[Patto coi rospi] I mangiatori di insetti

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    Il ritorno ad Ame fu travagliato, per via delle tante vicende verificatesi in quella semplice caccia al topo. Ero divenuta un contenitore per insetti da capo a piedi, un’agente dell’Osu, una donna. Avevo a disposizione un nuovo arsenale, stivali sfavillanti e una specie di lavoro, se così lo si può definire. Richiesero che io compilassi un modulo ma non ero riuscita a farlo perché i troppi problemi avevano preso tutto il mio tempo e ogni pensiero era stato rivolto ad altro. Ero tornata ad Ame per mezzo per mezzo della nave volante dell’organizzazione, ma oltre a quei fogli che tenevo nella tracolla non ero più stata ricontattata. Me ne stetti in casa a pensare e ad ascoltare gli schiamazzi all’esterno, così sbalordita dal poterli comprendere da non riuscire a trovare una spiegazione che non fosse logica. Ma cosa c’era di logico in quei confini? Il mare era la logica, non il paese della Pioggia o una nave volante spara razzi laser. Seduta su una sedia a dondolo nell’openspace della casa tenevo “i globi” fissi sulla carta, lì dove mi si chiedeva di immettere il nome della sezione nel quale essere collocata. Erano dei documenti speciali e tecnicamente top-secret ma dato che condividevo tutto con Escanor, sarebbe stato indifferente se li avesse visti o no. Se ne stava sul divano a ronfare in quella forma smilza mantenuta nelle ore notturne e ogni volta mi chiedevo come potesse perdere e riprendere massa muscolare e forza dal giorno alla notte, come se dipendesse dal sole. Ogni cosa della figura dell’uomo era segreta, celata dal suo cinismo e dal baffo arricciato che curava in modo maniacale.
    Anche in casa indossavo abiti del sud, molto colorati e larghi che preferivo di gran lunga a quegli strambi vestiti troppo lunghi o troppo corti usati dalle ragazze del posto. I miei avevano più stile e suscitavano più interesse, soprattutto tra le fila degli uomini. In quel mondo iniziavano a circolare voci sul mio conto e molti mi consideravano in maniera differente a seconda delle mie qualità. “Strega”, “Bozzolo”, “Gazza, “Gitana”” erano nomi che sentivo di tanto in tanto anche nelle chiacchiere del vicinato, spesso persino Escanor si divertiva a prendere in giro gli altri fingendo di prendere in giro me e riderci sopra, trattandoli come imbecilli. Accoccolata su quello scranno di canne di bambù mi crogiolavo nel dubbio giocherellando con una ciocca di capelli tra le dita, avendoli sistemandoli in una crocchia che per trattenerli in una matassa intrecciata. Ricci per il trattamento che avevo dato loro, erano divenuti leggermente crespi per via dell’umidità e il riflesso che trapelava dalla finestra non sortiva più lo stesso effetto su di loro. Erano come serpenti marini che si contendevano il cibo in lotte serrate nell’oscurità dei fondali, in punti così freddi e profondi da non far filtrare la luce del sole.

    *L’idea di una sezione che mi porti a combattere quelli come me è ciò che più temo, ma della restante parte non so nulla. E se ci fossero gli schiavisti di mezzo, cercherei di dare la priorità a quelli. Ma è una scelta troppo complessa*


    Il mio cruccio si basava su quel problema. Non volevo andare incontro a mia madre e trovarmi in una posizione di svantaggio, bersaglio di domande e rifiuti ma non sapevo nulla dei problemi di quella terra. E cosa potevo fare? Ero entrata in possesso di una capacità normale per tutti, ovvero l’imparare a conoscere la lingua e parlarla, ma la vedevo come un qualcosa di straordinario e di divino. Un dono, si, doveva essere un dono che il mare m’aveva fatto per ringraziarmi della mia crescita! Schioccai la lingua sotto il palato e strizzando le palpebre con far seccato mi sollevai da lì, facendo tintinnare i bracciali tra loro.

    D-dove stai *YAWNN* andando? È notte fonda!

    Lì per lì non feci caso a quella domanda che poteva benissimo essere il frutto di uno stato confusionario o del sonno stesso. Eppure invece di riaddormentarsi, l’uomo si svegliò e si mise in piedi strizzandosi su se stesso e sbadigliando sonoramente, facendo un po’ di stretching prima con un braccio e poi con l’altro.

    Voglio consultare la biblioteca del villaggio e capire di più di tutta questa faccenda, non posso più affidarmi sono all’istinto e ai miei desideri. Potrei mettermi nei guai se scegliessi la via più scontata, quindi è bene che faccia le mie ricerche!

    Un tempo morto intercorse tra quelle parole sicure, non mi aspettavo nessuna grande rivelazione o nessun particolare monito da parte sua, se non un “vai ed esplora il mondo” spiattellato con l’aiuto della mano. Eppure fece qualcosa che mi lasciò di sasso.

    Allora verrò con te, c’è un posto che prima voglio mostrarti! Ora che “sai parlare”, non serve più che sia io l’unico a guidarti e c’è “gente” –lo indicò con una chiusura tipica delle dita, che mosse come uncini su loro stesse – che può aiutarti in questa operazione.

    Temevo, davvero tanto, che quella fosse un’altra trappola per costringermi ad ingaggiare battaglia contro gli sconosciuti come aveva sempre fatto. Eppure l’idea vibrò e percorse la spina dorsale come una goccia d’acqua fredda e decisi di mia spontanea volontà di seguirlo, fidandomi di lui. [...]

    "Journey"



    Avevamo marciato per parecchio tempo, marcando il territorio come cacciatori e certa che non fossimo più dentro il confine del villaggio. In quale parte del mondo mi trovassi, era una zona che non avevo mai visto prima ma riconoscibile per la fauna non troppo dissimile da quella intorno ad Ame e nel territorio di Konoha, raramente esplorato perché priva di permessi. Per via della stagione fredda non era difficile rinvenire qualche macchietta di neve ai piedi degli alberi giganteschi, seppur fosse la nebbia la vera dominatrice dell’escursione. Rovi intricati, cespugli a bloccar le tane delle volpi e versi di orsi trasmettevano l’idea di una natura viva ma piena di insidie.

    C’è una biblioteca segreta magica nascosta da qualche parte negli alberi? Ormai non so più a quante cose non credere.

    Mugugnai nel proseguire, spezzando sotto il peso uno stecco di legno secco spezzatosi dall’albero sopra i nostri corpi. Grattai la tempia con le unghie limate e proseguii, tenevo all’aspetto fisico per quanto non fosse in assoluto l’unica cosa importante e di certo non avevo mai dato questa idea.

    Non proprio una biblioteca ma qualcuno che potrebbe esserlo. Siamo arrivati!

    Andava avanti ansimando, l’alba non era comparsa e ciò non gli consentiva di rifocillarsi. Lì nascosta nella foresta apparve una scalinata anticipata da un ingresso delineato dai tipici “torii”, le colonne rosse che anticipavano i templi di preghiera. Che stessi per giungere nei pressi di un tempio ed incontrare qualche bonzo senza capelli, esaltato e guardone? Solo il tempo l’avrebbe detto.


    Ho usato la zona "Altri paesi" perchè me l'ha detto kerbe ma mi sono collegato alla razza usando una zona di Konoha dove è ubicata la pozza d'acqua che la collega al monte. SPero vada bene, al massimo lo si sposta a konoha o nella zona che più è logica per la cosa <3


    Edited by Yama™ - 27/1/2018, 18:24
     
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    L'alba stava tardando ad arrivare. Il silenzio regnava sovrano sulle due figure di Lìf ed Escanor che attendevano un segno, un qualcosa. Escabor l'aveva portata lì per un motivo ben preciso e non si trattava di semplici libri da leggere o qualsivoglia altro tomo antico che racchiudeva segreti. Di tomo non c'era niente, ma d'antico qualcosa...beh, c'era. Dall'altro della gradinata lunghissima Lìf avrebbe potuto notare una sagoma che li osservava dall'alto, come se stesse meditando sull'attaccarli o meno. Se vi fosse stato il sole si sarebbe potuto notare la pelle squamosa e viscida, una lunga cicatrice che ornava l'occhio sinistro e degli occhi color polenta che si scurivano alla fuoriuscita di fumo dalla bocca del Rospo. Gamabunta, il re di tutti i Rospi, guardava tutto dall'alto verso il basso. E, dunque, Lìf era stata condotta proprio nel monte Myoboku, dimora di tali animali. Però, probabilmente, una signorina che viene da tutt'altro posto che il continente Ninja non avrebbe potuto conoscere un luogo così pregno di storia. Gamabunta roteò la testa ed il corpo fino a dare le spalle ai due. Era altissimo, sembrava un obelisco di carne. Spiccò un salto e, lasciatosi cullare dal freddo mattutino, scomparve dal raggio visivo dei due. Certamente un posto così avrebbe riservato delle sorprese, Lìf ed Escabor non si sarebbero mai immaginati cosa sarebbe successo da lì a poco. Però uno zampettare indefinito presagiva un incontro; si sentiva il flaccidume delle zampe picchiare sul terreno, mentre poco a poco, anzi, salto dopo salto, una figura molto più piccola rispetto a quella che i due videro in precedenza arrivava da Est. Si fermò davanti agli scalini e non accennò nemmeno una parola ai due se non prima di aver saltato cinque di essi. Giratosi il cappotto blu che portava sulle "spalle" cadde per terra. La pelle era proprio come quella dell'altra figura, di un color arancione intenso.

    Beh? Siete qua per Gamabunta o no? chiese con tono serio, mentre iniziava a salire quei gradini, lasciando ancora a terra il proprio cappotto. Sembrava addirittura che se ne fosse dimenticato.

    Siete strani, voi due. Da dove venite? E perché siete qua al Monte? Gli umani non sono tanto ben visti qua, dovreste saperlo. Se foste del posto.

    L'ironia era abbastanza palese e forse quello era proprio un primo test per incontrare "Gamabunta", per capire se essi fossero degni o meno. Di cosa? Lìf non ne aveva la più pallida idea.
     
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    C’era qualcosa che non riuscivo a capire ed era il motivo di quel viaggio, tra mistero e natura. M’ero fatta spazio lungo un percorso che probabilmente non sarei stata in grado di ripercorrere, troppo intricato, quasi magicamente mutevole alle mie spalle. Le impronte svanivano e la terra in esse riemergeva, coprendosi di foglie o di neve data la stagione che comunque andava via via allontanandosi. Per dar spazio alla primavera il clima doveva fare un compromesso con il sole e a patto di ritornare l’anno prossimo sarebbe dovuto andar via repentinamente. Il freddo solcò la spina dorsale spedendo al cervello una moltitudine di stimoli capaci di provocare in me diverse sensazioni, tali da farmi reagire con un brivido e volgere un occhio di riguardo verso le pendici della scalinata, lì dove qualcosa di molto grosso aveva puntato gli occhi verso la nostra posizione. Niente di niente mi balenò in mente, solo un ricordo risalente al torneo che però non ritenevo di aiuto alla situazione.

    Oh, finalmente quella prima donna di Gamabunta è uscito fuori.

    All’oscuro dei paini malefici di Escanor volsi verso di lui l’attenzione, inconsapevole del destino che avrei affrontato per via delle sue scelte. Infilai la mancina nella chioma selvaggia e calcai più forte i piedi nel suolo, strisciando la punta nel terreno.

    E’ diventato ancora più grasso! Forsa su, saliamo!


    Vorrei che tu mi spiegassi dove siamo Escanor.

    Esigere una risposta faceva troppo despota, non ero mica mia madre! Si fermò dal sollevare il piede e ruotò il bracino con molta calma, curvando di poco la schiena in avanti e posizionando gli arti ai fianchi. Non voleva spiegarmelo? Che non si fidasse di rivelarmi tale tappa?

    Beh? Siete qua per Gamabunta o no?

    Le sue labbra non si mossero, eppure qualcosa aveva parlato. Troppo presa dall’attendere una risposta, ignorai l’ambiente circostante a tal punto da non accorgermi della figura animale –e parlante- apparsa sui gradini. Una creatura grande a modo suo con una stazza maggiorata rispetto ai suoi colleghi comuni del sud, con una pelle traslucida e viscida, color kaki. Con un balzo ci diede le spalle salendo gli scalini della ripida salita, precedendoci nel percorrere il tragitto con il suo modo di incedere. Al volere della rana e al mistero insito nella mente di Escanor, mi zittii e mollai l’idea di tormentare l’uomo con inutili domande come “perché siamo qui” o “come fai a conoscere questo posto che nemmeno io ho mai scoperto”. Inarcai le ginocchia ad ogni passo e percepii una forza addossarsi sulle ginocchia, salita dopo salita, pressione dopo pressione.

    Siete strani, voi due. Da dove venite? E perché siete qua al Monte? Gli umani non sono tanto ben visti qua, dovreste saperlo. Se foste del posto.

    Sinceramente vorrei tanto saperlo anch’io, ma questo viaggio è partito tutto dalla mia volontà di capire quale strada scegliere sulla base di informazioni che avrei potuto trovare in una biblioteca. Non sono ancora molto brava a comprendere la lingua del posto, pensavo che questo brutto ceffo con me mi conducesse verso una libreria.

    Tenni il passo della rana, rispettando le distanze con la bestia e godendo di quello spazio per cercare di studiarla meglio. Stavo al passo scrutando dall’alto la metamorfosi della vista, perdendo l’immagine dei torii ormai sotto di noi. Non era un caso che fossi lì e ormai s’era capito, ma cosa c’entrassero delle rane geneticamente modificate con la storia proprio non lo sapevo. Respiro statico, labbra lineari e carnose, muscoli completamente sollecitati: era il mio quadro generale, che mi portai dietro fino all’ultima piattaforma rocciosa rimuovendo dalla testa domande scomode. Se avessi voluto evolvermi, dovevo eliminare il superfluo.
     
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    Non ci impiegarono tanto a fare quella salita. Gamakichi di tanto in tanto voltava la sua testa in direzione di Lìf ed Escanor, assicurandosi del fatto che lo stessero seguendo. Ogni zampettio flaccido che compieva, gli scalini diminuivano e la vetta di quella scalinata era sempre più vicina. L'area che si sarebbero ritrovati davanti avrebbe visto protagonista niente meno che Gamabunta, fermo, al centro di quel piazzale ornato da stendardi rossi, fiammelle accese in "camini", il fumo della pipa del rospo gigante. Sembrava fosse in uno stato di trance, con gli occhi chiusi e il respiro profondo. Lìf avrebbe potuto notare l'ingrossarsi della sua pancia e il ritornare alla sua forma normale, di tanto in tanto sentendo qualche ronfo. Era come se stesse dormendo.

    Scusate, mio padre dorme quasi sempre.

    Senza pensarci, Gamakichi si fiondò sulla schiena del padre, affondando le zampe nelle sue squame. Gamabunta, di canto suo, si svegliò e prese per il collo il "figlioletto": era grande quasi quanto lui, nonostante la differenza d'età.

    spiegami COSA STARESTI FACENDO, GAMAKICHI?

    A stento il "piccolo" riusciva a gracchiare. Povero.

    uhm... uno di... questi due avventurieri... ti cercava...

    Gamabunta lasciò la presa, facendo atterrare un Gamakichi in lacrime. Prese a camminare lentamente verso le due figure e si stranì nel vedere una ragazza vicino ad... Escanor. Evidentemente la ragazza in questione venne da lui guidata fino al SUO posto per poter stipulare un contratto che avrebbe segnato per sempre entrambe le loro vite, nonostante non fosse la prima Kunoichi/Shinobi a prostrarsi al cospetto del re dei rospi. Sbuffando dalla propria pipa, ecco che Gamabunta si rivolse a Lìf. Si poteva sentire l'acre odore di tabacco nell'aria.

    Mh. Quindi Escanor ti ha condotto qui eh? Brutta volpe... Comunque, mi presento. Il mio nome è Gamabunta, re dei rospi. Sono stato fedele compagno di molti Shinobi, alcuni addirittura molto più famosi di quanto tu, ragazzina, possa pensare. Quindi, vediamo una cosa: perché dovrei concedermi a te? Quali sono i tuoi valori? Sorprendimi.

     
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    E immaginai la fine del percorso, soffiando nel vuoto nuvole di vapore che il mio corpo spezzava al passaggio. Sbuffi bianchi e di dimensioni e forme diverse, tutti pronti a scomparire nell’aeree con la stessa rapidità con cui erano venuti al mondo. Onde tiepide in contrasto con il freddo dell’ultimo periodo, una temperatura poco gradevole senza una buona abitudine ai climi rigidi. Ciò che mi mancava era proprio quella e mi ero coperta per evitare di compiere quel viaggio con la sofferenza della neve addosso e il naso colante come nei migliori fumetti. Della coltre bianca però non v’era la minima traccia man mano che la scalinata terminava e il picco dell’altura veniva raggiunto, sforzo dopo l’altro, orma dopo orma nello stupore dello scenario surreale. Quasi slegato dall’ambiente a cui ero abituata, mi sorprese l’assenza di nubi e incertezze nel cielo uggioso e quasi dovetti mollare il cappotto di dosso per quanto le temperature fossero vicine all’essere gradevoli. Come in un mondo tirato fuori da una fiaba mi sentii quasi catapultata in una dimensione di perenne primavera inoltrata, sì umida ma non rigida, abbondantemente segnata dal verde della flora e dalla luce del sole. MI chiesi l’ennesima volta dove fossi e nel calpestare l’ultimo gradino le palpebre si divaricarono, dando agli occhi un raggio di visuale più ampio ma pieno di incertezze. Quante ipotesi c’erano? Quante domande avrei avuto in serbo per lui? No, era un trabocchetto. La bestia dal corpo molliccio berciò, prima di balzare in avanti con un salto prodigioso e atterrare sulla schiena di un suo compagno. Condividevano la stessa razza e a momenti anche la stazza, ma nell’imponenza di quell’ombra a 4 zampe rimasi di stucco.

    Scusate, mio padre dorme quasi sempre.

    Un’ombra, la sua, ben più grande di qualsiasi rana e un colore della pelle ben più scuro delle cromature del sangue. Solcata da cicatrici di battaglia le esponeva senza timore come ad esserne orgoglioso, mentre il figlioccio si divertì per il tempo necessario a far innervosire il genitore che se lo levò di torno con un gesto interpretabile in vari modi.

    spiegami COSA STARESTI FACENDO, GAMAKICHI?


    Ne seguì proprio gesto con cui il più piccolo tornò a terra, un po’ scosso ma senza un trauma vero e proprio da superare. Si sistemarono entrambi e nell’annunciarci, la voce di Gamakichi parve vibrare e far ritirare le foglie circostanti, come se la natura reagisse percependo gli stati d’animo dei loro guardiani e rispondendo di conseguenza.

    uhm... uno di... questi due avventurieri... ti cercava...

    Sentii in maniera distinta i loro discorsi così come il tonfo dei passi dell’adulto, di una forza tale da far vibrare il terreno per le percosse. Tutto ciò che c’era in quella zona si ritrasse nuovamente e restai in piedi al cospetto di quel re rospo, in procinto di setacciare gli umani presenti nel suo territorio con lo stagnante colore dei suoi occhi, sbuffando nuvole di fumo dal fornello tenuto di traverso al lato sinistro delle labbra. Pareva vecchio abbastanza da aver visto il mondo nascere, dilaniato per così tante battaglie da far sembrare gli avvenimenti recenti delle semplici bazzecole e quella cicatrice la diceva lunga su quanto il suo nome potesse essere vecchio abbastanza dal trovarsi scolpito in qualche stele millenaria. Solo supposizioni o realtà papabili? Afferrò il lungo cannello e tirò fuori il bocchino della pipa, gorgogliando come un vulcano attivo delle parole che sapevano di tabacco e intransigenza.

    Mh. Quindi Escanor ti ha condotto qui eh? Brutta volpe... Comunque, mi presento. Il mio nome è Gamabunta, re dei rospi. Sono stato fedele compagno di molti Shinobi, alcuni addirittura molto più famosi di quanto tu, ragazzina, possa pensare. Quindi, vediamo una cosa: perché dovrei concedermi a te? Quali sono i tuoi valori? Sorprendimi.

    Schioccai la lingua sotto il palato, complice ovviamente la situazione estrema in cui m’ero cacciata. Ancheggiai sul posto e con le mani chinai il capo in segno di rispetto, usanza per il quale erano serviti anni e anni di vita in mare. Onorevole o no, era il padrone e custode di un luogo affascinante come quello e meritava il rispetto che nel nome recava, vecchio o giovane non faceva importanza.

    E’ proprio nelle vostre parole che c’è la risposta al quesito, signor Gamabunta. Cercavo una biblioteca che potesse aiutarmi, certo, ma come voi avete affermato non posso nemmeno immaginare di quanta conoscenza siate in possesso. Questo è un luogo fantastico ma come tantissime cose di questo mondo, non lo conoscevo. Ma voi non siete minimamente paragonabile ad un libro, avete vissuto centinaia di vite diverse patteggiando con quei valorosi guerrieri di cui parlate e probabilmente siete uno dei pochi che realmente potrebbe aiutarmi a capire quali errori evitare e come far si che anche gli altri non ripiombino negli stessi.


    Sciolsi le mani dalla loro presa intrecciata e feci sì che vagassero e s’aggrappassero ai fianchi, nella pelle di quel cappotto che avrei fatto meglio a levare.

    Ci sono troppe cose di questo mondo che non capisco e troppi eventi lo stanno sconvolgendo, accadimenti tristi che nessuno dovrebbe vivere. Pensavo che questo mondo occidentale conoscesse la parola “progresso” ma dopo ciò che ho visto, a Kiri e Suna, ho capito che non sta facendo altro che regredire ad uno stato ben più primitivo e tutto per qualcosa che non comprendo. Se proprio volete sapere quale sia il mio valore, al momento attuale, vi dirò semplicemente che è la vita.

    E dopo un sermone lungo e non disturbato, mi inchinai nuovamente in quanto conscia del fatto di non essere all’altezza di quella creatura. Ma voletti dirglielo perché quell’incontro non sarebbe durato poi molto.

    Questo è il mio valore, ma come ho già detto non sono venuta qui da sola. È stato Escanor a condurmi e come tale non sono sicura che la mia forza e la vostra, insieme, possano coesistere. Ci sono tanti altri guerrieri migliori di me, più capaci. E quindi mi chiedo perché dovreste accettare me, a fronte di tutto ciò?

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    Il vecchio rospo ascoltò con attenzione le parole di Lìf. Non distolse mai lo sguardo dai suoi capelli cinabri, s'appagò nel momento in cui la figura esile e simil gracile della Kunoichi si piegò in un inchino che, in cuor suo, sapeva fosse portatore di rispetto. Dopo questa valutazione attenta, si decise. Gonfiò il gozzo sotto al mento, facendo una buffa faccia.

    Mh. Sei una ragazza affabile, per quello che ho visto. Molto intelligente. Però, in cuor tuo, sai che hai ancora tanta strada da fare. Il tuo valore, come dici, è la vita. E questa è una cosa molto, ma molto saggia da dire. La vita è unica, una sola, inimitabile. Siamo qui, su questa terra, per lasciare un segno tangibile nel tempo, buono o malvagio che sia, dettato dai nostri principi. Vieni qui.

    Mentre Lìf si sarebbe avvicinata alla sua figura imponente, avrebbe tolto dalla schiena il proprio rotolo gigante che gravava sulle sue ossa logorate dalla vecchiaia. L'avrebbe poi aperto sul terreno.

    Stipula il patto con me, o Lìf di Amegakure. Scrivi il tuo nome con il tuo sangue su questa pergamena. Imprimi anche l'impronta digitale sotto al nome. Quando ti serviremo, io e i miei figli arriveremo sul campo di battaglia, al tuo fianco.

    Detto ciò ricominciò a fumare la propria pipa, mentre teneva le braccia conserte. Lìf era una dei tanti Ninja a cui aveva prestato i propri servigi, però in cuor suo sapeva che sarebbe potuta arrivare in alto. Al termine del rituale, la pergamena sarebbe svanita in una nuvoletta di fumo e magicamente riapparsa sulla schiena del vecchio rospo, il quale si mostrò con un mega sorriso sul volto. Da lì in poi Lìf e Gamabunta avrebbero cooperato il più possibile.


    Scusami Yama per il post ma voglio chiuderlo qua il prima possibile anche per te :asd:
     
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    In quel momento stetti in silenzio, non capivo cosa frullasse nella testa del rospo né tantomeno era chiaro e trasparente dai suoi occhi, profondi e vacui. Una creatura vecchia di chissà quanti anni, la cui capacità di osservazione era ben più grande di quella in mano a qualsiasi essere umano. Burbero forse, ma in quel mondo così strano, violento e irrazionale, privo dei principi di base e del rispetto per essi, Gamabunta era forse uno dei pochi a potermi fornire le più elaborate spiegazioni. Mi sentivo strana nell’esser passata dal non comprendere una lingua al saperla utilizzare correttamente e forse ciò mi avrebbe salvato in futuro e persino in quella stessa zona mistica.

    Mh. Sei una ragazza affabile, per quello che ho visto. Molto intelligente. Però, in cuor tuo, sai che hai ancora tanta strada da fare. Il tuo valore, come dici, è la vita. E questa è una cosa molto, ma molto saggia da dire. La vita è unica, una sola, inimitabile. Siamo qui, su questa terra, per lasciare un segno tangibile nel tempo, buono o malvagio che sia, dettato dai nostri principi. Vieni qui.


    Arricciai il labbro nell’istante in cui il rospo diede energia alle sue corde vocali e aria alla bocca, rigurgitando dalle più profonde cavità il suo esito. Una risposta che sebbene fosse positiva mi lasciò interdetta. Incredula di come le mie parole sortirono sull’essere il migliore degli effetti dispiegai le braccia e sollevai da terra i calzari, spostando il peso di gamba in gamba e spedendolo nel suolo come scariche elettriche di fulmini temporaleschi. Restai con le mani ai fianchi mentre sul terreno un grande rotolo veniva srotolato con un veloce gesto orizzontale della zampa palmata, l’unica libera da impedimenti e l’unica non alle prese con il mantenimento della pipa. Grande abbastanza e ricco di nomi, ciò che parve nel mio sguardo ingenuo fu un elenco di nomi, tra cui ne spiccavano alcuni molto singolari. Eppure di loro non mi importava perché a scuotermi e guidarmi fu proprio Gamabunta, intento a sbuffare fumo scuro e condenso.

    Stipula il patto con me, o Lìf di Amegakure. Scrivi il tuo nome con il tuo sangue su questa pergamena. Imprimi anche l'impronta digitale sotto al nome. Quando ti serviremo, io e i miei figli arriveremo sul campo di battaglia, al tuo fianco.


    Il legame, quindi, comportava del sangue ma ciò non ci avrebbe resi familiari ma solo complici, partner nelle difficoltà. Ciò che mi spinse a farlo e ad accettare definitivamente quel contratto fu la disponibilità della creatura a cooperare con me in una situazione che pareva destinata a peggiorare. Ero lì appostata, fissando con occhio indagatore lo spazio bianco ove tingere una sigla con il mio sangue, mentre il vento sferzava il mio viso e un acciottolio mi sibilò nell’orecchio, sassolini smossi da altre creature lì intorno. Non volevo ferire le dita, ne avevo bisogno per addestrarmi alla cartografia e continuare la mia missione, oltre ad ogni altra attività e lavoro che m’ero procurata dallo sbarco, quindi optai per un qualcosa di differente, per una porzione di pelle nei pressi del collo. Con una lama estratta mediante la mancina andai ad incidere un taglio leggero sulla pelle, non un colpo affondato perché non era mia intenzione morire dissanguata. Agii con precisione chirurgica e una volta raccolto del sangue su indice e medio mi chinai a scrivere le lettere e a lasciare l’impronta sotto di esse, mediante l’indice.

    La ringrazio per aver accettato di servirmi, farò in modo di non deludere le aspettative che avete riposto in me.

    Perché quel legame non era fasullo, anche se nato dalla stranezza degli eventi. Sospirai, alzandomi da terra mentre la ferita si richiudeva per merito delle cure degli insetti e porgevo gli ultimi omaggi alle bestie.


    Grazie mille <33
     
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    45 exp per Roxy :rosa: per yama aspetto che gliela dai tu essendo il master dell'evento :)
     
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    Hey, Axel. You haven't forgotten? You made us a promise. That you'd always be there... to bring us back.

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    Yama si può prendere il max -2! Chiudo :kashi:
     
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9 replies since 27/1/2018, 18:05   249 views
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