When it all began.

Personal Quest

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    ayumu himura
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    Ayumu Himura
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    Una ragazza come tante in una giornata come tante alle prese con un lavoro come tanti, il volantinaggio. Sì, una mansione un po' particolare per un Ninja, inutile negarlo, ma per aiutare il padre si prestava a fare praticamente qualsiasi lavoro, decenza permettendo. Lì, nelle strade di Kumo, quel giorno il suo compito era distribuire materiale pubblicitario di vario tipo. Un po' per conto suo, un po' aiutandosi con qualche tecnica ninja e con il sempre utile filo d'acciaio. Una giornata davvero come tante, anonime come la piccola Ayumu. Eppure, quella giornata non sarebbe stata davvero come tante. Qualcosa sarebbe andato storto, diversamente. Forse, anche solo un piccolo dettaglio in grado di stravolgere completamente tanto la vita della ragazza quanto delle persone accanto a lei. No, no, non aspettatevi cambiamenti radicali e insensati: non diventerà volgare, non diventerà tutta un'altra persona. Tutt'altro. Inizierà a uscir fuori un qualcosa che lei ha sempre covato dentro ma che mai si sarebbe aspettata. Nessuno se lo sarebbe aspettato, effettivamente. Ma, andiamo con ordine, una volta tanto il tempo non è tiranno.
    «Per oggi basta così, non è giusto...» un sospiro mentre si abbandona su una delle tante panchine disseminate per Kumo, evidentemente stanca e provata. E' primo pomeriggio, il sole è ancora alto e tutto vuole tranne che tornare a casa. Sa già cosa l'aspetta, cosa dovrà subire. Forse una delle cose che odia di più. Per lei i diciotto anni sono importanti esattamente quanto i diciannove e i diciassette. Valgono come tutti quelli che sono venuti e come tutti quelli che verranno: assolutamente nulla. Non è menefreghismo, da una parte le fa piacere, ma davvero, non riesce a trovarne il nesso. Star lì in mezzo a finti amici, finti conoscenti, a far finta di sorridere, esser felice ed essere, inevitabilmente, al centro di un'attenzione che non vuole, che non cerca, che non ha mai cercato. Il vento le scompiglia i capelli biondi che distrattamente finiscono un po' ovunque, senza alcuna regola. Gli occhi si sono spenti nel giro di pochi minuti, pensando alla possibile festa a sorpresa, molto a sorpresa, che le potrebbero aver preparato. Inutile negarlo, non sguazzano nell'oro. Esattamente come la maggior parte degli abitanti di Kumo, infatti, dopo i fatti di Zero, dopo la totale distruzione del paese, la ricostruzione non è stata per niente facile. Verissimo, lei non l'ha vissuta sulla propria pelle. Ma ne sta vivendo, inevitabilmente, le conseguenze ora. Gente che continua a darsi da fare, una Kumo costantemente agitata e in preda ad attacchi di paranoia, inevitabilmente. Per quanto la popolazione possa sentirsi relativamente più tranquilla sotto il nuovo Raikage, la situazione è quella che è e la debolezza del paese è già stata provata da Zero in tempi non sospetti. E la sua famiglia è solo l'ennesima delle tante vittime, una goccia in un oceano di sangue. Digrigna i denti, stare seduta da sola la porta a pensare e pensare la porta a star male. Per quanto cerchi di nasconderlo, per quanto non voglia darlo a vedere, è maledettamente emotiva e sa di non poterci fare nulla. Al tempo stesso sa di non poterselo permettere, di non avere la possibilità di esser debole. Non per la carriera che ha scelto, non per l'onore che mette costantemente in gioco, giorno dopo giorno. «Dai, dobbiamo darci da fare.» mugugna appena, battendo fragorosamente le mani all'altezza delle ginocchia e dandosi una piccola spinta per alzarsi in piedi. Non deve andare troppo lontano.
    Qualche minuto di corsa ed è lì, nel campo d'allenamento. E' completamente deserto, gli aspiranti Ninja non sembrano essere tantissimi in questo periodo, o almeno non quelli pronti a scendere in un campo d'addestramento a confrontarsi con qualcuno. Lei? Oh, no, lei non ha appuntamento con altri ninja, non deve misurare le sue abilità contro nessun altro. L'esatto opposto. E' lì perché vuole stare da sola, è lì perché sa che lì può stare davvero da sola e perché sa che nessuno andrà a disturbarla. A dir la verità il suo “luogo magico” nel quale si riversa ogni volta che ne ha bisogno è un vecchio campo d'addestramento ormai abbandonato da tempo, da dopo la guerra. Lei l'ha trovato così, malridotto, con crateri piuttosto evidenti. Quando è lì riesce quasi a sentire l'odore della morte, la paura dei Ninja consci di affrontare un pericolo ben più grande di loro stessi. E' seduta in terra e con le dita disegna qualcosa sul terriccio, prima di pulirsi distrattamente e afferrare il quadernino, sul quale inizia ad appuntare chissà cosa. Disegni, scritte, forme. Sono appunti, pensieri sconnessi, un flusso di coscienza che non ha la minima intenzione di fermarsi. Non segue un filo logico, è completamente randomico. Privo di senso. Probabilmente neanche lei, a posteriori, sarebbe in grado di capirci qualcosa. Il tempo passa e lei non se ne rende neanche conto. Il sole inizia a calare e a quel punto sì, capisce che forse si sta facendo tardi. Saranno, forse, le sei o sette di sera, c'è ancora abbastanza luce da non restare nel buio più totale, nonostante non si trovi in una zona propriamente frequentata, tutt'altro. Posa il quadernino e si alza in piedi, adocchiando un vecchio e malmesso albero, distante non più di una decina di metri da lei. Inizia a far fluire il Chakra nelle braccia, sospirando appena e iniziando a far muovere il filo d'acciaio che lentamente si stacca dal braccio e inizia a muoversi verso l'albero. Si stringe intorno a un ramo e con un leggero strattone, sempre mosso dal Chakra chiaramente, ne stacca una porzione. Un altro movimento con la mano e questa volta il Filo si tende dalla parte opposta, andando a legarsi al tronco dell'albero. Afferra dalla tasca uno Shuriken e senza pensarci due volte lo lancia esattamente in mezzo al filo d'acciaio, senza colpirlo ed evitando quindi di romperlo. Non sarà bravissima con le armi da lancio, ma finché si tratta di muoverle sfruttando il Chakra la cosa le riesce piuttosto bene. Fa fluire nuovamente il Chakra e richiama a sé sia il filo che lo Shuriken, avvolgendo nuovamente il primo intorno al braccio e lasciando scivolare il secondo nell'apposito contenitore. Il coprifronte sul braccio destro riflette, inavvertitamente, un raggio di sole sul viso della ragazza. E' sconsolato, come se avesse costantemente qualcosa per la testa, come se qualcosa non andasse davvero.
    Poi, un urlo. Cinquanta, cento, forse trecenti metri sulla destra, dalla parte opposta rispetto alla città. Un urlo maschile ma giovane. Terrorizzato.
    Continua. Non lo scriverò sempre, in alto a destra c'è scritto il numero di post che la PQ prevede. :sisi:

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    Edited by Dwarfy Doc - 29/9/2016, 00:40
     
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    ayumu himura
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    Ayumu Himura
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    Quell'urlo così fragoroso, nel silenzio di Kumo, ha evidentemente destabilizzato Ayumu. Non si aspettava nulla del genere, non ha idea di cosa pensare. Per qualche momento resta bloccata, immobile, Kunai nella mancina e mano destra accanto al borsello porta-shuriken. Si guarda intorno, come fosse spaventata. Si guarda intorno, come chi ha la consapevolezza di non avere la minima idea di quello che potrebbe succedere da lì a pochi istanti. Si guarda intorno come chi cerca disperatamente un appiglio. Si guarda intorno, poi, come chi sa di aver sovrastimato la situazione. Non sta succedendo assolutamente nulla. La presa intorno al Kunai si è fatta sempre più forte, tanto che le dita sono contornate di bianco, segno evidente che il sangue inizia a scarseggiare. Ha stretto talmente forte che l'unghia ha lasciato un piccolo solco nella pelle. Ha stretto talmente forte che il cuore sembra quasi essersi fermato per qualche istante. E tutto questo per nulla. Per un urlo. Terrorizzato, evidentemente, ma unicamente un urlo. Nessun altro rumore, nessuno segno, neanche mezzo indizio. Non può sapere quello che sta succedendo né può sapere se effettivamente stia succedendo qualcosa di strano, qualcosa che non dovrebbe succede, o meno. Eppure si è lasciata prendere dal panico. Eppure ha esagerato, ne è consapevole. Il respiro rallenta, la stretta sul kunai si allenta e l'altra mano si allontana dagli Shuriken. Lo sguardo si sposta verso l'alto, lentamente, senza movimenti nervosi o agitati. Si sta calmando, finalmente. Inizia a prendere respiri più profondi unicamente per calmare il battito. Lentamente riacquista la tranquillità e la mente torna a esser lucida, come dovrebbe essere. Si morde giusto un attimo il labbro inferiore perché no, non può permettersi reazioni del genere per così poco e lo sa benissimo. Non ora che è un Ninja a tutti gli effetti, essendo uscita dall'accademia. «Ehi, calmati ora.» nessuno lì con lei a calmarla, deve arrangiarsi da sola, in qualche modo. «Ragiona con calma. Hai sentito un urlo, qual è la cosa più logica da fare?» andare a chiamare qualcuno che sappia gestire la situazione, poco ma sicuro. Ma figuriamoci se la nostra Ayumu, orgogliosa e determinata com'è, può andare a pensare a una soluzione del genere. Per lei la cosa più logica da fare è andare direttamente a controllare, perché non si sa mai quello che potrebbe essere successo e, nel dubbio, meglio accertarsene. Che di per sé non sarebbe neanche una logica sbagliata, se lei non fosse una Genin alle prime armi e palesemente inesperta. «Andiamo.» annuisce nel dirlo. Inizia a muoversi con il Kunai stretto in mano. E' una stretta più leggera, più morbida, palesemente meno spaventata e agitata rispetto a qualche minuto prima. Ha localizzato l'urlo a circa duecento metri sulla destra, esattamente dalla parte opposta rispetto alla città. Lì, dove montagne di vario tipo si incastrano tra loro e formano vallate non indifferenti, ammirate dai più. Anch'esse diventate, tempo addietro, luoghi di battaglia e distruzione e ora piuttosto abbandonati. E' per quello che quell'urlo le ha messo tanta angoscia. Non dovrebbe esserci nessuno, lì. Nessuno con buone intenzioni, almeno. E questo, invece, è un ottimo motivo per non andare da sola. Ma, si sa, sapeva dare buoni consigli, ma raramente si ascoltava. Il viaggio non dura molto, qualche scatto e qualche salto. E' costretta a fermarsi qualche minuto dopo, però. Le cose non stanno andando come dovrebbero. C'è un ragazzo legato a un albero, completamente solo. Non c'è nessuno nei paraggi e non sono passati più di dieci minuti. Si osserva intorno, Kunai rigorosamente in mano, cercando eventuali forme di vita. Nulla di nulla, oltre al ragazzo. Questo la guarda ma non dice nulla. Resta in totale silenzio, gli occhi sbarrati rivolti verso la ragazza. E' vivo, palesemente, ma sembra essere terrorizzato, quasi shockato. «Ehi, che succede?» domanda al ragazzo. Non ha più di sedici anni, occhi castani a coprire parte del volto. L'espressione è triste, in qualche modo, per quanto sia rimasto fondamentalmente immobile. E' vivo, poco ma sicuro. La ragazza non gli controlla neanche il battito, non ha tutte queste competenze mediche, anzi. Non gli interessa neanche particolarmente, la medicina, in verità. Passano pochi minuti e il ragazzo finalmente torna cosciente, circa. La bionda gli si avvicina e lo libera, aiutandolo a tenersi in piedi, viste le evidenti difficoltà. «Chi… Chi sei tu?» In un primo momento la ragazza non risponde, si prende tempo, durante il quale aiuta il ragazzo a sedersi a terra, per stare più rilassato. Non ha un coprifronte, quindi probabilmente non è un Ninja, o al massimo è uno studente. «Mi chiamo Ayumu, sono un Ninja, tu chi sei? Sei stato tu a urlare, prima?» domanda tranquillamente la ragazza, continuando a guardarsi intorno. Effettivamente specificare che è un Ninja è anche abbastanza inutile, vista la presenza del coprifronte, ma il ragazzo in evidente stato di shock, potrebbe non essere così attento ai dettagli. Anzi. «Io… io sono Kazutoshi… sono un mercante, stavo solo… ehm… sì, sono stato io a urlare, dei ragazzi mi hanno preso alla sprovvista e mi hanno legato all'albero...» sembra nervoso, Kazutoshi. Quasi come cercasse di nascondere qualcosa. Poi, Ayumu si rende conto di un dettaglio che non aveva notato prima. Il braccio destro del ragazzo è coperto di sangue, ma lui non ha ferite addosso. «Come stai? Sei ferito?» domanda la ragazza, lanciando un'occhiata tutt'altro che celata verso il sangue, come a fargli capire che ha notato che qualcosa non va. Come volesse correre ai ripari, il ragazzo si copre il braccio con la mano opposta. «Devo essermi scorticato contro l'albero e quindi il sangue… Ma sto bene… » Non può crederci, la Genin. Sarà giovane e inesperta, ma non è palesemente stupida. «Aspettami qua allora, torno subito, va bene? Magari la persona che t'ha legato all'albero è ancora nei paraggi!» sorride, tranquillamente. Sta cercando di dissimulare e di non far capire in alcun modo al ragazzo che sospetta di lui. Ha sedici anni, d'altra parte. Come può aver pensato a una messa in scena del genere? Perché quel sangue, perché fingersi shockato, perché? Tante domande. Troppe domande e nessuna risposta. Si allontana, la bionda, iniziando a girare lentamente, Kunai alla mano chiaramente, per le zone limitrofe all'albero. C'è una scia di sangue e sa benissimo che forse non è il caso di seguirla, ma qualcosa dentro di lei le dice di farlo. Qualcosa che la fa sentire meglio, che sembra quasi spingerla a seguire quella scia, ad avvicinarsi ancora di più alla fonte del liquido. Le tracce conducono in una caverna. Non è particolarmente buio, seppur la visuale non sia proprio pulitissima, visto che si trova comunque in una caverna. Si avventura all'interno del luogo angusto ben consapevole che non è la scelta migliore, che non dovrebbe essere lì. Ma c'è qualcosa che la sta attirando, che le sta impedendo di andare via. «Ma che brava, sei più sveglia del previsto...» la voce del ragazzo, dalle sue spalle. Sembra essere decisamente in forze, con un sorriso stampato in volto di quelli bastardi, di quelli meschini. Si è preso gioco di Ayumu come se fosse la cosa più normale del mondo. «Guarda dietro di te.» Ayumu si gira. C'è il cadavere di una ragazza divelto a terra. E sangue. Tanto sangue. Troppo sangue. «Cosa gli hai fatto? Perché lo hai fatto, bastardo?!» sembra essere decisamente più seria. Più decisa. Molto più intraprendente. «Voleva fregarmi e questo è quello che succede a chi vuole fregarmi. Vuoi per caso fare la stessa fine, ragazzina?»

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    ayumu himura
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    Ayumu Himura
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    Ecco perché. Vendetta, semplice dimostrazione di potere. Uno stupido, inutile e insensato spargimento di sangue per dimostrare chi è il più forte, per dimostrare chi dei due ha il coraggio di sporcarsi le mani e chi no. Una semplice dimostrazione di forza, la legge del più forte che non porta altro che a uno stupido omicidio, completamente insensato e ingiustificato. Lo sguardo di Ayumu si assottiglia nel sentire le parole del ragazzetto. Sedici anni e ha già le mani sporche di sangue. Non è un ninja, è solo uno che si crede più forte degli altri. E' solo uno che crede che uccidere una persona sia un gesto coraggioso e non una vile sconfitta della ragione a favore della brutalità. Nessuna giustificazione per un comportamento del genere, niente che possa far pensare alla ragazza che non deve far capire al ragazzo il suo sbaglio. Eppure qualcosa c'è. Con ottime probabilità, in condizioni normali, probabilmente la ragazza gli avrebbe fatto una ramanzina e basta, difendendosi da eventuali attacchi o offese. Ma c'era qualcosa che ribolliva in lei. Qualcosa che la destabilizzava. Semplice rabbia? No, era di più. Il sorriso sulle labbra della giovane si allarga, mentre la mancina stringe il Kunai. Le dita si fanno nuovamente bianche. «Hai finito di fare il superiore.» parole affilate come lame che si scagliano contro la carne del giovane. Il tono è serio, tagliente, cattivo a tratti. Di chi non prova rispetto, di chi non riesce neanche a chiamare per nome quella persona, così vile e meschina. «Attaccare chi è più debole di te non ti rende forte. Non ti rende superiore a loro. Ti rende un codardo, un buono a nulla. Uno come tanti, che cerca il predominio attraverso la violenza.» un lieve sospiro mentre, cercando di non farsi vedere, dalle braccia inizia a sciogliersi il filo d'acciaio, intriso di Chakra. «Sei solo feccia. Hai attaccato un ragazzo più giovane e piccolo di te, hai preso la sua vita come fosse un gioco, come fosse una barzelletta.» un rapido movimento della mano, gli occhi che non si spostano di mezzo centimetro dal suo obiettivo e il filo d'acciaio che si muove veloce, tutti e venti i metri, andando ad avvinghiarsi attorno al busto del ragazzo, legandolo completamente, di fatto. «Puttana, che cazzo fai?! Lasciami andare subito!» con tanto di sputo rivolto verso la ragazza, che si stampa inesorabilmente per terra. «Come ci si sente, eh? Come ci si sente a essere completamente impossibilitati a reagire?» si avvicina lentamente, afferrando il Kunai e iniziando a giocarci, facendolo roteare più volte tra le dita. Sembra quasi divertirsi in quella situazione, quasi come se non si sentisse minimamente in colpa. Parliamoci chiaro, non sentiva nessun desiderio di vendetta nei confronti di quel ragazzo. Né della vittima, né del suo carnefice. Non aveva nessun conto in sospeso con la persona che aveva ucciso il ragazzo, non stava vendicando o cercando giustizia per la vittima. Quello che stava facendo lo faceva, inutile negarlo, per puro piacere personale. Era una cosa così assurda, così senza senso, così improvvisa ma così incredibilmente travolgente che non aveva neanche pensato al fermarsi, a prendersi una pausa e a riflettere. «Ti sei divertito a ucciderlo, vero?» domanda, con il sorriso più sincero di sempre. Il Kunai si abbassa leggermente sul braccio del carnefice, solcandolo inevitabilmente. Ne consegue un'altra ferita, non particolarmente profonda, dalla quale esce inevitabilmente altro sangue. E no, a lei non dispiace per niente. Anzi. «Ti stai divertendo ora, bastardo?» domanda ancora, praticando un altro taglio sulla gamba del ragazzo, questa volta. «Io ti denuncio!» a quelle parole, Ayumu scatta. Gli occhi della Genin si fissano in quelli del ragazzo, a pochissimi centimetri di differenza. «Come, scusa?» domanda, allontanandosi di qualche metro e avvicinandosi al ragazzo morto. Lì c'è l'arma che il carnefice ha utilizzato per ucciderlo, un vecchio pugnale da cucina. «Per cosa? Ti ho sorpreso a uccidere questo ragazzo...» si abbassa ad afferrare il coltello e si pratica, da sola, un taglio sul braccio. E' doloroso, la ferita pulsa e brucia, ma l'adrenalina in corpo è talmente tanta che non le importa del dolore, per il momento. «E durante la colluttazione ci siamo feriti a vicenda. Poi sono riuscita a legarti. Cosa ho fatto di male?» domanda sarcasticamente al ragazzetto, allargando ancora di più il sorriso, evidentemente soddisfatta. Infila nuovamente il Kunai nel taschino e si avvicina al ragazzo, sfiorandogli la ferita sul braccio con un dito. «Te ne stai buono qui e aspetti che qualcuno si occupi di te, da bravo!» una leggera spintarella e il ragazzo cade a terra, complice anche l'equilibrio precario dovuto al filo d'acciaio che ancora leva il ragazzetto, incapace di muoversi e, forse, realmente shockato ora, più dalla reazione della ragazza che da altro.
    La strada del ritorno verso casa è lunga. In realtà no, non è affatto lunga, non più di una decina di minuti, ma per Ayumu quel lasso di tempo sembra infinito. Non fa altro che pensare a quello che è successo, al modo in cui ha reagito, a quello che è stata in grado di fare. Ha ferito quel ragazzo senza ucciderlo, unicamente per fargli provare dolore. E non le è dispiaciuto. Nonostante ci pensi anche ora, a mente più lucida, non riesce a sentirsi in colpa o a dispiacersene. Tutt'altro. Ricorda bene l'adrenalina in corpo, la stessa adrenalina che ora ha smesso di circolare e che le fa sentire un dolore al braccio non indifferente. Si tiene il braccio con l'altra mano, sta usando il coprifronte per evitare di perdere troppo sangue. Deve andare ad avvisare un superiore e poi nella clinica, per quanto la ferita sia comunque superficiale, forse l'ha fatta un pochino troppo profonda. E anche lì, nessun senso di colpa. Anzi. Ha provato obiettivamente piacere nell'infliggere dolore fisico a quel ragazzo, un po' anche quando è stata costretta a infliggerselo da sola. Non riesce a non pensare al fatto che si sentiva così bene, così diversa. Così nuova.
    Dopo la visita in clinica e aver fatto ritorno sul luogo dell'omicidio, ha recuperato il suo filo d'acciaio dal ragazzetto, consegnato alle autorità locali, e si è diretta nuovamente a casa. E' sera ormai e al suo rientro i genitori sono evidentemente preoccupati. La guardano in viso, però, e non parlano. Nessuna festa di compleanno, si rendono conto che qualcosa non va, che c'è qualcosa di diverso. Se ne rendono conto e non dicono assolutamente nulla. Forse ne sono spaventati anche loro. Anzi, solo loro. Lei non lo è. Più ci pensa e più l'eccitazione sale. Più pensa al sangue, più si sente viva. In maniera completamente sbagliata, ma non le importa.

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    Ma lo sai che è Alice in Wonderland, vero? Non la Queen of Hearts.

    34 e la prossima volta fatti Metamorfo Cannibale :omg:
     
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