Polvere alla Polvere

Luogo sconosciuto

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. Anselmo
        Like  
     
    .

    User deleted


    -[ X ]-


    k06SX2H


    L'altoparlante difronte alla mia cella intonò il suo fischio acuto come faceva ogni giorno, esattamente un'ora dopo il termine del primo intervallo di alimentazione, quello che tredici anni prima ero solito chiamare pranzo. Seguì un breve fruscio, anche'esso parte della routine quotidiana, poi qualche secondo di silenzio. Come ogni giorno, quel silenzio cinse il mio stomaco in una morsa tiepida, rischiando di farmi rimettere l'intruglio bianchiccio ed altamente proteico assunto durante l'alimentazione e non ancora del tutto digerito. Aspettavo che l'altoparlante rompesse il silenzio, aspettavo "la chiamata". In quel luogo ogni cosa faceva parte di uno schema ben strutturato. Ogni mia singola azione era programmata, e si ripeteva uguale giorno dopo giorno. Ma non la chiamata, quella cambiava continuamente. Avevo provato a cogliere il probabile schema che governava anche quell'evento, ma non vi ero riuscito. Le chiamate erano casuali ed impossibili da prevedere. L'unica cosa certa riguardo esse era che ogni giorno, esattamente un'ora dopo il primo intervallo di alimentazione, tutti gli altoparlanti venivano attivati per la chiamata, compreso quello difronte alla mia cella. I battiti accelerarono, la mano gelò di sudore freddo. Mancava giusto un istante e...

    A tutti i Custodi del Settore K, avviare il Protocollo Daedalus.

    La voce elettronica vibrò tra le pareti di metallo smaltato della mia cella, Daedalus era il mio protocollo: toccava a me. Mi alzai dalla branda e feci ruotare lentamente il braccio destro, stringendo i denti mentre un dolore pulsante si diffondeva dalla spalla fino al collo. -Fa ancora male...- pensai, maledicendoli per non avermi concesso più tempo dalla mia ultima chiamata. Quindi torsi il capo da una parte e dall'altra, ripetutamente, per sciogliere i tendini e scaldare i muscoli. Piegai il busto fino a toccare il pavimento con le mani, sentendo i legamenti di gambe, schiena e braccio dolere per la tensione. Ma non vi feci caso, perchè in quel esatto momento udii il pesante meccanismo del portone in fondo al corridoio che portava alla mia cella, scattare e cigolare mentre si apriva automaticamente. -Eccoli.- Un fremito mi percosse. Mi lasciai cadere a terra, attutendo l'impatto con la forza del braccio e cominciando a fletterlo in rapidi piegamenti. Non mi fermai finché il mio braccio destro non ebbe compiuto sessanta flessioni, tutte in meno di trenta secondi, quindi mi rialzai; inutile perdere il poco tempo a disposizione scaldare l'ammasso di metallo che avevo al posto del sinistro. Cominciai a sferrare pugni contro la parete d'acciaio, sempre nello stesso punto, fin quando il sangue delle mie nocche spaccate non prese a colare verso il pavimento. A quel punto mi fermai, perchè i passi dei Custodi riecheggiavano oramai vicini. Ansimavo e sudavo. Bene, significava che il mio corpo era pronto. Non sempre il tempo concessomi dopo la chiamata era sufficiente per prepararmi. Ora non mancava che dispormi psicologicamente.

    Ce la puoi fare...

    Mormorai chinando il capo e chiudendo gli occhi.

    Ce l'hai sempre fatta, ce la farai ancora!

    Dissi ora a voce alta afferrandomi il capo tra le mani e stringendolo tanto violentemente da graffiarmi il cuoio capelluto.

    VAI! NIENTE PAURA! NESSUNA ESITAZIONE!

    Gridai rabbioso tra le strette pareti della mia cella, colpendomi la fronte con i palmi delle mani per diffondere quel dolore sordo a tutto il corpo che avevo scoperto darmi la carica necessaria a compiere ciò che mi attendeva.

    SGUARDO FISSO! MENTE LIBERA! BERSAGLIO PULITO! MASSACRO, WUUHOOOOOOOO!!

    Ruggii a pieni polmoni tirando allo spasmo ogni singolo muscolo del mio corpo fino a quando la mia vista non ne fu annebbiata, mentre l'arrivo dei Custodi difronte alla mia cella veniva accompagnato dalle grida di pazzia degli altri prigionieri del settore, la cui mente deforme veniva stimolata dai miei incitamenti furiosi.
    La porta della cella si aprì, i Custodi mi circondarono con le armi un pugno, uno mi si piazzò alle spalle ammanettandomi a fatica le mani dietro la schiena.

    Non opporre resistenza, Stigma...

    Mormorò uno di loro in tono ansioso. Quindi mi spinsero fuori e poi giù per il corridoio. Dalle celle che si susseguivano lungo le pareti, le grida oscene degli altri pazienti urtavano i miei timpani. Ma nella mia testa risuonava solo il suono dei miei respiri profondi, e quello dei miei passi, il mio volto deformano in una maschera di determinazione e gli occhi puntati in avanti, alla ricerca dell'obbiettivo. Ero pronto.

    [...]


    Stanza totalmente oscura, come tutte le altre volte. Ogni tanto un faro rosso si accendeva in alto a destra, illuminando debolmente le pareti ricoperte di tubi, cavi elettrici e piastre metalliche imbullonate tra loro che mi circondavano. Illuminava anche il massiccio portale a scorrimento verticale che avevo difronte, affiancato da due mastodontici ingranaggi che presto avrebbero cominciato a ruotare rivelandomi cosa mi aspettava dietro quel metro e mezzo d'acciaio. Ogni volta che il faro si spegneva, la sua luce rossa lasciava impresse nel mio campo visivo miriadi di macchie luminose che la mia mente amalgamava spontaneamente in immagini cruente di sangue e membra distorte. Quanto liquido cremisi avevo fatto scorrere. Quante volte mi ero lordato le mani, il corpo, la bocca. Quante volte avevo ucciso, dietro quel portale d'acciaio.

    Immettete il soggetto Sigma Tau.

    Edited by Anselmo - 4/4/2016, 21:50
     
    .
  2. Anselmo
        Like  
     
    .

    User deleted


    -[ X ]-


    z02YX4Y
    Il portale scattò e prese a cigolare mentre gli imponenti ingranaggi lo sollevavano. Prima venne ai miei occhi il pavimento a grata, chiazzato di ruggine e sangue secco. Poi vennero le pareti, anch'esse di impenetrabile metallo come tutto il resto, circolari ed interrotte soltanto da un portone uguale ed opposto a quello che si apriva difronte a me. Infine, quando si fu del tutto sollevato, potei alzare lo sguardo sul soffitto a cupola in travi d'acciaio, e sul vetro dietro al quale due uomini in camice mi osservavano dall'alto in basso. L'illuminazione della stanza in cui si trovavano proiettava un quadrato di luce azzurrognola esattamente al centro del "ring", quello che loro chiamavano l'Ambiente, in cui si svolgeva il Protocollo.
    Uno dei due allungò una mano al microfono, e se lo portò alla bocca.

    Vieni avanti, numero Sei.

    Intonò l'altoparlante. Avanzai nell'Ambiente, mentre le manette ai polsi si disattivavano con un breve ronzio, cadendo a terra. Il mio corpo teso fumava nell'aria gelida, con i palpiti frenetici del mio cuore che scandivano il conto alla rovescia prima del momento decisivo. Mentre camminavo al centro del ring non distolsi mai lo sguardo, nemmeno quando il portale alle mie spalle si sganciò chiudendosi rapido come una ghigliottina, con un frastuono assordante. Come sempre, ripensai inconsciamente alla prima volta in cui avevo affrontato il Protocollo. Quella volta avevo tentato di infrangere il vetro per massacrare quei due uomini, che coi loro ordini impartiti attraverso gli altoparlanti mi avevano costretto a commettere atti indicibili. Ma avevo fallito, ed ero stato punito per questo (il mio braccio meccanico fremette). E come ogni volta, pensai inconsciamente che col tempo ero diventato più forte, ero stato costretto a diventare più forte! Che magari, riprovandoci, ce l'avrei fatta. Ma come ogni volta soppressi tali pensieri ed ubbidii agli ordini impartiti. La paura era come una lama affilata che scivola sotto pelle e accarezza minacciosamente la carotide.
    Con la stessa freddezza di sempre, l'uomo dietro al vetro parlò di nuovo nel microfono, la sua voce spenta resa ancor più asettica dalla trasduzione in segnali elettrici attraverso i cavi e poi sonori dall'altoparlante.

    Non deludermi, Sigma Tau.

    Distolsi lo sguardo con una morsa rabbiosa al petto e lo poggiai sul portale che avevo difronte.

    Immettete il "Soggetto Daedalus" numero duecentoventidue.

    Duecentoventuno anime avevano lasciato il loro corpo in quella stanza per mano mia. Duecentoventuno tipi diversi di sangue avevano lordato le mie dita. Duecentoventuno paia di occhi avevo guardato spegnersi al mio cospetto, perdendo l'oramai poca umanità che quel luogo lasciava in noi pazienti, o numeri, o prigionieri, o soggetti. Ed ora vedevo i piedi del numero duecentoventidue, ora gli stinchi, ora le ginocchia... il portale si sollevava mostrandomi le sue mani, il suo torace, le sue spalle, il suo volto, la sua ferocia. Ricambiai il suo ringhio ferale con un espressione altrettanto atroce, sentendo l'adrenalina pompare a fiotti nelle vene. Desiderai di ucciderlo, di massacrarlo fino a trasformarlo in una poltiglia di membra informi. Nessuno l'avrebbe raccolto, perchè l'avrei ridotto in pezzi talmente piccoli che sarebbe colato attraverso la grata. Dovevo essere bestiale e disumano oltre ogni limite, dovevo desiderare l'omicidio del Soggetto Daedalus numero duecentoventidue con tutto me stesso, come avevo desiderato e compiuto l'omicidio dei precedenti duecentoventuno. Dovevo, perchè era l'unico modo per sopravvivere. E lo feci, lo desiderai come nient'altro al mondo. In quel momento, in quel breve istante, null'altro doveva distrarmi. -Sguardo fisso, mente libera, bersaglio pulito... muori bastardo!-
    Il boato del portale che si richiudeva alle sue spalle mi ricordò che non c'erano altre vie di scampo all'infuori della morte di chi avevo difronte.

    Sapete cosa fare. Procedete.

    Nell'esatto momento in cui l'altoparlante pronunciava l'ultima gelida sillaba, scattammo all'unisono l'uno verso l'altro, talmente rapidi da far presagire una collisione tremenda. Ci volle meno del battito d'ali di un colibrì perché ci trovassimo faccia a faccia, ma tanto mi bastò per scatenare attorno al mio corpo una tempesta elettrica. Saette bluastre presero a ronzare serpeggiando lungo ogni centimetro della mia pelle, ricoprendomi di un manto elettrico che scoppiettava minaccioso e decorandomi d'una pioggia di scintille. Caricai il braccio e lo feci scattare verso il Soggetto Daedalus, per decapitarlo con un unico singolo colpo a dita tese. Ma si mosse rapido, maledettamente rapido. La mia mano, più tagliente di un rasoio incandescente, aprì soltanto un semplice squarcio nel suo muscolo trapezio. Una nuvola del suo sangue vaporizzato sfumò nell'aria, ma non parve accusare il colpo. Fui io a subire: approfittando della vulnerabilità successiva al mio colpo andato quasi a segno, fu abbastanza svelto, o noncurante, da piazzarmi un montante in pieno stomaco. Fui sollevato da terra, per poi ricadere carponi con il fiato mozzato.

    Edited by Anselmo - 4/4/2016, 21:51
     
    .
  3. Anselmo
        Like  
     
    .

    User deleted


    -[ X ]-


    Boccheggiai muto nel disperato tentativo di cacciare un po' d'ossigeno nei polmoni straziati, consapevole di avere almeno qualche secondo per riprendermi perchè in quell'esatto momento il mio avversario doveva fare i conti con la paralisi indotta dal mio chakra elettrico, un prezzo che deve pagare chiunque mi colpisca mentre ne sono ricoperto. Il ventre era un pozzo di dolore, e le vene del collo mi pulsavano brutalmente mentre il mio corpo combatteva con l'incapacità di respirare. Del sangue mi colò dalle labbra. Ma feci in modo di raccogliere ogni briciolo di volontà per ignorare la temporanea debilitazione e sollevai il capo, individuando il Soggetto Daedalus piegato su un ginocchio. -Devo approfittarne!- Mi mossi, anche se privo della mia armatura di chakra elettrico, e scaricai su di lui tutta la potenza di una sfera di energia altamente compresso nel palmo della mano. Il globo luminescente arrivò ad un soffio dal suo cranio, tanto vicino che già pregustavo la vista delle sue cervella incollate alle travi d'acciaio del soffitto. Ma non accadde. Mi vidi invece afferrato da due braccia a velocità supersonica, sollevato e scaraventato lateralmente. Volai come un grosso proiettile rasente la grata del pavimento, per poi rovinare sull'inamovibile parete d'acciaio e ricadere a terra. Ignorai l'atroce dolore, ignorai persino il pericoloso beccheggio del mio campo visivo. L'unica pratica considerazione che mi concessi fu che quel rumore percepito nel momento dell'impatto doveva essere il risultato di tibia e perone che esplodevano in una massa di schegge e frammenti all'interno della mia gamba, ora inutilizzabile. Ed ovviamente, l'altra considerazione fu che in meno di un secondo il Soggetto Daedalus mi avrebbe raggiunto per finirmi. Mi sollevai su una gamba sola appena in tempo per scattare lateralmente quel tanto che bastava ad evitare il suo pugno grosso quanto un cocomero e, per qualche motivo, nero come il carbone. Impattò contro la parete d'acciaio ad un centimetro dal mio capo. La collisione fu tanto potente che l'onda sonora generata mi fece esplodere il timpano in un fiotto di sangue caldo. Quanto ritirò la mano, con la coda dell'occhio notai che aveva lasciato una profonda impronta nella parete, a discapito del mezzo metro di metallo massiccio che la componeva. Capii che la priorità, in quello scontro, era evitare che uno di quelli andasse a segno.
    Con la gamba in quelle condizioni, ed i sensi che vacillavano giocandomi brutti scherzi, nonché la fatica che già si faceva sentire per via del montante incassato allo stomaco, il mio svantaggio era evidente. Il Soggetto Daedalus era ancora nel pieno delle sue facoltà. Con il profondo taglio nel muscolo del collo avevo ottenuto soltanto di imbrattargli la divisa di sangue e... -...e di impedirgli la rotazione della testa!- pensai smanioso, consapevole di aver avuto l'illuminazione necessaria per abbatterlo. Mi gettai lateralmente, posizionandomi esattamente nel suo angolo cieco. La gamba fratturata cedette e mi trovai mi trovai a terra, riverso sulla schiena. Ma non avevo tempo per rialzarmi. Sollevai la mano, mentre scompariva in un accecante groviglio di scariche fulminanti che generava un grido trapana-timpani, come quello che emetterebbe uno stormo di migliaia falchi che si combatte il territorio in un cielo tempestato di tuoni. E colpii con tutta la ferocia che l'istinto di sopravvivenza iniettava nei miei muscoli. Il ginocchio del Soggetto Daedalus scomparve in un esplosione di frammenti d'ossa e brandelli di carne sanguinolenta, tranciato di netto dal mio taglio elettrico. Crollò a terra, privato della sua gamba dalla metà coscia in giù, e prese a gridare afferrandosi convulsamente il moncherino sanguinante.
    Artigliai la grata per raggiungerlo. Lo afferrai per il polso e lo trassi a me, colpendolo in pieno volto con la ferraglia meccanica che avevo al posto del braccio destro. Percepii distintamente zigomo e orbita destra cedere sotto la violenza del mio pugno.; l'occhio gli esplose in uno schizzo bianchiccio. Ma quello parve non accorgersene nemmeno e tornò a stringere l'arto inferiore mozzato. -Ormai sei finito...-. Mi rialzai sulla gamba buona, mentre l'altra pendeva pendeva ritorta ad un angolazione innaturale, e lo osservai impassibile dall'alto in basso. Il fervore della battaglia andò via via scemando, perchè sapevo che l'essere urlante che si dimenava ai miei piedi era già morto nel momento stesso in cui aveva permesso a quella singola amputazione di fermarlo. Avevo imparato fin dai primi giorni passati là dentro che qualsiasi fossero le mie condizioni, continuare a combattere era l'unica, autentica, giusta ed inopinabile scelta da fare. Quanti "Soggetti Daedalus" avevo ammazzato fino ad ora, perché avevano deciso di arrendersi troppo presto?
    Come per il soggetto numero duecentoventuno, e per il duecentoventi e per quello prima di lui e quello prima ancora, sollevai lo sguardo verso il vetro dietro al quale i due uomini in camice mi osservavano, e li squadrai silenzioso. Non sapevo nemmeno io il perché. Forse desideravo che questa volta mi dicessero di risparmiare il mio avversario, o forse speravo di aver finalmente dato loro ciò che volevano, e potessi finalmente andarmene da quel luogo in cui avevo passato gli ultimi dieci anni della mia vita. Ma, come ogni volta, non venne proferita parola: si voltarono e se ne andarono.

    Edited by Anselmo - 4/4/2016, 21:51
     
    .
  4. Anselmo
        Like  
     
    .

    User deleted


    -[ X ]-


    Maledetti bastardi...

    Mormorai sormontato dalle urla straziate dell'ennesimo Soggetto Daedalus prossimo alla morte. Mi posizionai a cavalcioni sul suo corpo indebolito dall'emorragia, bloccandogli le braccia sotto le mie ginocchia, e presi a colpirgli il volto con il pugno meccanico. Lo colpii e lo colpii ancora senza mai fermarmi, tra schizzi di sangue e grida disumane che ad ogni pugno si attenuavano sempre più, mutando in gorgoglii viscidi. Non mi fermai nemmeno quando smise di gemere ed ogni parte del suo corpo giacque immobile. Io continuai, finché le mie nocche d'acciaio insensibile finirono per piantare i pochi rimasugli rimasti del suo cranio attraverso la grata del pavimento. Solo a quel punto mi fermai, sentendomi sollevato unicamente per il silenzio che finalmente regnò, il quale donò un po' di tregua al mio timpano malridotto. Restai immobile, il volto viscido di rosso rivolto verso il soffitto oscuro, mentre i Custodi mi accerchiavano intimandomi di seguirli in infermeria. Poi tutto si fece buio.

    [...]


    Quando riaprii gli occhi mi ritrovai a fissare l'immagine appannata di luci confuse che scorrevano nel mio campo visivo. Battei le palpebre ed i particolari del soffitto di un corridoio balzarono al mio sguardo. Intuii immediatamente di essere disteso su una barella sospinta verso l'infermeria. Non era la prima volta che il Protocollo mi riduceva in condizioni tali da dover essere trasportato. Oramai conoscevo a memoria ogni caratteristica di quel corridoio, quasi fosse casa mia... Vidi quel tubo, quello gocciolante, sempre gocciolante. Quindi seppi che se in quel momento avessi voltato il capo a destra, vi avrei trovato una porta con la sigla "CR-172" stampata a vernice gialla sul vetro. Ed infatti fu così. Poco dopo una grata da cui spirava un'aria calda ed umida. Poi, sulla sinistra, un'altra porta sempre socchiusa, con l'interno buio. Poi un pannello elettrico con una griglia di tasti ed un display luminoso di colore viola. Non ne mancavo una, perché concentrare la mia mente sui particolari di ciò che mi circondava mentre venivo portato dal medico dopo i combattimenti era sempre stato l'unico modo per distrarmi dal dolore delle ferite. Senza nemmeno il bisogno di guardare, sapevo già che di lì a poco la barella si sarebbe fermata davanti all'entrata dell'infermeria, costantemente presidiata da quattro Custodi armati, che prima di farmi entrare avrebbero controllato le manette che mi imprigionavano al telaio della barella. Ne ero certo come un ragazzino i cui genitori sono "sempre impegnati con il lavoro" è certo di trovare la casa vuota al ritorno da scuola, sei giorni su sette. Eppure questa volta mi sbagliai: non v'erano custodi a fare la guardia all'infermeria. Sgranai gli occhi guardandomi intorno, ma non ve n'era traccia. Il muro di cemento era imbrattato da un'mpronta stampata col sangue, e lo stesso fluido macchiava il pavimento. -C'è stata un'aggressione e le guardie... le guardie non sono state sostituite...- pensai, ed improvvisamente il cuore prese a palpitare con ritmo frenetico. Ero stato in infermeria un centinaio di volte, e mai i Custodi avevano lasciato il loro posto. Mi ripresi immediatamente, sforzandomi di restare calmo ed impassibile, ma nella mia mente i pensieri si accavallavano confusamente come api in un alveare. Dopo dieci lunghi anni di prigionia assoluta, mi trovavo difronte una falla in quel sistema spietatamente organizzato, e l'occasione per sfruttarla non me la sarei lasciata sfuggire.
    Come da prassi, uno dei custodi si sfilò un guanto e posizionò la mano su uno scanner. La porta dell'infermeria si aprì con un sibilo acuto e la barella venne spinta spinta all'interno. Mi vidi scorrere accanto la faccia dell'infermiera, che ricambiò il mio sguardo con una perfetta maschera di fredda serietà.
    ZrhMNxv
    Ma io che la conoscevo bene riuscii a leggere sul suo volto innocente, incorniciato in una chioma di capelli blu, la felicità di una giovane ragazzina, mista all'ansia empatica nel vedermi ridotto in quelle condizioni. Anche lei, come me, era una "paziente" di quel luogo, un soggetto identificato dalla sigla "Re-L". Ed anche lei, come me, per sopravvivere a quel luogo aveva dovuto distaccarsi dalla violenza che la circondava adottando come personalità la catalessi di un mostro apatico. Ma dopo tutte le volte che ero stato affidato alle sue cure, con me si era sciolta rivelandomi il suo carattere umano seppellito sotto chilometri di duro basalto, ed avevamo imparato a conoscerci. Questo però i Custodi non dovevano saperlo, o avrebbero "corretto la disfunzione".
    Gli uomini armati mi posizionarono infondo alla stanza e lasciarono l'infermeria in fila, assicurandosi che la porta si chiudesse alle loro spalle. Solo a quel punto Re-L si sbloccò: mi raggiunse e mi pose le piccole dita delicate sulla guancia, squadrando il mio corpo con apprensione. Ma poi mi fissò negli occhi sorridendomi, perché nonostante tutto era felice di vedermi. Parole inespresse fluirono come un torrente in piena tra le nostre pupille fisse le une nelle altre. Non ci fu bisogno di parlare per capirci. Sapevo che si sentiva in colpa a mostrare la sua gioia, perchè poteva vedermi soltanto quando venivo ridotto ad un colabrodo, e nessuno di noi due voleva che ciò accadesse. D'altra parte non avrebbe mai sprecato fiato in affermazioni quali "starai meglio, non ti preoccupare, posso curarti, presto finirà..." perchè la cruda realtà era che prima fossi guarito, prima sarei tornato a combattere, prima avrei ricominciato a soffrire. Quindi non ci fu nulla da dire, mi sorrise e basta. Spostò le mani sulla gamba ferita, tastandola con delicatezza e espressione concentrata.

    Tibia e perone vanno ricomposti immediatamente. Per prima cosa vanno steccati, poi posso ricostruirli. Per l'orecchio si può aspettare, ha smesso di sanguinare. Cosa manca?

    Il petto... fa male...

    Spostai una mano per indicare il punto, ma lei me la scostò. Afferrò una forbice e tagliò la divisa, annuendo nonappena identificò il danno.

    Hai delle costole fratturate e forse un polmone forato. Ora me ne occupo. Il Limbsys si è rotto anche questa volta?

    Domandò spostando l'attenzione al mio braccio meccanico, ma la mia mente era già tornata ai Custodi mancanti fuori dall'infemeria ed alla possibilità, seppur remota, di lasciare per sempre quel luogo dimenticato dall'umanità. Mi girai verso Re-L e con la gola arida per la tensione, mormorai:

    Real... se ti chiedessi di lasciarmi scappare, tu... tu lo faresti?

    Edited by Anselmo - 4/4/2016, 21:52
     
    .
  5. Anselmo
        Like  
     
    .

    User deleted


    -[ X ]-


    Real... se ti chiedessi di lasciarmi scappare, tu... tu lo faresti?

    La ragazzina ridacchio senza interrompere l'operazione di steccaggio, prendendo la mia domanda come una battuta atta a divertirla.

    E' impossibile scappare.

    Disse, come se fosse la cosa più ovvia in assoluto, ed in effetti anch'io ero sempre stato convinto che lo fosse. I Custodi erano in troppi, il sistema era troppo organizzato, le mura troppo spesse. Ma prima di allora non mi era mai capitato che delle guardie non fossero al loro posto. Ed ora accadeva difronte ai miei occhi, esattamente quando io mi trovavo al di fuori della mia cella. Non sapevo cosa avrei trovato fuori dall'infermeria, non sapevo nulla del luogo in cui mi trovavo. Conoscevo unicamente quattro posti: la mia cella, l'Ambiente, le cabine di alimentazione e l'infermeria. Per dieci lunghi anni, questi erano gli unici luoghi in cui ero stato scortato, sempre rigorosamente accerchiato dai Custodi. Ma a giudicare dal numero di protocolli, settori e soggetti nominati dagli altoparlanti, doveva trattarsi di una struttura immensa. La ragione mi suggeriva che una volta uscito dall'infermeria, sarebbe stato impossibile guadangare la libertà. Tra porte chiuse, pattugliamenti e la probabile eventualità di perdersi, le mie possibilità erano inesistenti. Ma il mio animo in fermento aveva la meglio su qualsiasi pensiero razionale. Perchè se fino a quel giorno ero sopravvissuto, l'avevo fatto unicamente per cogliere un'occasione come questa. Non mi ero mai arreso all'idea di passare tutta la vita là dentro. Sarebbe stata una prospettiva insostenible ed accettandola sarei certamente morto, se non per mano di un Soggetto Daedalus, sicuramente per mano mia.

    I Custodi qui fuori non ci sono...

    Dissi tutto d'un fiato, consapevole del rischio: conoscevo Re-L, sapevo da che parte stava, ma nel contempo non ero così ingenuo da fidarmi in modo incondizionato di qualcuno, chiunque esso fosse. La ragazzina si paralizzò all'intante, spostanto lentamente gli occhi dilatati dallo spavento su di me. Esprimevano incredulità, e non potevo biasimarla. Mi bastò mantenere il suo sguardo per convincerla che non mentivo. A quel punto Re-L abbassò lo sguardo sulle proprie mani e con un filo di voce disse:

    L-Lasciarti scappare? Ma... M-Ma...

    Ti porto con me... ti porto fuori da qui!

    Replicai interrompendola. Mi squadrò con intensità e sentii pulsare la paura che le colmava il petto.

    Fuori da q-qui...? Perché? Cosa c'è là f-fuori?

    C'è il mondo, Real! C'è un mondo intero la fuori!

    Quasi gridai, sollevandomi a sedere a discapito delle fitte atroci sparse per tutto il corpo. La afferrai per le spalle avvicinandola a me e sollevandole il mento per far si che mi guardasse dritta negli occhi.

    Non vuoi andartene da qui?! Non vuoi tornare a vedere il sole, le stelle, le persone? Mangiare cibo vero, vivere una vita normale, smettere di soffrire, rivedere le persone che ami! Real, non ti ricordi com'era prima...?

    Si ma...

    Ma? MA COSA?! Non devi avere paura Real, ti proteggerò io! E se non ce la faremo, se moriremo, almeno ci avremo provato! Tanto cosa... cosa c'è da perdere? Non abbiamo niente qui. Che ti prende Real?

    Le scostai un ciuffo di capelli dalla guancia e le accarezzai il viso, mentre dentro di me l'urgenza ed il desiderio di andare via bruciavano come magma ribollente. Arrivai persino ad infuriarmi, perchè non riuscivo a capire cosa diamile la bloccasse, per quale maledetto motivo non fosse anche lei infervorata come me. Intuii che non mi avrebbe seguito quando una lacrima le rigò la guancia bagnandomi la mano.

    Io non ho m-mai visto cosa c'è là fuori. Noi siamo... siamo nate qui, Gendō...

    "Noi" chi? Cosa...? Non...

    Il volto mi si deformò in un espressione sconvolta. L'improvviso vuoto nella mia mente mi lasciò senza parole, ma pian piano cominciai a comprendere. Capii che quel luogo, per quanto brutto, era la sua casa. Capii che fuori da là non v'era futuro per una ragazzina come Re-L. Capii che quella bambina non era mai stata viva. Potevo solo immaginare in quali modi atroci avessero condizionato la sua giovane mente. Capii, e mi infuriari come non mai.
    KHXw5Vg
    Provai il desiderio di esplodere e trascinare in un cratere oscuro tutta quella marcia utopia che si consumava tra le pareti della prigione. Desiderai ardentemente di trovarmi faccia a faccia con l'uomo dietro al vetro per farlo soffrire, per ucciderlo. Mi feci improvvisamente impassibile e lasciai la presa sulla ragazzina. Posi un muro d'indifferenza tra di noi usando ogni briciolo di forza d'animo per cancellare dai miei ricordi il suo volto. La trattai come fosse un qualsiasi Soggetto Daedalus da ammazzare. Per quanto facesse male, dovevo farlo, perchè stavo per porle una domanda ma conoscevo già la risposta, e la temevo. Con voce spenta, dissi:

    Mi dispiace Re-L. Allora, mi lascerai scappare?

    Distolse lo sguardo, replicando con la voce rotta da un pianto mal trattenuto.

    Non posso farlo Gendō. Se autorizzassi l'apertura d-della porta senza chiamare i Custodi, a-attiverebbero il C.N.S. per capir...

    C.N.S.?

    ...s-si, vedrebbero ciò che vedo io, capirebbero cosa sta accadendo, ed attiverebbero l'allarme g-generale bloccando ogni porta.

    E cosa accadrebbe se il C.N.S. avesse un malfunzionamento?

    Ogni tanto accade. Avvertono i Custodi qui fuori di controllare.

    C'è un modo per manometterlo?

    No, è i-impiantato in profondità nel mio tronco cerebrale. L'unico modo s-sarebbe...

    La morte?

    Si...

    Allungai una mano verso il carrello con gli strumenti medici, ed afferrai un bisturi. Andava fatto a mano nude; se avessi utilizzato il chakra, mi avrebbero scoperto. Re-L indietreggiò immediatamente di un passo e spostò lo sguardo su una Console da cui probabilmente poteva dare l'allarme. Ma la sua fuga terminò lì e non si mosse più. Tornò invece lentamente a guardarmi, gli occhi nuovamente colmi di lacrime, e mi sorrise.

    Non farmi soffrire...

    Non lo farò. Avvicinati.

    Lei ubbidì. Non le diedi il tempo di parlare, ne di toccarmi, ne di piangere, ne di provare ancora paura. Non le diedi il tempo di fare niente. Senza esitare le afferrai il capo e le piantai il bisturi nell'occhio, spingendolo in profondità come un proiettile nel cervello, e lo ritrassi di scatto. Il suo corpo venne scosso da un sussulo improvviso, poi si accasciò al suolo come una marionetta cui sono stati tranciati i fili, con un rivolo di sangue che colava dal volto. La guardai solo per un attimo, poi chiusi gli occhi, consapevole che per quanto ci avrei provato, non sarei mai stato capace di dimenticarla.
    Afferrai il polso di quel cadavere che una volta era appartenuto a Real e lo trascinai dirigendomi verso la porta, con passo zoppicante per via della gamba steccata. Sollevandola, posi la sua mano destra aperta sullo scanner, che la analizzò e si illuminò di verde. Un'istante dopo la porta si aprì emettendo la sua nota acuta. Prima ancora che cessasse, ero già sparito dall'infermeria.
     
    .
  6. Anselmo
        Like  
     
    .

    User deleted


    -[ X ]-


    Zoppicavo più in fretta che potevo, cercando in tutti i modi di ignorare il bruciore ai polmoni e le scariche di dolore che mi salivano dalla gamba ogni volta che la appoggiavo a terra. Attorno a me porte, cancelli e stanze silenziose scorrevano senza sosta, identificate dalle sigle più incomprensibili. Continuavo a svoltare senza criterio ogni qualvolta il corridoio si interrompeva ad un bivio, lasciando al caso la scelta del mio destino. Tutto pareva ripetersi come in un loop onirico. Sempre le medesime luci sopra la testa, le medesime pareti ai fianchi, il medesimo pavimento, porte tutte uguali, scritte impossibili da decifrare, ronzii elettrici che si alternavano a deboli tichettii, tubature che correvano attorno a me come le vene di una mastodontica creatura. Ogni tanto la vista mi si annebbiava e rischiavo di perdere l'equilibrio. Allora mi fermavo appoggiato alla parete e guardavo indietro per assicurarmi che nessuno mi stesse raggiungendo. E rimettevo saliva mista a sangue, con una quantità di sangue ogni volta maggiore. A volte la testa prendeva a rotearmi tanto violentemente che dovevo accasciarmi sul pavimento, mormorando nel silenzio una preghiera rivolta a nessuno nella speranza di non perdere i sensi per poi risvegliarmi nella mia cella. Quindi ripartivo, lasciandomi dietro macchie ed impronte di sangue e sudore come a dire "da questa parte amici cacciatori, la vostra preda vi aspetta!". E deliravo, colto da allucinazioni improvvise che mi costringevano a rintanarmi solo per scoprire qualche secondo dopo di essermi immaginato tutto. Mi accadde anche di fermarmi senza motivo, singhiozzando avvinghiato al muro come un moccioso, catturato dallo sconforto che pian piano piantava i suoi artigli nel mio animo per arrampicarsi ed emergere. Capivo che correre era inutile perchè tutto presagiva il fallimento, a partire dal fatto che in quel labirinto non v'era via d'uscita, per continuare con le pessime condizioni in cui versavo, finendo sulle tracce che mi lasciavo dietro, tanto evidenti che anche una talpa mi avrebbe messo in trappola. Ma poi la speranza rifioriva nel momento in cui mi accorgevo che non era ancora stata data nessun allarme. Benedissi Re-L per questo, benedissi la sua sincerità ed il suo sacrificio, che mi avevano permesso di arrivare fino a quel punto. Ed allora ripartivo, lo facevo per lei, ipocrita come solo un vigliacco che vuole sfuggire in tutti i modi alla morte può essere.
    Giunsi alla fine dell'ennesimo corridoio, dove si biforcava in altri due. Mi fermai ansimante, il corpo scosso da tremiti febbrili. Spostai lo sguardo a destra, poi a sinistra, ma alla mia vista vacillante ed offuscata apparvero identici. Mi gettai a destra, con il petto stretto dalla consapevolezza che quella scelta, come tutte le precedenti, avrebbe potuto sancire la differenza tra un nuovo inizio e la fine dei giochi. Ma non v'era modo di fare la scelta giusta, e ad ogni incrocio l'idea d'essere in balia della sorte mi trascinava sempre più giù nell'abisso oscuro del terrore. Nel rumore scomposto dei miei passi riconobbi improvvisamente un suono metallico, come di una serratura che scatta. Mi bloccai sul posto, rimanendo in ascolto, ed udii distintamente il passo ritmico di Custodi che avanzavano nella mia direzione. Per lunghi secondi non fui capace di muovere un muscolo, la mente empia di pensieri in conflitto. Il primo di essi fu la naturale ipotesi di correre loro incontro prima che girassero l'angolo, per coglierli di sorpresa ed eliminarli. Ma non potevo sapere in quanti fossero, ed ero troppo debole. Pensai quindi a fare dietrofront ed imboccare l'altro corridoio, ma la lentezza mi avrebbe impedito di ripercorrere i miei passi prima d'essere avvistato. Inoltre c'era la possibilità che si trattasse di un allucinazione, o di un sogno, ed in tal caso significava che ero già spacciato. Deglutii con il cuore a mille, voltai il capo e mi trovai a fissare due ante con apertura a spinta. Senza esitare mi ci lanciai contro, ed un istante dopo mi trovai in una stanza di cui non riuscii a valutare le dimensioni perché il buio la riempiva denso ed impenetrabile. L'unico quadrato di luce derivante dalla porta che avevo appena varcato ne illuminava il centro, rivelando un buco nel pavimento del diametro di una dozzina di metri, dal bordo recintato da pali metallici uniti da una catena. Allungai lo sguardo per tentare di capire quanto fosse profondo, ma a quel punto la porta di chiuse e l'oscurità fu assoluta. A giudicare dal suono abissale e pulsante che emetteva, doveva condurre direttamente nelle profondità del nucleo terrestre. Avanzai verso di esso calcolando con prudenza ogni passo, finché percepii sul ginocchio il contatto con la catena. Allungai il braccio, sporgendo oltre il baratro la mano che ancora teneva ben saldo il bisturi usato per uccidere Re-L. Ma cambiai idea prima di lasciarlo cadere; era l'unica arma in mio possesso. Potevo arrampicarmi giù per quel pozzo sperando che conducesse da qualche parte prima di restare a corto di energia e precipitare, oppure potevo aspettare sperando che i Custodi tirassero dritto, e poi proseguire per il corridoio. Non ci fu tempo per decidere:

    Fermi! Questo è sangue...

    La voce proveniente dal corridoio giunse come un Game Over che appare in rosso allarmante al centro dello schermo, con tanto di musica di morte ad enfatizzare la derisione. Deglutii, svuotato d'ogni speranza ma totalmente impreparato a trapassare.

    Voi controllate quella stanza, io vado di qua.

    Ricevuto!
     
    .
  7. Anselmo
        Like  
     
    .

    User deleted


    -[ X ]-


    Ricevuto!

    -Si dividono!- mi voltai e barcollai verso la porta, le mani protese in avanti a fare da guida in quel buio totale. Udii la maniglia azionata, ed un attimo dopo una lama di luce fendette l'oscurità. Mi gettai di lato, incollandomi alla parete. Il Custode varcò la soglia ed avanzò di qualche passo, poi si fermò armeggiando con la torcia mentre le ante alle sue spalle si richiudevano privando ancora una volta di luce la stanza. Attesi finché l'oscurità non tornò a dilagare, poi mi lanciai.

    Uhm?

    Si voltò improvvisamente abbagliandomi con la luce intensa emanata dalla torcia. L'affondo di bisturi, che era mirato alla gola in base all'ultima immagine che avevo avuto della sua posizione, colpì invece casualmente. Percepii un liquido denso e caldo ricoprirmi la mano, e fui certo di averlo ferito, ma quando la torcia cadde a terra illuminando le nostre figure, mi accorsi di avergli soltanto procurato un profondo taglio all'avambraccio sollevato per difendersi. Nella luce obliqua ci osservammo in silenzio per un momento, come fossimo intenti ad accordarci sulla prossima mossa. Poi lo vidi gonfiare i polmoni per gridare e prima ancora che potesse emettere un fiato, il mio Limbsys scattò fulmino e lo afferrò alla gola, riducendo il suo grido ad un debole e rauco starnazzo. Lasciai cadere il bisturi e strinsi anche con l'altra mano, sollevandolo da terra. Cominciò ad agitare i piedi cercando l'appoggio del pavimento, mentre con le mani artigliava l'aria ad un soffio dal mio viso, nel tentativo di afferrarmi a sua volta. Strinsi ancora più forte, tanto che le mie dita cominciarono ad affondare nella delicata struttura della gola. Percepii muscoli, cartilagini ed ossa cedere sotto la pressione della mia morsa. Dalla bocca prese a sgorgare una cascata di sangue. Gli occhi gli si rivoltarono all'indietro, ed a quel punto lo lasciai andare. Si accasciò e non si mosse più.
    Mi voltai verso la porta per guadagnarne l'uscita e fuggire attraverso il corridoio prima che gli altri Custodi mi raggiungessero, ma quella si spalancò di botto.

    -Coman...-

    Tre uomini armati in divisa spostarono lo sguardo incredulo da me al cadavere che giaceva ai miei piedi. Mi lanciai verso di loro, investendoli a braccia aperte e mandandoli a sbattere violentemente contro la parete alle loro spalle. Ne afferrai uno per il colletto e lo colpii selvaggiamente con un destro metallico in pieno volto, spedendolo dritto nel mondo dell'incoscienza. L'altro intanto cercò di riafferrare il pungolo elettrico che gli era volato via nell'impatto, ma lo ridussi all'impotenza fracassandogli il cranio con un pestone, movimento che mi fece perdere l'equilibrio per via della gamba steccata. Allungai un braccio per sostenermi sul muro, ed in quel momento un dolore atroce al costato mi strappò un grido straziato. Abbassai lo sguardo, constatando che il terzo uomo mi aveva colpito con tanta violenza con il suo pungolo elettrico da trapassarmi le carni facendo penetrare l'arma di un palmo nel mio corpo. Il pungolo prese a fumare, mentre l'alto voltaggio che irradiava all'interno delle mie membra mi faceva soffrire come se stessi nuotando in una vasca di lame affilate. Il Custode torse sadicamente l'apparecchio nella piaga e prese a spingere, trascinandomi con se all'interno della stanza buia. Le forze mi mancavano e non riuscii ad opporre resistenza. Intanto il baratro alle mie spalle si faceva sempre più vicino, finché non sentii mancare l'appoggio sotto i piedi. Feci roteare le braccia nell'aria per riprendere inutilmente l'equilibrio e poi lo afferrai per la divisa, tentando di ragliare una frase d'effetto tipo "se devo morire, ti porto con me". Scavalcammo la ringhiera e cademmo assieme nel buio. Il Custode lasciò la presa sul pungolo, che smise di friggermi gli interni. Prese quindi a gridare disperato agitando inutilmente gambe e braccia nell'aria, mentre la velocità a cui precipitavamo aumentava tanto quanto quella con cui la morte si avvicinava. Il muro di vento che mi investiva mozzava il fiato, ma ciò su cui posi tutta la mia attenzione fu il fatto che gli occhi cominciavano ad abituarsi all'oscurità. Accanto a me vidi improvvisamente travi d'acciaio e tubature scorrere come ombre nel buio, ma soprattutto vidi dei condotti laterali: solchi circolari nella parete, dal diametro appena sufficiente ad accogliere un uomo rannicchiato. Non persi un'istante a vagliare le varie ipotesi ed agii d'impulso. Richiamai le poche energie che mi restavano e gonfiai il petto, mentre con la coda dell'occhio tentavo di assimilare il ritmo con cui i cunicoli laterali si aprivano nella parete. Quindi, con la speranza di una medusa nel deserto, sparai dalla bocca una cannonata d'aria che mi proiettò lateralmente, scaraventandomi come una palla di cannone in uno dei condotti. Mi trovai a rotolare e sbattere violentemente ogni parte del corpo all'interno di un tubo d'acciaio in cui vi entravo a malapena. Poi venni letteralmente sputato fuori e, dopo un violento urto, giacqui disteso su un pavimento, il corpo sfiancato oltre l'inimmaginabile.
     
    .
  8. Anselmo
        Like  
     
    .

    User deleted


    -[ X ]-


    Battei le palpebre, stordito dal duro impatto. Per lunghi attimi la mia mente fu svuotata d'ogni pensiero e ricordo. Rimasi catatonico, incapace di capire come fossi finito lì. Poi i ricordi tornarono con un flusso impetuoso, e con essi il dolore che affliggeva il mio corpo. Fui colto da un ascesso di tosse. Rotolai sul fianco per buttare fuori il groppo che mi intasava la gola e con un grugnito disgustoso schizzai di sangue il pavimento. Debole e tremante mi sollevai a fatica, prima carponi, poi in ginocchio ed infine riuscii a mettermi in piedi, rischiando in ogni momento di perdere l'equilibrio. Quando fui abbastanza stabile da riuscire a muovere gli occhi senza cadere, spostai lo sguardo davanti a me. Non mi fu immediatamente chiaro cosa stavo guardando, perché tutto attorno a me vacillava confuso, come in un incubo frenetico. Poi capii che mi trovavo in una sorta di sala immensa, tanto ampia che non ne coglievo i confini. Dal soffitto lontano scendevano mastodontici piloni, simili a torri per solidità ed imponenza, che precipitavano giù in un baratro senza fondo. Io mi trovavo su una sorta di piattaforma sospesa tra cavi e tiranti d'acciaio grossi quanto alberi. Era larga più di una strada e se mi guardavo alle spalle non riuscivo a capire dove conducesse, perchè si estendeva talmente tanto in rettilineo da sfuggire allo sguardo. Davanti a me, però, era chiara la destinazione: si interrompeva a pochi passi contro una parete verticale che si protendeva in alto, in basso a destra ed a sinistra, senza fine. Le misure e la sconfinatezza di quel luogo mi schiacciarono istantaneamente con quella sfuggevole sensazione d'infinito che ogni tanto si coglie negli incubi più spaventosi, quella che ti fa comprendere per pochi attimi quanto sei piccolo, insignificante e destinato a sparire come un microbo. Ma nella parete vi era un interruzione, un passaggio serrato, esattamente dove conduceva la piattaforma su cui mi trovavo. Doveva trattarsi di una sorta di portale a scorrimento verticale e, come ogni cosa in quel luogo, le sue proporzioni sconcertavano. Alto quanto un palazzo di venti piani, largo altrettanto e spesso almeno cinque metri, di puro e pesante acciaio. Ma non era del tutto abbassato: vi era una fessura sotto cui passare, un apertura che da quella distanza pareva soltanto una lama di luce, ma che in proporzione doveva costituire un varco di almeno mezza dozzina di metri, abbastanza da farci passare una famiglia di elefanti. -Un uscita...-. Tale consapevolezza mi invase con un turbinio d'emozioni contrastanti. Poi ebbi un breve intervallo di lucidità, che spazzò via i fumi della disperazione e la confusione causata dal dolore fisico. Ricordai le parole di Re-L: "attiverebbero l'allarme generale bloccando ogni porta". Sapevo che ciò poteva accadere da un momento all'altro, esattamente quando avessero scoperto il cadavere di Re-L, o dei custodi seguendo le tracce di sangue, oppure quando il Custode che avevo mandato al tappeto si fosse risvegliato. Ed a quel punto l'allarme generale avrebbe causato la chiusura di tutte le porte. Quindi ripresi a camminare zoppicante e barcollando a destra ed a sinistra. Ci misi tutto me stesso, avanzando imperterrito. Ma più mi avvicinavo, più capivo che forse v'era un problema più immediato da affrontare. Cominciai infatti a distinguere delle impalcature al di sotto del gigantesco portale, come se fosse in riparazione. E soprattutto cominciai a distinguere delle figure umane, numerosi uomini impegnati attorno all'accesso. Non v'era modo di nascondersi o avanzare di soppiatto su quella piattaforma, quindi strinsi i denti e continuai senza fermarmi, spinto dalla certezza che contro ogni pronostico, avevo scovato la via di fuga che per dieci lunghi anni avevo sognato.

    -[ X ]-


    Avanzai finché non fui abbastanza vicino da fugare il dubbio che mi attanagliava le viscere: non si trattava di Custodi, ma di semplici uomini in tuta da meccanico, sporchi di grasso da ingranaggi e ferodo da saldature. Continuai ad andare avanti, con il portale che incombeva sempre più minaccioso sulla mia figura, una formica a confronto. Quando fui a venti passi, uno di loro mi adocchiò. Poggiò gli utensili ed indicandomi gridò:

    EHI TU, NON PUOI STARE QUI! CHI SEI?! QUESTO INGRESSO DI STOCCAGGIO E' IN MANUTENZIONE. TORN...

    Si interruppe quando un improvviso cambiamento nell'atmosfera presagì il peggio. Le luci bianche al neon si spensero, sostituite da lampeggianti rossi. Una cacofonia assordante di scatti meccanici e stridii metallici riempì l'aria, sovrastata poi da una voce ancora più poderosa che nel suo accento pre-registrato cominciò a recitare a ripetizione dagli altoparlanti:

    Attivazione dell'allarme generale di livello beta. Restate tutti ai vostri posti. Chiusura automatizzata delle porte in funzione. Attivazione dell'allarme generale di livello beta. Restate tutti ai vostri posti. Chiusura...

    No... No... No no no no no NO NO NONONONO...!

    Cominciai a correre come mai avevo fatto in vita mia. Le ossa ridotte in briciole tra caviglia e ginocchio sfregavano in modo agghiacciante ogni volta che poggiavo a terra la gamba, trasformandola in una continua detonazione di dolore accecante. Il portale intanto cominciava a calare, scivolando suoi suoi immensi ingranaggi rotanti. Le impalcature che lo sostenevano si piegarono sotto quel peso insostenibile, ululando per lo sforzo cui erano sottoposte. Prima saltarono viti e bulloni, che vibrarono nell'aria fendendola come proiettili. Poi tutto crollò in una pioggia di tubi e pedane. Vidi tecnici in tuta da lavoro precipitare e schiantarsi al suolo, gemendo ed agitandosi inermi. Altri vennero raggiunti dai frammenti che deflagravano in ogni direzione, uccisi sul colpo o menomati brutalmente. Tra grida di paura e lamenti di dolore, continuai a correre incontro alla salvezza, o alla morte.
     
    .
  9. Anselmo
        Like  
     
    .

    User deleted


    Attraversai fulmineo quell'inferno di ferro, sangue e scintille, facendomi scudo come potevo con il Limbsys sollevato sopra il capo, mentre il varco difronte a me si riduceva sempre più. Alla mia sinistra vidi un uomo incastrato tra le ferraglie essere smembrato come fosse stato gettato in un gigantesco trita-rifiuti. Il pavimento era viscido di sangue ed indistinte parti umane. Potevo fermarmi, e quella morte orribile mi sarebbe stata risparmiata. Ma non vagliai nemmeno l'ipotesi. Mi lanciai in una scivolata scorrendo sui fluidi che imbrattavano il pavimento, mentre l'apertura difronte a me si restringeva ad un varco tremendamente piccolo. Sapevo che le mie possibilità erano rasenti lo zero, perchè v'erano almeno cinque metri d'acciaio sotto cui passare prima di giungere dall'altra parte. Ma non mi fermai. Vi scivolai sotto distendendomi più che potevo, e sparii per sempre da quel luogo di morte, donando all'azzardo la decisione sulla mia sopravvivenza. L'ombra del portale mi inghiottì, gettandomi in un mondo di oscurità da cui probabilmente non sarei mai riemerso. Quel breve lasso di tempo, appena una frazione di secondo, parve dilatarsi oltre ogni concezione naturale del tempo, tanto che feci in tempo a chiedermi se non fossi già stato schiacciato senza nemmeno accorgermene. Ma poi vidi una luce che diveniva rapidamente più grande e la fessura si fece così ristretta che pur appiattendomi come un contorsionista, percepii il lobo dell'orecchio sinistro sfregare sulla superficie liscia di quella pressa mortale. Infine emersi alla stessa velocità con cui mi ero gettato nella trappola. Appena il mio cranio ne varcò il confine, il portale si chiuse con un fragore che nel suo infernale boato conteneva il suono di ossa, carni ed acciaio ridotti allo spessore di un foglio di carta. Un portale titanico, composto interamente di metallo, incastonato in un impenetrabile parete che si estendeva all'infinito; ed alla sua base, rivoli di sangue scorrevano silenziosi sul cemento nudo, testimoniando la morte nella sua astrazione più cruda. Un'immagine che sarebbe rimasta impressa nella mia mente per sempre...

    -[ X ]-


    Tentai di alzarmi, accorgendomi di essere bloccato a terra. Voltai il capo, costatando che il mio braccio bionico era rimasto schiacciato all'altezza del gomito nella chiusura della ghigliottina. Lo squadrai confuso, incapace di decidermi se gridare per un qualche dolore immaginario, per la disperazione o per la felicità. Alla fine sorrisi, presi a ridacchiare, cominciai a ridere, latrai sguaiatamente, una risata a stento riconoscibile, perché non ne facevo una da più di dieci anni. Torsi il Limbsys strappandolo senza riguardo, noncurante di lasciare lì sotto un pezzo di me che non sapevo nemmeno se considerare davvero parte del mio corpo, e mi misi a sedere con la schiena poggiata sul portale. Un timpano sanguinante, un pungolo elettrico ancora conficcato nel costato, costole rotte, una gamba fracassata, il braccio meccanico mutilato all'altezza del gomito, tagli e lividi sparsi per tutto il corpo, una maschera di sudore e sangue. Ma io giacqui lì ridendo, le lacrime che sgorgavano rigandomi le guance. Ero libero.
    Y223Au8
    Mi guardai attorno e mi accorsi di trovarmi sul fondo di un pozzo quadrato e profondissimo, dotato di una scalinata che ne percorreva le pareti, portando in superficie. Spostai gli occhi verso l'alto e vidi la luce. Luce naturale, la luce del sole, la vita, la libertà. Mi accorsi anche che dalla cima del pozzo precipitava...

    Pioggia... sta... sta p-piovendo!

    Allungai la mano, il palmo aperto rivolto verso l'alto, e così il viso. Lasciai che la pioggia mi bagnasse, lavandomi dalla sporcizia che mi lordava la pelle e cancellando le lacrime dal mio viso. Non so per quanto rimasi lì a ridere, non so nemmeno se stavo ridendo o piangendo, ma non mi mossi finché la gola non cominciò a dolermi. Fradicio ma pulito, a quel punto mi rialzai, sostenendomi a fatica sulle gambe incerte. Cominciai a salire la scalinata, un passo alla volta, poggiando il braccio sinistro sulla parete per non cadere. A discapito della gola arsa dalla fatica, continuavo a ridere. Riuscivo solo a pensare alla pioggia ed alla luce in lontananza, che precipitava a cascata dalla cima del pozzo, bagnandomi di vita. Mentre salivo lentamente, ci fu quel "fischio acuto degli altoparlanti, come facevano ogni giorno esattamente un'ora dopo il termine del primo intervallo di alimentazione, quello che tredici anni prima ero solito chiamare pranzo. Seguì un breve fruscio, anch'esso parte della routine quotidiana, poi qualche secondo di silenzio." Ma ora quel breve silenzio non cinse più il mio stomaco in una morsa tiepida. E nemmeno quando gli altoparlanti invasero il pozzo con la voce fredda e profonda dell'uomo con il camice, provai qualcosa di diverso dall'estasi della libertà.

    Mi hai molto deluso, Soggetto Sigma Tau.

    Quel verso elettronico che mi era sempre penetrato fin dentro le ossa, ora pareva più insignificante dello squittio di un ratto. Là fuori le sue parole non valevano più niente, i suoi ordini erano piagnucolii e la sua brutale organizzazione solo una barzelletta.

    Avevo grandi progetti per te. Ho puntato molte risorse sulla tua creazione. Cosa pensi di trovare là fuori? Non c'è niente per uno come te, sarai solo uno dei tanti. Qui invece rappresenti il Soggetto Numero 6, l'unico che ha portato a compimento duecentoventidue Protocolli senza... MAI! FALLIRE!

    Passo dopo passo, continuai a risalire verso la superficie. Ogni scalino una scarica d'euforia, una gioia che quell'uomo con i suoi altoparlanti non aveva il potere di intaccare.

    Ti ho creato, ti ho plasmato, ho fatto di te il simbolo dello sviluppo! Ed eravamo appena all'inizio, agli albori di un grande, GRANDISSIMO EVENTO! E tu, tu mi volti le spalle. NON SEI NESSUNO, NON NE HAI IL DIRITTO!

    Continuai a camminare e non smisi un'istante di ridere. L'implodere delle gocce di pioggia sugli scalini era ai miei occhi come il dipinto più stupefacente che un artista può rimirare. E la sensazione che mi dava quando mi colpiva la pelle un'estasi percettiva.

    Sei soltanto una, singola, patetica, vita. Solo una delle tante. Io ne ho sacrificate duecentoventidue per generarti. Tutto quello che ti avevo chiesto era di sacrificarne SOLO UNA, LA TUA! Sacrificare la tua vita per un bene superiore, sacrificare la tua vita per portare a compimento il Protocollo Daedalus e RIVOLUZIONARE IL MONDO! E tu mi volti le spalle, rovinando tutto, compromettendo il mio più grande piano. Ero fiero di te, Soggetto Sigma Tau. Sei come un figlio, una mia creazione. Non mi avevi mai deluso. Il paradiso è per pochi, Numero 6, e tu ne facevi parte. Cioè che ho creato qui rappresenterà la salvezza del genere umano.

    La voce martellante che riecheggiava su per il pozzo, profonda come quella di una divinità, pareva schivarmi, rivolta a qualcuno che non ero io. Non le prestavo la minima attenzione. Era maledettamente facile ignorarla, là fuori.

    Il mio paradiso personale, un paradiso che presto sarebbe stato aperto a tutti. Come puoi abbandonarlo? Perchè scegli di vivere all'inferno? Puoi ancora tornare indietro, Sigma Tau. Fermati. FERMATI!

    Più risalivo, più quel richiamo si faceva debole, tanto che le mie risate, i miei gemiti insofferenti furono capaci di soppiantarla. Ormai persino il suono dei miei lenti passi sugli scalini dominava sullo sfrontato berciare di quell'individuo delirante.

    NON C'E' SPERANZA LA' FUORI, ABBANDONA I TUOI SOGNI! AL COSPETTO DEL MIO UNIVERSO, TU... SEI SOLO... POLVERE!! NIENTE DI PIU'! E AD ESSERE POLVERE RITORNERAI... Quando Egli decide che devi sacrificarti, NON E' COMPITO TUO SFIDARE DIO!!

    La voce mutò in un brusio indistinto nel momento stesso in cui emersi dal pozzo, ed il mio sguardo si poggiò sull'orizzonte senza fine. Avevo dimenticato quanto potesse essere sorprendente toccare con gli occhi le distese naturali che ammantavano la superficie terrestre. Improvvisamente gli immensi portali, i piloni imponenti, i macchinari assordanti e le pareti impenetrabili di quel luogo parvero insignificanti se confrontate ad una delle qualsiasi valli, pianure, montagne o laghi che in quel momento il mio sguardo carezzava. Smisi di ridere. Il mio volto divenne spensierato. Era una giornata di pioggia, il cielo plumbeo ma luminoso, il terreno impregnato d'acqua. Faceva freddo, un freddo ristoratore, graffiante come la spugna che va a scrostare la sporcizia sulle ginocchia di un bambino. Camminai diretto, l'unica meta l'andarsene lontano da lì. Avanzai per ore con la mente totalmente svuotata d'ogni pensiero. Poi le forze mi abbandonarono completamente, e giacqui a terra svenuto.

     
    .
  10.     +1   Like  
     
    .
    Avatar


    Group
    Member
    Posts
    13,240
    Location
    Sotto un Albero di Arance.

    Status
    Offline
    Puoi pigliarti 80 + 80 + 80: 240 Exp, dato che sono 9 post :si2: Te l'ho già detto per MP, mi è piaciuta un casino ed è scritta in maniera... wow, non ho parole oltre al wow :asd: Bravo.

    MAZZA QUANTA EXP TI SEI FATTO CON UNA PQ. LI MORTACCI.
     
    .
9 replies since 4/4/2016, 09:51   179 views
  Share  
.