Yama: Guest star: Babbo natale

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    "X" tenta di uccidere "Y".. ma non ci riesce per colpa del Natale.


    Lumi, colori sfavillanti, il dominio del rosso e del bianco. Tre cose rappresentavano l’immagine del Natale, un’usanza in voga in tutti i luoghi, una ricorrenza dedicata a grandi e piccini. Vagavo per la strada con sguardo mite, inspirando ed espirando nuvole e anelli dal profondo dei polmoni. I capelli mossi se ne stavano raccolti in un cumulo di serpi, vermigli come la carrozzeria di un bolide o i mattoni delle strade della città. Attorno a me la gente si chiudeva in una grande onda, in uno sciame festoso dal manto completamente differente ma caratterizzato da un fattore comune: lo spessore. Non c’era tempo di badare all’intrico della lana dei loro cappotti, al massimo avrei potuto contemplare il calore sprigionato dell’imbottitura del mio lungo trench dei toni dell’ambra. Avevo riacquistato un colorito olivastro dopo aver raggiunto l’apice nel controllo degli insetti -come se da loro dipendesse il mio stato di salute- mettendo così in risalto maggiormente i tratti somatici del viso e l’opacità dei ninnoli del sud con il loro scarso valore monetario. Mi sentivo stranamente bene in quel periodo, ma non ero certamente abituata a tutto quel freddo proprio per le mie origini e ciò mi costringeva a bere per riscaldarmi o indossare abiti su abiti, come se fossi una pecora. L’aria natalizia diveniva una sfida per i venditori, albergatori e persino per i ninja più estrosi appassionati di design e giardinaggio: tutti loro facevano a gara, concorrendo ad una gara senza premi né organizzatori, una gara tuttavia abbastanza divertente e piacevole agli occhi. Le fissai durante la mia marcia, un passo dopo l’altro, passando di strada in strada senza il pericolo di essere investita da qualche sprovveduto in sella ad una moto. E dire che trovavo quei cosi molto affascinanti per quanto preferissi di gran lunga camminare a piedi e solcare i mari.

    Psss… psss… ehi, dico a te bellezza!

    Un ragazzetto vestito come un postino piombò come un fantasma nel marasma generale e frenetico, accostandosi di un metro circa dietro di me, alla mia destra. Tendeva la mano sinistra cercando di toccare qualcuna ma tra tutte le donne della calca non potevo certo immaginare che il suo obbiettivo ero proprio io.

    Tu, tu sei Lìf la vincitrice del torneo! Ehi dico a te con i capelli rossi!

    Nuovamente il ragazzino piroettò e con la mano opposta riuscì ad attirare la mia attenzione, tornando ad essere momentaneamente una semplice ombra ma risbucando come una talpa in uno spazio più esterno alla fila, all’angolo di una traversa. Con il palmo rivolto al cielo oscuro cercò di attirarmi a sè, sventolandolo come un gatto e si sistemò i calzoni disordinati e tenuti fermi da due bretelle marroni. Come facesse a resistere a quella temperatura era un mistero, eppure le sue iridi dal taglio felino e la sua comicità sortirono l’effetto desiderato. Attirata come una calamita e senza nulla da fare decisi di seguirlo, intenzionata quantomeno a liberarmene nel caso fosse stato necessario.

    Ti ringrazio per avermi ascoltato! Ora non dire niente eh, mi serve una mano!


    Fu così veloce nel toccarmi nuovamente la spalla che nemmeno me ne accorsi, fatto sta che dovetti deglutire alla prospettiva tutta nuova. Per effetto di una tecnica sia io che il giovane viaggiammo da una parte all’altra in un luogo che non avevo mai visto ma che, date le mura intorno e i riflettori in alto, non sembrava tanto naturale. Avevo sperimentato già una volta quella situazione, ma se non altro in un contesto molto più pericoloso di quello attuale, ma con il medesimo livello di ignoranza.

    <boss CATHERINE HO TROVATO IL RIMPIAZZO PER BELLA SWAN! Di Bella è bella, solo leggermente scura ma non è lei che deve fare il vampiro!>

    Me ne accorsi immediatamente dai pochi sguardi e dal piccolo piano rialzato in legno, un patio ricavato in una grande sala stracolma di poltrone rosse disposte in tre blocchi diversi. Circa 15 file rialzate l’una rispetto all’altra si estendevano verso l’ingresso, un lavoro di ingegneria perfetta che poteva favorire una buona visione e una perfetta dispersione dell’audio.

    Mi dici dove siamo prima che ti appenda a quel muro?
    PERFETTO! SUSU NON PERDIAMO TEMPO!

    Fortunatamente per il ragazzo, l’apparizione di una donna in tailleur e il suono fragoroso del battito di mani mi fermò dal strangolarlo e appenderlo al chiodo e quando arrestai la mano già pronta a colpirlo, una silhouette femminile ammantata dalle ombre apparve in tutta la sua bellezza. Alta, dispotica, seria per quei suoi occhialini fissati su naso e elegante nel suo completo viola. Della tonalità dell’oro grezzo i suoi capelli serpeggiavano come un leviatano, legati da un fermaglio prezioso dalle forme arzigogolate.

    MI chiamo Catherine e dirigo una compagnia di attori famosa in tutto il continente. Ho mandato il mio fedele amico Jakob a cercarti, o meglio a cercare qualcuno che potesse prendere posto della mia star di punta dell’opera ma lei si è… come dire… non se la sente!

    Sapendo già dove volesse andare a parare provai a divincolarmi scuotendo il capo, ma a nulla servì inventare scuse o spiegarle delle mie pessime doti attoriali. Proprio la sua fermezza batté la mia e il suo fascino mi stregò, controllandomi come una marionetta.

    Non temere! Devi solo ricordare il copione, fare qualche smorfia, fissare un po’ tutti e fuggire dal tuo assalitore prima di morire per un morso al collo! È così che è scritto nel libro!

    Mi scusi eh, non capisco perché dovrei morire.

    PHATOS! Per il PHATOS, il CLIMAX DELL’OPERA, L’APICE DI UN AMORE TRA VAMPIRI! Sai cosa sono i vampiri vero? Succhiano sangue, sono pallidi, dormono di giorno e cose così.

    Si ma non…

    FORZA ANDIAMO, NON PERDIAMO TEMPO!

    Stranita non solo dalla situazione paradossale ma anche dalle parole enfatiche della regista sospirai sconfitta, scuotendo la mano tra la folta chioma e distenendo un piede dopo l’altro col rumore adirato dei tacchi fino al palco. Lì sarei morta tra l’agonia del mio –finto- sangue caldo, morsa da un –finto- vampiro biondo e capellone, in una lotta in cui anche lui sarebbe dovuto morire per mano dell’amore di “Bella”, un –finto- vampiro pure lui. O almeno così recitava il copione, che strazio di natale! [..]

    L’opera, divisa in tre atti, procedette in maniera discreta con tutte le gaffe di mezzo. Tra il fatto di non saper recitare, il non essere mai salita su un palco e il tema di quella interpretazione l’intero spettacolo fece più volte ridere gli spettatori e scaturì in loro emozioni varie. Il tema dell’opera pareva essere l’amore tra un vampiro e una umana, non che fosse un tema natalizio ma bisognava convivere con l’idiozia della gente e i loro gusti bizzarri. Per tutto il tempo interpretai la ragazza di nome Bella, apatica e sempre più ossessionata dal tenebroso essere dai denti lunghi quanto quelli di una tigre e dal fascino della sua pelle lattiginosa. Si susseguirono vari intermezzi e brevi spezzoni con la famiglia di lui, tutti ridotti all’osso ma in maniera giusta per l’ora dello spettacolo. Venne la minaccia dei nemici che risaltati da un faretto spiattellatogli addosso brillavano come se avessero trapassato il mondo dei vivi per vagare come anime illuminate da un’aureola di basso costo. Tra visionari e uomini cervo, la cosa si fece lunga abbastanza dal raggiungere i dieci minuti prima della mezzanotte e a iniziare il conto alla rovescia. Dovetti ansimare e fingere una fuga da quello strano nemico col codino a cui mostrai una convinta apatia tipica del personaggio, molto difficile da esprimere data la stupidaggine della cosa. Era bravo ma anche terribilmente ridicolo a fingersi un cacciatore con quell’outfit, ma forse sarebbe stato meglio rivolgere quella critica alla scrittrice dell’opera. Si finse un ninja nello spaccare un vetro finto della finta chiesa costruita per inscenare l’ultima parte, simile per molti versi alla favola della Bella addormentata ma senza mela avvelenata di mezzo.

    Ciaoh…. BELLAH!

    Aveva un modo strano di concludere ogni parola, come se il suo respiro si fondesse alle vocali per donare la percezione di profondità al tono. Contrassi i lineamenti del viso al fine di mostrarmi spaventata seppur non avessi dinanzi né il genocidio di Kiri né la sagoma accapponante di Eris. In quel pezzo non c’era bisogno che parlassi perché a detta di Catherine, il farlo m’avrebbe resa sua schiava. Un’illusione o semplici dicerie sui vampiri che anche in quel libro erano state trasposte? Mi piombò alle spalle come un canguro e subito si chinò, allungando gli arti smilzi per prendermi dalle gambe e lanciarmi proprio contro la parete corrispondente a quel rosone spaccato. *CRACK* Ne venne fuori un rumore ovattato e reale, misto ad un suono digitale prodotto da qualche marchingegno nascosto dietro il palco ove la regista visionava con attenzione ogni frame e cacciava qualche urletto in concomitanza con quelli degli spettatori.
    *Anfanf* Cercai di strisciare in avanti come in un addestramento militare, ma proprio seguendo le note del copione il “vampiro” m’afferrò con presunzione come aveva fatto prima. Lì per lì sentivo il livello di finzione venir sempre meno, come se mi stessi immergendo nell’opera e mi ci stessi divertendo. Beh, Bella era un palo in culo però! Mi scaraventò nuovamente verso una posizione random e grazie al filo invisibile usato nei teatri per le scene di volo, mi seguì dall’alto come un condor e dispiegando le ali piombò a terra al mio fianco. Una sorta di sacca infilata nella mia manica si ruppe e mimando un sanguinamento al fianco destro feci sfoggio delle mie doti drammatiche, un segnale che avrebbe dato al nemico il tempo di fare i suoi comodi e impregnarmi i capelli della puzza di alito al mentolo. *ANF...ANF* E lì sarei morta, allo scoccare della mezzanotte di natale. S’avvicino al mio collo piegandosi sulle ginocchia, delle lenti a contatto rosse davano la piena impressione che l’istinto ferale si fosse risvegliato nella creatura attirata dal sangue umano e cercò di spalancare le fauci per azzannarmi al collo per fregare sul tempo il vampiro Edward (o Edoardo, come lo chiamavo io fingendo una R moscia) ma la mia –finta- faccia rivolta al cielo non sarebbe stata pronta per tingersi di viola o attendere il salvataggio del ragazzo. La mezzanotte della vigilia scoccò con un frastuono e il rumore di travi di legno e tegole preannunciò l’arrivo di un imprevisto, l’ennesimo assieme a tutti gli altri della giornata. *OHOHOH!* Dal soffitto si propagò una voce che distrasse la zanzara bionda e ne attirò l’attenzione, non perché quell’avvenimento andava seguito ai fini dell’opera ma perché, come in tutte, rappresentava l’imprevisto più grande. Edoardo irruppe dal rosone rotto ma circa tre secondi prima della sua apparizione il soffitto si incrinò talmente tanto che un foro grande quanto una persona permise ad una comparsa di fare la sua entrata.

    .:Babbo is coming to town:.


    Panza pronunciata, barba folta, sacco ricolmo di regali e grande puntualità: un Babbo natale selvaggio apparve e il suo atterraggio sorprese tutti, alzando un polverone con quei pochi strumenti di scena distrutti in tutto l’arco dell’opera. Col suo peso consistente e tanta precisione si ritrovò ad atterrare sopra “Il biondo”, dandomi spazio a sufficienza per spostarmi da lì e rimettermi in piedi, in modo buffo e imprevisto ma non senza gli applausi, rilasciando sul palco magia e neve naturale dal soffitto come un effetto grafico. Perché alla fine della fiera, la magia del Natale riservava mille sorprese e dato che quello era uno spettacolo fatto e adattato per il pubblico di ogni età, non fu solo apprezzato dai piccini ma anche da ogni persona in sala. Quello che per Catherine poteva essere un disastro, per la folla si rivelò lo spettacolo più divertente ed estroso del natale che si chiuse con un inchino della compagnia, un mare di applausi e la distribuzione dei regali alla folla di presenti.

    <yuhuuuu BRAVIH! BRAVIII!>



    E il sipario, finalmente, pose la parola fine con stile, champagne e qualche osso incrinato. Avevo bisogno di bere!
     
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