[Story Mode] Nel nome di Real.

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    Certe volte pensiamo che per conquistare la libertà serva compiere gesti eroici ed altisonanti. Certe volte pensiamo addirittura che per conquistare la libertà ognuno possa e debba sempre farcela da solo. Certe volte dimentichiamo che, nel profondo del nostro cuore, sappiamo benissimo che non saremo mai liberi senza l'amore di qualcuno, senza un sacrificio, senza essere comunque intrappolati nel giogo di brutti ricordi e splendidi sorrisi.
    "Non farmi soffrire..."

    .:My Immortal:.


    Sono state queste le ultime parole udite dal giovane prima che la sua liberta avesse inizio. E le ha ascoltate. La piccolina non ha sofferto, ma forse Stigma Tau sì, perché difficilmente dimenticherà quel volto, quelle parole, quel sacrificio estremo di chi deve scegliere fra cosa è giusto, cosa è sbagliato e cosa sente di fare. Ultime parole per mascherare il sacrificio finale grazie al quale la gabbia sperimentale è stata aperta.
    Stigma.
    Gendō.
    Qual è il suo nome? Solamente lui lo sa. Ma adesso, purtroppo per lui, non sa niente. Può sapere che si sta muovendo, può sapere che tutto il corpo gli fa male. Dovrebbe sentire un venticello fresco fra i capelli, eppure il sole battente che gli cuoce leggermente la pelle senza ustionarlo. Fa molto caldo, ma è tutto tremendamente sopportabile su quella superficie di legno abbastanza mal trattato.
    Dire che è ridotto male è un eufemismo, in fin dei conti. Il braccio destro termina malamente ed improvvisamente in corrispondenza del gomito, presentando un gravissimo arrossamento, numerosi tagli e scaglie di chissà quale materiale metallico conficcate nella carne. Tutto quanto il suo corpo, dal volto ai piedi, è corsparso di lividi e tagli, mentre tutti quanti i suoi vestiti sono completamente strappati e consunti. Qualcuno l'ha poggiato lì di pancia all'aria, anche perché ha un pungolo elettrico conficcato direttamente nel costato ed un grosso ematoma in corrispondenza delle ultime costole della parte destra del petto. Una delle due gambe è di un intenso colore viola, piena di ematomi ed evidentemente con l'interno non completamente integro, a giudicare la sua strana forma a bozzi. Insomma, la sua situazione è decisamente critica, ma chi l'ha raccolto ha cercato di fermare emoragie con stoffe messe lì alla bell'e meglio e bende per stringere le zone più critiche.
    La mente di Stigma Tau è tormentata dagli incubi peggiori. Incubi che solamente la sua testa potrebbe contenere senza esplodere in centinaia di pezzi.
    Il suo respiro è pesante.
    Ad ogni movimento strano del carro il suo petto sussulta.
    Si sveglierà? Questo dipende solo da lui.
    L'unica cosa che può vedere è un cielo limpido, azzurro, ed un sole così giallo e luminoso come forse non l'ha mai visto. Addirittura qualche rondine svolazza rapida in quella tela dipinta in maniera impeccabile. Il carro sul quale si trova è più o meno di una lunghezza pari all'altezza del giovane e largo altrettanto, tutto quanto fatto in legno, e con il semplice sportellino posteriore in metallo abbastanza arrugginito.
    Il fantomatico cocchiere, invece, sta proprio dietro la testa del giovane, lì a comandare due animali, due equini, di grossa taglia: uno nero ed uno bianco. Entrambi trottano rapidi, ma non troppo, donando ad ogni sobbalzo una fitta di dolore immensa al povero ragazzo. Correzione, non è solo uno, il cocchiere. Accanto a lui c'è una ragazza col braccio bionico e dei cortissimi capelli marroni. Eppure, eppure il tutto sembra essere così confuso.
    Mi son preso la licenza di cominciare con quella colonna sonora perché volevo il Drama.

    Ho riletto il pezzo della PQ riguardo alla gamba, ma non ho trovato quale delle due fosse quella steccata, forse per stanchezza, quindi ti ho lasciato campo libero in caso voglia descriverlo tu!

    E' un post semplicemente introduttivo.
     
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  2. Anselmo
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    -[ X ]-


    Un sorriso appena abbozzato si perse nel buio, carico d'affetto ma inibito dalla timidezza infantile della bambina cui apparteneva. Due luminosi occhi color rubino ammiccarono dietro ciocche di capelli blu, prima d'essere inghiottiti anch'essi dalla nebbia cupa.

    Quando Egli decide che devi sacrificarti, non è compito tuo sfidare Dio.

    Real? S-Sei tu?

    Una risatina dolce mi carezzò la nuca e mi voltai cercando con le mani il suo viso, ma scoprii che l'oscurità mi aggrediva da ogni angolo. Vi fluttuavo dentro, come fossi precipitato negli abissi degli oceani. Cercai di penetrare il muro d'ombra che mi imprigionava aguzzando la vista, la mente invasa dal suono lento e lugubre del mio cuore. Avvertivo la sua presenza, come se fosse proprio difronte a me e mi bastasse aprire gli occhi per incontrare il suo viso sorridente. Ma avvertivo anche qualcos'altro, qualcosa nell'atmosfera che mi circondava. Una spiacevole sensazione di morte permeava le tenebre, graffiandomi la pelle con scariche di brividi ed afferrandomi le ossa nella presa ferrea dei suoi gelidi tentacoli.

    Real...

    La mia voce era ridotta ad un filo impercettibile persino ai miei timpani, schiacciata dal peso dell'indistinto che mi imprigionava. Mi sentivo addosso la desolante sensazione che il buio fosse totale, che si espandesse senza confini in ogni direzione, che in quella dimensione di tenebra non ci fosse niente a parte me e le presenze invisibili che mi circondavano. Ero l'unico essere in carne ed ossa rimasto al mondo. Ma non ero solo. Ad accompagnarmi v'erano entità che non potevo raggiungere, che non potevo toccare ma che potevo in un certo qual modo percepire, il che era peggio che essere soli. Peggio perchè sapevo che la vita era lì, dietro l'angolo, ma che non potevo raggiungerla. Tale consapevolezza mi corrodeva le viscere, mi permeava dell'ardente desiderio di afferrarmi la gola e stringere fino a far sopraggiungere la morte, in modo da sottrarmi a quella tremenda punizione divina. Ma sapevo che era inutile: nell'universo in cui mi trovavo non c'era aria per i polmoni, ne cibo per lo stomaco, ne emozioni per il cuore. Solo desolazione, sofferenza. Un'eternità costruita apposta per me, per torturarmi senza tregua.
    Quella prospettiva mi investì come un torrente in piena e non potei più ragionare lucidamente. La mia scatola cranica era un vortice di immagini opprimenti.

    REAAAL!

    Gridai a pieni polmoni, graffiandomi il volto con le dita nel disperato tentativo di scacciare tutta quella morte che mi scivolava addosso.

    Al cospetto del mio universo tu sei solo... polvere...

    La sua voce cantò all'improvviso, e fu un'àncora di salvezza, una catena su cui arrampicarsi per emergere dall'abisso e raggiungere la superficie. Una speranza.

    Real! R-Real, dove sei... fatti vedere Real! REAL!

    Artigliai freneticamente il nulla attorno a me nel irrefrenabile impulso di non lasciarmi scappare la sua voce. Ma la presenza della bambina sfuggiva inafferrabile come fumo al vento, allontanandosi verso luoghi remoti ed irraggiungibili e riempiendomi il petto di sconforto. Poi tornava debole, appena percettibile, e se ne andava nuovamente. Era come una spia rossa che si illumina ad intermittenza, sempre più debole man mano che le batterie che la alimentano si scaricano, definendo il lento ma inesorabile conto alla rovescia che porta allo spegnimento eterno del macchinario.

    Ti prego, fatti v-vedere...

    W6uaaOA
    Implorai con la voce rotta dall'afflizione. Apparve difronte a me, un'immagine a stento distinguibile. Pallida, semitrasparente, le membra che parevano essere trasportate via da fili di nebbia nera come l'onchiostro. Ma in quel buio denso e liquido, i miei occhi ne foruono quasi accecati. Riconobbi subito che nel suo volto, su cui aleggiava un espressione felice e benevola, v'era qualcosa di sbagliato, di ingannevole. Ma non vi feci caso, non volli farci caso.

    Non abbandonarmi più Real. Sei l'unica qui c-che mi tiene in vita. Scapperemo insieme piccola. Non ti lascerò m-mai più...

    Allungò una mano, che parve a stento mantenere la sua solidità, mentre un vento inesistente la sfaldava come fosse costituita di sabbia, e mi carezzò il volto. Non percepii il tocco, l'unica costante sensazione era il gelo che permeava l'aria in quella notte eterna, ma ne fui comunque sollevato, immensamente. Sapere che lei era lì con me scacciava ogni sofferenza dal mio animo. Risposi al suo sorriso, ma a quel punto lei si fece seria. Il mutamento sul suo viso fu repentino e spaventoso. Da spaventoso mutò in agghiacciante nonappena parlò, perchè la sua voce non era più quella acuta ed armoniosa della piccola Real, ma quella metallica e gutturale che colava dagli altoparlanti riempiendo ogni stanza del Sistema, e scatenando le più folli fantasie nelle menti dei suoi prigionieri:

    ...SOLO POLVERE! E AD ESSERE POLVERE RITORNERAI!

    Il grido elettronico fu assordante. Mi gelò il sangue nelle vene, e percepii i capillari del volto restringersi fino a farmi apparire un pallido spettro. Sul volto impassibile della bambina innocente comparve un microscopico puntino rosso, esattamente nell'incavo dell'occhio. Puntino che si allargò, facendo sgorgare un rivolo di sangue che tracciò una riga rossa sulla bianca pelle del suo viso.

    T-Tu non sei lei...

    Tentai di afferrare la mano che mi carezzava per scostarmela di dosso, ma quando ritrassi la mia, la scoprii ricoperta di sangue traslucido. Indietreggiai, caddi all'indietro su un pavimento tanto duro quanto astratto, e squadrai orripilato le mie mani. Mani da cui il liquido cremisi colava copioso senza che potessi far niente per arrestarlo. Litri e litri del sangue di cui mi ero lordato negli anni di prigionia, compreso il suo, quello di Real. Sague che non poteva essere lavato via in alcun modo. Me lo sarei trascinato dietro per sempre, un fardello insopportabile di cui non potevo privarmi in alcun modo. Tale idea mi schiacciò come un macigno e propruppi in un grido inumano, prolungato finché tutto non si fece confuso, e rinvenni...

    [...]


    La luce era accecante, penetrava nella stretta fessura delle mie palpebre come metallo fuso. Tentai di sollevare il braccio per proteggermi dalla potentissima lampada che mi stava illuminando, inconsapevole che si trattava invece di pura e semplice luce del sole. Ma quel mimimo sforzo mi causò fitte in tutto il corpo. La bocca era gonfia ed impastata di saliva mista a sangue coagulato e sapevo che se avessi tentato di aprirla per respirare meglio, avrei vomitato. Mi limitai a restare lì, riverso a pancia in giù su qualcosa di ruvido, che traballava violentemente facendo lavorare freneticamente i miei nervi del dolore. Ero tremendamente debole, lo stomaco svuotato da troppo tempo ed in procinto di divorare se stesso per garantirmi la sopravvivenza. Mi bastava tentare di chiudere le dita per percepire un formicolio espandersi in tutto il corpo, rischiando di farmi perdere i sensi per l'ennesima volta. Ma dopo lunghi minuti passati a combattere contro il bisogno di lasciarmi andare, riuscii finalmente a muovermi quel tanto che mi bastava per ruotare il capo e poggiare il mento sulle assi di legno. Ai miei occhi dalle pupille dilatate, le due figure sedute l'una accanto all'altra erano soltanto due sagome nere stagliate contro il cielo luminoso. Non capivo chi fossero, perchè fossero lì a guardarmi, o dove mi trovassi realmente. Il quel momento la confusione era tale che persino la consapevolezza di esser scappato dal Sistema sfuggiva alla mia ragione mischiandosi agli altri pensieri. L'unica cosa che sapevo per certo, l'unica cosa che valeva la pena dire, l'unica cosa per cui valeva la pena consumare le mie ultime energine...l'unica cosa di cui avevo realmente bisogno era:

    ...ac... acqua...

    Farfugliai con la faccia distorta in una smorfia di fatica ed il braccio proteso tremante verso di loro, prima di precipitare nuovamente nell'oblio.

    L'immagine ha il solo scopo di presentare il prodotto.
     
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    Il sole continua a scottare, e quel giovane che è in bilico fra la vita e la morte di certo non passa inosservato, anzi, desta sicuramente la curiosità della ragazza con i capelli castani, che ogni tanto si concede delle occhiate verso di lui. Effettivamente è solo per questo caso fortuito che riesce a cogliere le sue parole ed i movimenti delle sue labbra, altrimenti avrebbe anche rischiato di non sentirlo minimamente.
    Rapidamente si alza, la ragazza, ed in bilico su quel carro afferra una borraccia ricoperta di stracci con il suo braccio visibilmente metallico, saltando lì dietro e facendo sobbalzare leggermente la superficie di legno. Prima di piegarsi verso Stigma l'osserva per qualche istante, scettica, sospirando appena. Poi si abbassa, afferra la testa del giovane e ci avvicina il bordo della borraccia, lasciando che il liquido trasparente scorra sulla sua bocca. Beh, sta a lui decidere se bere o meno.

    Mannaccia ad Andras ed alla sua mania di salvar tutti. Ma dico io.
    Tra l'altro furbacchione, Andras sì, parlo con te, so che mi senti coi tuoi spiritelli, ma dovevamo proprio salvarlo sto qua? E' ridotto uno straccio, dovrò faticare una cifra per rimetterlo in piedi.
    Che poi vai a vedere sarà un criminale pestato dopo una chissà quale rissa.


    Con chi diavolo sta parlando? Beh, il giovane non lo può sapere per ovvie ragioni, eppure sembra davvero che la giovane stia conversando con qualcuno, non per scherzo. I suoi movimenti sono rozzi, molto più mascolini di quanto si possa pensare: non di certo l'ideale di ragazza che tutti hanno in testa. Soprattutto la presa di quel braccio meccanico si fa sentire: così fredda eppure così dannatamente viva.
    Insomma, ad un suo eventuale cenno avrebbe chiuso il tappo di quella roba, poggiando la borraccia accanto a lui e sedendosi nuovamente sul sedile, ma questa volta al contrario, con gli occhi ed il corpo rivolti verso il ragazzo che di vivo ha ben poco. L'osserva, lo squadra, e nel frattempo tutto in giro qualche ombra comincia a profilarsi, e le prime tende, le prime voci, i primi respiri diventano percettibili.

    Ma chi è che sei? E che diavolo hai fatto per farti conciare così?
    E dannazione cos'avevi al posto del braccio? Sembra quasi che ci fossero dei tubi... Eppure sono diversi da quelli delle MIE protesi.


    E sempre più voci, sempre più tende, almeno fino a quando il carretto non si ferma, ed allora sembrano accalcarsi in tanti lì intono: donne, vecchi, bambini, uomini, insomma, un po' tutti i tipi di persone. La nostra ragazza continua a guardarlo, invece, mentre un aitante giovane anche poco vestito fa il suo ingresso, sorridente e smagliante come al solito e... con una bella stecca di cioccolato in mano.
    Fa un cenno alla ragazza che, neanche a dirlo, sbuffa e salta giù da quel carro, urlando a tutti quanti di spostarsi - con pochissima grazia, tra l'altro - e semplicemente sgancia tutto quanto dal traino, lasciando ovviamente che prima il cocchiere scenda. Poi afferra il gancio e comincia a trainare quel carretto verso una di quelle tende. L'unica cosa che cambia è che, col sovvenire del buio, diventa anche molto più forte l'idea del metallo e di olio, carburante, bruciato. Una grossa tenda, piena di gingilli, attrezzi ed esperimenti vari.
    *SBAM*
    Molla lì il carretto, adesso, avvicinandosi al suo tavolo degli attrezzi e cominciando a ravanare con qualcosa.

    A te, altro post descrittivo, più che altro dobbiamo introdurlo, o no? Allora famolo bene :si2:
     
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  4. Anselmo
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    Vagavo in una dimensione governata da caos e delirio, rimbalzando come una pallottola roteante tra il mondo reale e l'immaginazione. Attraverso gli occhi interiori, solcavo terre oscure in cui l'unica cosa riconoscibile erano i fantasmi impazziti di un passato obliato che mi seguivano urlando famelici, desiderosi di trascinarmi nel loro oltretomba. Poi venivo abbagliato dalla realtà, una realtà troppo vivida per i miei occhi abituati alla prigionia. Distinguevo soltanto sagome sfuocate immerse in una luce accecante. Pochi attimi e la mia coscienza vacillava, precipitando nuovamente dall'altra parte. Ero in caduta libera, smarrito nella confusione. Mai ero stato così inerme, in totale balia della volontà altrui. Una volontà benevola, fortunatamente. Non avevo mai creduto nella fortuna, ma se il caso avesse voluto che a trovarmi fosse stato un qualsiasi individuo senza riguardo per la vita altrui, non avrei potuto far nulla per impedirgli di rubarmi la mia appartenenza al mondo dei vivi. La fortuna, quella volta, aveva fatto si che a scovare il mio corpo fosse stata una donna con buone intenzioni. Di tutto questo io però ero inconsapevole, perchè a stento mi rendevo conto di essere ancora vivo. La ragazza, per me, altro non era che una forma luminosa in una luce ancor più luminosa. E le sue parole una litania sconclusionata che giungeva da valli remote. Colsi poco di quel che disse, e nulla del senso del discorso, per quanto semplice. Solo una parola mi sarebbe rimasta realmente impressa anche nei momenti a venire: "Andras". Un nome probabilmente, ma l'avrei capito solo in seguito, tanto critiche erano le mie condizioni. Ciò che invece percepii distintamente, senza dubbi riguardo la sua autenticità, fu l'acqua che mi veniva versata in bocca. Non fu piacevole. Anzi, scivolò come piombo fuso nella mia cavità orale scatenandomi ripetuti colpi di tosse prima che riuscissi ad ingoiarne un po', ma ne fui comunque immensamente grato. L'acqua mi ridiede vigore ripulendomi da parte del delirio incrostato nel mio cervello. Fu un'iniezione d'antidoto sia per la mente ottenebrata che per il corpo martoriato, ma mi permise solo tenere le palpebre mezze socchiuse senza perdere i sensi. Cominciai a riallineare i miei pensieri, instaurando continuità nel flusso turbolento. Ciò mi permise in certa misura a capire quel che mi accadeva attorno. Ero su una piattaforma mobile, un mezzo a cui non riuscii a dare un nome in quel momento, ma che scatenò nella mia mente ricordi riguardanti la mia vita prima della prigionia, quando ero un ragazzo, e camminavo per le vie di un luogo popolato. Inoltre distinsi tende ed abitazioni dall'aspetto modesto scorrere lentamente attorno a me, ed anche qualche sguardo intenso incorniciato in volti sorpresi e dubbiosi.
    Sollevai quindi gli occhi individuando la donna che prima aveva parlato e che ora mi fissava seduta sull'asse dondolante del mezzo semovente. Dapprima lo sguardo mi cadde sul suo volto, che squadrai a lungo senza riuscire a comporre un pensiero realmente coerente, ma abbandonandomi totalmente alla meraviglia nell'avere difronte una persona viva, autentica, libera, una creatura che ha passato la vita con la sommità del capo illuminata dalla volta celeste. Era il primo essere veramente umano che incontravo. Poi adocchiai la struttura metallica dall'aspetto solido che le si arrampicava con tentacoli tubolari e lamelle opache su per la spalla, sparendo sotto la veste. Un braccio che di umano aveva ben poco, esattamente come il luogo da cui provenivo. Un moto di panico mi assalì; puro e semplice sgomento, senza la pretesa d'esser accompagnato da giudizi razionali o irrazionali che fossero, perché lo stato mentale in cui versavo mi permetteva soltanto di provare emozioni istintive, come quelle di un'animale, senza ragione a controllarle. Tutto, da quando avevo scoperto la falla nella sicurezza del Sistema fino a quel momento, era accaduto ad una velocità indicibile, una sorta di sogno come quelli che scorrono tanto frenetici da darti l'impressione di terminare nel giro di pochi secondi ma quando ti svegli, ti accorgi che sono durati un'intera notte. Era ancora difficile per me distinguere il reale dall'immaginario e vedere quel braccio fu come ripiombare per un'istante nella cella che avevo abitato per dieci anni, in piedi difronte allo specchio in cui il mio (di braccio) appariva come un morbo tecnologico avvinghiato al mio corpo. Ancora una volta mi sentii inerme, un bamboccio impaurito e circondato dai pericoli, totalmente incapace di affrontarli. Fu la sua voce a distrarmi. Quando mosse le labbra, mi fu spontaneo aspettarmi di udire quell'agghiacciante verso elettronico che emanava dagli altoparlanti dell'inferno sotterraneo, ma non fu così. La sua voce era... normale, una normalità cui non ero abituato. Bastò quello a farmi calmare.

    Ma chi è che sei? E che diavolo hai fatto per farti conciare così?
    E dannazione cos'avevi al posto del braccio? Sembra quasi che ci fossero dei tubi... Eppure sono diversi da quelli delle MIE protesi.


    Avrei sorriso, se solo lo strazio che stavo patendo me l'avrebbe concesso. Avrei sorriso perchè mi erano state poste tre semplici domande, eppure non sapevo rispondere nemmeno ad una di queste. Provai pena per me stesso. Mi chiedeva "chi ero?". Il mio vero nome, o meglio, il mio vecchio nome, era Gendō Ikari. Un nome che però non sentivo affatto appartenermi, perchè avere un nome ha senso solo se c'è chi in quel nome ti riconosce. Una madre, un figlio, un amico... Ma la mia famiglia l'avevo dimenticata e l'ultima persona che soleva chiamarmi in quel modo, l'avevo uccisa io stesso perforandole il lobo frontale con un bisturi piantato nell'occhio. Ormai ero più un soggetto Sigma Tau che un Gendō Ikari. Ero il residuo di un esperimento fallito, uno scarto. Tutto nel mio corpo e nella mia mente mi suggeriva ciò. Dimenticare era impossibile. Ma parole simili non avrebbero avuto alcun significato per quella donna. Come mi ero conciato in quella maniera? La lista era lunga e probabilmente sarei morto prima di terminare, se qualcuno non mi avesse ricucito. Quindi non sprecai il fiato. Cos'avevo al posto del braccio? A quella domanda tentai di rispondere, strascicando le uniche parole che mi vennero in mente, prima che la gola martoriata non mi tradisse.

    L-Limbsys... senza non riesco ad u-usare il chakra...!
    Io non sono... nessuno. Ho solo b-bisogno di un medico. D-Devo andarmene lontano... devo scappare!
     
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    D'esser strano, quel giovane, è davvero strano. Oltre alle circostanze del suo ritrovamento, oltre a quello strano arto mozzato. I suoi occhi paiono essere persi in qualcosa. In un pensiero, in un incubo, in un'altra dimensione. La ragazza si limita a guardarlo, ora come ora, continuando ad armeggiare con qualcosa sul suo bancone: rumore di viti, metallo e puzza d'olio, ecco cosa può sentire.
    Quando invece il ragazzo parla, ecco che la giovane Panynia si volta, guardandolo leggermente stranita. Alza il sopracciglio e fa una strana smorfia con la bocca, continuando a tenere le pupille sul corpo martoriato del ragazzo. In mano ha qualcosa che pare una sorta di bastone di metallo, anche se si volta immediatamente e non da modo all'altro di vedere poi tanto. Gli risponde, tuttavia.

    L-Limbsys... senza non riesco ad u-usare il chakra...!
    Io non sono... nessuno. Ho solo b-bisogno di un medico. D-Devo andarmene lontano... devo scappare!


    Caro nessuno, non scappi da nessuna parte. Ma proprio nessuna.
    Non ho idea di cosa sia questo... Lymbsis, ma se non puoi usare il tuo chakra senza quello allora...
    ANDRASS MANDA QUA UN MEDICO IMMEDIATAMENTE, IO DEVO COSTRUIRE UNA PROTESI AL NOSTRO OSPITE.


    E urla come un'ossessa verso qualcuno che in quella stanza non sembra neanche esserci, anche se dopo pochissimi istanti la luce penetra nuovamente nella tenda: quella del sole, non quella delle lampade dell'officina. Con la nuova figura comparsa ecco che un odore di disinfettante si diffonde nell'aria, aggiungendosi a quello d'olio e metalli vari. Insomma, un mix decisamente poco gradevole.
    E così, senza anestesia, senza nulla, ecco che quella strana figura comincia ad armeggiare sul corpo del ragazzo: decisamente troppo debole per reagire, ma sicuramente troppo sveglio per percepire il dolore così vivo e reale. La prima cosa a venir staccata dal suo corpo è quel pungolo elettrico. Senza avvisi, senza nulla. Sbam. Strappato via con una minuzia impeccabile, e subito il bruciore si fa fuoco a causa dell'ovatta pregna di disinfettante.
    In caso non si fosse accorto, comunque, quella persona che lo sta trattando adesso è proprio quello stesso capo villaggio che gli ha dato il "benvenuto" al suo ingresso: Andras. Un ragazzo sorridente, di una bellezza esotica e particolare. Vestito rozzamente, eppure dai movimenti così fluidi da sembrare quasi un dipinto ad olio. Rapidi sigilli e cinque piccole lumachine compaiono sulle sue spalle, ed una di queste striscia rapidamente sul costato del ragazzo. E vai la seconda che parte verso le costole rotte indicate da Andras, che tiene lì il dito fino a quando la creatura non giunge.
    Un'altra lumachina comincia a percorrere tutto il suo corpo alla ricerca di tagli, lividi, contusioni e quant'altro. Insomma, un trattamento completo, se non fosse ancora che mancano il suo timpano e la gamba, che sono effettivamente mal messi. Eppure, con la sua bella tavoletta di cioccolato in bocca, lo sciamano continua a lavorare, muovendo le braccia come a voler dirigere un'orchestra.
    E adesso viene il peggio. Rapido si muove verso la gamba e, dopo averla afferrata fra le mani fa un rapido movimento, facendola scricchiolare in maniera paurosa. Rapidissimo compie un sigillo, lasciando che un tatuaggio si illumini e fra le sue mani compaia una sorta di rialzo. Sullo stesso poggia la gamba, nel mentre le due lumachine rimaste scivolano rapide - per quanto possano essere rapide delle lumache - sulla gamba, cominciando a rilasciare il proprio chakra curativo anche lì. Infine le mani di Andras volano sull'orecchio col timpano ferito e cominciano ad illuminarsi di verde: il chakra medico, ovviamente.

    Ti devi riposare, signore! E ora Panynia ti sta facendo un braccio nuovo, così puoi usare il chakra!

    Esci di qua prima che ti prenda a sberle.

    Sìssignora! Ciao Gendō Ikari! O preferisci Sigma Tau? Cioè... No, mi fa schifo il secondo. Ti chiamerò Gendō!

    Ricordiamolo, Andras sa tutto di tutti, e non solo grazie a lui ma... beh, ormai ha anche l'aiuto di una piccola pazzoide bionda dai poteri fuori dal comune, e ciò non dovrebbe stupire più chiunque nel villaggio. Se non il povero ragazzo che probabilmente ci mette piede per la prima volta. Passano i giorni, passano le ore, e quando si sveglierà, il soggetto Sigma Tau potrà notare come il suo corpo sia tornato perfetto e funzionante, ed una protesi sia posizionata sul suo braccio. Risponde perfettamente ai suoi comandi mentali.

    Ben svegliato.

    E vedrebbe unicamente lei, Panynia.
    Spero non ti stia scocciando della parte introduttivo-narrativa, ma penso sia essenziale per introdurre il PG :si2: Descrivi tutto quello che vuoi, liberissimo :si2:
     
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4 replies since 5/4/2016, 15:49   139 views
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