L'Inganno

[Personal Quest]

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  1. Anselmo
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    ~ X ~


    Anno 13 d.Z. ...

    Cosa guardi, nonno?

    Mmmhh...

    La nota bassa vibrò ansiosa nella sua vecchia gola. Ne esplorai il volto indurito da novant'anni di fatiche, solcato in quel momento da profonde rughe di tristezza. Negli occhi annacquati bruciava il riflesso del tramonto infuocato che si spegneva lentamente all'orizzonte. Seguii il suo sguardo e mi trovai a spaziare con la vista sull'ampia vallata che scivolava sotto di noi. Dall'alto della parete a strapiombo su cui sedevamo, le centinaia di capanne della tribù Sawokii che si inerpicavano dal fiume su per il fianco della valle, parevano i timidi boccioli di Pilosella che spuntano nelle radure al giungere della primavera. Tra le capanne comparivano i primi fuochi da campo, e non potei impedire ai miei pensieri di pregustare la selvaggina alla brace che mi aspettava per cena quella sera. La luce ambrata che dagli ultimi sprazzi di sole nascosto dietro il Monte Scudo si riversava nella valle accarezzandone calorosamente le curve e le linee, rendeva più vivido ogni particolare di quel panorama. Spostai lo sguardo dalla lontana macchia grigia della mia tribù agli aguzzi picchi di roccia nuda che graffiavano il cielo in alto ad ovest, per poi portare la vista sulla linea verde ed appena accennata della vegetazione che si arrampicava sui fianchi delle montagne, ed infine guardai giù nel verde dei boschi nell'azzurro dei laghi e nel bianco delle acque turbolente del fiume. Quella vista mi riempiva il cuore d'emozione, un emozione che uomini più cresciuti di me avrebbero definito come un misto stupore, gioia ed un pizzico di inspiegabile malinconia. Ma io che ero appena un quattordicenne la vivevo per quella che era, senza cercare di darle un nome; una semplice sensazione, ne piacevole ne spiacevole, di quelle che ti inumidiscono gli occhi in senso buono. Dall'alto della dimora del nonno, che giaceva isolata a due ore di ripida scalata dal villaggio, ammiravo la mia casa. Non la capanna in cui dormivo con mà, pà e Naira, la mia sorellina. Ne la tribù Sawokii, che dalla vertiginosa altezza a cui mi trovavo pareva una macchia brulicante di vita nella calma delle foreste. Mi riferivo invece a tutta quella porzione di pianeta che stringendo le palpebre riuscivo a catturare con la vista. Quel paradiso in Terra, tutta quella vallata ed i monti circostanti... quello era ciò che io ed i Sawokii chiamavamo casa. Tramite lo sguardo la toccavo con il cuore, e mi riempiva d'amore nonostante la mia giovane età. Eppure il nonno guardava ad essa con apprensione. Nonostante i miei occhi fossero d'un colore acceso ed i suoi appassiti dal secolo di vita vissuta, lui sapeva vedere più lontano di me, molto più lontano, questo era sicuro. Desiderai vedere anch'io, e condividere la sua angoscia, come se così potessi farmi carico di parte del fardello che portava sulle sue vecchie spalle. E quando si voltò lentamente verso di me fui così certo che mi avesse letto nel pensiero, che trasalii. Sorrise sulle labbra tremolanti, ed annuì chiudendo le palpebre pesanti.

    Mongwau, tutto quello che cogli con la tua vista di gufo... tutto questo...

    Si voltò nuovamente verso l'orizzonte, il volto inondato dalle fiamme del tramonto, e sollevò una mano spaziando con un movimento ampio ed incerto da est a ovest. Un alito di vento gelido fece sfarfallare le penne d'aquila che indossava come una criniera attorno al capo e smosse gli ornamenti che gli pendevano dal copricapo, facendo tintinnare d'un suono ovattato gli artigli di lupo lucidati ivi appesi.

    ... la Valle del Bianco Sentiero e le creature che la abitano... presto tutto ciò più non sarà. Questo io vedo nel tempo...

    Concluse con voce spezzata, chinando il capo e posando lo sguardo sul calumet che gli giaceva in grembo, come se si vergognasse di ciò che aveva appena rivelato. Il significato delle parole pronunciate dal nonno stentò in un primo momento a giungermi, ma quando arrivò mi investì con la violenza di una montagna che frana. Senza parole e con una maschera di gelo a velarmi il volto, piantai uno sguardo colmo di panico negli occhi del nonno. Perchè quando il nonno guardava nel tempo, ciò che dichiarava non era delirante frutto della senilità d'un anziano vissuto. "Nonno" era il modo in cui io, Naira ed i nostri amici lo chiamavamo, un modo irrispettoso per farlo a detta dei nostri genitori, ma a lui piaceva. Per tutti gli altri invece non era il nonno. Era Tecumseh, il Puma che Balza, Saggio della tribù, colui che per quattro decadi aveva guidato e protetto i Sawokii, per poi ritirarsi sulla montagna a dialogare con gli Dei. La sua parola era profezia. La dolce emozione che mi aveva pervaso ammirando la valle che era la mia casa, si guastò rapidamente in sgomento e confusione. Cercai di domandare, di chiedere spiegazioni, di comprendere cosa intendesse, ma ogni parola pareva fuori posto, finché non riuscii, balbettante, a rompere il silenzio:

    E... e noi S-Sawokii?

    Anche noi facciamo parte delle creature del Bianco Sentiero.

    Non capivo. Non capivo come potesse affermare tutto ciò. Mai aveva predetto qualcosa come la fine della tribù e di tutta la nostra casa, ed ora lo faceva senza preavviso, in un giorno qualsiasi al cospetto di un ragazzino qualsiasi. In un momento di lucidità mai sperimentata, mi passarono difronte con la velocità d'un falco in picchiata i volti dei mie cari, i miei momenti belli, le forti sensazioni che mi erano rimaste impresse, e non fui capace di prendere per plausibile l'annientamento di tutto questo. Ero giovane, dovevo aver frainteso come sempre il suo enigmatico profetizzare. Ma qualcosa mi suggeriva che non era così. Il suo volto... in quello leggevo la verità a caratteri cubitali. Eppure la portata di quella prossima realtà era ancora troppo grande per poter essere accettata.

    Come...?

    La sventura giungerà da Ovest, spinta da un vento di fuoco e metallo. Saranno coloro che si armano del Chakra.

    Ninjutsu...! Perchè verranno?

    Non rispose. Per un lungo momento parve librarsi con la mente nel cielo ora stellato. Quando tornò a me, mi squadrò con un'inspiegabile crepa di dubbio. Pareva indeciso su qualcosa, qualcosa che mi riguardava. Ma poi parlò.


    - 1 -



    Edited by Anselmo - 27/9/2016, 15:18
     
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  2. Anselmo
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    Il mondo attorno a noi è andato avanti, giovane Gufo. In un tempo molto remoto, altre tribù come i Sawokii popolavano terre oltre i confini del Bianco Sentiero. Dietro quelle montagne, oltre quei boschi e laggiù, alla fine della valle, altri come noi vivevano. Eravamo tanti, eravamo forti, e ci combattevamo! Ma ora non più. Il Ninshuu è stato corrotto in Ninjutsu, le menti si sono affilate, è stato smarrito il contatto con gli Dei. Questo è oramai il mondo futuro, ed il nuovo dio è lo Shinobi. Ma forse loro non sono il futuro. Questo non è il presente. Forse noi siamo il passato... forse i nostri Dei si sono addormentati per l'eternità. Sempre più spesso oramai me lo domando...

    Sospirò e sorrise. Poi riprese, e mi parlò della nostra solitudine. I Sawokii, l'ultima tribù del mondo, gli ultimi sopravvissuti, coloro che avevano sfidato e spezzato il flusso del destino, ma che presto ne sarebbero stati trascinati via. Non esistevano più tribù come la nostra, ne mondi come il nostro. La Valle del Bianco Sentiero era ritenuta terra di nessuno, una cicatrice di fiorente flora e vivace fauna che giaceva sul confine tra le desolazioni di Ishivar ed il Continente Occidentale, in attesa di un padrone che la domasse. Nessuno la riconosceva come casa dei Sawokii. Il nonno mi parlò poi di come, negli ultimi anni, i contatti con i Ninja fossero aumentati. Visite alla tribù per convincerci ad accettare offerte che ci avrebbero portato alla rovina e continue pressioni di ogni sorta. Ma la cosa peggiore erano gli attacchi armati, nella notte, nel tentativo di rapire deboli e bambini da poter usare come leva per farci desistere. Sapevo che chi portava nel palmo della mano il vento del Ninjutsu era creatura dalla mente venata dal maligno, ma non li avevo mai ritenuti una minaccia consistente. Non più dei branchi di lupi che camminavano tra le capanne nelle notti di luna piena.

    Gli Shinobi bramano la nostra terra... perchè questo non è un luogo come tutti gli altri. Vita ardente permea ogni goccia di rugiada, ogni foglia, ogni sibilo di serpente. Vita che emana dalle profondità delle montagne, scorre nel Fiume Bianco, vibra tra le radure smosse dal vento. Questo luogo ci ha accolto nella sua magia per millenni, mentre tutto il mondo attorno a noi si faceva arido. E' il Chakra, Mongwau. Quello che ogni creatura ha dentro di sé. Quello che gli estranei impugnano come arma. Il Chakra qui nella Valle del Bianco Sentiero non vive solo nel petto degli esseri viventi. Ammanta tutto...

    Molte domande a quel punto turbavano i miei pensieri. Ma non fui capace di aprir bocca e interromperlo. La profonda voce armonica del nonno vibrava nell'atmosfera serale come un canto funebre. Ne venni catturato e vagammo assieme nel passato e nel futuro, librandoci come piume in una tempesta. Con il suo dono, Tecumseh mi mostrò ciò che gli Dei avevano sussurrato. Vidi i portatori del Ninjutsu ed il loro bramoso desiderio di consumare l'anima della nostra casa, di farne un'arma al loro servizio, come avevano fatto di ogni cosa che sprigionasse potere, persino di loro stessi. Fui proiettato nel cielo, ed da lì mi fu mostrato quanto il mio universo, quella valle in cui avevo trascorso la mia intera esistenza, fosse piccola ed insignificante rispetto alle sconfinate Terre Ninja. Capii che il mondo era andato avanti, e che noi eravamo oramai solo una reliquia del passato, indifesi ed assoggettati al volere di chi ci circondava. Capii che la fine era imminente, perchè così voleva il corso del tempo. Ma nella foga della realtà turbolenta che ci circondava, non tutti calpestavano ciò che incontravano sul loro cammino. Ishivar era un alleato estraneo di cui pochi Sawokii conoscevano l'esistenza. Politiche e confini erano concetti a me sconosciuti, ma mi fu chiaro che se ancora esistevamo, era solo grazie al fatto che la Valle del Bianco Sentiero rientrava tra i limiti dei domini del Paese della Speranza. Conobbi così l'origine del mio braccio di acciaio lucente, con i suoi simboli misteriosi che sporadicamente s'infuocavano, nonché l'origine dello strano volto della Vecchia Megera e della gamba del mio amico Kangee, così simile al mio braccio. Quegli arti che qualcuno aveva chiamato "artifici meccanici" e "Protesi Auto-Chakra", su cui io non avevo mai indagato, erano...

    Doni dal Paese della Speranza, per sopperire alle mancanze dei nostri figli. Marchingegni dalle potenzialità ignote per noi, che usiamo le armi solo per procacciarci selvaggina ed il chakra per comunicare con la natura. Ma pur sempre doni che mai abbiamo potuto rifiutare, e di cui siamo grati. Solo questo Ishivar può fare. Questo, e lasciarci vivere la vita che ci spetta di diritto. Ma mai si schiererà dalla nostra parte, perché questa è terra di nessuno, una terra per cui non vale la pena combattere. Presto questa nostra verde dimora verrà privata di tutta la vita ed inaridirà come il resto del presente.

    Fu così che conobbi l'avvenire. Tutta la sua insostenibile mole gravò improvvisamente sulle mie spalle, tanto che ne fui quasi sopraffatto. Mi sentii stupido per aver desiderato di farmi carico di parte del fardello del nonno. La mia forza non era minimamente paragonabile alla sua, ed ebbi il terrore di collassare. Mi chiesi perchè avesse rivelato tutto ciò a me; altri non ero che uno dei tanti ragazzi con il compito di portare periodicamente vettovaglie e medicamenti alla casa di Tecumseh in cima alla montagna.

    Perchè io...?

    Una sofferenza inaudita attraversò i lineamenti del nonno. Se fino a quel momento il suo volto aveva emanato profonda tristezza, ora si contorse nell'afflizione più dolorosa. Si volse verso di me con sguardo perso e mi poggiò una mano sulla spalla. Percepii i suoi tremiti graffiarmi le ossa. Quel che non sapevo è che la sua pena non si limitava alla terribile verità che mi aveva rivelato. C'era altro, qualcosa che però non mi disse: il mio destino era di sopravvivere.

    Il destino è scritto, giovane Mongwau. Ma se gli Dei mi concedono il potere di leggere tra le pagine di ciò che verrà, significa che mi è data l'occasione di cambiare le cose. Del tuo cuore ho deciso di fidarmi, e quando i meccanismi del tempo cominceranno ad agire, so che il tuo spirito ti guiderà verso la giusta direzione.
    Non dovrai trasmettere a nessuno la parola degli Dei, nemmeno a tuo padre. Se lo farai, accelererai l'imminenza del disastro, ed i Sawokii abbandoneranno queste terre e si perderanno come polvere nel vento
    Dovrò conferire a lungo con gli astri. Torna da me al tramontare della prossima luna. Ti aspetto...


    Sollevai una mano e feci per replicare, ma non fui capace di formulare nulla. Il nonno chiuse gli occhi e prese a dondolare lievemente, spezzando di netto il contatto. D'un tratto mi sentii svuotato. L'unica cosa di cui avevo bisogno era correre. E corsi. Sparii in un fruscio tra la vegetazione ed imboccai a rotta di collo il sentiero, diretto al villaggio.


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  3. Anselmo
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    ~ X ~


    Cinque giorni dopo...


    Alle mie spalle una scia di ramoscelli spezzati, piante tranciate, foglie secche proiettate in aria e creature del bosco in fuga. Correvo più veloce di una lepre, o almeno questa era la sensazione che provavo sfrecciando tra i massicci tronchi d'albero con i capelli sollevati dalla fronte. Sbuffi d'aria umida pompavano vigorosamente dentro e fuori le mie narici. Gli occhi mi lacrimavano, il petto in tumulto avvolto in una morsa di fitte dolorose. Ma sorridevo, perchè mi sentivo libero da ogni preoccupazione, come stessi fluttuando a folle velocità nel mondo dei sogni, consapevole di poter fare qualsiasi cosa. Provavo l'irrefrenabile impulso di voltarmi per godere del distacco che avevo frapposto tra me ed i miei inseguitori, ma non osavo distogliere lo sguardo dalla preda che avevo difronte. Nonostante la sua mole imponente, calpestava il sottobosco con impressionante agilità, sgusciando con maestria in ogni spazio aperto che trovava nel labirinto di vegetazione. Ero certo che se avessi anche solo battuto ciglio, l'avrei persa irrimediabilmente di vista, sprecando un sacco di fatiche.

    Eccoti, sei mia!

    Ringhiai a denti stretti quando vidi la preda svoltare repentinamente a sinistra. Conoscevo a memoria quel territorio e sapevo che in quella direzione v'era un ripido avvallamento profondo una mezza dozzina di metri, abbastanza ampio da non poter essere scavalcato. Ci andò dritto incontro e, come previsto, provò inutilmente a saltare la voragine, rovinando invece sul fondo. Quando raggiunsi anch'io il bordo della trincea naturale, non esitai un secondo e balzai del vuoto portando la mano alla cintola e sguainando dieci dita di affilatissimo acciaio. Piombai come un gufo in picchiata sulla preda, braccia e gambe divaricate, pronto ad immobilizzarla e sgozzarla con un unico, fluidissimo movimento. Ma quando non ero che a pochi millesimi di secondo dall'agguantarla, un sibilo acuto e letale mi sfiorò l'orecchio ed una freccia comparve improvvisamente nell'occhio della preda, bloccando all'istante il suo tentativo di sollevarsi da terra. Stramazzò al suolo esalando un'ultimo roco respiro, con un rivolo di sangue denso e nero che gli colava dall'orbita trafitta.
    Atterrai con una capriola lì accanto, mi rialzai, mi diedi qualche manata per ripulirmi dalla sporcizia e sollevai lo sguardo verso l'alto. Naira, la mia sorellina, mi regalò un sorriso beffardo dalla cima dell'avvallamento mentre abbassava l'arco e riapriva l'occhio che aveva socchiuso per prendere la mira. Subito dietro di lei comparve mio padre, che le piazzò una mano sulla spalla scuotendola affettuosamente.

    Te l'ha fatta anche questa volta, Mongwau. Ricorda sempre che ai gufi non basta saper volare veloce per catturare gli scoiattoli. La prima cosa che imparano ad usare sono i loro
    grandi occhi.

    Naira e Pà scoppiarono in una poderosa risata e balzarono giù sul fondo della voragine, noncuranti dello sguardo imbestialito che stavo rivolgendo loro. Ma la cosa non durò che un'istante, perchè poi ci voltammo tutti verso la preda abbattuta, una cerva adulta ben più pesante di quanto un uomo da solo possa sollevare. Rabbia e divertimento scomparvero dai nostri volti, che si fecero impassibili. Mio padre si piegò su un ginocchio, ed altrettanto facemmo io e Naira.

    L'hai abbattuta te, Grandi Occhi.


    Naira annuì e poggiò una mano sul ventre immobile della cerva. Nel silenzio delle nostre voci, i rumori della foresta ci accerchiarono ed in essi sprofondammo. Fruscio di foglie nel vento, furiosi richiami appena udibili di bertucce distanti e cinguettii di uccelli in cerca di cibo. Lo sporadico scricchiolare dell'anima legnosa ed antica degli alberi attorno a noi, e niente più che il nostro respiro ancora un po' affannato. Chinammo il capo e rivolgemmo i nostri pensieri allo spirito della cerva, mentre lasciava per sempre quei luoghi di verde pace che erano stati la sua casa per molti anni mortali, per varcare le soglie dell'eterno.

    Siamo dispiaciuti di averti uccisa, sorella. Onoriamo il tuo coraggio, la tua velocità... la forza.

    Le parole di mia sorella parvero circondare la creatura defunta ed assorbirsi nella terra, a testimonianza del luogo della sua morte. Naira si alzò e puntò gli occhi al cielo. Sapevo cosa aveva provato nel pronunciare il ringraziamento con le dita appoggiate sul ventre ancora caldo dell'animale. Sotto la guida di nostro padre nelle innumerevoli battute di caccia, entrambi avevamo imparato a sentire... Era il Chakra, quello che lentamente lasciava il corpo della cerva, quello che nei momenti di profonda quiete percepivo ammantare ogni cosa, come un velo di vita silenziosa, quello che pulsava debolmente persino negli alberi e che in rare occasioni avevo sentito turbinare nel mio corpo. Quello che gli allevatori di bestiame ed utilizzatori del Ninjutsu utilizzavano come arma, dimenticandosi di cosa fosse in realtà.
    Terminò così la battuta di caccia della giornata, nel più profondo rispetto della vita. Le carni di quell'essere della natura avrebbero sfamato per giorni molti Sawokii, le sue pelli ci avrebbero protetto dal gelo dell'inverno che arrivava, le sue ossa un ottimo materiale per la costruzione di utensili dall'importanza esistenziale. Nessuna vita era senza valore, nessuna morte accadeva invano. Questo mi era stato insegnato.

    Coraggio Mongwau, aiutami a sollevarla. Dobbiamo tornare all'insediamento prima che faccia buio.


    Va bene pà.


    - 3 -



    Continua
     
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    Bravo AnZelmo, bravo. Prendi pure 35 Exp :si2:
     
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  5. Anselmo
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    ~ X ~



    Un'ora più tardi camminavamo ancora nella foresta inoltrata. Avanzavo con la mente colma di pensieri, trasportando la preda per le zampe anteriori mentre mio padre la teneva per quelle posteriori. Naira ci faceva strada nel sottobosco accidentato e privo di sentieri. Seguivo i suoi movimenti quasi incantato, registrando inconsapevolmente ogni particolare: la goccia di sudore che le scivolava dall'attaccatura dei capelli tracciandole una riga lucida sulla schiena nuda, i fasci di muscoli che si contraevano sotto la pelle scura delle braccia, le frange degli stivali che ballonzolavano ad ogni passo... Ma niente di questo attirava realmente la mia attenzione. Ad ingabbiarla erano invece immagini di ciò che il nonno mi aveva mostrato cinque giorni prima con la sua ipnotica litania di fluenti parole, immagini che scoppiavano ora con violenza nella mia mente. Ero confuso e colmo di paura, come lo ero stato in ogni momento negli ultimi cinque giorni e cinque notti. Solo la caccia era stata capace di distrarmi da ciò che gravava sul mio animo. Non potevo nemmeno immaginare una vita in cui venivo privato di tutti quelli che mi avevano circondato fin dal primo battito del mio cuore. Una vita senza la mia dimora... Questo mi aveva mostrato il vecchio Tecumseh. Non una realtà in cui perivo tra le fiamme abbracciato ai miei familiari, ma una realtà in cui camminavo tra le ceneri del mio universo, privato di tutto meno che della vita. Continuavo a chiedermi perchè dovesse accadere, perchè le cose non potessero continuare come avevano sempre fatto. Ma nel contempo ciò che avevo visto era ovvio, naturale e perfino comprensibile: noi Sawokii, una comunità rimasta ancorata ai principi antichi della vita mentre tutta l'umanità correva verso il futuro, giungevamo infine alla resa dei conti. Non c'era più spazio per noi, come non c'è spazio per nessuna creatura che non sappia difendere sé stessa e la sua prole. E noi non potevamo difenderci, non contro un mondo intero che viveva all'insegna degli interessi, della conquista, della crescita territoriale e sociale. Tutto questo ora lo sapevo. Dopo che il nonno mi aveva portato per mano nelle nebbie bollenti della coscienza oltreconfine, sapevo che questa era la realtà dei fatti. Sapevo troppo, più di quanto qualsiasi Sawokii, eccetto il nonno, sapessero. Più di quanto avrei mai voluto sapere. Più di quanto potessi sopportare. Mi portai una mano alla testa e la affondai tra i capelli, colto da un'improvvisa fitta alla tempia. Quei pensieri che mi avevano tenuto sveglio per cinque giorni, non mi davano tregua. Ma presto sarebbero finiti, nel bene o nel male. Perchè il nonno aveva scelto di fidarsi di me, ma soprattutto io avevo scelto di fidarmi di lui. E ciò che mi aveva ordinato di fare, andava fatto di lì a poco.

    Anzi...

    ...andava fatto ora. Sollevai lo sguardo e tra le fronde degli alberi intravidi il sole accecante sfiorare la cresta del Monte Scudo.
    "Al tramonto del quarto giorno da ora, recati alla Fonte..." erano state le parole del nonno. Il tramonto indicato stava per giungere, era il momento di agire.

    Fermatevi! Pà, ce la fai a portare da solo la cerva per l'ultimo tratto? Io e Magua ci siam...

    Si, certo. Non fare tardi per la cena, la conosci tua madre!

    Replicò issandosi la preda sulle spalle e facendo cenno a Naira di continuare. La falsa scusa che avevo ideato, tutte le possibili risposte che avevo tentato di prevedere e la lista di repliche che avevo memorizzato... non servirono a nulla. Mio padre non aveva minimamente indagato. Mi aveva dato le spalle e si era rimesso in marcia. La cosa non mi irritò come avrebbe fatto normalmente, ne mi sollevò. In quel momento non riuscii a fare altro che fissare mia sorella e mio padre che si allontanavano, consapevole che forse non li avrei più rivisti. Perchè per quanto il nonno avesse faticato a mantenere la voce ferma mentre mi assicurava che il futuro poteva essere riscritto a favore della tribù, e della sua fatica io mi ero accorto, nel profondo una voce ben più ferma mi suggeriva che c'era qualcosa che non funzionava correttamente. Come quando entri nella capanna che è stata la tua casa per più di dieci anni e c'è un oggetto fuori posto. Non sai quale perchè hai registrato la cosa inconsapevolmente, di sfuggita, con la coda dell'occhio, ma provi comunque un certo disagio, e non puoi fare a meno di passare in rassegna ogni centimetro della capanna per trovare quel qualcosa che non torna.
    Quando Pà scomparve nella vegetazione e riuscii finalmente a spezzare quel flusso di pensieri che continuava ad intrappolarmi, mi voltai e cominciai a risalire il monte. Affrettando il passo, avei raggiunto la Fonte nel giro di un'ora, proprio come aveva detto il nonno:
    "E' importante che tu vi giunga esattamente ad un'ora dal preludio del tramonto. Ne prima, ne dopo." Ma aveva aggiunto anche qualcos'altro, qualcosa che mi aveva gelato il sangue nelle vene: "Qualsiasi cosa accada, qualsiasi cosa tu veda o senta, non voltarti mai."

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  6. Anselmo
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    ~ X ~



    "Devi essere alla Fonte quando tutto accadrà. Ricorda! Mi affido a te. Affido i Sawokii a te, giovane gufo...." Aumentai ulteriormente il ritmo. Anzi, cominciai letteralmente a correre su per il fianco del monte. L'aria fresca dell'ultima ora di luce che volgeva al termine mi pizzicava il volto ed il torso nudo. Poi la fatica cominciò a farsi sentire, ed allora presi a sudare accaldato. Avanzavo spedito, scavalcando ogni ostacolo con le mie lunghe falcate, sgusciando tra gli alberi e sotto i rami bassi, con un braccio proteso in avanti e l'altro a schermarmi il volto dalla vegetazione che attraversavo come una freccia. Correvo esattamente come se stessi inseguendo una preda nel culmine di una battuta di caccia, con l'unica differenza che questa volta non dovevo aguzzare la vista per non rischiare di perderla. Ero anzi cieco a qualsiasi cosa, una giovane anima che avanza nelle tenebre più oscure, senza sapere se ne sarebbe uscita. Ogni muscolo mi doleva, ma per la prima volta nella mia vita, quello era l'ultimo dei miei pensieri.
    Mancava poco alla Fonte, quando un boato profondo come solo una montagna che si spacca può generare scosse le foglie degli alberi sopra di me. Barcollai e volsi uno sguardo dilatato dal terrore alle mie spalle. Nella sera che si faceva sempre più scura, le fiamme lontane che intravidi tra le fronde degli alberi furono impossibili da confondere con i fuochi da campo che ogni giorno venivano accesi dalla gente della mia tribù per preparare la cena. L'insediamento era in fiamme, ed io...

    No, no! Avanti, non fermarti!

    "Qualsiasi cosa accada, qualsiasi cosa tu veda o senta, non voltarti mai." Queste le parole del nonno, ed io mi ci aggrappai completamente. Continuai a ripeterle e ripeterle, mentre atri boati e scossoni fendevano l'aria giù nella valle dietro di me. Mi costrinsi a non pensarci a focalizzarmi con tutto me stesso sulla Fonte. Raggiungerla era questione di istanti. Perchè stava già accadendo?! Tecumseh aveva detto "ad un'ora dal preludio del tramonto", ed io non avevo fatto tardi. Qualcosa doveva aver anticipato i tempi, perchè io avevo corso come non mai per raggiungere la meta in tempo. Non potei far altro che bruciare le ultime energie che mi restavano per accelerare ulteriormente. Ed infine la vegetazione si aprì difronte a me, rivelando una piccola radura di nuda terra circondata da antichi e possenti alberi. Ero giunto alla Fonte; con i polmoni in fiamme, il cuore a mille e scosso da dolorosi tremiti, ma vi ero giunto.

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    Seguii il rigagnolo di acqua cristallina che lo attraversava, dirigendomi così verso una piccola grotta profonda meno di un paio di metri e presidiata da un imponente totem risalente alla notte dei tempi. Non era la prima volta che visitavo la Fonte, ed il totem era sempre stato capace di incutermi una profonda soggezione, tanto che non osavo alzare nemmeno uno sguardo sui suoi volti severi impilati uno sopra l'altro. Questa volta vi passai accanto senza degnarlo di un pensiero, e mi fiondai nella grotta. Terminava con una parete rocciosa verticale che riluceva come la superficie di un lago: era totalmente ricoperta da un velo d'acqua che sgorgava silenzioso dal soffitto, scivolava sulla roccia e si adagiava in un piccolo stagno alla base della parete. Questo splendeva di una luce argentea, come fosse dotato di vita propria. I luccichii danzavano frenetici sulle pareti lucide della grotta e sul mio volto madido di sudore, rendendolo pallido come il marmo. Un luogo sacro e misterioso, pregno di arcane energie, pericoloso. Così mi era stato presentato, a me e ad ogni altro bambino Sawokii. La Fonte, con le sue mille leggende, fiabe, miti e favole, di quelle che si raccontano la sera a stomaco pieno, o prima del bacio della buona notte, o al fiume con gli amici; quelle che raccontava il vecchio Tecumseh, prima di ritirarsi sulla montagna. Storie che sai essere false ed inconsistenti, eppure in ognuna di esse percepisci un fondo di verità. Specie perchè tutte condividevano un tratto comune: mai immergersi nell'acqua della Fonte. Restai lì eretto, ansimante ma con il volto compassato illuminato dal basso, le punte dei piedi che sfioravano il bordo dello stagno cristallino. Il fragore della battaglia... del massacro che si consumava al villaggio Sawokii, mi giungeva ovattato e remoto. Mi chinai, con le pulsazioni del cuore che mi scoppiavano nelle carotidi, ed allungai il mio braccio di metallo verso lo specchio d'acqua. Quell'artificio meccanico non mi aveva mai trasmesso alcuna sensazione, quindi se al contatto fosse successo qualcosa, non avrei provato dolore, forse. Ma quando le fredde dita penetrarono il pelo dell'acqua, non accadde nulla. Mi rialzai, sempre impassibile, ma con un tumulto di pensieri e paure nella testa. Poi avanzai. Prima un piede, poi l'altro, l'acqua mi arrivò presto alle ginocchia, all'inguine, al petto. Era gelida da mozzare il fiato. Quando sorpassò il livello delle mie clavicole, mi fermai. Tastai con il piede constatando che il fondale continuava a scendere. Ero un ottimo nuotatore, di norma non avrei avuto timore ad immergermi in acque profonde. Ma quella non era acqua, lo sentivo. Pareva l'abbraccio liquido di una creatura assopita. Una creatura fredda e spietata, che mai nessun uomo avrebbe osato risvegliare. Contrassi il volto in un espressione di fatica, cercai di accumulare tutto il coraggio che mi restava, inspirai a pieni polmoni e mi immersi.

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  7. Anselmo
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    Il ronzio dell'acqua nei timpani soffocò ogni altro suono, e piombai improvvisamente nel silenzio. Non avevo trascorso nemmeno un'istante sott'acqua, che già mi sentivo invaso dall'irrefrenabile desiderio di uscirne. Invece mossi braccia e gambe ed avanzai verso il fondo. Nel fluido adamantino animato della sua luminosità intrinseca, tutto appariva imprigionato in un blocco di vetro, immobile e lucente. Avanzai ruotando il capo a destra e manca per esplorare il fondale, ma non vi trovai nulla. Il cuore prese a battermi ancor più forte sotto la pelle formicolante per il freddo. Qualcosa doveva esserci, qualcosa doveva accadere... Come nelle maledette favole, quelle stupide storie prive di fondamento!
    Quando fui in procinto di raggiungere la parete dall'altro lato dello stagno, una cosa attirò la mia attenzione: alla base del muro di roccia che precipitava per mezza dozzina di metri in profondità, lì dove incontrava il fondale, v'era un apertura, una sorta di cunicolo subacqueo. Nuotai verso il fondo e mi aggrappai al bordo del cunicolo, guardandovi dentro. Nulla, l'oscurità più totale. Guardai verso la superficie, poi tornai a scrutare nell'apertura circolare, valutando sul da farsi. Ma a decidere furono i miei polmoni che cominciarono a protestare rabbiosamente per la mancanza d'ossigeno. Riemersi nuotando lungo la parete e quando infransi la superficie dell'acqua, ingurgitai aria fresca nel petto finché la tremenda sensazione non fu sparita. Poi rimasi lì, tremante per il freddo, muovendo lentamente le braccia per restare con la testa fuori dall'acqua. Dovevo addentrarmi nel cunicolo? Il nonno non aveva nominato nulla del genere. Nel suo enigmatico parlare si era riferito alla Fonte... violare la Fonte, trovare il Dono degli Dei, quello tanto ambito dai personaggi delle leggende, e da lì la salvezza, riscrivere il futuro. Forse dovevo attendere, forse dovevo pregare gli Dei, questo era quello che avrebbe fatto Tecumseh... forse. Volsi lo sguardo verso l'entrata della grotta, e nel cielo intravidi un'imponente colonna di fumo nero illuminata dalla Luna oscurare la volta stellata. No, non potevo attendere e pregare, non mentre tutto ciò che per me aveva valore si sgretolava tra fuoco e fiamme. Riempii i polmoni ed in un gorgoglio di schizzi mi immersi nuovamente. Nuotai verso il cunicolo, ne afferrai i bordi e varcai l'oscurità.

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    Ogni metro percorso era un metro in più tra me e la luce. Presto mi trovai a nuotare nel buio più totale, come fossi immerso nel catrame. Il cunicolo continuava dritto senza alcuna apertura sulle pareti, al tatto dure e levigate. Nuotai più forte, mentre il panico si prendeva lentamente possesso della mia mente, alla stessa velocità con cui l'ossigeno si consumava nei miei polmoni. Smisi perfino di tastare le pareti in cerca di una via laterale. Muovevo braccia e gambe con tutta la forza in mio possesso per avanzare il più rapidamente possibile, consapevole di aver oramai superato il punto di non ritorno: se mi fossi voltato per tornare indietro, sarei affogato in quella trappola mortale. Gemetti tenendo labbra e gola serrate nel tentativo di contrastare l'istinto di conservazione che suggeriva al mio corpo di espirare l'anidride carbonica accumulata nel polmoni per sostituirla con nuova aria, ma non bastò ad impedirmi di lasciarmi una scia di bolle alle spalle. Cominciai a colpire la roccia, impazzii, spalancai la bocca in un grido sordo di paura, sofferenza, frustrazione. Poi qualcosa cambiò. Una spinta, come se dieci mani mi avessero afferrato in ogni parte del corpo trascinandomi in avanti. L'acqua prese a muoversi attorno a me facendomi avanzare, volente o nolente, lungo il cunicolo. Cominciò a turbinarmi tutt'attorno, a rivoltarmi e sbattermi con violenza sulla solida roccia, a rombarmi rumorosamente nelle orecchie. Mi portai le mani alla gola e strinsi con tutte le mie forze, ma i polmoni straziati si riempivano lentamente d'acqua come se non desiderassero altro al mondo. Provavo la sensazione più lacerante che avessi mai sperimentato, un tormento così tremendo da non poter nemmeno essere immaginato.
    Negli anni a venire non sarei mai stato capace di dimenticarmene. Colpa della mia testa, del mio subconscio, dei meccanismi mentali che governano le pulsioni nevrotiche inconsapevoli o, comunque la si voglia chiamare, di quella cosa che si appropria dei tuoi sogni riorganizzandoli ad incubi ricorrenti... Che ti fanno svegliare di soprassalto in un bagno di sudore, con il cardiopalmo a pulsarti nelle orbite degli occhi, confuso e perso. La mia mente non mi avrebbe mai permesso di rimuovere il ricordo di quella sensazione. Ne la mente, ne il volto, perchè ogni specchio mi avrebbe restituito due lunghe cicatrici, una che mi attraversava completamente la parte sinistra del volto e l'altra ad accompagnarla sopra lo zigomo. Avrei ricordato per tutta la vita, perchè una vita ci sarebbe stata. Non fu quello il giorno in cui mi riunii alla mia famiglia: venni letteralmente sputato dal fianco opposto della montagna, e mi ritrovai a precipitare semisvenuto giù per una cascata. Improvvisamente immerso in una confusione di luci, roteavo come una trottola con braccia e gambe che vagavano inanimate nel mio campo visivo. Ad ogni istante acquisivo sempre più velocità, finché non intravidi un muro d'acqua venirmi incontro. Nemmeno il tempo di articolare un pensiero che avvenne l'impatto, di una violenza inaudita. Fu il colpo di grazia che mi fece perdere totalmente coscienza. Da quel momento in poi solo ricordi frammentari: bolle che mi turbinavano attorno; poi una sponda di sassi rotondi e levigati premuta contro il lato destro del mio viso, lucidi sotto la luce lunare per via del sangue che li bagnava; poi ancora il frusciare di erbacce secche calpestate e voci che andavano e venivano; ed infine un volto chino su di me, che dondolava nel moto scostante di un carro. Quando mi svegliai sotto le cure dei dottori di Ishivar tutta la realtà di ciò che era accaduto mi assalì con la cieca spietatezza di una mandria di bufali un fuga, e allora dovettero sedarmi.
    Ora, a due anni di distanza, tutto ciò che mi chiedo è: perchè?


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    "Avrei ricordato per tutta la vita, perchè una vita ci sarebbe stata. Non fu quello il giorno in cui mi riunii alla mia famiglia: venni letteralmente sputato dal fianco opposto della montagna, e mi ritrovai a precipitare semisvenuto giù per una cascata. "

    Prenderò il vizio di prendere le citazioni fighe.

    Prendi il massimo anche per questi 3 post :si2:
     
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7 replies since 26/9/2016, 23:45   147 views
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