Botte da Oasi

per Yama

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    Nel furore della battaglia sentii ancora quel dolore giungermi incontro dal filo. Un dolore leggero che salì dal piede lungo i fasci muscolari fino al ginocchio, che se più grave avrebbe sicuramente compromesso la mia mobilità. Fino a quel momento aveva sempre agito così e ogni volta percepivo l’effetto stordente per merito dei recettori del dolore, masse depositate nello strato del derma. Strizzando la palpebra applicai al labbro un morso contrito che rallentò solo di una frazione di secondo la velocità impiegata per lo spostamento, tuttavia non tardai così tanto da subire i colpi seguenti, che con l’ausilio di una successiva moltiplicazione e della prevenzione data dall’irrigidimento andarono a monte. Chiaramente riuscii a vedere la scena con difficoltà a causa di quella nube e mi accorsi del suo sbaglio quando notai una certa confusione da parte sua. Sommandosi il tutto agli effetti delle ferite, del veleno e del caldo cocente non servì neanche lo sforzo per irrigidire i muscoli e una volta terminato il tutto lo vidi accasciarsi a terra, stremato come un cavallo colpito da un narcotico letale. Fu allora che rilasciai le copie in una nube di commiato e rilassai il corpo abbassando le spalle e di conseguenza le braccia. Una lunga boccata d’aria si insinuò dalle narici e tutto il petto si contrasse per il ricambio d’aria nei polmoni, che espirai dalle labbra dischiuse.

    “Mi chiedo dove abbia imparato ad essere così rozza, sembri tuo padre”
    “Probabilmente hai ragione, anche perché a mia madre piace la frusta e non il ferro”

    E a me? Qual era l’arma per me? Se mio padre utilizzava stocchi e armi da fuoco mentre mia madre ricorreva spesso alle mani o alla frusta, cosa avrei dovuto maneggiare io con destrezza? Il filo spinato era troppo rischioso, me ne rendevo conto giorno dopo giorno in questi eventi occasionali. Lo utilizzavo sempre con più maestria, ma ormai era chiaro il lato pericoloso celato in quelle spine. Un’arma a doppio taglio e magari avrei dovuto farmi un giro in altri negozi per trovare chincaglieria di miglior fattura. Escanor comparve al mio fianco dopo essersi fatto un giro, avendomi bellamente ignorata tutto il tempo. Seccata dal casino grattai il collo con frustrazione, assumendo di dover non solo recuperare gli armamenti ma capire la situazione in cui l’altro versava lì per terra. Una nuvola di sabbia si sollevò quando discostai la gamba destra per avanzare e si dissolse senza forza, ben prima che io potessi raggiungerlo. Mi piegai in sua direzione per visionare le ferite da taglio in tutti i punti in cui aghi e shuriken avevan fatto centro, distaccando dal corpo possibili corpi estranei ancora attaccati. Caduto nella morsa di Morfeo non diede segni di ribellione e nel vederlo sonnecchiare lasciai fuoriuscire una risata sbigottita, in quanto non avevo mai visto una reazione simile. Presi la borraccia dal lato sinistro staccandola dalla cintola, una fiaschetta metallica ricolma d’acqua con cui ripulire blandamente le sue ferite del sangue raggrumato e sporco. Non una condizione positiva nel suo caso, perché sperare di poter durare con simili tumefazioni in tutta quella solitudine era difficile e azzardato. Frugai nella tasca della cappa per cercare un fazzoletto di stoffa che inumidii e pigiai sulle ferite con gesti un po’ maneschi, ripulendo per bene la pelle in ogni punto considerato fuori controllo. La gravità delle sue ferite non mi convinse neppure dopo quell’operazione e non mi feci problemi nel provare a caricarmelo in spalla, o quantomeno a trascinarmelo prendendolo dai piedi dopo aver raccolto shuriken e filo da terra.

    “Quel sacco di patate lo prendo io, ho sentito delle voci venire da laggiù. E’ rischioso lasciarlo ma da ora in poi non sono più affari nostri no?”
    “Non lo erano nemmeno prima”

    Lingue confuse che nessuno a parte noi era sapeva decifrare. Escanor si offrì volontario per caricarsi quello che per lui si dimostrò un peso piuma, nient’altro che una foglia alla vista dei suoi muscoli possenti. Decisi di riempire la fiasca nuovamente e di seguirlo nel tragitto, fino ad incontrare gente del posto a cui lasciarlo come se fosse un pacco.

    <voi due laggiù, questo ragazzo è vostro. Si è allenato con la ragazzina qui presente e le ha prese, fate attenzione da queste parti perché di certo non tutti sono buoni come noi.>
    “Gli ho detto che l’hai sfasciato ma che non volevi”

    Sfasciarlo? Che parola fuori dai canoni! Fu in quel momento che l’ex ninja posò il ragazzo dormiente per terra, lasciandolo nelle mani dei suoi compagni per cambiare direzione e invitarmi a fare lo stesso senza troppi complimenti. Accettai quindi la sua decisione e ricominciai a macinare metri mantenendo la coda dell’occhio sul gruppetto, scomparendo tra le dune in vista di una pericolosa tempesta di sabbia.
     
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    La sera vado a letto con due bicchieri sul comodino. Uno pieno d'acqua e uno vuoto, nel caso abbia sete oppure no.

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