Redenzione? [atto 1°]

Personal Quest

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  1. Anselmo
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    Percossi la porta con forza, ma non ci fu risposta.

    IMAI! NONNO HIRAGA!

    Per l'ennesima volta le mie grida si persero nell'immensità del deserto che circondava in ogni direzione quell'abitazione solitaria. Decisi che era il momento di entrare. Non v'era serratura da violare, solo un chiavistello raggiungibile dall'interno della casa. Fui costretto a sfondare la porta ed anche se avrei preferito non farlo, non mi dannai eccessivamente. Avrei promesso al nonnetto di riaggiustarla prima che potesse proferir parola, non appena l'avessi trovato. Bastò un calcio ben piazzato, ed in una nuvola di polvere e schegge di legno indebolito dagli anni la via d'accesso fu aperta. Troppo facile, pensai, ma d'altronde non v'era ladro che raggiungesse luoghi così remoti solo per saccheggiare l'abitazione di un vecchietto povero, e soprattutto capace di difendersi come pochi. Inoltre c'era Imai... lei i criminali li faceva a pezzi.
    Chinai il capo per evitare i brandelli di legno che pendevano dall'intelaiatura ed entrai in casa di Hiraga. I miei occhi, abituati al tremendo sole del deserto in cui avevo passato l'ultimo giorno a cavalcare a gran velocità l'immenso drago ligneo per cui ormai in molti mi ricordavano, fecero fatica a scrutare nella penombra che riempiva il corridoio. Tutte le porte erano sbarrate, tranne l'ultima in fondo, quella della camera del nonno. Una lama di luce proveniente dalla porta semichiusa tagliava l'oscurità. Forse stava dormendo, ipotizzai. Ma difficilmente non si sarebbe svegliato con tutto il fracasso che avevo causato, soprattutto considerando che nonostante la sua veneranda età, il suo sonno era ancora leggero come quello di uno Shinobi in missione, pronto a reagire ai pericoli in qualsiasi momento. Mentre mi chiedevo dove fossero finiti la ragazza ed il vecchietto, camminai per raggiungere la stanza, giusto per essere sicuro che fosse vuota. Feci appena qualche passo, prima che un ombra spegnesse per un'istante quell'unica lama di luce che filtrava dalla porta accostata. Mi fermai all'istante, con la mano già alla spalla, sull'impugnatura del wakizashi che portavo sulla schiena.

    ...Imai?

    Domandai incerto. In risposta solo un singhiozzo strozzato, poi qualche istante di silenzio. Sentii tirare su dal naso, un suono che nel silenzio della casa fece eco da ogni direzione. Poi la sua voce.

    Nonubu... s-sei tu?

    -[ X ]-


    Era Imai, anche se in un primo momento feci fatica a riconoscerla. Conoscevo bene la sua voce, ma non l'avevo mai sentita parlare con quel tono, con quell'afflizione a graffiargli la gola. Non l'avevo mai vista piangere...
    Coprii con rapide falcate gli ultimi metri ed irruppi nella stanza. Lei era lì, in ginocchio ai piedi del letto in cui giaceva nonno Hiraga, le loro mani unite in una stretta. Imai mi trafiggeva con uno sguardo colmo di disperazione, le guance rigate dal sale di lacrime oramai esaurite. Era scossa da tremiti violenti, con le mani che si avvinghiavano in modo convulso a quella del nonno adagiata sul materasso. Quella visione mi sconvolse come poche cose nel corso della mia vita erano state capaci di farlo. Imai che piangeva; lei che era così forte, tenace, la ragazza più dura che avessi mai incontrato. Sentii il cuore che mi si restringeva nel petto. Quando poi guardai Hiraga, capii. L'espressione che aleggiava sul volto del vecchio era di una dolce pace imperturbabile. Mi era capitato già molte volte di incontrare volti silenziosi come il suo. Avevo visto quei volti ricoprire il terreno dei campi di battaglia, li avevo visti rotolare dai patiboli, li avevo visti riempire gli obitori, li avevo visti sugli avversari che perivano al mio cospetto. Erano i mille volti della morte.

    Nonubu, salvalo! Ti prego! T-Tu sei un medico, tu p-puoi...

    Si lanciò ai miei piedi aggrappandosi con le unghie ai miei pantaloni. Abbassai lo sguardo su di lei e provai un'infinita compassione. Sapevo già che Hiraga era morto, che le speranze della ragazza erano del tutto inutili. Ma non potevo rifiutarmi. Andai da lui e chinai il capo finché il mio orecchio non fu ad un soffio dalle sue labbra. Non v'era alcun filo d'aria a solleticarmi il timpano. E nemmeno il battito fui in grado di percepire quanto premetti le dita sulla sua gola. Infine portai la mano al suo volto e con indice e medio, delicatamente, abbai le palpebre dell'uomo sugli occhi vitrei. Sapevo che vedendomi fare ciò, Imai avrebbe cominciato a capire. Quando mi voltai verso di lei feci fatica a sostenere il suo sguardo, quegli occhi scuri che parevano mutare in due pozzi di una profondità pari solo all'incurabile dolore che le dilaniava l'anima.

    N-No, ti supplico... guariscilo, è solo... ti prego...

    Mi sedetti accanto a lei, che lasciò cadere il suo capo sul mio grembo, stringendomi con forza tra le braccia.

    Fa qualcosa...

    Sussurrò con voce spezzata. I tremiti del suo corpo mi davano i brividi.

    Non posso Imai... il nonno è morto...

    Oh, Nonubu...

    Scoppiò in fiume di singhiozzi violenti, senza più riuscire a reprimere le grida terribili che le si arrampicavano su per la gola. La strinsi a me, continuando ad accarezzarla senza riuscire a spiegarmi per quale motivo sentissi come un blocco di ghiaccio esplodermi nel petto. Un'empatia che non provavo dai miei giorni di ingenua infanzia, emozioni che avevo giurato di sopprimere. Ero sconvolto, e la cosa mi fece provare una rabbia bruciante. Ma la repressi, per una volta la respinsi. Rimasi fermo ad abbracciarla, finché non la sentii sciogliersi in una penosa tranquillità. Intanto pensai. Mille idee e ripensamenti si dibattevano nella mia mente. Ero confuso, non mi riconoscevo più. Le decisioni che avevo preso smarrivano la loro solidità, rischiando di frantumarsi come sottili lastre di ghiaccio pestate da una mandria in fuga. Lasciare tutto, andarmene, abbandonare la vita... non ero più certo di esserne capace. Non avrei esitato a rinnegare le mie origini, dimenticare il mio Villaggio, la mia carriera, quello che agli occhi della società rappresentavo. Ma lei, Imai... perché l'idea di non poterla più rivedere mi lacerava con tanta violenza? Perchè proprio in quel momento? Abbassai lo sguardo su di lei. I suoi occhi arrossati nel viso triste e sfinito mi stavano scrutando. Ci fissammo a lungo, senza che fossi capace di rompere il silenzio. Avevo paura che qualsiasi parola uscita dalla mia bocca potesse in qualche modo alterare il fragile ponte di cristallo che ci univa nella sofferenza, emozione che mai avevo provato nei confronti di qualcuno. Poi nel suo sguardo qualcosa cambiò.

    Perchè sei tornato?

    Edited by Anselmo - 26/2/2016, 23:19
     
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  2. Anselmo
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    -[ X ]-


    Non seppi cosa rispondere. Tacqui, distogliendo gli occhi dai suoi. Avevo abbandonato Suna con la convinzione che sarei sparito per sempre senza che vi fosse memoria della mia persona. L'unico a cui dovevo delle spiegazioni era Kuroda, e gliele avevo date. O almeno, questo era ciò che credevo. Ma qualcosa mi aveva spinto a varcare la soglia di quella casa, ed ora tutto era cambiato. Il mio volto si deformò in una smorfia di vergogna.

    Te ne eri andato, ci avevi abbandonati come fossimo dei semplici ostacoli da lasciarsi alle spalle lungo la tua via, quella via che per te era tutto. Ora torni qui, come se questa fosse casa tua, come se noi significassimo veramente qualcosa per te. Perchè? Perchè fai questo? Non potevi semplicemente... r-restare lontano?

    La gola mi si strinse in una morsa sgradevole. Avrei voluto gridare una risposta che esprimesse al meglio tutto ciò che provavo, ma non ne ero capace. Eppure non era giusto che la trattassi così. Darle una risposta era il minimo che potessi fare. Io, Nonubu Senju, in quel momento valevo meno che niente. Ero addirittura di troppo. L'unica cosa che dissi, l'unica che forse poteva in qualche modo renderle giustizia, fu:

    Me ne andrò e non farò più ritorno, Imai. Nessuno sentirà più parlare di me, nemmeno te. Cercarmi sarà inutile, sarò meno che un fantasma. Potrai dimenticarmi senza il timore che io ricompaia. Cancellami dai tuoi ricordi, fa che io non sia mai esistito...

    Mi accorsi che non era per lei che desideravo ciò, non del tutto. L'egoista che era in me mi suggeriva che se Imai mi avesse rinnegato, per me sarebbe stato più facile lasciarmela alle spalle assieme a tutto il resto. Era meglio per entrambi. Odiavo il mio essere così ipocrita, ma in quel momento non desideravo altro che rendere quel passo verso l'ignoto più facile possibile, perchè una volta compiuto non potevo più tornare indietro. Speravo solo che lei...
    Sentii la collera invaderle il corpo, la percepii attraverso la mano adagiata sulla sua guancia e la lessi nelle impercettibili contrazioni del suo volto. Qualsiasi cosa, ma non la sua rabbia. Non era quello il ricordo che volevo portarmi di lei, sarebbe stato un fardello insostenibile. Mi pentii di aver parlato.

    Credi che sia questo ciò che voglio?

    Allungò una mano e mi afferrò per il bavero, trascinandomi a sé con forza. Le nostre labbra di unirono in un bacio furioso che parve dilatarsi all'infinito. Non si ritrasse mai, nemmeno quando le mie mani ne esplorarono il corpo caldo sotto le vesti. Il mio cuore riprese a battere dopo anni di fredde emozioni. Quella sarebbe stata la mia eterna dannazione, ma non mi fermai.

    [...]


    Mi svegliai nella notte, con la luce di un'argentea luna piena ad abbagliarmi dalla piccola finestra ricavata nella parete ricurva. Il suo petto nudo premuto contro il mio corpo sotto le coperte si muoveva ritmicamente al suono di quieti respiri. Mi fece desiderare ardentemente di giacere là assieme a lei per sempre. Invece le posai un lieve bacio alla base del collo e mi mossi con cautela per districarmi dal suo abbraccio senza svegliarla. Raccolsi i vestiti dal pavimento e mi diressi fuori dalla stanza. Dovetti ricorrere ad ogni briciolo della mia volontà infranta per non fermarmi sulla soglia ad ammirarla un'ultima volta. Cedere a quella tentazione avrebbe reso ancora più difficile combattere il desiderio di tornare da lei. Mi diressi verso lo scantinato, dannandomi per la fatica che stavo provando ad ogni passo. Strinsi il pugno fino a far penetrare le unghie nel palmo della mano, ma il dolore non era minimamente sufficiente a distogliermi dal richiamo del suo nome. Giunto nello scantinato mi rivestii, ma solo con vestiti comuni. Il mio intero equipaggiamento da Shinobi lo gettai invece in un baule. I borselli colmi dei miei ferri del mestiere vi finirono dentro con quel tintinnio a me tremendamente familiare, che aveva accompagnato quasi ogni momento della mia vita. Da quel momento in poi, però, non sarebbe più stato così. Armi da lancio, filo, rotoli, protezioni corporee, lame di vario genere e gran parte della mia fortuna in denaro sparirono alla mia vista quando richiusi il pesante coperchio del baule. Del mio equipaggiamento tenni solo un comune wakizashi. Quante avventure avevamo vissuto assieme... ma non fu ciò che mi spinse a legarmelo dietro la schiena con una fibbia di cuoio attorno al busto. Me lo portavo unicamente per una mera questione pratica: una lama mi era indispensabile, non potevo fare tutto con denti ed unghie. Quindi tenni solo quel wakizashi, ed un curioso polsino di cuoio nero con tre petali circoscritti in un cerchio smaltati di rosso.
    Infine raccolsi una pesante cappa di iuta tinta di nero. Era dotata di un ampio cappuccio, dal tessuto molto spesso, ben intrecciato e capace di resistere ad anni di intemperie. La indossai con un unico plateale movimento del braccio che ne fece scoppiettare i lembi, assumendo l'aspetto di un qualsiasi viandante senza nome e senza volto, mentre a grandi passi mi dirigevo verso l'uscita. Ma prima che potessi raggiungerla, una figura mi sbarrò il passaggio. Per un'istante di pura incredulità credetti di avere difronte il defunto nonno Hiraga, ed un brivido mi percorse la schiena. Ma scrutando meglio attraverso i veli di penombra, mi accorsi che si trattava di Imai, vestita con gli abiti che il vecchio soleva utilizzare per uscire nel deserto.

    Imai, no...

    Si invece!

    Mi interruppe lei con fervore. Mi si mise davanti e prese a picchiettarmi con l'indice sul petto allo scandire di ogni parola.

    Non lascerò che tu sparisca un'altra volta! E' inutile che ti opponi. O ce ne stiamo qui insieme, oppure ce ne andiamo insieme.


    Non esiste nessun "insieme", Imai. Tu hai una casa qui, la tua vita appartiene a questo luogo. Hai un posto, a differenza mia! Ascoltami, non puoi venire con me. Non è una gita in montagna questa, o una vacanza al mare. Non esiste biglietto di ritorno. Te ne pentiresti, e sarebbe troppo tardi!

    Credi di poter liquidare così la faccenda?! Maledetto illuso! Questo... questa "casa" ha perso per me ogni significato ieri, quando ho sentito la mano del nonno stringersi tra le mie per l'ultima volta.

    Non essere stupida. Hiraga era vecchio, troppo vecchio. E tu non sei più una bambina, sapevi che presto o tardi sarebbe morto.

    Immediatamente temetti di aver fatto correre troppo la lingua, e mi affrettai ad aggiungere con tono più delicato:

    La tua vita non finisce con la sua. Puoi andare avanti, devi farlo! Io invece... io sono un fuggitivo, per me non c'è futuro, questo mondo mi braccherà e maledirà il mio nome se resto. Devi dimenticarti di me! Lasciami andare...

    Lei scosse il capo e distolse lo sguardo. Con labbra tremanti si sforzò di trattenere le lacrime ed io sperai che ci riuscisse, odiavo vederla in quello stato.

    Non è così semplice Nonubu. Il nonno non è semplicemente morto e basta. Il nonno mi ha lasciato sussurrando il tuo nome. Credeva in te come non ha mai creduto in nessun altro. Mi ha cresciuta, addestrata, era tutta la mia famiglia. Eppure non è in me che riponeva la sua fiducia, ma in te. Ricordi cosa disse di te? "...questo uomo non fa parte del mondo che ci circonda. Lui non segue una via, lui la crea. Lui non scopre, lui inventa. Lui non ha regole, lui le usa. Il suo mondo non è quello che ci circonda, ma quello che hai davanti ai tuoi occhi: il suo mondo è lui stesso"
    E tu credi che dopo tutto questo, dopo aver trascorso la mia intera vita accanto ad una persona che in punto di morte è stata capace di sussurrare soltanto il tuo nome, credi che dopo ciò io possa semplicemente dimenticare te, dimenticare lui, dimenticare tutto quanto e riniziare?


    La squadrai sgranando gli occhi, perché non mi riuscì di replicare a ciò che mi aveva appena rivelato, anche se in fondo già sapevo, avevo solo mentito a me stesso. Pretendevo l'impossibile dalla ragazza, e me lo aveva appena sbattuto in faccia.

    Ma io sto per deludere ogni aspettativa che quell'uomo serbava nei miei confronti.

    Mormorai, quasi stessi parlando tra me e me.

    Non m'importa, so solo che sarò al tuo fianco.

    Disse circondandomi tra le sue braccia.
     
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  3. Anselmo
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    Fuori dalla casa, la luce della luna rendeva le dune bianche come le pieghe di un lenzuolo senza confini. Il silenzio regnava sovrano, non c'era albero che frusciasse al vento o grillo che intonasse il suo canto scordato. Nulla, solo una volta stellata che si confondeva con il limite incerto di quell'immensa distesa di sabbia. Ci voltammo a guardare l'abitazione che era stata del nonno Hiraga e della sua cara Imai, una modesta costruzione dalle linee ricurve, bassa e dello stesso colore della sabbia cosicché fosse impossibile da trovare senza sapere esattamente dove fosse. Isolata per chilometri e chilometri in ogni direzione.

    Voglio seppellire il nonno.

    Mi voltai verso di lei e la sua figura mi inondò di una piacevole sensazione. Nel suo sguardo deciso, il volto impassibile, il corpo solido come una roccia e scattante più di un felino riconobbi la mia Imai, quella che niente poteva turbare. Una donna forte e libera. Il solo guardarla cambiò molte cose. La forza del mio animo tornò a farsi incrollabile.

    E la casa... voglio farla sparire, non deve rimanere più niente. Voglio che sia la casa a fargli da tomba. Se c'è un luogo un cui avrebbe voluto riposare per l'eternità, quello è sicuramente la casa che ha costruito con le sue mani. Si... dev'essere così.

    Mi guardò aggrottando le sopracciglia, ed io capii che sarebbe stato mio l'onere. Da sotto il mantello feci spuntare una mano nella posizione del serpente. Il suolo prese a tremare con un ruggito profondo, le dune nei dintorno si sciolsero in mille rivoli di sabbia, ed attorno all'abitazione una corona di possenti radici esplose nel cielo notturno. Frustarono l'aria in una pioggia di granelli lucenti, per poi ripiegarsi sull'abitazione trascinandola con sé nei tiepidi ed umidi recessi del sottosuolo. Pochi attimi e di quella costruzione artificiale che per decenni aveva rotto la continuità uniforme del deserto non rimase nulla, seppellita sotto metri di sabbia. Ma non ritirai ancora il sigillo. Continuai a far fluire il mio chakra, un chakra unico, il solo capace di unire la terra, madre di ogni creatura, con l'acqua, fonte dell'esistenza, per dare origine alla vita. Dalle possenti radici che avvolgevano la casa nel sottosuolo, un singolo tentacolo di legno scavò verso l'alto e raggiunse la superficie, dando origine ad un piccolo germoglio che in un'istante si sviluppò in un corto alberello, di appena due piedi. Imai fisso per qualche secondo quella lapide atipica, che era priva di parole a comporne l'epitaffio perchè ad onorare la memoria del vecchio Hiraga vi era la vita che quell'alberello avrebbe fatto sbocciare nel deserto morto. Quindi chiuse gli occhi e chinò il capo. Mi voltai e presi a camminare.

    Andiamo.


    Dove...?

    A Sud!

    [...]

    IjDhc7a

    -[ X ]-


    Ogni passo compiuto accresceva la distanza tra noi ed il mondo. Un mondo in cui io ero stato Nonubu Senju, un individuo che con il suo potere crescente aveva ucciso, aiutato, distrutto, creato, difeso, attaccato, perso, guadagnato, ingannato, confessato, onorato, tradito... il tutto indistintamente, seguendo un unico filo conduttore nella sua testa. Ero stato spirito, pronto ad evolvere come una massa informe nelle mani di un artigiano, che scalpella con il forte desiderio di appropriarsi delle cose più grandiose e splendenti. Uno spirito in cerca dell'essenza dei suoi eroi, bramoso di farsi carico dei fardelli più pesanti, quelli li rendono tali. Avevo quindi piegato le ginocchia per ferire il mio orgoglio, esasperando la follia per dilaniare la saggezza. E sotto il mio carico avevo attraversato correndo come un cammello le terre nemiche. Ma là dove le lande desolate mi avevano reso più solo ero divenuto un leone, che vuole fare della libertà la sua preda e di qualsiasi terra il suo regno. A caccia mio ultimo signore, per diventare nemico del dio e combattere con il drago in cerca della vittoria. Un drago le cui squame son dimora dei valori più ostacolanti. Combattere nella tempesta e rinnegare ogni valore, perchè questo il mio essere leone mi spingeva a fare. Creare valori nuovi, di ciò il leone non è ancora capace. Ma crearsi la libertà per una nuova creazione, di questo è capace la potenza del leone. Con quel mondo alle spalle, l'uomo che ora arrancava tra rocce sporgenti e distese desolate era un uomo senza nome e senza volto. Non uno mi avrebbe guardato vedendo in me un alleato o un nemico, perchè non ero più nessuno. Un nessuno che era privo di regole, leggi, o doveri a cui sottostare. Ero un'anima aperta a qualsiasi cosa l'ignoto potesse donarmi, pronto ad imparare ed a fare della creatività senza freni l'unico binario da seguire. Un fanciullo che gioca a dadi con il mondo. Innocenza è il fanciullo e oblio, un nuovo inizio, un gioco, una ruota ruotante da sola, un primo moto, un sacro dire di si. Si, per il gioco della creazione, occorre un sacro dire di si: ora lo spirito vuole la sua volontà, il perduto per il mondo conquista per sé il suo mondo. Ogni cosa tramontava all'orizzonte che mi lasciavo dietro, per non risorgere mai più e lasciare spazio ad una notte eterna, senza luna e senza stelle. Ogni passo compiuto accresceva la distanza tra noi ed il mondo.
     
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    Io vengo dalla luna che il cielo vi attraversa e trovo innopportuna la paura per una cultura diversa

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    Mi è piaciuta molto!

    Puoi prendere il massimo dell'exp (in questo caso non credo sia consono aumento di taglia)
     
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