Volontà di fuoco

sblocco elementale #1 Il Barone

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    Quel giorno il Villaggio della Sabbia era più brillante che mai. Il sole sembrava voler illuminare ogni cosa con la sua immensa luce, ogni angolo delle strade, ogni tetto, ogni piazza, ogni minimo granello di sabbia chiara che componeva il quasi infinito deserto di Suna. Le dune danzavano allo sbuffare del vento, componendo panorami capaci di disorientare chiunque si avventurasse in quel mare pallido e rovente. Il cielo non sembrava far altro che restare limpido e chiarissimo, le nuvole non esistevano quel giorno, sembravano non reggere il confronto con la forze del sole. Il vento sibilava piano nel Villaggio mentre sbuffava impetuoso per il deserto, sancendo il suo diritto a sovrastare quelle terre. Sbuffava così forte che polveroni di sabbia e polvere viaggiavano qua e là per metri e metri, finché ricadevano al suolo eppoi venivano spostati di nuovo da un ulteriore sbuffo di vento. Faceva più caldo che mai quel giorno e qualunque straniero non sarebbe mai riuscito a sopravvivere senza implorare un bagno rinfrescante o una pioggia estiva miracolosa. Ma per gli abitanti del luogo quella era solo un dì leggermente più caldo. Niente aveva impedito loro di alzarsi presto, di buon mattino, per affaccendarsi e prepararsi, scendendo in strada per aprire le proprie botteghe e recarsi al lavoro con il sole già sorto da un pezzo, tipico di ogni estate. Si vedevano fin dalle sette del mattino questi ometti vestiti in modo esotico, chi con qualche turbante per coprirsi dai raggi del sole, chi con sciarpe leggere e colorate, comprate al Gran Bazar, e tutti insieme uscivano dalle loro case silenziosamente, affrettandosi per affrontare un altro giorno di lavoro. Poi c'erano le mamme che si svegliavano presto anche loro, ma la maggior parte non usciva di casa bensì vi restava, pulendo qua e là, mettendo tutto in ordine e preparando la colazione per i proprio figli che ancora dormivano beati e freschi nei loro letti. Si sarebbero svegliati qualcuno più tardi, chi più presto, e avrebbero occupato la loro giornata come sempre, come meglio credevano; c'era chi si sarebbe riunito con gli amici per andare a giocare in piazza, chi sarebbe rimasto in casa a leggere, studiare, oziare. Che fosse inverno, estate, primavera o autunno, il Villaggio della Sabbia era sempre in fermento. Persino al Palazzo della Kazekage c'era fermento, persino nell'Accademia del Villaggio, ovunque. L'unico posto in cui le cose sembravano procedere a rilento era un posticino parecchio isolato, una di quelle villette tradizionali che si trovano verso le periferie del Villaggio. Quella in particolare era molto antica seppur modesta e sapientemente tenuta in cura e ordine. Era lontana dalle altre villette, probabilmente chi vi abitava l'aveva scelta proprio per la tranquillità che la circondava, visto che lì non si potevano udire schiamazzi dei vicini o della strada. Una stradina sterrata che quasi si confondeva con il terreno brullo che caratterizzava il posto, portava fino a lì: nessun muro di cinta, nessun cancello, ma un giardino dall'aria selvaggia seppur fosse estremamente curato. Piante esotiche che di solito non si vedevano spesso in quel luogo facevano capolino dal terreno desertico, circondando quella bassa villetta. Basse palme, qualche aiuola sparsa qua e là con fiori colorati ma dall'aria minacciosa, qualche cactus poco più lontano. La porta d'ingresso era aperta e sotto la veranda di legno che si attraversava per accedervi, c'era un uomo. Se ne stava seduto comodamente su una sedia, le braccia incrociate e le dita della mano sinistra ad accarezzarsi la curatissima barba più bianca che bionda. Era un uomo grosso ed estremamente vecchio, ma i suoi occhi color oro emanavano una luce vivida, seppur le folte sopracciglia perennemente corrucciate gli conferissero un'aria severa, proprio come quella di un anziano che da giovane era stato un insegnante o qualcosa del genere. Sembrava proprio il tipo che metteva paura ai giovani. Se ne stava quindi a pensare, sistemandosi gli occhiali che gli ricadevano sul naso adunco di tanto in tanto, fissando la scacchiera sul tavolino davanti a se. Sembrava stesse giocando da solo poiché, accatastati in un angolo del tavolo, c'erano i pezzi mangiati, sia neri che bianchi. Toccava ai bianchi, in quel momento. Ma il vecchio sospirò, alzando lo sguardo con aria seccata, mentre afferrava gli occhiali e ripuliva le lenti sulla sua leggerissima camicia color avorio.

    - Un'altra seccatura. Tsk, prima o poi metterò un cancello là davanti, allora sì che mi lasceranno in pace, parola mia! -

    Esclamò ad alta voce con uno sbuffo sprezzante, rimettendosi gli occhiali sul naso. Chiunque l'avesse visto in quel momento avrebbe pensato fosse pazzo, perché non c'era nessuno oltre a lui, non si sentivano neanche dei passi in avvicinamento, e, se proprio si avesse voluto essere pignoli, non si sarebbe intravista anima viva lungo la strada. E allora perché quel vecchio se la prendeva tanto? Si sarebbe allora rimasti stupidi, perché, cinque minuti più tardi, due figure vestite in modo quasi identico, arrivarono lentamente fino alla sua proprietà, fermandosi nel bel mezzo del giardino. Al vecchio bastò vedere i coprifronte ed i giubbotti Ninja per sospirare qualcosa che suonava come un "Lo dicevo io!". I due Shinobi della Sabbia si scambiarono un'occhiata e non osarono procedere oltre, sebbene il vecchio con i lunghi capelli quasi bianchi raccolti in una coda li aveva visti eccomi. Si era limitato a mandar loro un'occhiataccia e muovere l'alfiere bianco, mangiando un cavallo nero. Sorrise tra se e se e mise il pezzo nero con gli altri, poi girò la scacchiera, incrociò le braccia e cominciò a pensare.

    - Signor Hohenheim, ci manda la Segreteria della Kazekage -

    Esclamò ad un certo punto lo Shinobi più alto, dai capelli color sabbia e la pelle abbronzata. Niente, il vecchio continuò a pensare, massaggiandosi la barba. Gli altri due si guardarono e questa volta provò l'altro ad attirare la sua attenzione.

    - Signor Van Hohenheim, la Segreteria della Kazekage ci manda per chiederle un favore, Signore.. Signor Hohenheim? Per caso... mi sente? -

    - Ci sento benissimo, razza di maleducato! Non sai che non si interrompe un anziano mentre gioca a scacchi? -

    Sembrava piuttosto seccato e i due si guardarono allarmati, cominciando a scusarsi. Ma non potevano andarsene, erano stati avvertiti di quanto potesse essere burbero e rigido quel tipo. Tra un balbettio e l'altro, riuscirono a spiegare perché erano lì, nella sua proprietà, a richiedere i suoi servigi. Il vecchio li ascoltava senza dare questa impressione, poi, in silenzio, fece la sua mossa. Alzò allora lo sguardo severo verso i due che impallidirono.

    - No, no e ancora no. Ne ho parlato tempo fa con la Kazekage: mi sono ritirato. Il favore che le ho fatto un anno fa era per sdebitarmi di una cosa che non vi riguarda, fine. E per quella ragazzina la questione era diversa, me l'ha chiesto Nami in persona di aiutarla -

    Borbottò qualcosa tra se e se, scuotendo la testa e girando nuovamente la scacchiera. I due giovani non si persero d'animo, gli era stato ordinato di convincerlo a tutti i costi e gli ordini erano ordini.

    - La prego, Signor Hohenheim, la Kazekage non lo avrebbe mai chiesto a lei se non fosse urgente. Purtroppo c'è stato un problema al Palazzo e solo voi potete.. -

    - Non è certo una mia colpa se i novellini come voi fanno casino con gli orari! E ora fuori di qui! -

    - Signore, la prego... Lo faccia per il ragazzo, almeno... -

    L'uomo meditò per un attimo, con le sopracciglia accigliate. Batté un pugno sul tavolo e sembrò sul punto di esplodere per la rabbia, ma, invero, aveva ceduto. Con un gesto della mano fece cenno ai due di andarsene, senza neanche guardarli.

    - E va bene! Mandatemelo oggi pomeriggio e ditegli di sbrigarsi! -

    Felici come una pasqua, i due si inchinarono e subito corsero via per la strada sterrata, diretti al Palazzo del Kage. Van Hohenheim sbuffò, maledicendo se stesso per essersi "rammollito" come diceva lui. Scrutò distrattamente la scacchiera, tutto preso dal rimproverarsi quando si bloccò. Osservò stupito i pezzi e afferrò l'alfiere dei bianchi. Lo mosse in avanti, piacevolmente sorpreso.

    - Scacco matto -

    Ruola che, in qualche modo, vieni a sapere dell'appuntamento con un certo Van Hohenheim. Non sai nulla di lui ma lo raggiungi di pomeriggio a casa sua.
     
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    Narrato
    Parlato Sanzo
    Parlato mamma
    Parlato papà


    Quella mattinata il villaggio era dominato dal sole, odiavo la sensazione che provavo quando mi ritrovavo sotto il sole, quando quest'ultimo picchiava forte sulla pelle ed infastidiva la vista, quando sotto di essi mi sentivo pesante. Quel giorno non c'era un minimo d'ombra dove potevo sedermi e rilassarmi, quindi decisi di rimanere a casa e non allenarmi. Non mi sarei concentrato per niente con quel sole, avrei solo perso tempo. Aiutai un pò mia madre con le faccende o meglio, ci provai. Dopo pochi minuti sbuffai e mi diressi verso la mia stanza, nel mentre sentii mia madre che tra se e se disse

    Pareva strano.

    Mi girai di scatto, la guardai negli occhi e sorrisi. Ero consapevole del fatto che mi sarei annoiato quasi subito. Ritornato nella mia stanza, afferrai una coperta dal mio letto e la posizionai sulla testa per poi scavalcare oltre la finestra e sedermi su di un ripiano che si trovava lì. Cosi ero in un certo senso immune ai raggi del sole con la coperta che mi creava ombra.
    Feci un respiro profondo, non ero abituato a restare a casa, ero quasi sempre fuori ad allenarmi, a gironzolare, volevo rirespirare quell'aria di libertà. Stetti ad osservare il villaggio per non so quanto, ero come incantato, immobile con lo sguardo fisso su quello che accadeva sotto di me.

    Sanzo! Vieni!

    Sobbalzai dalla paura, stavo rischiando di cadere di sotto ma riuscii a tenermi in equilibrio dandomi una spinta indietro con le gambe, un pò troppa. Caddi all'indietro rotolando nella finestra, aprii gli occhi e mi ritrovai per terra a fissare il soffitto. Risentii la voce di mio padre che mi chiamava. Mi alzai velocemente e andai nell'altra stanza. I miei genitori erano seduti e sorridevano, mi domandai come mai lo stessero facendo e la risposta arrivò poco dopo quando mio padre cominciò a parlare.

    Sanzo, mentre rientravo a casa, dei Jonin mi hanno fermato e successivamente consegnato una notizia per te. Si tratta di un incontro con una persona molto speciale. Domani pomeriggio dovrai recarti da lui.

    Ero entusiasta ma allo stesso tempo un pò timoroso. Sapevo che probabilmente questo incontro mi avrebbe permesso di diventare più forte ma avevo paura di ciò che avrei dovuto affrontare, mi sarei emozionato sicuramente e sarei finito per sbagliare qualcosa. Quella notte dormii poco, pensando a cosa avrei dovuto affrontare.
    Il pomeriggio seguente mi preparai tutto il necessario e dopo aver memorizzato le indicazioni per raggiungere la mia destinazione mi incamminai.
    Il posto dove dovevo recarmi era isolato dal villaggio, dovevo attraversare quest'ultimo interamente per poter raggiungere questo posto che poi si rivelò essere una piccola villetta, ben curata e carina. L'entrata era aperta e ne approfittai. Vidi un uomo poco lontano da lì mi avvicinai e mi presentai.

    Sono Sanzo Kimura e sono qui per ordine del Kazekage.
     
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    La Kazekage era nota per la sua brillante perspicacia, anche dopo che il suo corpo si era rovinato e i suoi occhi avevano perso l'ambrata luminosità che li contraddistingueva, era rimasta in lei quell'innata propensione ad avere tutto sotto controllo. Prenderla in contropiede non era possibile, la sua saggezza e il suo tempismo lo impedivano. Van Hohenheim l'aveva conosciuta di persona ed era stato un Anbu direttamente al suo servizio per molti anni, prima di ritirarsi per godersi in pace la vecchiaia, per questo poteva dire di essere uno dei pochi in tutta Suna a conoscerla per ciò che era davvero. Nel momento in cui quel mattino vide due Jonin avvicinarsi alla sua abitazione, al vecchio bastò sentire che Nami Drakeito in persona aveva chiesto di lui per capire di non aver altra scelta. Ella, infatti, aveva giocato in anticipo, inviando gli stessi due Jonin il giorno prima, a casa del ragazzo, dandogli appuntamento per quel pomeriggio. Del resto, come avrebbe potuto lui, un vecchio che aveva trascorso i suoi anni migliori affianco a quella donna, rifiutare una sua richiesta? I due giovani Jonin l'avevo lasciato solo, diretti con tutta probabilità al Palazzo del Kage, ma a lui non interessava. Adesso persino la sua partita a scacchi era finita. Con uno sbuffo si asciugò la fronte, lanciò un'occhiata obliqua al sole e sparì dentro la sua abitazione, lasciando la porta aperta. L'interno era accogliente, sembrava la casa di un qualunque vecchietto: mobili comodi ma dall'aria smunta, tavoli e mobili di legno di chissà quanti anni prima, un orologio a cucù attaccato alla parete e le sottili tende bianche tirate davanti alle finestre. C'era odore di legno, pulito e, bé, vecchiume. Abitava da solo da molti anni, ormai, per questo Hohenheim aveva un ritmo giornaliero tutto suo, che amava seguire alla lettera. Come la stragrande maggioranza degli anziani, si alzava presto senza alcun motivo apparente. Il suo orario di sveglia variava dalle quattro e mezza alle cinque e un quarto del mattino, quando il sole ancora non era sorto e c'era una bella arietta fresca a tirare per il Villaggio. Si alzava e andava dritto in cucina, mettendo il bollitore con l'acqua sui fornelli per farsi un tè, nel mentre andava in bagno e ne usciva quando il bollitore iniziava proprio a fischiare. Nel mentre si era già preparato per la giornata: lavato, vestito leggero come sempre e con i capelli e la barba curatissimi, inforcava gli occhiali e versava l'acqua bollente in una tazza con dentro l'infuso per il tè. Poi usciva fuori, sul retro, sedendosi su una panchina di quelle non toccano terra e che fanno avanti e indietro se vuoi. Si sedeva sempre nel mezzo, poggiando la schiena allo schienale, stendendo le gambe e sorseggiando il tè mentre osservava le dune in lontananza, tra le quali il sole sorgeva. Quella era la sua parte preferita di tutta la giornata, lo rilassava così tanto che saltarla avrebbe significato per lui restare di mal umore per tutto il resto del tempo. Dopo questo suo rituale, la routine variava a piacimento: poteva trascorrere la giornata a leggere sul divano, poteva uscire e fare compere o andare a trovare uno dei suoi vecchi amici rimasti, poteva addirittura tirare fuori la sua vecchia tromba dallo sgabuzzino, toglierle di dosso un po' di polvere e suonare per un po', tanto nessuno avrebbe potuto sentirlo o disturbarlo. La maggior parte delle volte, però, amava sedersi in veranda, tenendo d'occhio l'ingresso, e giocare a scacchi con se stesso. Solitamente attribuiva a se stesso i Bianchi, mentre i Neri venivano mossi dal "Se stesso malvagio", giusto per dare più senso a quel gioco solitario. Vincere non era semplice, perché tutte e due le parti lottavano con tutte le loro forze per sopraffare l'avversario, e Hohenheim imponeva a se stesso di scordare la strategia dell'altro automaticamente al cambio di turno. Certo, a guardarlo avrebbe fatto ridere. Di solito una partita richiedeva tre o quattro ore ma quel giorno ne bastarono due perché l'Alfiere Bianco diede Scacco Matto al Re, quasi senza che lui se ne accorgesse. Il vecchio stava giusto mettendo su un altro po' di tè quando iniziò a chiedersi che tipo di Genin avrebbe incontrato quel giorno. Era curioso, poiché, quando quella volpe della Kage gli inviava qualcuno da allenare, non si trattava mai del solito Genin come ce n'era a bizzeffe. Ricordava bene di aver allenato quelli che diventarono dei veri e proprio eroi, Shinobi leggendari, alcuni periti in combattimento, altri scomparsi.. Ma si trattava di eventi rari, solitamente tra un allenamento assegnatogli e un altro, passavano cinque o sei anni. E invece eccone un altro a poco più di un anno di distanza dall'ultimo. Si ricordava bene la ragazzina dall'aria innocua e ricordava ciò che aveva percepito, un chakra che non aveva mai visto in azione con i suoi occhi ma che non c'era modo di poter scordare. E ora non poteva fare a meno di chiedersi chi sarebbe stato il prossimo. Bevendo un altro po' di tè, si sedette sul suo comodo ma vecchio divano, stendendo i piedi sul basso tavolino e chiudendo gli occhi mentre ascoltava il dolce soffio del vento che proprio in quel momento sembrò destarsi dal sonno. Faceva comunque troppo caldo per i suoi gusti, era stato lontano dal suo paese per così tanto tempo che la sua pelle aveva perso l'insensibilità al calore. Rimase in quel modo per un po' di minuti, sorseggiando la bevanda calda di tanto in tanto mentre rimuginava su questo e su quello, vecchi ricordi di un passato ormai lontano. I suoi occhi color oro balenavano per la stanza, mettendola a fuoco. Poi si alzò con un sospiro, posando la tazza sul lavello della cucina e afferrando un grosso libro che aveva posato distrattamente là vicino. Si sistemò gli occhiali sul naso adunco e scosse le spalle, risedendosi sul divano e cominciando a leggere. Leggeva e leggeva senza rendersi conto di quanto il tempo passasse. Il sole aveva raggiunto lo Zenit ed ora scendeva impercettibilmente mentre il caldo si intensificava. Non erano neanche le quattro del pomeriggio quando un giovane apparve davanti alla modesta casa, attraversando il giardino velocemente. Entrò in casa con circospezione ma la porta aperta era un chiaro invito. Fece qualche passo, immergendosi nel tepore dell'abitazione sconosciuta, notando immediatamente il proprietario. Un uomo vecchio ma grosso e piazzato, con un fisico imponente seppur non sembrasse proprio uno sportivo. I lunghi e lisci capelli biondissimi erano legati in una coda alla base del collo, gli occhi azzurri erano incollati al libro che teneva in mano mentre con l'altra si grattava la barba bianca di tanto in tanto. Era molto preso dalla lettura.

    - Sono Sanzo Kimura e sono qui per ordine del Kazekage -

    L'altro non diede il minimo cenno di vita, continuò a leggere senza muovere altro che gli occhi. Seppur a quella distanza, Sanzo poteva vederli scorrere da un rigo all'altro senza fermarsi mai. Rimasero in silenzio per qualche secondo, poi Hohenheim parlò lentamente, senza dissimulare una nota rigida.

    - Non è così che ci si presenta, ragazzo. Quando si entra in casa d'altri per prima cosa si bussa. Poi ci si presenta. A quel punto si entra, eccetera eccetera. Fallo daccapo -

    Per un attimo il ragazzo non capì, pensava che il vecchio stesse scherzando. Ma vide che non si mosse, continuava solamente a leggere. Confuso, non poté far altro che tornare sulla soglia, continuando a fissare l'uomo. Bussò e ripeté esattamente la stessa frase. Questa volta, i secondi di silenzio durarono molto meno. L'uomo fece l'orecchia ad una pagina e lo richiuse, posandolo sul tavolino e voltandosi verso il ragazzo. I suoi lineamenti erano duri e i suoi occhi freddi come il ghiaccio, seppur sembravano brillare di una vivida luce. Fissò per pochi secondi il ragazzo e non sembrava avere nulla di particolare. Di certo appena diplomato, capelli e occhi scuri, fisico nella media, non sembrava nemmeno emanare una fonte di chakra da record. Senza darlo a vedere, si chiese perché si trovasse in quella stanza con lui: sembrava proprio uno Shinobi qualsiasi.

    - Mi chiamo Hohenheim. Vieni a sederti sulla poltrona davanti a me, così facciamo due chiacchiere. Gradisci del tè? -

    Senza dargli il tempo di rispondere si alzò, attraversando la stanza e prendendo il bollitore senza guanti (si era quasi raffreddato ormai). Versò l'acqua in due tazze e vi mise dentro altro tè verde, notando con piacere che era ancora caldo. Si riavvicinò in silenzio al tavolino, poggiandovi le due tazze e prendendone una per se. Si sedette sul largo divano e fissò il ragazzo sulla poltrona, un po' in imbarazzo. Sorseggiò il suo tè senza dargli peso, poi posò la tazza e si pulì gli occhiali sulla sottile camicia di flanella che indossava.

    - Dunque, ti ha mandato la Kazekage, eh? Non mi è chiaro il motivo, ma ormai sei qui, quindi direi di iniziare, se ti senti pronto -

    Senza svelare niente di più a Sanzo, che era ovviamente incuriosito e confuso allo stesso tempo, Hohenheim si alzò di nuovo. Si avvicinò a lui e gli posò una mano sulla testa, chiudendo gli occhi. Il ragazzo non si sentì in alcun modo se non confuso e forse infastidito da quel gesto. Gli sembrava quasi sciocco, non aveva senso. Ma il vecchio, invece, stava vedendo qualcosa. Nel buio vuoto attorno a se, vide una luce tenue vibrare in lontananza. Un vago calore disperdersi fino ad arrivare a lui. Poi, d'improvviso, vide le fiamme divampare come una miriade di lucenti lingue sibilanti. Riaprì gli occhi e lasciò andare Sanzo, pensando che quella del ragazzo era una predisposizione molto forte, quasi inevitabile. Attese qualche secondo e fece un cenno con il capo, come se avesse capito qualcosa. Questa volta andò alla finestra davanti a se, guardando fuori senza batter ciglio. Scostò quindi la tendina, e alzò l'imposta. Subito un caldo torrido si insinuò in casa. L'uomo mise la mano di fuori, come cercando qualcosa, poi la ritirò e chiuse la finestra, tirandovi davanti al tendina. Si voltò verso Sanzo e gli porse una vecchia rosa, appena strappata dal vaso sotto la finestra. Era una rosa normalissima, di colore giallo canarino, solo che sembrava realmente trascurata.

    - Prendi questa. Non preoccuparti, è così vecchia che neanche mi sforzo di curarla. Che muoia oggi o domani non fa differenza, ormai -

    Così gli porse la rosa, risedendosi al suo posto e guardandolo. Era in attesa ma Sanzo guardava la rosa, poi guardava lui. Era chiaro che non sapesse cosa fare, ma ben pochi avrebbero capito. Il vecchio era quasi famoso per la sua misteriosità e la sua particolarità nello svolgere quegli specifici allenamenti.

    - Il chakra, ragazzo. Stringi quella rosa, concentrati e lasciaci scorrere il chakra dentro -

    Ora sembrava più chiaro ma il perché dovesse proprio fare una cosa del genere a Sanzo non era ancora chiaro. Ma che altro avrebbe potuto fare? Tanto valeva obbedire al vecchio e farla finita. Sarebbe rimasto piacevolmente sorpreso.

    Fuoco, ruola indi che la rosa si brucia
     
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