[Story mode] Inside

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    Se fosse stato qualsiasi altro giorno, la sua pausa sarebbe dovuta finire sei minuti prima. Fu ciò che il professor Yakushi pensò quando gli occhi turchini si posarono sull'orologio da taschino nella mano sinistra. Gli occhiali sottili scivolarono leggermente lungo la punta del naso aquilino e l'uomo alzò la testa. Fece scattare il pendolo, rimettendolo al sicuro nel taschino del suo gilet. Il camicie lungo e bianco, da medico che si rispetti, era aperto e penzolava dalla sedia, allontanata dalla sua scrivania. Chinato in avanti, lasciava fumare da sola la sua sigaretta, tra l'indice e il medio della mano destra. Perché stava procrastinando la propria pausa? Era un ricercatore brillante e un medico famoso lì ad Ame; sarebbe stato in grado di venire meno al proprio lavoro trascurando i propri orari? Ovviamente no, ma il suo non far nulla una scusante l'aveva. Un'occhio attento che fosse stato catapultato dentro quell'ufficio dalle imposte abbassate, avrebbe sicuramente notato il disordine generale. Una grossa borsa da viaggio era posata al lato della scrivania, ancora aperta seppur rigonfia come un tacchino. Il dottor Yakushi era pronto alla partenza. Non avrebbe lavorato quel giorno, come avrebbe potuto? Persino nel buio il caldo estivo raggiungeva l'uomo. Tirò una boccata di fumo mentre, con la mancina, si diede una veloce sistemata ai capelli. Erano corti e di un castano comune. Ne stava perdendo un po' all'altezza delle tempie e, sulle basette, il castano cominciava a divenire bianco.

    *Toc toc*


    L'uomo sobbalzò, lasciando quasi cadere la sigaretta in terra. Scattò in piedi, agitato, dirigendosi verso la finestra. La spalancò in un sol colpo e fu acciecato dal sole pomeridiano. Lanciando a sigaretta dalla finestra, si sbracciò per far uscire il fumo che solo ora aveva notato riempire l'intera stanza.

    Chi è?

    Domandò ad alta voce, tornando velocemente alla scrivania. Nel mentre, una voce femminile (probabilmente l'infermiera di turno) gli annunciava di avere una visitatrice. Yakushi sistemò la propria sedia, sedendovisi e sistemandosi gli occhiali sulla punta del naso. Non aspettava alcuna visita.

    Prego.

    Tossì una sola volta, poggiando le braccia sul tavolo e intrecciando le dita tra loro. Per un attimo pensò di nascondere la borsa, per un qualche motivo, ma la porta si era già aperta. E non si trattava del segretario né del direttore. Nè di un suo conoscente. C'era solo una ragazza. Gli sembrava di non averla mai vista. L'infermiera si richiuse la porta alle spalle, lasciandoli soli. Cosa avrebbe dovuto aspettarsi? Per prima cosa, le buone maniere. Il professore si alzò in piedi, mostrando come il suo corpo apparisse smilzo ma assai slanciato. Non troppo debole ma sicuramente il corpo di uno studioso.

    Professor Yakushi, piacere.

    Le porse la mano, presentandosi, per poi rimettersi seduto. Sorrise affabile seppur un po' a disagio. Perché quell'incontro? Restò comunque in silenzio, il professore. Non era lui a dover parlare, al momento.
     
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    .:First true chapter

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    Stavo solamente facendo ciò che andava fatto, pregavo affinchè la cosa fosse giusta. No, non avevo dubbi a riguardo perché altrimenti non mi sarei presa la briga di continuare la camminata verso il patibolo con affiatamento e sicurezza. Ero lì, enormemente convinta di distruggere i dubbi con le mie parole e una mimica da diciassettenne a cui ricorrevo molto meglio delle parole, perché quelle non sapevo usarle al meglio. Una straniera in un mondo nuovo, come un turista sicuro appena sceso dall’autobus con la sua bella istantanea, un enorme zaino contenente persino il proprio conto in banca e una stupida, ridicola visiera per ripararsi dal sole. Francamente sapevo di ricevere sguardi dubbiosi dagli abitanti di quel paese, non perché fossi un mostro o per chissà quale motivo spaesante ma per una semplice “diversità”. Dai vestiti alla pelle olivastra fino al modo stesso con cui macinavo metri sulle strade umide dei quartieri della Pioggia, guardando in maniera profonda ogni singolo dettaglio architettonico dando pienamente l’impressione di tramare qualcosa. Ero entrata nel cortile dell’ospedale assieme ad Escanor, rilassando le labbra e spremendo le meningi al fine di capire cosa aspettarmi oltre quella porta grande e scorrevole, costruita interamente in vetro temperato. Il cielo del mattino si tinse di grigiastre nubi, cumuli di macchie multiforme su una grande tela azzurra accompagnate dallo scirocco. Avevo visto il sole sorgere e in quel momento stava continuamente cambiando posizione nel guidarmi verso la destinazione, affinché sia io che esso riuscissimo a raggiungere il climax in quell’avventura, il traguardo, l’obiettivo tanto ambito. Le mani infilate nelle tasche ebbero più volte modo di tastare il corpo sottostante senza sentirne il calore reale, né senza avere un contatto diretto con la pelle, seppur a bastarmi fu soltanto l’impressione data dal tatto. Un controllo, una sicurezza, la presenza di me chiara e lineare. L’ombra riflessa sul terreno si immerse in quella degli alberi verdi e torreggianti, delle silenziose panchine e dei lampioni spenti prendendo forma in modo nuovo e differente, tuffandosi in altre per riemergere al minimo spostamento. Una presenza costante, nera e piatta, una maledizione innocua e impossibile da obliare nemmeno con il metodo più particolare, nemmeno con l’uso del chakra.

    "Quanta gente a quest’ora, sarà l’orario delle visite?"
    Esattamente

    Probabilmente, essendo già stata lì una volta all’incirca alla medesima ora, le supposizioni dell’uomo dalla maglietta strappata non erano infondate, anzi tutto il contrario. Sentii lo scampanellare di un bambino in bici a ovest, il vociare di alcuni anziani in degenza e lì fuori a godersi un po’ d’aria fresca. Una infermiera mi passò davanti con tutta fretta in camice e collant bianchi, muovendosi a tutta birra verso l’ingresso. Mostrò una rapidità disumana nel fiondarsi all’interno dell’edificio, attivando i congegni elettrici una volta in corrispondenza della porta che si mosse e si ritirò come le acque del fiume in quella stranissima storia antica di divinità e salvataggio di un popolo. Imperituri erano il tempo e il mondo a contatto tra loro da un filo invisibile ed eterno, attorcigliato come la vita attorno all’esistenza. Nel tempo vagai con decisione e mi ritrovai poco dopo dinanzi alla porta, che si aprì al mio cospetto al pari di uno stuolo di schiavisti alla vista del loro boss. Tzè, odiavo gli schiavisti forse più degli insetti e degli uomini pesce, erano una razza conveniente e al tempo stesso bastarda. Lo stato delle cose si rivelò in tutta la sua diversità, in un ambiente differente e soverchiato dalla “prassi”. Bianco e legno sulle pareti, luci incassate in fila indiana sul soffitto, piante naturalistiche e frecce direzionali al seguito di insegne con scritte bianche su sfondo verde. In quel grande salone d’accoglienza notai in lontananza due scalinate convergenti da ambo i lati, con una forma ad uncino e costruite per permettere una salita al secondo piano. Proprio su due livelli si sviluppava l’infermeria di Ame, non molto grande ma nemmeno così minuscola da sembrare insignificante. Una via di mezzo tra avanguardia e vecchio, in continua evoluzione ma lontana dal rappresentare il massimo ricreabile dalla mente umana. Escanor notò alla destra la reception, pochi passi verso quel gabbiotto in legno lungo circa 4 metri con tre sportelli dedicati alle visite e uno alle prenotazioni. Prendendo l’iniziativa mi mossi con passo felino in sua direzione portandomi appresso il peso della tensione, visto che seppur fossi decisa a perseverare nell’impresa non ero riuscita a trovare la tranquillità necessaria ad affrontarla. Fui abbastanza vicina da notare l’operatore a lavoro con un aggeggio mai visto prima di quel momento, un macchinario di cui avevo unicamente sentito parlare in tv e in giro. Mossi l’indice nell’aria facendolo roteare su se stesso per appoggiarlo sul campanello all’angolino, in modo da ricevere le dovute informazioni.

    Benvenuti all’istituto medico di Ame, anche detto Sakkaku’s hospital center. Per l’ufficio licenze dovete proseguire dritti e imboccare quel corridoio, fino all’ala est. Oggi è il dottor Yakushi ad occuparsene, chiedete di lui.


    Supponendo anche che fosse gentile per principio attribuii quel carisma e quel tono alla semplice prassi, all’etica richiesta ai dipendenti in un istituto pubblico di quelle dimensioni e genere.

    "Proseguiamo Lìf, la bella signorina ha detto di entrare in quel corridoio e proseguire verso l’ala est. Dobbiamo trovare un tipo, si chiama Yakushi. "

    Eccolo sibilare il suono della voce di Escanor, un grande agglomerato di toni e note vocali espanse. Si arricciò il naso con quella affermazione dove riscontrai una punta di noia, non tanto per il suo compito ma per il contatto con gente di quel posto.
    Ci facemmo strada mantenendo il lato del corridoio e molti medici, infermieri e specializzanti si susseguirono a frotte disomogenee in tutta quella realtà organizzata. A gruppi di tre, di due, di dieci apparivano e scomparivano in stanze diverse verso reparti i cui nomi potevo solo annotarmeli sul taccuino perché troppo complessi da apprendere solo con l’intuito. Intanto col passare del tempo finii dritta nell’ala est, senza troppe differenze rispetto a ciò che già avevo visto se non per la presenza di qualche murales appeso ai muri o qualche bacheca piena di disegni per bambini. Seppur non fossimo in pediatria dovevo ammettere che quel luogo mi piaceva per via proprio delle sue condizioni allegre, inoltre mi bastò osservarle per rilassare i muscoli e alleviare i nervi tesi.

    "Ho chiesto a quella donna lì seduta, mi ha detto che questo Yakushi è lì dentro"

    Esattamente lì, dove ebbe cura di indicarmelo con la mano si nascondeva il medico, questo fantomatico individuo con cui avrei dovuto parlare. Fortunatamente la fila era costituita unicamente da una vecchina sulla settantina dalla schiena arcuata e il bastone in mogano tra le gambe. Sarebbe bastato poco tempo o forse no, tutto dipendeva dalle condizioni di salute della nonnetta e dalle sue necessità, quindi sedetti alla sua destra nell’ala d’attesa e sprofondai nel divanetto in un silenzio annoiato, imbracciando matita e blocco da disegno per costruire qualcosa di vitale in quella situazione.




    L’interminabile mezz’ora solita trascorse tra continui sguardi all’orologio da parete a sospiri e gesti di rilassamento, quei movimenti superflui ma sfruttati per non annoiarsi. Rividi l’infermiera dai collant bianchi il cui caschetto biondo cingeva le spalle con delicatezza e, data la sua età, anche con una certa sensualità. Sotto braccio teneva la cartella di un paziente e nel taschino superiore lo stetoscopio metallico, trattenuto al collo dai gancetti elastici solitamente inseriti nelle orecchie.
    Bussò alla porta con nocche sbiancate all’uscita della signora e piegando indice e medio mi invitò ad avvicinarmi, cosa che feci sostanzialmente sbalzando via dal divanetto con una spinta in avanti. Le aspettative non vennero smentite e non mi stupii per quell’incontro, che si rivelò più teso che mai. Mi infilai in stanza e la porta si richiuse alle spalle lasciandomi da sola con il medico, sola in quanto mi sembrò di capire che Escanor lì non potesse entrare.

    Professor Yakushi, piacere.

    Per fortuna seppi identificare alla meglio quelle parole, su cui mi ero concentrata a fondo. Erano sostanzialmente i modi su cui mi esercitai, formalità come saluti, luoghi, regole facili della grammatica ed altre chicche.

    Saell, Lìf!

    Esordii prima di sedermi e con la mano sinistra rovistai nella cappa al fine di estrarre la prova del modulo inviato per la licenza, una copia inviata assieme alla principale un po’ sbiadita. La porsi allungandomi in avanti e trovai posto a sedere soltanto a gesto concluso per non sembrare indisponente. Forse ero un po’ frettolosa, ma infondo non c’erano altre spiegazioni alla mia visita se non per reclamare lo status della mia richiesta e mostrargli me stessa. Mostrai lui anche il disegno che avevo fatto, una serie di schizzi raffiguranti una ragazza su di un lungo percorso dalle diramazioni sbarrate, simbolismi di abilità a cui non potevo accedere e troppo distanti dalla mia realtà. Tinsi quella figura di uno sciame di insetti disegnando due frecce rivolte l’una verso l’altra, anche queste sbarrate ma dal punto interrogativo al centro di quel collegamento. Un dubbio, una ricerca, ricorsi a quel punto ortografico per riferirmi più al fatto che il legame reciproco tra uomo e animali fosse di dubbia identità. Per ultimo ma non per importanza, ricreai quella figura in una condizione di malessere prima dell’avvento degli insetti (ricorrendo al tipico teschio in un triangolo), e in una successiva situazione di benessere dopo il loro utilizzo.

    Insetti magici avere curato me, ma non sapere usarli.

    Scossi la testa dopo e concessi all’uomo il tempo per esaminare quell’opera, prendendo i lembi del vestito per scaricare l’adrenalina con una stretta portentosa. Mi chiedo se non sarebbe scoppiato in una risata!
     
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    CITAZIONE
    Saell, Lìf!

    Bastarono quelle due singole parole per far intendere a Yakushi che aveva davanti qualcosa di nuovo. Ancora non lo sapeva, nessuno dei due sapeva, ma quello era solo l'inizio di qualcosa che, ben presto, avrebbe avuto un'importanza più che rilevante nelle loro vite. Un uomo solo, una mente brillante stanca della monotonia dell'ospedale e delle faccende burocratiche alla quale era stata relegata. Una ragazza, una quasi donna, che voleva mettersi alla prova e scoprire tutto ciò che il mondo ancora le teneva nascosto. In quel nome e in quelle parole che, solo dal tono, giunsero alle orecchie del dottore come un "piacere, Lìf!", Yakushi sentì qualcosa di strano. La sua era una mente curiosa e, più osservava la giovane dai capelli rossi, più una convinzione si faceva strada nella sua mente. Chiunque avesse davanti non era una ragazza qualsiasi. I lineamenti delicati ma non comuni del volto, il modo di muoversi, di parlare. Solo con la sua apprenza, Lìf era stata in grado di catturare l'attenzione di un uomo che fino a poco fa era chiuso in quella stanza, desideroso di non trovarsi lì, con la mente già verso la partenza.. fissata per l'indomani. Da dietro la montatura sottile degli occhiali, gli occhi nocciola del professore scorsero curiosamente la figura di Lìf, intenta a cercare qualcosa. Ne tirò infatti fuori un foglio che gli porse e che, con un sorriso, l'uomo accettò di esaminare.

    Oh, il modulo di richiesta per ottenere la licenza da.. Farmacista?

    Domandò pacatamente l'uomo, lanciando un'occhiata verso la ragazza. Si era seduta. Gli occhiali scivolarono lentamente sul naso aquilino e il professore continuò a leggere il foglio, fermandosi però a metà. Alzò nuovamente gli occhi verso la ragazza, grattandosi la tempia con l'indice della mancina.

    Scommetto che non hai avuto risposta alla richiesta. E' che i corsi non cominceranno prima di Mezuki, è ancora in corso la sessione estiva..

    Pronunciò tranquillamente, con leggera titubanza. Smise di proferir parola al suo alzare lo sguardo. La ragazza dai capelli rossi stava.. disegnando. Non era un semplice disegno il suo quanto più un tentativo di comunicazione laddove le parole non potevano arrivare. Subito il professore intuì quanto per la rossa fosse importante che lui le prestasse attenzione, per cui si sporse in avanti, osservando il disegno. Ritraeva una ragazza, probabilmente la stessa che aveva davanti. Ad ogni passata di colore, Lìf aggiungeva particolari diversi. Uno sciame di insetti, punti interrogativi, frecce, segnali di pericolo. Con attenzione, il professore osservò quella che era una sequenza di eventi che, seppur solo in generale, gli sembrava di aver compreso.
    CITAZIONE
    Insetti magici avere curato me, ma non sapere usarli.

    A quella spiegazione sicura seppur l'accento straniero e il modo quindi non perfettamente corretto di esprimersi, Yakushi sorrise. Annuì con un cenno del capo, afferrando delicatamente il disegno della ragazza. La schiena si poggiò allo schienale, osservandolo nuovamente, in silenzio. Nella sua mente c'erano molti interrogativi ma dubitava che la ragazza potesse aiutarlo. Tolto il suo non conoscere perfettamente la lingua degli Shinobi, l'uomo dubitava che sapesse con esattezza la dinamica degli eventi. Poggiò il foglio sulla sua scrivania e sorrise, spingendosi bene gli occhiali sopra il naso con un gesto veloce.

    Beh, Lìf, ti confesso che non ho ben capito la questione degli insetti. Ho capito l'aiuto che ti è stato dato, ma sul come..

    Scosse la testa, scompigliandosi con la mancina i capelli corti. Sembrò soppesare un pensiero, un'idea che gli era venuta. Lanciò un'occhiata alla ragazza e abbassò per un attimo lo sguardo. Schioccò improvvisamente le dita, con un sorriso furbo sul volto, un sorriso che illuminò di una luce giovane i suoi occhi stanchi.

    Ascolta, tu vorreti fare l'esame per ottenere la licenza, giusto? Bene! Aspetta solo un attimo!

    Frugò nel grosso borsone posato malamente sulla scrivania. Sembra molto preso dalla questione e, nel mentre, spiegò il perché di quell'animazione alla ragazza. Si era persino dimenticato che probabilmente avrebbe dovuto spiegarsi più facilmente alla ragazza.

    Domani devo partire, c'è bisogno di me a sud, in un villaggio di pescatori. Ah!

    E finalmente lo trovò, quel ritaglio di giornale che mostrò alla ragazza, tutto spiegazzato. In parole povere, riprotava la notizia di una strana intossicazione che aveva colpito un piccolissimo villaggio di pescatori. Non c'era scritto nulla di più.

    Potrebbe essere una questione di rilievo, per cui andrò sul campo per indagare. Ci sarà da raccogliere materiali, fare ricerche per trovare la causa dell'intossicazione e via dicendo.

    Spostò lo sguardo sulla ragazza, sorridendo nuovamente.

    Mi interessa il tuo caso. Che ne diresti di lasciar perdere il corso e guadagnarti la licenza in un altro modo? Sono io l'esaminatore finale. Si tratterà di stare qualche giorno sul campo, indagare e raccogliere dei campioni, analizzarli e.. cercare di risolvere il problema. Non ne so molto neanche io ma.. mi farebbe comodo un'assistente!

    Le strizzò l'occhio ed era cosa fatta. Un orario, un luogo. E un'altra sigaretta.

    * * *


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    Pioggia. Basse nubi grige nascondevano un cielo che illuminava sporadicamente con raggi opachi il loro cammino. Si lasciarono l'alba alle spalle come il treno che li aveva accompagnati sino a più della metà del cammino. Il villaggio era distante e non poteva essere raggiunto se non a piedi. Avevano attraversato un'ampia vallata, risalendo un altopiano che, dalla sua sommità, già mostrava in lontananza quel luogo dimenticato da Dio. Cupo, grigio, immerso nel nulla.
    I passi del professore erano lenti ma decisi mentre scrutava lo schizzo che si era procurato sul treno. Parlando con un controllore che conosceva quel piccolo villaggio, era stato in grado di farsi schizzare una piantina di quella zona di Amegakure su una pagina bianca di un libro che aveva letto durante il viaggio. La teneva d'occhio, incitando Lìf a seguirlo. L'uomo sembrava un vero e proprio turista. Si portava appresso una borsa da viaggio dall'aria pesante, indossava un capello ampio calato sul volto, i suoi soliti occhiali fini, una semplice camicia a maniche corte e dei pantaloncini corti. Tocco di classe: un paio di calzettoni alti, bianchi, che si vedevano benissimo attraverso i vecchi sandali aperti. Non certo una bella visione, ma non era lì per una sfilata!

    Guarda, Lìf, sembra che siamo arrivati.

    Esclamò ad un certo punto l'uomo, con il libro sottobraccio e un gran sorriso stanco sul volto. Aveva già sudato molto e, giungendo al villaggio, fu ancora peggio. Fu una delle prime caratteristiche che il professore a la sua assistente poterono cogliere del nuovo ambiente: vi era un caldo umido, strisciante. Sembrava che il calore si attaccasse direttamente alle pelle, ad ogni cosa, rendendo davvero fastidioso il clima. Persino l'odore che si respirava era fastidioso, come un misto di umidità e.. marciume. Un altro segno, ancor peggio del primo, fu il grigiume che circondava ogni cosa. Il villaggio era composto per lo più da baracche di legno fatte case, cadenti. Il terreno era povero, pieno di pozze e poche piante scure. Recinti vuoti, finestre e porte chiuse. Sembrava fosse un posto abbandonato. Il professore si fermò, confuso, osservando quello scenario che non gli era mai capitato di vedere.

    Direi che dobbiamo trovare qualcuno a cui chiedere della faccenda. Sembra che non ci sia un'anima in giro..

    Borbottò, sistemandosi la visiera sul capo. Lanciò un sorriso alla ragazza, sua accompagnatrice. Era stanco ma pronto a dare il via alla ricerca, e l'averla vicino era sicuramente l'aspetto migliore di tutta quella faccenda.

    Ok, cominciamo piano piano. Fai da guida per il professore ruolando che trovi un luogo (puoi decidere tu quale, cerca di essere più realistico possibile) dove poter fare delle domande. Conta che è un villaggio piccolo formato da pescatori, non troverai ospedali o cose del genere :asd:
     
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    Tutto quel disegno, quell’insieme di linee dritte, spezzate, rotonde e rimarcate facevano parte di un più grande cerchio riguardante la mia vita. Un sunto scarno e incomprensibile ai meno intelligenti che l’uomo difronte a me cominciò a ispezionare dal retro di un paio di lenti piccole e trattenute su di un naso aquilino. Certamente non ero mai stata a contatto con un medico della civiltà ninja perché l’unica figura medica con il quale ero entrata in contatto –letteralmente parlando- era rappresentata dalla sacerdotessa di Krakatoa, donna dal fisico marmoreo e giunonico con una strana energia nelle vene. Al ricordo di colei che a morsi aveva curato la nave parlandomi della cosa come di un dono delle divinità del mare stava pian piano giungendo con prepotenza un altro, quello di un comune uomo in camice e viso contrito dai suoi problemi personali. Grattai con l’unghia la punta del mento insistendo con la forza, stimolando la pelle ad arrossarsi. Nervosismo? Chissà, forse si o forse no. Come una sensazione ricorrente giocai con la coda dell’occhio evitando il contatto con il medico durante la sua ispezione della richiesta e del foglio, notando come tutto al suo interno fosse al suo posto. Tra kit medici, lettini, scartoffie e boccette c’era l’imbarazzo della scelta ma non ero lì per avvicinarmi a quella branca ma soltanto per ottenere ciò che desideravo. Necessitando di una marcia in più avevo deciso di applicare ciò che sapevo, ciò che mi era stato impartito dal vecchio Gils al fine di continuare con il mio progetto e avere più strade a disposizione, più porte aperte.

    Scommetto che non hai avuto risposta alla richiesta. E' che i corsi non cominceranno prima di Mezuki, è ancora in corso la sessione estiva..

    Sussultai sulla sedia e scossi il capo quando l’uomo aprì bocca, accompagnando un ciuffo di capelli dietro l’orecchio. Dovessi pensare a fondo per ricordare ogni singola parola detta, alla ricerca del suo significato nei meandri di una mente dalle potenzialità sconosciute. Annuii per non sbagliare, colpita istintivamente dall’ignoranza e dalla mia incapacità di sapermela cavare da sola in un discorso diretto tra due interlocutori. Annuii una seconda volta e stetti a spiarne gli spostamenti del corpo e le reazioni del suo viso, paradossalmente normali e prevedibili.

    Beh, Lìf, ti confesso che non ho ben capito la questione degli insetti. Ho capito l'aiuto che ti è stato dato, ma sul come..


    Quando si ritrasse sullo schienale sorridendo, il dubbio che l’altro mi stesse prendendo in giro, canzonandomi a causa dell’handicap culturale mi assalì. Imitandolo mi ritrassi alla sua maniera e sollevai le spalle, restringendo le gambe per annullare lo spazio tra esse. A pugni richiusi sulle ginocchia strinsi le labbra e me ne stetti in silenzio, inspirando ed espirando come un gatto.

    Ascolta, tu vorresti fare l'esame per ottenere la licenza, giusto? Bene! Aspetta solo un attimo!

    Aspettai e lo feci perché fra quelle dette fu una delle poche che il mio cervello seppe meglio riconoscere. Lo vidi frugare in borsa e inclinai la testa, curiosa di scoprire il perché di tanto fremito. Poi…

    Domani devo partire, c'è bisogno di me a sud, in un villaggio di pescatori. Ah!

    Procedendo spedito verso la meta del discorso estrasse una sorta di documento spiegazzato e incartapecorito, mostrandomelo nella sua interezza. Più e più volte riposi fiducia nell’attenzione, tuttavia quelle lettere e quei caratteri fuori dalla mia portata mi costrinsero a fingere di sapere qualcosa. In verità capii soltanto qualcosa riguardando un villaggio colpito da una malattia ma della restante gran parte non ne venni a galla. Che cosa terribilmente frustrante!

    Potrebbe essere una questione di rilievo, per cui andrò sul campo per indagare. Ci sarà da raccogliere materiali, fare ricerche per trovare la causa dell'intossicazione e via dicendo.

    Sibilò, in un silenzio asettico e critico ricreato dall’atmosfera della stanza.

    Mi interessa il tuo caso. Che ne diresti di lasciar perdere il corso e guadagnarti la licenza in un altro modo? Sono io l'esaminatore finale. Si tratterà di stare qualche giorno sul campo, indagare e raccogliere dei campioni, analizzarli e.. cercare di risolvere il problema. Non ne so molto neanche io ma.. mi farebbe comodo un'assistente!

    Sarebbe stato molto più facile procedere e aspettare ma quantomeno me la sarei sudata, quella licenza. Sudata e guadagnata in quel viaggio verso un posto somigliante al mio ambiente di origine, e ciò mi trasmise una serie di impressioni e sensazioni enigmatiche. Eccitazione, tremori, tensione e l’oblio più oscuro, l’oscurità di quel viaggio che avrei potuto descrivere solo con una fervida immaginazione.
    Mi sollevai dalla sedia una volta assicuratami che avesse finito con le munizioni e scaricato l’arsenale, chinandomi verso l’uomo al fine di ringraziarlo. Poi riemersi dalla mia prostrazione e innalzai la schiena, precedendolo alla porta. Non solo mi serviva una traduzione più dettagliata da parte di Escanor ma anche una revisione di quel documento, una blanda copia che il dottore si premurò di regalarmi.



    Quel maledetto non mi parlò per niente di un treno e io, piena di sfiga, passai parte del viaggio in bagno. Cinetosi, un malessere procurato tanto dagli insetti quanto dalla mia abitudine di stare sulle navi. Dovetti occupare per diverso tempo la toilette, stringendo lo stomaco seduta sulla tazza del cesso e imprecando parole nella lingua antica del mare. No, non quella comune, ma quella usata nei momenti di rabbia e impazienza. Quando scesi barcollando e con un borsone da viaggio seppi che la mia ora non sarebbe giunta in quell’istante e la libertà di respirare aria fresca mi diede ancora più speranza e linfa vitale. Yakushi gironzolava con uno scarabocchio tra le dita, un po’ inzuppato per via di una pioggia insistente e tormentosa e attraverso varie occhiatine mi sembrò di capire che fosse una sorta di mappa. Ero indecisa se ricopiarne una sicuramente migliore di quello stupido scarabocchio o tenermi alla larga nel giacchetto impermeabile fino all’arrivo a destinazione. Mi fidai di lui come guida e tra un passo e una strizzata d’occhio vidi il paesaggio cambiare, le nubi farsi più funeste e l’odore più acre. Il terreno si impregnò d’acqua e da duro divenne fangoso in alcuni tratti, inconveniente in cui incappai più volte sporcando lo stivale ma senza dar segni di cedimento.

    Guarda, Lìf, sembra che siamo arrivati.

    La vista oltre le pendici di una altura mi trasmise una cattiva sensazione e il ricordo di un luogo depredato dagli schiavisti mi passò davanti, flashback che mi premurai di spazzare via sventolando la mano. Scendendo a grandi falcate e percorrendo uno stretto sentiero, studiai con apatia la zona da ispezionare e man mano venni a contatto con una realtà differente e malsana, un po’ come se una nube invisibile e pestilenziale si fosse avvinghiata a denti stretti sulla realtà di quel posto. Sollevando il colletto e mantenendo il cappuccio del giacchetto sul capo, strizzai le palpebre per effetto di un’onda calda che agì sulla mia pelle portandomi a incidere con le dita per attenuare un lieve prurito. A causa di quel cambiamento repentino di clima mi accinsi a ricorrere alla fiaschetta e a mandar giù un sorso di acqua, perché di brandy non ve n’era nemmeno l’ombra e pareva che costasse l’ira del dio Sanbi lì in quel buco di culo fatto di lanciatori di coltelli e palle di fuoco.

    Direi che dobbiamo trovare qualcuno a cui chiedere della faccenda. Sembra che non ci sia un'anima in giro..

    Calcolando per sommi capi l’ampiezza di quel villaggio si poteva dire che era più che altro un vecchio borgo abitato da pochi pescatori, un posto rurale e dominato da un tenore di vita modesto. Punzecchiando le labbra con la lingua e l’indice della mancina lo posi al centro delle orbite al fine di comprendere se vi fosse una qualche possibile presenza di vento, ma mi parve davvero poco forte per essere identificato. Tra le poche ombre comparse e intraviste, la figura di un uomo adunco sul ciglio di un vecchio pozzo colse la mia attenzione, non pensando nemmeno all’idea che magari quel vecchio in canotta e fascia legata alla testa potesse rivelarsi come l’ombra del pericolo. Feci cenno a Yakushi per indicare la presenza dell’uomo e mi convinsi che fosse lui, il solo e unico reduce di quella grave pestilenza o carestia. Ma cos’era veramente?


    MOddo domani la grafica


    Edited by Yama™ - 15/6/2017, 08:38
     
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    Il professor Yakushi non era certo un uomo poco sveglio, eppure si perse così tanto nell'osservare l'interezza di quel villaggio, da non notarne i particolari. Proprio per questo Lìf era un'ottima compagna di viaggio. Era in grado di sopperire alle sue mancanze, concentrandosi invece sui particolari che, altrimenti, all'uomo sarebbero sfuggiti. Bastò un cenno della ragazza per attirare l'attenzione dell'uomo. Da dietro le spesse lenti, gli occhi proseguirono seguendo la direzione del cenno della ragazza, posandosi, infine su di una figura che non aveva notato. Il volto del professore si illuminò, sorridendo alla ragazza dai capelli rossi per ringraziarla. I suoi orribili sandali, con tanto di calzini bianchi, calpestarono quella terra scura, avvicinandosi di qualche passo verso l'uomo. L'aria era più pesante, si riusciva quasi a vederla, grigia, pregna di sudicio. Per colpa della stessa, più simile a nebbia, era quasi impossibile osserva più in là di qualche metro. I profili della baracche sparivano in lontananza. Da quel nulla spuntava questa costruzione né troppo bassa né alta, circolare, formata da pietre nere e sormontata da alcune sottili implcature in legno, da cui calava una corda che sprofondava al centro della costruzione. Un pozzo. E, chinato su di esso, stava un uomo. Era lui che aveva visto Lìf e il professor Yakushi, con tanto di sorriso stampato sul volto, vi si avvicinò, fermandosi improvvisamente a due o tre metri da lui. Non aveva un buon presentimento e sembrò titubare per un istante. Il sorriso scomparve, salvo riapparire poco dopo, assai meno accentuato.

    Signore, mi perdoni il disturbo, sono il professor Yakushi, dal villaggio della Pioggia.

    Verso l'ultima parte rallentò. I suoi occhi si assottigliarono seppur il sorriso gentile restasse immutato sul suo volto. Come pensava, l'uomo sembrava immobile, lì chinato sul pozzo. E un orribile presentimento lo costrinse a non avvicinarsi.

    Vorrei farle qualche domanda riguardo l'epidemia che ha colpito il villaggio. Lei sa quanti sono gli infetti? Ci sono state vittime?
    Signore?


    Chiamò nuovamente e questa volta il tono era ancora più titubante. Poi accadde. L'uomo chinato sul pozzo sembrava un normalissimo pescatore. Fisico nella norma, abbigliamento di chi è abituato a starsene spesso al molo, canottiera smanicata. La fascia bianca attorno alla testa poteva essere interpretata come simbolo di quel mestiere. Non era fuori contesto. Quell'uomo apparteneva a quel luogo ma sembrava non esserlo più.. Lentamente si mosse. Sembrò poggiarsi ancor di più sulle pietre fredde del pozzo, barcollando lentamente sulle proprie ginocchia. I movimenti erano innaturalmente lenti e forzati, come se lo stesso individuo stesse facendo appello ad una forza sovrumana per tentare di voltarsi verso i nuovi arrivati. Lentamente.. fino a quando il suo intero corpo si staccò dal pozzo, ingobbandosi vertiginosamente. Il professor Yakushi sobbalzò, stendendo la mancina verso l'esterno, come per schermare Lìf. La ragazza avrebbe potuto sentire la pressione che la spingeva a ritrarsi assieme al professore. Egli stessi arretrò. Il pescatore era infetto.
    Parte del suo volto era orribilmente sfigurata da bubboni e pustole pestilenziali. Enormi bolle violacee e verdi, dalle basi rosse, sintomo della pelle che si spaccava sotto quell'infezione. Laddove erano scoppiate le bolle, c'erano ferite aperte dove la carne viva sanguinava lungo le guance, le labbra, il collo. Vi si posavano mosche che depositavano le loro fetenti scorie. L'occhio dell'uomo era chiuso, tartassato da spaccature e ferite gravissime. Il corpo dell'uomo assumeva quella posa claudicante proprio a causa della malattia che aveva appesantito e distrutto parte del corpo. La bocca del pescatore era perennemente spalancata e ne veniva fuori un'orribile bava bianca e gialla, dall'odore nauseabondo. Non un solo verso. Si accasciò al pozzo, scivolando lentamente su di esso, fino a posarsi in terra. Altre mosche, in quell'aria rancida, si posarono su di lui. Immobile, il professor Yakushi rivolse uno sguardo grave verso Lìf. Frugò nella sua borsa mentre parlava ad alta voce. Sembrava aver perso l'aria bonaria, tutto preso da quel caso.

    Se si trasmette a contatto con l'aria.. stava dicendo, non dobbiamo respirarla. Tieni, Lìf.

    Estrasse dal suo inseparabile kit di sopravvivenza un paio di mascherine bianche, di quelle che usava spesso durante le visite o gli interventi. Ne indossò immediatamente una, sistemandosi per bene l'elastico dietro la testa.

    Non toglierla mai finché non scoprirò se, qualunque cosa sia, si trasmette per via aerea, d'accordo?

    In un modo o nell'altro la ragazza avrebbe capito, doveva farlo. Ancora, estrasse qualcos'altro. Due paia di guanti in lattice bianco, chiusi in una confezione di plastica. Ne diede una alla ragazza e l'altra la scartò, infilandosi la protezione alle mani. Era molto concentrato ma ciò non gli impedì di fornire spiegazioni alla ragazza. Avrebbe avuto bisogno di lei.

    Lìf, ora ti spiegherò una cosa. Fai molta attenzione. Le malattie esistono per agenti.. per cause diverse.

    Tentò il più possibile di essere chiaro e semplice, senza rintontire la ragazza di strani paroloni.. laddove possibile. Era comunque un medico.

    Esistono funghi, parassiti, virus.. anche se credo che, in questo caso, e qui fece un cenno del capo piuttosto evidente verso il pescatore morente, a qualche metro da loro. stiamo probabilmente parlando di un batterio. Un batterio è un microrganismo, come fosse un insetto, che può essere cattivo o buono. Qui, Lìf, è molto cattivo. Un batterio è in grado di danneggiare le persone e portarle anche.. alla morte.
    Ora dovrò prelevare qualche campione per scoprire di che batterio si tratta, ma prima è indispensabile capire come si trasmette. Non avvicinarti troppo e legati bene la mascherina! Ah, e attenta a quello che tocchi!


    Lentamente si avvicinò all'uomo, accovacciandosi quasi a terra. Se Lìf l'avrebbe seguito, avrebbe visto come, una volta giunto all'infetto, avrebbe proseguito con la raccolta dei dati. Con una siringa vuota avrebbe prelevato un po' di sangue, direttamente dalla guancia sinistra, scarnificata. Avrebbe quindi raccolto in delle fialette alcuni lembi di pelle, un po' di quella sostanza pururolenta che usciva dalla bocca e dalle gigantesche bolle.

    Un batterio può venire trasportato attraverso vie aeree, con l'aria, con l'infezione diretta quindi con sangue, feci e liquidi corpori. Anche attraverso.. l'acqua, si può diffondere. Attraverso gli animali.. Lìf, devo affidarti questo compito mentre provo ad analizzare i campioni.

    Si alzò, allontanandosi dall'infetto. Il suo sguardo brillava seppur fosse discretamente preoccupato per la faccenda. Consegnò alla ragazza un marsupio che tirò fuori dalla sua borsa (si era preparato ad ogni evenienza!)

    Ci sono fiale, siringhe vuote, contenitori, va bene? E strumen- oggetti per prendere le cose.
    Voglio che tu vada a cercare indizi. Dobbiamo capire da dove questo batterio nasce. Il modo migliore è sapere se ci sono animali morti, piante morte.. capisci?


    Fece per sorriderle leggermente. Non si sbagliava mai: quella ragazza gli aveva fatto un'ottima impressione. In più lo incuriosiva la storia degli insetti.. che avesse a che fare con le arti magiche? In ogni caso, si impegnò per spiegare alla ragazza cosa fare.

    Cerca animali morti, piante morte. Il posto dove questo batterio nasce. Dobbiamo scoprire come ha infettato le persone. Io resterò qui vicino, devo trovare un posto per lavorare.
    Mi fido di te!


    Asserì, lasciando la ragazza ai suoi affari. Averla portata con se era stata sicuramente una buona mossa. Insieme,
    avrebbero potuto risolvere la faccenda il prima possibile. Sembrava un bel mistero.

    Se hai dubbi mp! Hai carta bianca, puoi spostarti dove e come vuoi, secondo quello che ti ha detto il professore. Con le tue conoscenze puoi anche spostarti in luoghi difficili e trovare posti adatti per la ricerca.
    Ovviamente non essere autonclusivo, starà a me decidere se troverai o no qualcosa, l'unica cosa che puoi fare è cercare tracce e dire anche di trovarle, seppur, appunto, non sai se ti porteranno in un luogo adatto alla ricerca.
     
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    Il fetido odore che circolava nell’aria mi costrinse più volte a portare il polso a contatto con le narici, per riuscire quantomeno a trovare un po’ di sollievo. Un’aria per nulla rarefatta, che passo dopo passo pareva tingersi e prendere volume, tanto da mostrarsi agli occhi come il riflesso di una nebbia sempre più fitta. I segni di un problema erano già visibili, eppure a prima vista, l’ombra dell’uomo sul ciglio del pozzo non sembrò trasmettermi l’idea che ci fosse già uno stato di criticità in quel villaggio di pescatori e mercanti. Mi sbagliavo.

    Signore, mi perdoni il disturbo, sono il professor Yakushi, dal villaggio della Pioggia.
    Vorrei farle qualche domanda riguardo l'epidemia che ha colpito il villaggio. Lei sa quanti sono gli infetti? Ci sono state vittime?
    Signore?


    La mole di domande (mi sembrarono tali visto il tono di voce del dottore) che l’uomo dovette sorbirsi era senza dubbio consistente, ma non servirono a molto. Forse non arrivarono per nulla alle orecchie del poveretto in canotta, costretto nei suoi abiti e nel suo corpo a reagire allo stato delle cose, al malanno di cui le stesse erano untrici. La reazione del professore a seguito della “ritirata” dell’individuo mi coinvolse, tant’è che alla vista del braccio e alla spinta connessa, compii due passi di circa trenta centimetri l’uno al fine di ritirarmi. La vista per me fu nauseabonda e dovetti trattenere il fiato e sgranare gli occhi nel silenzio più totale e agghiacciante, percependo soltanto rumori derivanti dall’esterno e dal tonfo che la schiena del pescatore ricreò nell’esatto istante in cui cadde. Eppure avevo già visto quelle immagini, non a quel livello e non in quel preciso contesto, ma c’era un sottile legame tra il mio passato e quell’evento. La cosa cominciò a puzzarmi più dell’aria impregnata, più del corpo cadaverico divenuto nido per vermi e insetti dal corpo coriaceo. Pustole, bubboni, carne viva e tumefatta, legamenti esposti, orbite vuote e pelle collassata dalle fibre lacerate. Un immenso covo per larve e creature di chissà quale dinastia antica, mosche, zanzare e chi più ne ha più ne metta. Turbati da quella vista ma non di certo lì per non far nulla, reagimmo in modo analogo nel prevenire un qualche contagio che, ad occhio e croce, pareva non avere nessuna risposta né sulla vera e propria identità, né nelle forme e nei modi di trasmissione.
    Presi tra le mani ogni singolo oggetto che il professore prese dalla sua borsa, indossando ogni sorta di precauzione senza fare storie. La pelle reagì al lattice dei guanti, le labbra sfioravano la mascherina che mi ero legata attorno al collo e sulla nuca con dei movimenti morbidi delle dita.

    Non toglierla mai finché non scoprirò se, qualunque cosa sia, si trasmette per via aerea, d'accordo?

    Risposi con un cenno affermativo della testa, inclinandola di qualche grado verso il basso per poi voltarla sia verso destra che verso sinistra, non per una negazione ma solo per dare un altro sguardo più profondo alla zona circostante, quasi a voler intravedere qualche forma di vita meglio ridotta della poltiglia lì stesa per terra. E poi, Yakushi si diede alle spiegazioni.

    Lìf, ora ti spiegherò una cosa. Fai molta attenzione. Le malattie esistono per agenti.. per cause diverse.
    Esistono funghi, parassiti, virus.. anche se credo che, in questo caso, stiamo probabilmente parlando di un batterio. Un batterio è un microrganismo, come fosse un insetto, che può essere cattivo o buono. Qui, Lìf, è molto cattivo. Un batterio è in grado di danneggiare le persone e portarle anche.. alla morte.


    Non un batterio a livello intermedio ma un malanno giunto allo stato finale, senza una cura. Se ogni cosa in quel villaggio avesse raggiunto quel livello, probabilmente non avremmo potuto far altro che mettere in quarantena l’intera zona e tornare ad Ame con solo brutte notizie e forse con una risposta inutile. Completò il primo tassello estraendo un kit per la raccolta di campioni, impugnando siringa e contenitore sterile per poter prelevare liquidi differenti dalle varie zone del corpo toccate dal malanno. Lo fissai incidere la pelle morta con un bisturi n.13 sterilizzato, il suo modo di dissezionare quelle parti compromesse era eccezionale, così preciso da tenere gli occhi incollati sul caso. Ogni campione estratto disponeva del suo apposito contenitore e per tutti, la cura del professor Yakushi aveva un fattore comune: la dedizione.

    Un batterio può venire trasportato attraverso vie aeree, con l'aria, con l'infezione diretta quindi con sangue, feci e liquidi corpori. Anche attraverso.. l'acqua, si può diffondere. Attraverso gli animali.. Lìf, devo affidarti questo compito mentre provo ad analizzare i campioni.


    Abbandonò la postazione di raccolta per riprendere in mano la sua borsa e frugare al suo interno, spendendo pochi secondi preziosi nel ritrovamento di un marsupio, che tirò fuori dal contenitore in pelle con la mancina per porgermelo con lo zelo che si confà ad un chirurgo.

    Ci sono fiale, siringhe vuote, contenitori, va bene? E strumen- oggetti per prendere le cose.
    Voglio che tu vada a cercare indizi. Dobbiamo capire da dove questo batterio nasce. Il modo migliore è sapere se ci sono animali morti, piante morte.. capisci?
    Cerca animali morti, piante morte. Il posto dove questo batterio nasce. Dobbiamo scoprire come ha infettato le persone. Io resterò qui vicino, devo trovare un posto per lavorare.
    Mi fido di te!


    Abbozzai un sorriso sbiadito dietro la mascherina azzurra, dando un’occhiatina all’interno del marsupio per una breve analisi dei gadget, con un momento di titubanza dato dalla solita ignoranza per la lingua dell’uomo. Tuttavia afferrai il concetto e mi spostai di lì ugualmente, ringraziando le mie capacità intuitive col quale ero stata capace di muovermi in quel mondo sconosciuto ma non più lontano come un tempo. Col preciso compito di cercare indizi procedetti lungo le strade nefaste del villaggio, notando particolari più o meno rilevanti e rare ombre di pescatori ridotti a colabrodi, oltre ad un’aria tinta come una tela. Fino a spingermi oltre i confini del villaggio, con l’incedere controllato dalla solitudine in quel posto sempre più anomalo ma non per questo dislegato dall’ambiente insozzato, dai toni verdi e dominato dal vapore, un posto situato oltre un’altura che quasi pareva fungere da protezione al villaggio. Sbarrai incredula le palpebre e per lo stupore portai indietro il cappuccio, svelando il crine ad un pubblico assente, bloccando i passi su di quel sentiero circondato da alberi maestosi ma secchi, dalle venature pulsanti di linfa giallastra, nutrimento per cervi volanti. Dinanzi a me, una serie di “coppe”, veri e propri arbusti giganti dalla chioma compatta e così fitta da lasciar trapelare solo qualche goccia di quell’enorme quantità di acqua bollente contenuta da essi. In sostanza: un mondo tutto nuovo.

    gobletofgiants3

    Dopo moddo la grafica :sob:


    Edited by Yama™ - 10/10/2017, 13:28
     
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    L'aria era densa, pregna di un calore che proveniva direttamente dalle acque. Acque basse e dal colore grigiastro che, quando la luce filtrava dagli strani alberi dalle chiome appiattite, si coloravano di una particolare luce verdastra. Bella, ma in quel contesto certamente non propizia. Persino l'odore caldo che si respirava sembrava in qualche modo ricordare lo zolfo, o qualcosa di simile. Fumi copiosi salivano quindi da queste acque che tagliavano il terreno, composto da erba giallognola, non molto in salute. Viste dall'alto, quella palude sembrava un grosso pezzo di carne dove spuntavano arterie e vene fumanti. Non di certo un posto allegro. Gli alberi avevano arbusti alti e massicci, eppure le chiome non si sviluppavano in altezza poiché restavano bassi, tagliandosi a metà fino a creare un piano perfettamente orizzontale. Erano così tanti da coprire il cielo grigio, da cui l'acqua aveva smesso di cadere.
    Un mondo che sembrava slegato dal triste e pestilente villaggio, ormai volto all'abbandono. Qual'era il segreto di quella distruzione? Lìf era forse sulla pista giusta per trovare la chiave dell'enigma?

    Allooora! Da adesso andiamo più veloci con i tempi, dato che tecnicamente stiamo fuori dalla timeline.
    Dato che hai il gusto prelibato e le conoscenze, ti ho posto solo lo scenario. Trova un modo plausibile per trovare una strada che porterà ad un lago (naturalmente infetto). Non descrivere il lago e quella zona, ma descrivi tutti i modi e tutti i dettagli riguardo la ricerca (quindi se vedi piante morte oppure tracce di animali morti, odori particolari, rumori.. cose del genere!), voglio lasciarti spazio e vedere come giochi bene le carte che hai. Per qualsiasi cosa scrivimi <3
     
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    Into the abyss



    Permeò in me l’odore pungente dello zolfo, sprigionato da quelle cupole verdi scure di edera e radici. Fitte coppe per giganti bevitori, larghe e dal calore vulcanico. Che fosse acqua termale mi fu davvero complesso dirlo, però la sensazione che mi toccò per prima fu proprio quella. Riconoscere che quel luogo m’aveva rapita con la sua esclusività, con la sua bellezza favolistica, mi fece avanzare con molta lentezza mentre fantasticavo con le pupille alzate in cielo. Con un movimento verticale della capoccia ritrovai nelle ramificazioni una elaborazione senza eguali, fortificazioni scure che curvavano verso l’esterno riunendosi con le altre per mezzo di fogliame duro e impermeabile. Quando fui abbastanza vicina ad uno dei tanti involucri cercai di abbassarmi sulle ginocchia, per pescare il fondo scuro oltre quella limpida e cristallina superfice. Uno specchio lugubre assorbì la mia figura, scuro per via della scarsità dei raggi solari trattenuti dalle cime più alte della foresta. Trovare un sentiero lì mi pareva la cosa più dura dato che quello imbracciato precedentemente divenne sempre più stretto fino a scomparire in un baratro profondo e forse senza fine, come un pozzo vuoto scavato nella terra durante la sua creazione. La viuzza era stata sostituita da quelle piante così magiche e ad un tratto rilassanti, che parevan respirare vita propria emanando sbuffi di vapore e sprigionando nella zona un’umidità incredibile, sempre più fitta di passo di passo in passo. Come se ad attendermi più avanti fosse una coltre lattiginosa, come quelle che all’alba notavo dal ponte della Orca Nera.
    Per saltare da una piattaforma all’altra dovetti riconoscere la necessità di usare il filo d’acciaio e la stretta, anche per timore di cadere nel caso in cui il lungo contatto con quell’area potesse recarmi danno. Non avevo appurato questa ipotesi, tuttavia non potevo fidarmi di nulla che non fosse provato scientificamente. Seppur l’acqua verdastra mi sembrasse buona, la vicinanza al villaggio appestato mi convinse a non toccarla e a spostarmi da quell’anello sottile per raggiungere il successivo. Provai ad immettere nel filo una componente di energia necessaria e spinsi la traiettoria a quello difronte a me, provando ad avvolgerlo ad una delle radici più esterne ed esposte, quelle più facilmente raggiungibili. Poi, una volta percepito il collegamento riuscito cercai nella rincorsa una spinta propulsoria adatta a distaccarmi in un volo rettilineo, aiutandomi con schiena e bacino. Riatterrai dall’altra parte e così feci per altre due volte, mimando attentamente ogni cosa nell’esatta maniera con cui l’avevo precedentemente eseguita. L’istinto non giocò un ruolo chiave per quelle tracce, sapevo di dover andare oltre quel luogo e che quell’acqua non sarebbe stata di grande utilità alla ricerca. C’erano ombre di insetti e pesci vivi e ciò bastò a confermare l’idea che quel luogo non fosse mortale e che nello stesso non vi fosse ciò che cercavo.
    Seguendo un percorso immaginario che m’ero creata al volo nella mente, giunsi dopo circa una decina di minuti agli estremi di un precipizio. O meglio, lì dove le prime “coppe” s’estinguevano, altre più in profondità si palesavano. C’era da dire che quel calo vertiginoso di almeno 10 metri in verticale mi scosse non poco, perché dallo spazio apparentemente circolare che cingeva una fitta famiglia di alberi orizzontali saliva ad intermittenza una nube pesante per gli occhi, come fumo. Passai dall’essere una ex piratessa al divenire una speleologa di cave misteriose. La convinzione di dover scendere al di sotto degli “ombrelli vegetali” divenne una certezza. Percepii calore accompagnare la violenta nebbia spriigonata a mo’ di geyser e come già avvertito una volta, accusai un il bruciore alla vista con cui non mi restava altro da fare se non convivere. Frugai nella borsa in cerca di lenti protettive ma non ne trovai altre che non fossero quelle da disegno, un blando rimedio che adoperai con la stizza di chi non ha mai tutto l’occorrente a disposizione. Piantai con violenza due kunai sull’orlo del burrone e un filo tra i loro anelli, sistemandone la parte opposta tutt’attorno alla vita, assicurai quelle armi nella roccia con un calcio poderoso, guadagnandone in profondità qualche millimetro.

    *Ho una sensazione strana. Intanto così dovrebbe andare bene*

    M’ero fatta alcune idee sul malanno perché i sintomi del pescatore al pozzo erano simili, anche se in maniera drasticamente più grave, a ciò che avevo vissuto in passato. Mi calai lentamente e in silenzio, dandomi spintarelle ad ogni impatto a causa della linearità dello strapiombo e la vita che fui capace di riscontrare al di sopra della superficie cessò di esistere. Luce o rumori sulla terra erano leggenda lì infondo e più mi spingevo verso il vuoto, più grande e ardua sarebbe divenuta la via del ritorno. MI immersi nel buio pesto di un luogo dimenticato da Dio, lì dove ciò che avrebbe potuto salvarmi erano il sangue freddo e le conoscenze.
    *Cazzo!*

    La percezione della nube mefitica fu più forte a causa di un contatto più ravvicinato col fondo ipotetico. Ipotetico perché quei dieci metri fittizi di valutazione erano già passati da un bel po’, reale perché per forza di cose quegli alberi nascevano da terra, dalla stessa più friabile e melmosa che stavo raschiando con la suola. Accesi una luce che tra le tante cose mi era stata fornita dal dottor Yakushi, un modesto faretto a led in grado di darmi una minima guida e un miglior modo di orientarmi e che puntai un po’ dappertutto prima di guardare al suolo. Per la terza volta la nube intensa e soporifera esplose con veemenza e silenziosa, volò verso l’alto come un’eruzione vulcanica e si disperse sia nel nulla, sia attorno alle pareti brulicanti di vermi. Ciò che prima non ero riuscita a vedere, ora m’era chiaro: la vita lì sotto era irraggiungibile per animali comuni della superficie e le uniche creature in grado di vivere in comunione con l’oscurità, erano i vermi. Quando la corda si tese al massimo, il presentimento di non poter colmare l’intero percorso con il filo d’acciaio divenne realtà ma ormai non potevo tornare indietro e conscia del pericolo di non poter tornare tra i vivi mi liberai di quell’intralcio per finire l’allegra passeggiata a piedi. MI assicurai di pompare nei piedi un po’ di energia magica, canalizzando e trasformando quella dose immessa in un alone con proprietà di “ventose”, con un gesto sciolsi il laccio dall’addome e facendo attenzione a controllare i movimenti mi divincolai finalmente al cavo e scesi nell’ultimo posto dove l’uomo vorrebbe mai essere.

    *Ammetto che sia molto accogliente, scommetto 100monete che lì sotto ci sarà qualcuno ad aspettarmi*

    L’ironia e il masochismo muovevano ogni cosa, ero eccitata dal luogo lugubre e volevo fino in fondo capire il mistero del villaggio appestato. Provavo paura si, come ogni essere umano d’altronde. Poi toccai il fondo e la mia luce svegliò qualcosa: una famiglia di lucciole si distaccò dai loro nidi, minuscole faville che si radunarono attorno alla mia sagoma e al segnale debole della torcia, fornendo una migliore visione della fine del baratro, dominata niente popò di meno da un grande lago.



    Scusa il ritardo Kerbe :sob:


    Edited by Yama™ - 15/11/2017, 12:25
     
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    La chiave


    L'acqua di quel lago emanava un forte odore. Taluni avrebbero potuto trovarlo fastidioso, altri avrebbero apprezzato l'odore pungente, simile a quello dello zolfo. Un odore caldo, che raggiungeva tutti i sensi, non solo l'olfatto e la vista. Le acque non si muovevano, come immobili dato che l'aria sembrava farsi rarefatta in quel punto. Un caldo atroce, non un soffio di vento. Solo l'olezzo di quelle acque riempiva ogni cosa, così come il silenzio era rotto da un basso ronzio, proveniente da chissà dove e provocato da chissà cosa. Trovandosi come in una dimensione differente dalla corrente, quel grande lago - che si apriva tra altissimi arbusti e sprofondava in una conca ad un livello più basso della terra ferma - restava immobili, con le sue torbidi acque di quel particolare colore. Emanava fumi caldi che si disperdevano a pochi metri in aria. Forse erano questi a provocare la nebbiolina che si incontrava normalmente in quel posto. In ogni caso, la terra era umida, come se solamente da poco fosse stata scavata naturalmente, e il lago fosse venuto fuori.

    Se Lìf si fosse avvicinata, avrebbe sicuramente notato dei particolari non trascurabili. Primo tra tutti l'insolito numero di pesci presenti nel grande lago. Basso, pochissimi pesci si intravedevano nuotare velocemente nell'acqua. La loro velocità era assai elevata, tant'è che si poteva intuire ben poco della loro forma, seppur così inusuale. Difatti, la ragazza dai capelli rossi poté assistere alla visione di sottili saette di un particolare colore. Un azzurrino chiarissimo che però risplendeva in modo innaturale, come di una luce vibrante. Pesci che probabilmente esistevano solo in quel lago. Che fossero per questo nocivi o no, solo la scienza avrebbe potuto dirlo. Ma questo pensiero (che forse e con tutta probabilità sfiorò Lìf) ci porta dunque a cogliere il secondo indizio. La colonia di zanzare che si posava sul pelo dell'acqua, raccogliendone in piccole quantità la sostanza e ronzando poi via. Probabilmente si trattava del veicolo, se fosse stato quel fiume dall'aria così ambigua la sede del batterio. Lìf non avrebbe dovuto fare altro, con le dovute precauzioni, di raccogliere un campione e portarlo al professor Yakushi.
    Che avesse fatto centro?

    [...]


    La pioggia scrosciante era ormai in tempesta. Il vento soffiava imperterrito, tant'è che Yakushi aveva trovato un riparo in fretta e furia, tentando di sottrarsi a quel clima nefasto. Non fu difficile trovarlo per Lìf: la lanterna che aveva appeso all'ingresso di una grossa struttura (grossa in base agli standart del luogo), fu un chiaro segno di vita. Vita che non era presente in quel posto. Ad ogni modo, il rifugio provvisorio era un deposito dove, una volta,
    veniva accumulato il pescame. Ormai, quello stesso pesce era fatiscente.

    fish_depths_by_kinixuki_da4mle5


    L'odore di quel posto era nauseabondo, tant'è che Yakushi, in un angolo del luogo dove era presente un lunghissimo banco, indossava guanti e mascherina bianca. Sentendo il rumore dei passi, voltò lo sguardo verso la sua assistente.

    Oh, novità, Lìf?

    Il tono era pacato, gli occhi sorridevano. Non perse comunque il buon umore, rivolgendo poi lo sguardo al bancone.. e al cadavere in semi-putrefazione di cui si stava occupando.

    Sto ispezionando gli organi interni per capire il livello di deterioramento. Devo capire come agisce il virus. Ah, cerca nella valigetta, prendi mascherina e guanti.

    Indicò la valigetta aperta, buttata su una sedia. Il cadavere di un uomo asciutto, alto, giaceva inerte sul bancone. Con le dita inguantate sporche di sangue e bisturi e forbici in mano, il professore stava dando le utlime occhiate alla situazione interna.

    Dunque, dunque.. credo di aver capito.

    Borbottò tra se e se, finché non posò gli occhi sui campioni forniti dalla ragazza dai capelli rossi.

    Ah! Bene! Allora facciamo così, esclamò porgendo bisturi e forbici all'altra. Ricuci tutto, io mi occupo di esaminare questo. Dovrei aver portato un piccolo microscopio, mh..
    Ah, i punti sono lì, sai come si cuce vero? In ogni caso dovrei avere un manuale tascabile nella valigetta, non si sa mai! Se hai problemi usa quello.. o chiedi a me!


    Ma non sembrava essere molto concentrato sulla ragazza, siccome, una volta avuti i campioni, sembrò estraniarsi dal resto del mondo. La ricerca doveva andare avanti e, probabilmente, erano a buon punto.

    Abbiamo quasi fatto! Scusami immensamente per il ritardo, ma abbiamo appena ripreso il filo. Per i campioni da raccogliere, non ho scritto di cosa, fai tu.
     
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    Nella landa dell’oscurità riposta nel dimenticatoio ci furono dettagli che solo tramite il lume del faretto mi fu più facile notare, in quella conca d’acqua salmastra e ben lungi dall’essere potabile o priva di germi. Scesa dalla discesa verticale e posati i piedi per terra mi ritrovai nelle vicinanze di uno specchio nero, torbido, nel quale però le mie pupille si dilatarono nel percepire alcune fonti saettanti, fasci più o meno ristretti come radici o girini, in grado di perdere e riacquistare la propria intensità a seconda della loro profondità. Fu grazie a quello scenario che molti pesci vennero a galla, comunicandomi la paradossale presenza di vita all’interno di quelle acque. In realtà non mi servì molto per collegare i due fenomeni, ma in mare non m’era mai stato concesso l’onore di vederli e per tanto fui colta dall’irresistibile esigenza di rimirarli da lontano e pescarne uno per farlo da vicino. Eppure quel pensiero fu rubato e distrutto da ciò che lo sguardo vide successivamente, con l’apporto distratto del faretto sul casco. Proseguendo lungo l’argine inesplorato e scontrandomi con alcune carcasse di animali caduti dal cielo dopo essersi troppo esposti sul ciglio del baratro vidi, lì sullo specchio opaco, il movimento sbizzarrito e insidioso di un gruppo compatto di zanzare. Già, quegli insetti fastidiosi e portatori di malattie, presenti in luoghi umidi e dispensatori di insonnia. Quella brutta condizione fisica non mancava di tornare, affacciandosi prepotentemente come un compagno di stanza o un vicino di casa, soprattutto nelle prime notti di permanenza ad Ame ero sempre stata soggetta a nottate per nulla piacevoli. Giunta persino ad assumere farmaci per ritrovare un equilibrio nell’alternanza tra sonno e veglia, ci avevo fatto l’abitudine poco a poco in quanto l’essere divenuta un alveare vivente aveva, come ogni cosa, le sue conseguenze. Apatica difronte a quella proliferazione mi mossi riponendo tutte le attenzioni del caso e gestendomi alla meglio, sfruttando il kit di scorta del professor Yakushi per difendermi dal rischio di infezione. Vien da sé che agire con la massima accortezza possibile era di gran lunga un piano migliore e difatti andai sul sicuro, scartando immediatamente l’idea di buttarmi a capofitto contando sulla fortuna. Chinandomi sulle ginocchia a poca distanza dall’argine passai in rassegna la valigetta, disincastrando le chiusure in bronzo che con un *click* interno e plasticoso m’avrebbero permesso di liberare il vano superiore per scegliere gli attrezzi da usare. Guanti che indossai aiutandomi con la mano opposta, facendo scorrere il lattice lungo la pelle diafana, mascherina azzurrina con un doppio legaccio che mi premurai di ancorare al retro del capo. Agguantai una pinza, o almeno era ciò che pareva in quanto all’estremità recava un anello metallico, non ne conoscevo il nome ma era facile dedurne l’utilità: agguantare prove liquide a distanza. Fu infatti facile per me infilare in quella protuberanza una delle provette a disposizione, con un occhio di riguardo a non scheggiarla, vitrea e traslucida come lo specchio di quelle acque torbide e una volta terminato di agire, con assoluta calma cercai un punto in cui immergere l’oggetto. Con un movimento ondulatorio del polso dal basso verso l’alto, proprio nelle vicinanze di quel gruppo di ronzanti esserini tentai di prelevare un campione, attenta a non espormi molto, senza pensare minimamente al fattore sorpresa. La sensazione di una puntura mi sfiorò appena, lì sul collo esposto e non protetto da nulla a parte la mantella che ero solita indossare, ma non ci feci caso e continuai l’asportazione del liquido sigillando il contenitore con l’apposito tappo di sughero. Rimettendo all’interno della valigia il primo campione mi mossi verso il secondo, un pesce galleggiante e in putrefazione. Per tirarlo a me decisi di richiamare il chakra e usare il fil di ferro come lenza, avvolgendone nelle carni morte le spire pungenti e tirandolo a me come una carrucola. Troppo grande per essere contenuto nella valigetta decisi di asportarne unicamente alcune sezioni con un bisturi, scaglionandole in diversi barattolini dal tappo rosso e raggruppandoli in un unico grande contenitore conservativo. Ed infine la terra, ultimo elemento ma non per questo meno importante degli altri. Avevo materiale a sufficienza lì per tirare le somme, ne avrei raccolto un po’ per racchiuderlo in una busta di plastica resistente, sigillabile tramite una sorta di zip. In tutto questo non vi furono altri rumori al di fuori di quelli da me creati, un sollievo: ritardare nel ritorno per un inghippo non sarebbe stato affatto divertente. Finii di raccogliere ogni cosa in circa mezz’ora o forse più, ritornando verso il punto di arrivo con il preciso scopo di renderlo il punto di partenza della mia risalita.
    [..] Oh, novità, Lìf?
    Usando un minimo di intuito e scovando in superficie una luminosa lanterna in quella strada percorsa qualche ora prima, ero riuscita a ritrovare il professore alle prese con il suo lavoro e al sicuro dalla tempesta. Avanzando stoica verso di lui allungai la valigetta perché l’analizzasse, dedicandomi nel mentre a fissare la precarietà di quel luogo, una sorta di zona di stoccaggio del pescato. Non era la prima volta che ne vedevo uno, anzi era la tappa fissa settimanale di ogni sbarco quando ancora navigavo assieme alla mamma. Il tanfo del cadavere impregnava l’aria già appesantita dalla puzza di salmone, una scena mefitica nel quale il dottore pareva trovarsi a suo agio. Buon per lui! Avevo visto dei cadaveri di pirati appesi al cappio, di schiavisti puniti per le loro gesta, di mozzi feriti dal morso di squali ma era la prima volta che guardavo un corpo pieno di buchi, al pari di una groviera. Fu lecito per me storcere il naso arricciato, scegliendo di metter su una nuova mascherina per evitare il contagio per vie aeree.

    Dunque, dunque.. credo di aver capito.

    Il viso dell’uomo si illuminò, una lampadina pareva essersi accesa nella sua mente. Mi guadò e lo guardai, avvicinandomi con cautela ma senza timore e allungando le dita nel prendere gli oggetti dalle sue mani.

    Ricuci tutto, io mi occupo di esaminare questo. Dovrei aver portato un piccolo microscopio, mh..
    Ah, i punti sono lì, sai come si cuce vero? In ogni caso dovrei avere un manuale tascabile nella valigetta, non si sa mai! Se hai problemi usa quello.. o chiedi a me!


    Forse cosciente del mio handicap simulò i gesti rappresentati con le parole, muovendole in cerchi e trattenendo un altro arnese come se fosse un ago. Da lì mi fu facile comprendere il mio compito e altrettanto semplice sarebbe stato adoperare il filo, abituata a sfruttarlo nelle tecniche e in ogni altra mansione più “estrema”. Sospirai, sistemandomi difronte alla carcassa e ricordando per un istante i tempi in cui serravo l’ancora, ammainavo le vele e le ricucivo in seguito ad arrembaggi nemici, era praticamente la stessa cosa. Col filo inserito precedentemente nella cruna dell’ago dalle mani di Yakushi decisi di partire dal basso del taglio, calibrando al meglio l’uso di ambedue gli oggetti e andando con la sinistra a manovrare il bisturi per asportare i residui di carne morta ancora presente. C’erano ancora dei lembi che avrei fatto meglio ad asportare, non serviva agire con velocità date le condizioni del paziente, passato a miglior vita. Non c’era bisogno né di fare un lavoro pulito né preciso, non era ciò che Yakushi aveva richiesto. Agii quindi in modo intuitivo, infilando il metallo dal basso fino a sospingerlo verso l’estremità opposta, suturando in maniera continua e intradermica e imprimendo col polso una pressione decisa ma precisa, tra quei punti individuati millimetricamente. Quando l’ago sarebbe uscito dall’altra parte sarei andata avanti, creando tuttavia un nodo iniziale tra i due pezzi di pelle appena collegati per impedire che una possibile divaricazione spontanea data dalla tensione del derma potesse allentare l’intera struttura. Impiegando l’intero filo per completare l’operazione avrei terminato il tutto annodando l’estremità opposta, asportando il materiale da “cucito” in eccesso con un taglio netto del bisturi. Più andavo avanti e più il contatto con la morte diventava lungo, attirando l’attenzione di qualcuno, qualcuno di minuscolo e nero.

    [Bzzzzzz]


     
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    L'occhialuto professore non poté fare a meno di spostare repentinamente lo sguardo verso Lìf. Osservava il suo lavoro con attenzione, restando piacevolmente sorpreso dalla sua abilità nel ricucire i lembi di pelle e non solo. Così facendo, decise di lasciar stare per il momento il suo lavoro. Ovviamente, le mani inguantate di bianco e sporche di rosso, restarono ancorate alla sua postazione per qualche secondo, come per voler riportare l'attenzione del medico ai suoi doveri. Ma Yakushi era in grado di riconoscere una mente predisposta a quella branca della medicina, quando la vedeva. E le sue iridi brillarono di rimando.

    Molto bene, Lìf. Aspetta, provo a spiegarti un paio di cose, potrebbero tornarti utili..

    Così facendo, il ritmo di lavoro della ragazza rallentò esponenzialmente, ma per una buona ragione. Difatti, il medico decise di dedicare gran parte del loro tempo a disposizione per educare e istruire quella ragazza che a stento parlava, ma aveva delle capacità di apprendimento fuori dal normale, nonostante l'handicap, se così si voleva definirlo. Usufruendo di un cadavere ancora aperto, si promugò di spiegare con esattezza e cura ogni segreto del corpo umano alla ragazza, anatomicamente parlando. Indicò ossa e muscoli, arterie e organi, tutto spiegato nei minimi dettagli. Raccontò di come poter rendere inoffensivo un uomo toccando questo o quell'altro muscolo. Altresì, le indicò gli organi vitali e le grosse arterie a cui prestare attenzione. Il corpo umano, le spiegò, era come una grossa scatola piena di pulsanti e leve: ad ognuna di queste, corrispondeva una reazione più o meno grave, che poteva essere curata (come aggravata) in questo o quest'altro modo. Spiegò con cura alla ragazza il tutto, permettendole inoltre di poter avere il libro che già le aveva indicato in precedenza. Un manuale anatomico tascabile, abbastanza curato da poter istruire una mente dedita allo studio.

    [...]


    Era ormai il tramonto. Forte degli insegnamenti rapidi ma dettagliati del professore, Lìf si apprestava a ricucire il cadavere sventurato con minuzia, prendendo ad esempio quello alla sua destra. Era stato già ricucito dal medico, seppur non si potesse prendere ad esempio del tutto. Questo perché aveva avuto fretta, spiegò il professore, ritrovandosi a cucire rozzamente un grosso buco all'altezza del plesso solare. L'uomo le aveva già raccomandato di non farci troppo caso. Il problema era che Lìf avrebbe potuto ignorarlo, ma c'era qualcosa, dietro quel buco, che non poteva ignorare lei..

    Mh, ma sì.. è tutto chiaro.. mh, come il sole. Eccolo quà!

    Allontanandosi dal suo microscopio, il professore alzò le mani al cielo, esclamando contento. Rivolse un'occhiata vincente verso la sua sottoposta, sbuffando poi sonoramente. Era sudato come non mai e gli occhiali, in bilico sul naso, sembravano appannati dal vapore. L'uomo si tolse i guanti, lasciandoli senza tanti complimenti sul bancone.

    Batterio risalente ai campioni che mi hai portato, Lìf. Tracce di acqua e non solo. Quindi, analizzando le parti di pesce che mi hai dato, posso giungere alla conclusione che il veleno dell'animale abbia fatto una particolare reazione con una sostanza che si trova in quelle acque. Una reazione chimica, Lìf! E' quando due sostanze si combinano, creando qualcosa di nuovo. In questo caso, dannoso per le persone. Ma non per gli animali. Infatti, è stato un animale in particolare a infettare i pescatori del vilaggio..

    Mentre parlava, metteva in ordine tutte le sue cose, riponendole al sicuro nella sua valigetta. Avvicinandosi poi a Lìf, le indicò con un gesto che non c'era bisogno di completare il lavoro. Del resto, il cadavere poteva dirsi ricucito al 98%. Così, lasciandole il librone, l'uomo si premurò di riporre in un grosso sacco di plastica gli strumenti usati dalla ragazza. Ovviamente senza toccarli, dato che le lasciò aperta la busta appositamente per non sporcarsi con il sangue. E nel mentre parlava.

    Sono state le zanzare. Per cui faremo meglio ad allontanarci da qui il prima possibile o perderemo l'ultimo treno. Ah, ho uno spray contro gli insetti nella borsa, sarà meglio spruzzarne un bel po'! Tanto non ci resta altro che avvertire l'ospedale e mandare una squadra specializzata. Vedi il bello dei ricercatori? Non devono neanche sporcarsi le mani!

    Rise di nuovo ma qualcosa gli fece morire la bella smorfia dal volto. Improvvisamente si sentì un basso ronzio, molto compatto. Sembra provenire da un'altra stanza poiché il suono risultava ovattato, seppur sempre più forte, per qualche motivo. Atterrito, il professore non poté non notare gli strani movimenti che stavano avvenendo all'interno del cadavere da lui ricucito. Laddove la cucitura era grossolana, la pelle si stava comprimendo verso l'esterno, in una bolla di sangue e carne purtrida. E il ronzio, purtroppo, proveniva proprio da lì.

    Andiamo vi-

    Non fece in tempo a parlare che la pelle purulenta del cadavere si lacerò, lasciando fuoriuscire un'infinita di insetti neri e svolazzanti. Essi non si avvicinarono minimamente al professore, muovendosi come un'unica forza contro Lìf. Le zanzare infette che il professore non era stato in grado di individuare, nascoste in chissà quale organo, che avrebbero ridotto la povera ragazza come i pescatori di quel villaggio.
    O almeno sarebbe stato così, se solo quella ragazza non fosse stata Lìf Arnbjørg.

    Abbiamo finito! Allora, exp da chunin e il rango della story è quella di una D. Quindi di exp prendi 68.
    Poi guadagni sia la licenza di Farmacista che di Chiropratico. Inoltre, dopo il tuo post sblocchi il primo livello dell'innata (che già avevi aggiunto in scheda quindi np). Ricordati il bonus di exp per Natale!

    Attendo exp anche per me :rosa:
     
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    Le braccia scattarono con precisione, per quanto ne sapessi avrei potuto combinare un casino e rendere quella cucitura del tutto errata. Eppure nel tono e negli occhi di Yakushi intravidi una nota differente, come un barlume di speranza celato nel più profondo. Quell’uomo non s’era mai dimostrato freddo e io non ero una tipa snob o dal passato intrippato, tanto da giustificare una mia possibile mancanza di rispetto. Anzi, l’educazione fornitami dalla pirateria aveva contribuito a forgiarmi in maniera opposta rispetto a tanti altri ragazzini di quelle terre.

    Molto bene, Lìf. Aspetta, provo a spiegarti un paio di cose, potrebbero tornarti utili..


    Alitò con convinzione, tra l’oscurità e l’umidità della bettola contaminata, un luogo tra i tanti raccattato solo temporaneamente. Non badai molto alle comodità che aveva da offrire, era già tanto se avessi un tetto sulla testa sotto cui lavorare e un riparo dal freddo. La stagione umida impregnava ogni pezzo di stoffa e ogni centimetro dei miei capelli vermigli, ma la preferivo di gran lunga all’inverno rigido. Sospirai, sbattendo le palpebre per condizione luminosa che richiedeva uno sforzo in più. Mulinai gli arti verso l’esterno, scrollando le spalle nel sospingere il busto leggermente all’indietro per creare uno spazio più ampio e accogliere le spiegazioni dell’uomo. Un timbro di voce che non variò moltissimo durante il soliloquio, quel sermone a cui assistetti come pietrificata per non dover perdere né il contatto con la realtà, né altro tempo o materiale. Perché sprecare altri guanti con un cadavere? Avevo già fatto quell’operazione col preciso scopo di dare al defunto un degno trapasso dell’anima, quindi a che scopo martoriarlo ulteriormente con inutili procedure igieniche? Agì a gestì più che a parole, o meglio ne usò ma in un modo diverso, quasi come se avesse ormai compreso il mio gap linguistico e mi stesse venendo incontro come un vero insegnante. Le sue dita irsute puntarono varie volte differenti punti dell’intera salma, percorrendovi la pelle morta e intarsiandovi diversi intrecci dalla trama inconsistente. Eppure mi rimase impressa molto più quella di tante altre, un tracciato che la mia mente avrebbe registrato e che avrei trascritto successivamente, concretamente sulla carta. Finì di spiegare non molto dopo e si passo il braccio sopra la testa per tamponare un leggero alone traslucido di sudore, finendo per roteare i polsi e indicarmi una borsa contenente un libro. Morsi il labbro, chinando morbidamente il capo: mi stava invitando gentilmente a prenderlo. Finita la spiegazione ripresi a ricucire cadaveri traendo ispirazione da un intreccio con fil di seta eseguito da Yakushi come dimostrazione e fonte d’ispirazione, dando modo di completare le sue osservazioni al microscopio. Squillò ad un momento imprecisato del pomeriggio e mentre le mie mani andavano affrontando la perforazione di pelle dell’ago, l’ennesima.

    Mh, ma sì.. è tutto chiaro.. mh, come il sole. Eccolo quà!

    Strillò quell’affermazione con voce pregna di soddisfazione, agitando le braccia al cielo come in una preghiera di lontane tribù sciamaniche. Non si guardò dal far silenzio, alzando il tono senza essere preoccupato delle conseguenze.

    Batterio risalente ai campioni che mi hai portato, Lìf. Tracce di acqua e non solo. Quindi, analizzando le parti di pesce che mi hai dato, posso giungere alla conclusione che il veleno dell'animale abbia fatto una particolare reazione con una sostanza che si trova in quelle acque. Una reazione chimica, Lìf! E' quando due sostanze si combinano, creando qualcosa di nuovo. In questo caso, dannoso per le persone. Ma non per gli animali. Infatti, è stato un animale in particolare a infettare i pescatori del vilaggio..

    Fece qualche rappresentazione con le mani e gettò via i guanti, iniziando a raccattare tutto. D’altro canto era arrivato alla soluzione dell’enigma, più semplice di quanto pensassi. Mi apprestai a terminare quella cucitura facendo calare le mani come puntali di una freccia, puntando a perforare in maniera microscopica l’ultima porzione di pelle e collegarla all’altra con la medesima tecnica adoperata per l’altro cadavere. E mentre tutto quel percorso volgeva al termine iniziai a provare una strana sensazione, come un presentimento.

    Sono state le zanzare. Per cui faremo meglio ad allontanarci da qui il prima possibile o perderemo l'ultimo treno. Ah, ho uno spray contro gli insetti nella borsa, sarà meglio spruzzarne un bel po'! Tanto non ci resta altro che avvertire l'ospedale e mandare una squadra specializzata. Vedi il bello dei ricercatori? Non devono neanche sporcarsi le mani!

    Pietrificata da quella dichiarazione restai con gli arti a mezz’aria, indecisa su come procedere mentre i ricordi prendevano piede con una prepotenza violenta. Mi fu concesso unicamente deglutire, unica reazione possibile difronte al tempo e all’imbrunire che s’andava persino annuvolando. In quel momento intorno alla mia presenza si stava sviluppando un confine invisibile, ritagliato dalla realtà temporale da tutti condiviso, un universo freddo come il ponte dell’Orca nera la notte di natale. Sentii l’impellente desiderio di restare e di mollare ma per me sarebbe stato impossibile scindere il corpo in due entità diverse e capaci di pensare autonomamente. Persino l’entusiasmo di Yakushi sfumò e quel suo sorriso trionfante scomparve nel percepire la presenza della vita all’interno del ventre di uno dei corpi ricuciti e ahimè non erano infanti.
    Come lava da un vulcano ribollente e vivo esplose all’esterno uno sciame di creature subdole e infide, approfittando di una minuscola apertura per distruggere l’intero ricamo. La salma aveva ospitato delle creature senza che nemmeno l’uomo se ne rendesse conto e ora le stava rigettando, vomitando, espellendo in una macabra rappresentazione. Oggetto del desiderio di tanti incalliti amanti dell’horror, sfidava apertamente la tolleranza dei meno forti che avrebbero fatto bene a chiudere gli occhi e ad allontanarsi, per non rimettere al mondo gli ultimi dieci pasti accumulati in fiumi di liquami verdastri. Fetido l’odore sputato all’esterno che mi costrinse a spostarmi, data la velocità dello sciame, più di quanto le mie gambe non fossero in grado normalmente. Eppure la rapidità dello stormo si rivelò fatalmente più grande di quella dei miei arti, i primi a venir circondati e i primi a reagire, in modo differente.

    [BZZZZZZZZZZ]



    Chimica, era attorno a questa parola che roteava il tutto. Fui inglobata mortalmente da quelle creature ma persino di loro non ebbi pietà, come in passato. Nel chiudere gli occhi e proteggere la faccia mi ritrovai inconsapevolmente a liberare la strada ad una massa viva e nera, spinta ad apparire per un effetto innescato da quell’ambiente. Se loro erano stati i portatori di morte, io li avrei annientati tutti quanti, sovrastandoli con la mia immunità come un antidoto in forma umana, un anticorpo fatto persona. Sferzai l’aria con sguardo contrito, rimuovendo la mantella con una manata brusca e mascolina così da svelare il rivestimento nero sottostante, una semplice maglia termica senza maniche e con collo alto. I cerchi in metallo tintinnarono e il loro suono destò una maggiore attenzione sul processo in atto dalle mie braccia, divenute più scure e ammantate. Come un drappo di energia vidi fuoriuscire all’esterno gli insetti con cui vivevo ogni giorno da ormai tanto tempo, gli artefici del mio salvataggio dalla febbre gialla e da tutte le altre malattie infettive. Una reazione a quel luogo li risvegliò e l’istinto ad abbattersi e cibarsi di quelle povere creaturine fastidiose mi portò, per la prima volta a non temere ciò che aveva attecchito un intero villaggio di pescatori. Perché tutto si riconduceva lì, al mare.
    Le lasciai al loro compito e allo sterminio degli avversari, che non ebbero tempo per ronzare nuovamente in gruppo e della truppa agguerrita non vi fu più nulla, nemmeno il ricordo se non sporadiche presenze impaurite. E ad operazione terminata non sarebbe stato facile capire chi tra me o il dottore si sarebbe rivelato il più sbalordito, una cosa però era certa: non dovevamo sporcarci ulteriormente le mani.


    Grazie per aver gestito questa Story mode Kerbozzola :sagh: :sagh:
    Come sempre un lavoro impeccabile
     
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    Kerbe ti puoi prendere il max d'exp del tuo rango +35 di bonus natalizio, come al solito altissimi livelli di scrittura :sisi:
     
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    Yama prende il doppio dell'exp che gli ho dato, me l'ero scordata :palm: Di conseguenza anche io prendo il doppio di quella che mi ha dato Stompo :sisi:
     
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13 replies since 15/5/2017, 16:13   404 views
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