogliono.

    Passano almeno due ore prima che il sensei ci dia il segnale di fermarci. Dobbiamo essere arrivati, lo intuisco dalla sicurezza che dimostra il sergente. Ci troviamo appena sotto le vette dei “tre Lupi”, a Sud, quasi ai confini con il Paese del Vento. Il sensei ci ha radunato sotto i rami di un abete, nascosti fra alcuni cespugli di cui non riconosco le foglie. Senza proferir verbo, ci abbandona lì, come tre stolti che restano a guardarsi a vicenda, confusi. Non sappiamo che cosa stia succedendo. Non sappiamo che cosa siamo venuti a fare. Siamo disorientati e il titubante silenzio si fa parola. Le ipotesi fioccano; i miei compagni cercano di capirci qualcosa. Io li lascio fare ed evito di trarre conclusioni, tanto sarebbero solo parole al vento. Passano i minuti, poi le ore. Deve essere successo qualcosa. Noi soldati non dovremmo essere lasciati senza guida così a lungo. Il buio inizia a farsi strada fra le foglie degli alberi. Me ne sto accovacciato a terra, le testa china sulle ginocchia, le mani dietro la nuca. Un rumore attira la nostra attenzione, finalmente il sergente è arrivato.


    Bene ragazzi, ora ci divertiamo. Sembra ci sia un disertore in questi boschi e il nostro compito è quello di catturarlo e portarlo indietro. Vivo, mi raccomando… Mmh se poi questo opponesse resistenza, potete anche ucciderlo, non sarebbe tanto grave. Sinceramente, ora che ci penso, portarlo con noi sarebbe una seccatura non di poco conto. A me non piacciono le seccature. Potremmo ucciderlo, qui in questi boschi, passandolo a fil di lama, sarebbe concedergli una misericordia che non merita. Gli faremmo un favore. Portarlo al villaggio lo esporrebbe a torture e sevizie prima, e a una morte lenta e dolorosa poi. Quindi... ehm quasi quasi… potremmo fare un gioco. Sì dai, sarà divertente. Chiunque di voi mi porterà la testa di quel bastardo si guadagnerà i 200 Ryo che porto in tasca. Tutto chiaro? si comincia.


    Ma Sergente... Il disertore dovrebbe essere giudicato nelle sedi più opp…

    Silenzio soldato, altrimenti ti tapperò io la bocca. Per sempre.

    Sì signore, d’accordo signore. In ogni caso, dovremmo quanto meno lasciargli l’onore di fare Seppuk...

    A parlare era stato uno dei miei compagni. Il più basso dei due, che aveva detto di chiamarsi… Hiro o forse Hiko?. Non ricordo. In ogni caso, Hiko o Hiro qualunque fosse il suo nome, adesso stava a terra, contraendosi dal dolore. Il sergente lo aveva colpito con una ginocchiata all’addome, prima che il ragazzo riuscisse a finire di dire “Seppuku”. Il soldato ci mise più cinque minuti a riprendersi del tutto.

    Ora, se avete finito di dire cazzate, possiamo iniziare? A pochi chilometri da qui c’è una radura e dentro questa radura c’è una casa. Ci abitano un fabbro e sua figlia. Le tracce del disertore finiscono lì. Andiamo a trovarli che dite? Sarà interessante.

    Un sorriso sardonico si aprì sul volto del sergente mentre scandiva bene le ultime sue parole. C’era un messaggio implicito che non colsi subito, ma che presto mi sarebbe stato rivelato.

    Edited by ShiraiRiot - 14/9/2018, 19:07
     
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    Parlato ragazza
    Parlato Shirai
    Parlato Aoi (sergente)
    Parlato Hiko
    Parlato Ronin




    Si son presi il nostro cuore sotto una coperta scura
    Sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura
    Fu un sergente di vent'anni
    Occhi turchini e giacca uguale
    Fu un sergente di vent'anni
    Figlio d'un temporale



    Ci stiamo muovendo con il favore delle tenebre, celati da un sottobosco molto fitto che ci protegge e ci rallenta allo stesso tempo. Il Sergente ci fa strada, precedendoci di qualche metro. Tanto basta per renderlo quasi invisibile ai nostri occhi, perchè ne scorgiamo i movimenti a stento, aiutati solo grazie alla fioca e flebile luce della luna che si riflette sopra l’abito che indossa, una tunica di un celeste vivido. Camminiamo ormai da un po’ quando finalmente arriviamo nella radura che il sensei ci aveva indicato. Lo spiazzo privo di alberi è poco più ampio di una cinquantina di metri, circondato su tutti i lati da alberi di abete o quercia. Vedo la casa di cui ci aveva parlato il sensei. L’abitazione è piccola, costruita totalmente il legno. Così piccola da impallidire di fronte alla catapecchia dove abito, perlomeno però sembra godere di condizioni migliori. Vicino all’abitazione c’è un pergolato, al cui interno prende posto una costruzione circolare in pietra. Da questa struttura spande un flebile barlume giallastro, probabilmente si tratta di un fuoco.

    Deve essere la forgia del fabbro.

    Dice Hiko, indicando la struttura vicino alla casa di legno. Subito il sensei ci fa cenno di stare zitti, ordinando inoltre di separarci per accerchiare l’abitazione. Obbediamo e ci apprestiamo ad eseguire i suoi ordini. Per farlo, scegliamo di prendere i tre lati più vicini alla nostra posizione attuale, mentre il sensei farà il giro e si occuperà del lato posteriore. Hiko si dirige verso sinistra, l’altro ragazzo a destra, mentre io resto fermo perchè mi trovo già sul lato di fronte all’abitazione. Trovandomi già nel punto prestabilito, prima di avvicinarmi, aspetto che anche gli altri miei due compagni raggiungano la loro posizione. Appena vedo i miei compagni al loro posto, esco dalla protezione degli alberi e mi avvio verso la casa. Il cuore sembra dover scoppiare in petto da un momento all’altro, il respiro si fa sempre più veloce, mentre il passo inizia a rallentare. La paura mi assale, avvolgendo le mie gambe come un rampicante uscito dal terreno. Non credo di essere pronto, e spero con tutto me stesso di non esser l’unico a volersi tirare indietro. Abbasso la testa dalla vergogna e mi riscopro a fissare il terreno, l’erba mi arriva alla caviglia e mi solletica i piedi. Mi fermo, non ce la faccio. Alzo la testa e inizio guardarmi intorno, cercando di scoprire cosa stiano facendo i miei compagni. Non riesco però a vedere né Hiko né l’altro ragazzo e questo mi sorprende perché la radura, essendo sgombra, non dovrebbe impedire la visuale. Dovrei poter scorgere, se non il Sensei, almeno le figure dei miei compagni. Continuo a cercare i due nella radura quando, d’improvviso, un’ombra si muove al limite esterno del mio occhio destro, la vedo con la coda di quest’ultimo e riesco a malapena a muovermi. è troppo vicino per essere uno dei miei compagni e il mio istinto mi dice di estrarre il Wakizashi. Lo faccio e, mentre finisco di portare la mia lama in posizione, sento un tintinnio assordante scuotere violentemente il mio braccio. Un attimo dopo mi ritrovo a guardare la luna alta nel cielo, mentre i fili d’erba mi accarezzano il volto. Sento il mio corpo pervaso dal dolore e bagnato dall'umidità del terreno. Sono disteso a terra, scosso e confuso, provo a rialzarmi non ci riesco. Il braccio che reggeva la mia spada ora non stringe nulla. Il Wakizashi deve essere stato sbalzato via. La testa mi rimbomba e i pensieri sono confusi. Nonostante ciò, provo di nuovo ad alzarmi, ma, nell’attimo in cui lo faccio, sento un peso gelido premere contro la mia gola. Deglutisco lentamente e a fatica perchè vedo di avere una katana puntata contro.

    Sei solo un ragazzo. Sta a terra se non vuoi morire. Stanotte non intendo macchiarmi del tuo sangue, quindi non fare nulla di avventato o cambierò idea.

    Sto per morire, chiudo gli occhi e aspetto quel momento. Ne sono consapevole e resto fermo, inerme senza opporre nessuna resistenza.

    D’accordo

    Mi ritrovo a dire queste parole, mentre dai miei occhi iniziano a scendere delle lacrime. Sento i miei pantaloni bagnarsi e scaldarsi allo stesso tempo, è una sensazione stranamente piacevole.

    Yoori sei proprio tu? Vieni qui che ci divertiamo. Ho una sorpresa per te...


    Riconosco questa voce gracchiante, cacofonica e dalla cadenza lenta e misurata; si tratta indubbiamente del sensei. Quel bastardo mi sta salvato, lo capisco nel momento in cui la katana si allontana dal mio collo. Torno finalmente a respirare con regolarità e mi chiedo se sia sempre stato così dolce l’odore del bosco.


    Shin Raiu giusto? lascia stare la ragazza. Non c’entra nulla in questa faccenda. Sei un samurai di Tetsu, non ti fa onore rapire dei civili innocenti.

    Sta zitto bastardo! mi prenderò tutto il vantaggio che posso, e poi è così bella… sarebbe un peccato se gli succedesse qualcosa.

    Yoori aiutami, ti prego..

    Levale subito le mani di dosso

    Altrimenti? che farai? piuttosto stai zitto, getta la tua katana a terra e arrenditi. Se lo farai non le torcerò nemmeno un capello. Prova a muoverti e le stacco la testa di netto.

    Tu brutto bastardo… te la farò pagare.

    Mentre i due stanno discutendo animatamente, io mi faccio forza e trovo il coraggio di mettermi seduto. Facendo in questo modo, ho il tempo di vedere l’epilogo della storia.
    Davanti a me vedo una figura in armatura, i capelli neri che gli ricadono lungo le spalle fino a toccargli le scapole. In mano stringe una katana, la stessa che era puntata al mio collo. L’aria è tesa, satura. L’uomo sta fronteggiando il sensei che, a sua volta, si trova a venticinque metri da me e venti dal suo avversario. La mano sinistra del sergente, armata di kunai, avvolge il collo di una ragazza sui vent’anni. Guardo meglio la ragazza, ostaggio del mio sergente. è molto bella: capelli corvini e carnagione così chiara da riflettere il candore dei raggi di luna. Indossa soltanto una tunica da notte color paglia che esalta alla perfezione i suoi lineamenti, perfetti. Nonostante stia vivendo una così tesa situazione, non riesco a non trovarmi in imbarazzo nel guardarla.

    Sento un leggero tonfo interrompere il silenzio innaturale in cui la radura è piombata dopo le ultime parole di quello sconosciuto. Mi volto e, con mia sorpresa, vedo distesa a terra la katana di quello che, almeno presumo, essere il disertore che stavamo cercando.

    Shin hai vinto, lascia stare la ragazza e torniamocene al villaggio. Pagherò per quello che ho fatto, anche se sono convinto di non aver fatto nulla. La morale , l’onore e la giustizia non stanno di casa nell’Ovest e tu me lo stai confermando.

    Credo tu abbia ragione…

    Un fulmine viola si accende nella mano del mio sergente e poi, veloce come una saetta, vedo schizzare quella luce nella mia direzione, vedendola poi sparire a contatto con il corpo del disertore. Un istante dopo, il corpo del Ronin si accascia a terra, senza vita. Sono sconcertato e fatico a rendermi conto di cosa sia appena successo.

    Ho deciso di essere io il giudice, la giuria e il boia del tuo tuo destino. Addio Yoori, non ci mancherai.

    Yoori NOOO...

    Sensei state bene? cosa è successo?

    Vedo finalmente arrivare i miei due compagni. Hiko si tiene la fronte mentre l’altro zoppica. Forse, come me, sono stati attaccati dal traditore, l’uomo che ora si ritrova morto a pochi passi da me. I due soldati si avvicinano al corpo e vedo il volto di Hiko segnato dal rimorso e dalla rabbia. In mano stringe un Kunai e, con il braccio tremante, si avvia a fare un passo verso il sergente. Mi alzo da terra senza riflettere e subito mi getto contro Hiko, tentando di bloccarne l’incedere. Riesco a fermarlo, ponendo il mio braccio sinistro davanti al suo petto. A contatto con questo, sento che Hiko sta tremando come come una foglia. Non so se sia più paura o più rabbia. Ad ogni modo cerco di tranquillizzarlo, anche se non so se abbia parole consone a farlo.

    Ti farà a pezzi, non ha riguardo per niente e nessuno, tanto meno per te. Ricordi cos’è successo oggi? Ci hai messo 5 minuti a riprenderti. Se alzi una mano contro di lui, ti ucciderà senza remore. Non ti permetterò di versare altro sangue inutilmente.

    Gli parlo sottovoce mentre si lui si volta a guardarmi. I suoi occhi disperati cercano una giustizia che non posso permettermi di offrire. Voglio impedire che muoia inutilmente. Vorrei aiutarlo ma sarebbe una scelta deleteria, per entrambi. Il sergente non doveva uccidere a sangue freddo quell’uomo, non siamo assassini. Siamo soldati e, come tali, non possiamo ribellarci ad un nostro superiore. Così stanno le cose, è inutile pensare altrimenti. Riesco a capirlo ma, dentro di me, si annida una sensazione di impotenza che mi fa male, soffoco sotto il gravoso peso di questa mia consapevolezza. Sento il mio Es gridare forte, desideroso di assecondare il giovane Hiko nella ricerca di una giustizia che, purtroppo, sono convinto ci porterà a morte certa. Non sono l’unico che arriva a questa conclusione; anche Hiko sembra aver capito la situazione e si dà una calmata. Lo vedo sospirare energicamente e, subito dopo, dar sfogo alla sua rabbia. Il giovane con uno scatto del braccio, conficca il suo kunai in una delle poche rocce abbastanza grandi da elevarsi al di sopra dell'erba. Mi fa cenno di essere calmo, ma io non gli credo più di tanto e non riesco a tranquillizzarmi.

    Doi prendi il corpo del disertore e avviati verso casa. Shirai, Hiko entrate in casa e occupatevi del padre della ragazza. Hanno dato asilo ad un disertore, devono morire tutti. Io mi occuperò di lei, voglio divertirmi un po’ prima di ucciderla, quindi prendetevela comoda nel mettere fine alla vita di quel vecchio. Intesi?

    Vedo Doi non fare una piega, avvicinarsi al corpo del morto e, tirandosi questo su una spalla, lo vedo allontanarsi silenzioso nel bosco. Io e Hiko ci guardiamo a vicenda. Abbiamo entrambi paura, credo. Vedo il giovane scrutarmi con occhi appannati, sembra ormai essersi perso in qualche luogo lontano da qui. Cerco di scuoterlo ma non ci riesco. Decido di non perdere altro tempo, gli afferro il braccio e lo accompagno verso la casa. Superiamo il sensei che, nel frattempo, ha gettato a terra la ragazza. Hiko a quel punto rallenta il passo, me ne accorgo e lo strattono prontamente. Il mio istinto di sopravvivenza, o la mia codardia, mi dice che non possiamo evitare quello che sta per accadere alla ragazza. Sono convinto che il ricordo di questo giorno, il ripensare al mio menefreghismo, mi tormenterà per tutta la vita. Eppure non faccio nulla, perchè sono convinto sia meglio tormentarsi che morire come un cane. Abbasso gli occhi mentre la ragazza inizia a gridare, cercando di divincolarsi dalla presa del sensei. La ragazza non demorde e sento il sergente colpirla, dopo averle intimato di non fare rumore. Forse saremmo ancora in tempo, potremmo evitarle quel sopruso. Vorrei essere più forte, ma non lo sono. Eppur mi sento così sporco, come se fossi io ad essere il suo aguzzino. Le mie convinzioni iniziano a cedere. Hiko lo capisce, credo, e con uno strattone esce dalla presa del mio braccio. In un attimo estrae la spada e si lancia contro il Sensei. Peccato che io sia più veloce e più risoluto di lui. Pianto a terra i miei sandali chiodati e mi do una spinta tale da piombare addosso al ragazzo in un baleno. Lo fermo, questa volta in modo risolutivo, e lo faccio sferrando un pugno alla sua mascella. Sento l’osso tremare, mentre Hiko si accascia a terra. Non so dove abbia trovato tanta forza, so soltanto che il colpo è stato tremendo e che il ragazzo non accenna a rialzarsi. Credo sia svenuto.

    Shirai ma che cazzo state facendo? Datti una mossa e porta via questo smidollato. Andatevene da questo posto o vi ammazzo con le mie mani. Qui penso io a tutto.


    Ti prego aiutami


    Mi volto non appena sento la ragazza implorarmi. Il volto è segnato dai lividi ma sembra non volersi arrendere. Credo che il sergente non abbia ancora fatto nulla, se non picchiarla a sangue. Mi sento sollevato da questo, ma non ho il coraggio di fare altro. la mia indecisione credo si rivelerà fatale per quella ragazza. In quello stesso momento sento qualcosa incrinarsi dentro di me, come uno specchio, la mie convinzioni si frantumano. Non posso più esimermi dal fare qualcosa, sento che ne morirei. Non voglio perdere me stesso in questo modo. Non sarebbe giusto, non sarei io. Non posso però ignorare che, uccidendo il sergente, diventerò un disertore, sempre che non muoia per mano. Nel momento in cui, la paura torna a dirmi di non fare nulla e scappare, una soluzione mi si palesa davanti.
    Per caso vedo il kunai di Hiko conficcato nella roccia, sarà a 8-10 metri da dove mi trovo. La ragazza e il sensei si trovano fra me e il kunai, più vicini a quest’ultimo che a me. Sembra una situazione a me congeniale. Nonostante padroneggi abbastanza bene le tecniche base dell’accademia, ricordo bene come si fallisca in esse. Tento quindi la tecnica della sostituzione, ricordandomi di quelle volte in cui non riuscivo a farla a dovere. Ricordandomi gli scarsi risultati ottenuti, quando al massimo avvicinavo gli oggetti con cui mi esercitavo. Ed è proprio questo che spero di fare, avvicinare il kunai alla ragazza. Quindi procedo nella sostituizione, interrompendola un attimo dopo che i fili di chakra tirino a me il kunai. Così facendo sia io che il kunai ci avviciniamo alla ragazza e il sergente. Riesco a avvicinare l’arma alla ragazza, purtroppo non abbastanza. Mi sale l’ansia di fallire , ma non demordo e riprovo immediatamente. Questa volta il kunai scivola molto vicino alla ragazza, la quale riesce finalmente ad afferrare l’arma. Un attimo dopo e vedo sangue zampillare dappertutto. La ragazza, scartando di lato, riesce a sottrarsi al peso del sergente che stava sopra di lei. Non soddisfatta, riesce anche ad allontanarlo grazie ad un calcio all’addome. Il sergente viene gettato a terra, pancia all’aria. Lo vedo mentre si tiene la gola con entrambe le mani, cercando di fermare il sangue che fuoriesce da una profonda ferita. Le mani grondano sangue, mentre Aoi cerca di rimettersi in piedi. Purtroppo per lui, la pozza rossa che ha ai piedi è troppo scivolosa. Inciampa, incespica senza risultato e con sempre con meno vigore. Sento la ragazza piangere, la osservo e scopro che anche il suo viso è piena di sangue, il suo misto a quello dell’uomo. All’improvviso, con un ardore disumano, vedo la giovane gettarsi contro il suo aggressore, pugnalandolo a morte. Non uno, non due, non tre; sono più di dieci le pugnalate che infligge all’uomo. Il volto del sergente è completamente sfigurato, irriconoscibile. Un ammasso di sangue e brandelli di carne. Mi viene da vomitare, il mio corpo è scosso da spasmi incontrollabili. A stento ritrovo un minimo di calma e vedo la ragazza, seminuda, piangere in ginocchio. Quel che resta della veste è madido di sangue. Mi tolgo la giacca e gliela lancio. Nonostante l’orrore di quel massacro, non riesco a celare il mio imbarazzo.

    Grazie..

    Mi dice piangendo.

    Non farlo. Butta il cadavere nella fornace e seppellisci i resti. Scordati di me, se puoi. Piuttosto stai bene?

    che domanda stupida, lo riconosco ma non sapevo come chiedergli se avevo fatto in tempo o meno.

    Non sto bene, ho appena ucciso un uomo. Se intendi altro, mi hai salvato prima che si approfittasse di me.

    Mi volto senza dire nulla, rassicurato da quelle parole. L’adrenalina sfugge via e di colpo scoppio a piangere. Libero da un peso enorme. Afferro Hiko e me ne vado.

    Aspetta, volevo tranquillizzarti. Darò il corpo in pasto ai maiali. Non resterà nulla di lui. Armi e vestiti verranno bruciati o fusi. Farò attenzione a non lasciare traccia.
    Fate attenzione mentre tornate, questa zona è battuta da furfanti e banditi. Yoori ci difendeva da loro.. ora io e mio padre siamo soli, andremo via. Nessuno saprà cosa hai fatto qui.


    Io non ho fatto NULLA!! comunque grazie. nella sua tasca ci sono 200 ryo. Non sono molti ma sono tuoi. Mi dispiace per tutto. Addio.


    Percorro i sentieri del bosco con Hiko ancora in spalla. Sono lontano da quella radura e ripenso a cosa ho appena fatto, a cosa ho appena visto, a cosa ho appena vissuto. Cresce dentro di me il dubbio di star sbagliando tutto. Non siamo molto di più che bestie, ne ho avuto appena prova. Mi faccio schifo e non riesco a trarre conforto dal aver salvato quella ragazza. Ho sempre pensato che il Bushido fosse un stile di vita desueto, una serie di principi dai valori inattuabili, utopistici. Eppure dopo aver visto cosa è capace un uomo privo di qualsivoglia principio, riscopro il valore che sta dietro a quei dettami.

    CITAZIONE
    Makoto: Completa Sincerità

    Sorrido sapendo che mentirò per non far sapere a nessuno come sono andate davvero le cose. Dirò di aver lasciato il sergente in compagnia della ragazza, colpendo Hiko per non farlo interferire. Perchè questi erano i nostri ordini e non volevo disubbidire. Dirò che il sensei mi ha detto di portare via Hiko, che avrebbe pensato lui a tutto. Dirò che ha minacciato di ammazzarci se non avessi obbedito, ero spaventato a morte. Confuso, ho afferrato Hiko e mi sono incamminato nel bosco, a passo lento, rallentato dal peso del mio compagno svenuto. In verità non mentirò, non ne sarei capace, ometterò solo dei fatti. Sperando bene. Cammino a caso nel bosco, cercando di perdermi. So che Hiko ritroverà la strada, quando sarà sveglio, ma per ora mi fa comodo fare così, potrò dire di non aver visto il sergente tornare al villaggio perchè ci siamo persi. Nel mezzo del bosco, a mezz’ora dalla radura, sveglio il ragazzo. Gli racconto tutto, omettendo parte della storia. Mi colpisce al volto, sanguino ma sono felice. Me lo meritavo e in più so di aver salvato la vita sia a lui che alla ragazza. So di aver fatto la cosa giusto, consapevole però che il Bushido sia un sentiero troppo nobile per me. Mi sta bene anche così.
     
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    Colui che è e si spera sarà

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