Asso fumante n.1

Personal Quest

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  1. Anselmo
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    • Legenda:

      Parlato Nonubu

      Pensato Nonubu

      Parlato uomo nella stanza

      Parlato altrui


    -[ X ]-


    In ginocchio!

    Avrei fatto come mi era stato ordinato, ma non ne ebbi il tempo; qualcosa di pesante mi colpì duramente alla base della schiena, facendomi mancare la forza nelle gambe. Caddi in ginocchio, come volevano. La testa gocciolante sudore e sangue mi pulsava dolorosamente, dovevo avere qualche costola rotta perchè ogni respiro era come una pugnalata al torso. I polsi bruciavano, legati nelle corde tanto strettamente da lacerarne la carne.

    Sta fermo lì, lui ti vuole parlare!

    Non mi mossi, non reagii, mi limitai a combattere contro il senso di nausea e le fitte atroci al petto. Attorno a me oscurità impenetrabile, fatta eccezione per la cascata di luce che mi investiva le spalle, derivante dal portone spalancato da cui ero stato fatto entrare. La testa mi girava e facevo fatica ad organizzare i pensieri, ma ero abbastanza lucido da capire che ero in inferiorità numerica. Dietro di me sette, forse dieci uomini. Inutile combattere, le mie condizioni non me lo permettevano.
    Poi un tepore m'invase, risollevandomi dalla sofferenza fisica che mi vestiva. Mi sentii cadere in un'altro mondo, lontano dal sapore del sangue e dal caldo, lontano dal mio corpo ferito. Gli occhi mi si chiusero, mi chinai sempre più fino a sentire la fredda roccia del pavimento premuta sulla fronte. Ma improvvisamente venni richiamato nel mondo terreno dal fragore generato dal portone che gli uomini alle mie spalle si erano chiusi dietro andandosene, e la situazione mi investì tragicamente. Mi ritrovai solo, nel buio più totale, impotente a soffrire.
    No, no ero solo. Sentivo qualcuno. Ancora non lo vedevo, ma lo sentivo. Una presenza... come una fonte di vita in mezzo alla desolazione più totale. Il buio caldo e umido mi circondava, e nient'altro. Ma lo percepivo, pulsante, opprimente laggiù, difronte a me. Cos'aveva detto quell'uomo?

    Lui ti vuole vedere...

    Mormorai, poi tossii.

    Lui...

    Ripetei.

    VIENI FUORI, FATTI VEDEREEE!!

    La mia voce straziata sbatté contro le pareti e mi rimbombò violenta nei timpani. Seguì il silenzio, rotto poi dai miei gemiti. Non potevo fare altro.
    Ma ci fu un fruscio, come di lenzuola che scivolato. Un fiammifero sussurrò nell'aria, ed incendiò un lume. La luce gialla e debole si espanse dal pavimento, man mano più dilagante, finchè non rivelò i contorni di un letto. Soltanto quello. Un'ampia sala dal pavimento, le mura ed il soffitto di grossi blocchi di roccia grigia, un letto ed io.
    C'era odore di morte lenta in quel posto, di malaria, di incubi. Quella era proprio la fine della via...

    Da dove vieni, Nonubu...?

    Una voce roca e profonda, rotta da qualche sussulto o colpo di tosse.

    Da Konoha.

    Più precisamente?

    Non risposi, per lungo tempo non risposi. Secondi, forse minuti. Decisi per il silenzio. Le parole mi si confondevano in testa, non capivo cosa volesse, o forse lo capivo e non volevo dargli niente, o forse non capivo e basta. Infine risposi:

    Sono nato in una casa, nei campi poco fuori le mura del... del Villaggio. A... nord-ovest del Villaggio, si...

    Questa casa... quanto era distante dal fiume?

    Quale fiume?

    Quale? Qualsiasi... qualsiasi fiume. Quanto era distante?

    N-Non c'era un fiume.

    Silenzio, ancora quell'interminabile silenzio, mentre la cera cominciava a colare dal lume. Una figura si sollevò a sedere dal letto, ruotò e poggiò a terra i piedi. Un uomo nudo dalla cintola in su, senza capelli, bagnato dal sudore, probabilmente febbricitante se non peggio, a giudicare dal tanfo. Ma era massiccio, con muscoli possenti sotto la pelle pallida. Una mosca prese a ronzargli attorno, finché non la afferrò con uno scatto della mano e se la avvicinò alla bocca spalancata. Ma prima di inghiottirla richiuse la bocca e la lasciò scappare. Ronzò nell'aria fino a raggiungermi, e cadde morta tra le mie ginocchia.

    Un fiume c'è sempre, deve esserci.

    Disse infine.

    Ti hanno mandato per uccidermi. Perchè?

    Sei un assassino.

    Ho visto cose orribili, cose che hai visto anche te. Ma non avete il diritto di chiamarmi assassino. Avete il diritto di uccidermi, questo sì, ma non avete il diritto di giudicarmi. Non esistono parole per descrivere lo stretto necessario a coloro che non sanno cosa significhi l'orrore. L'orrore ha un volto e bisogna essere amici dell'orrore. L'orrore ed il terrore morale ci sono amici. In caso contrario allora diventano nemici da temere. Sono i veri nemici... Combattiamo una guerra contro i nostri nemici, tutto qui.

    Chi sono i tuoi nemici?

    I miei nemici... i miei nemici... Ti racconto una storia. Ero con la mia divisione, ci stavamo occupando di una piccola comunità. Non dovevamo essere lì, eravamo in territorio nemico. Se ci avessero visti, ci avrebbero uccisi immediatamente, senza processi, senza sentenze. Una lama sui nostri colli... la nostra testa divorata dal fango... Ma ci avevano ordinato di occuparci di quella comunità, perchè i bambini di quel piccolo villaggio stavano morendo, e se non li avessimo guariti noi, non l'avrebbe fatto nessun altro. In tempi di guerra, nessuno si preoccupa dei bambini, tranne noi. Eravamo degli eroi...
    Curammo quei bambini, liberandoli dalle loro malattie, fra le lacrime di gioia delle loro madri ed i ringraziamenti dei padri. Infine ce ne andammo, riscaldati dall'idea di aver fatto del bene. Eravamo degli eroi...
    Lungo il tragitto, un grido alle nostre spalle ci fece fermare. Ci voltammo, una delle madri del villaggio correva esausta verso di noi. Era coperta di sangue, e gridava, gridava graffiandosi la gola, il volto il petto, mentre si accasciava ai nostri piedi. Non era nemmeno capace di spiegarci il perchè. Capimmo solo "i nostri figli". Tornammo alla comunità, rischiando più di prima di essere scoperti dai nemici. Quando arrivammo... i bambini erano lì, appesi in fila tra due alberi, penzolando per i polsi. Tutti i trenta bambini che avevamo salvato penzolavano per i polsi, in un lamento tremendo. Gli erano stati tagliati i piedi, ad ognuno di loro, di modo che morissero dissanguati lentamente sotto gli occhi della comunità. I piedi giacevano in un mucchio fetente sotto di loro. Questa era la punizione che avevano subito per aver accettato le cure del nemico. Li avevamo salvati, o li avevamo uccisi? Eravamo degli eroi, o degli assassini? E chi erano davvero i nostri nemici, e chi i nemici dei nostri nemici? Ed chi erano i nemici delle madri private dei loro figli? Chi era il nemico, se non noi...?
     
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  2. Anselmo
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    -[ X ]-


    Si asciugò il volto con un panno, se lo passo sul cranio lucido e sulle spalle possenti. Poi si sollevò, ponendosi difronte al lume, le mani unite sotto il ventre ed il capo ben eretto, osservandomi dall'alto dei suoi due metri. Non potevo indovinare la natura della sua espressione, le impercettibili movenze del corpo che avevo imparato a leggere per scrutare nell'animo della gente, perchè l'unica e debole luce lo investiva da dietro, trasformandolo in un'ombra nera. E comunque il dolore mi impediva di sollevare lo sguardo per più di qualche attimo.
    Sputai sangue sul pavimento.

    Dovresti chiamarmi "Signore", soldato. Ufficialmente, ero un Anbu Black Ops dei migliori, prima che accadesse...

    E ufficiosamente...?

    Ufficiosamente... ufficiosamente ero tante cose, già. Cosa ti hanno raccontato di me? Ti hanno mandato qui a casa mia per uccidermi, senza nemmeno dirti il perchè? E dimmi, si tratta di una missione ufficiale, o di una missione "segreta"... come quelle che a loro tanto piaceva assegnarmi?

    Mi hanno inviato in missione segreta.

    Non è più tanto segreta oramai, non credi? Cosa ti hanno raccontato?

    Mi hanno detto che eri completamente impazzito, che i tuoi metodi sono malsani.

    Una risata sguaiata simile al latrato di una bestia inferocita, interrotta da una violenta tosse, di quelle che presagiscono una fine anticipata.

    Mi hanno usato per i loro sporchi affari per anni, ho versato il sangue di giovani, vecchi, donne, infanti... animali. Poi, quando non facevo più comodo, gli stessi che mi avevano riempito la testa di promesse e le tasche di denaro, mi accusarono di omicidio. Per concludere in fretta, senza destare sospetti, proposero di graziarmi risparmiandomi la forca, e limitandosi a mandarmi in esilio. La giuria accettò subito, era conveniente per tutti e pensavano di essere stati misericordiosi. Ma io ero innocente, avevo solo eseguito gli ordini. Così me ne andai, privato di tutto meno che della mia vita. Ricominciai da capo, ricominciai qui, mi costruii la mia casa, istruii i miei figli coi giusti principi. Ed ora mandano te per togliermi di mezzo definitivamente, dicendoti che i miei metodi sono malsani? I MIEI?! D'AAHHAHA!
    I miei metodi sono malsani, Nonubu?


    Mi domandò in un sussurro. Nella mia mente balenarono le immagini del mio arrivo nel luogo, confuse, sovrapposte, surreali. Fitta vegetazione bagnata dalla pioggia torrenziale, fango fino alle caviglie, teste legate ai tronchi come i diamanti di una collana, il fiume in procinto di straripare con la potenza di un Dio che avrebbe sradicato tutta quella giungla, scimmie urlanti, pipistrelli in cerca di rifugio, cadaveri gonfi e parzialmente putrefatti tornati a galla dalla melma, ancora teste, ancora vegetazione, il fiume che scorreva fragoroso, i pipistrelli, cadaveri...
    Poi le punte di lancia ci avevano circondato come le fauci di un alligatore gigante. Non avevo fatto in tempo a voltarmi che un colpo si era abbattuto sul mio costato riducendomi all'impotenza, ed un secondo colpo sul mio capo, privandomi della coscienza, mentre i miei uomini... i miei uomini...

    D-Dove sono... i miei uomini?!

    Sollevai lo sguardo quel tanto che bastava per imprimermi nella mente il suo corpo immobile come una statua. Non volle rispondere, ma dopo qualche lungo istante, si avvicinò e mi girò accanto. Sentii qualcosa di freddo premermi sulla pelle, ed un attimo dopo ero stato slegato. Quindi si allontanò nuovamente, diretto verso una parete. Un forte cigolio e le ante di una finestra vennero spalancate. Una lama di luce lunare tagliò l'oscurità della stanza, l'uomo si riposizionò difronte al lume, le braccia conserte.
    Fissai la finestra, fissai la luna. Mi feci forza e mi sollevai, cercando di dirigermi verso di essa con l'equilibrio che mi tradiva. Raggiunta la finestra, guardai giù. La nebbia era rossastra per le fiaccole che vi bruciavano in mezzo, turbinava sopra uno spiazzo di terra nuda circondato da alberi. Poi il vento la trascinò via, rivelandomi una folla di gente che si accalcava come decine di iene intente a contendersi una carcassa. E quando si dispersero, ciò che vidi furono soltanto i resti indistinguibili di qualcosa che una volta era stato umano. Il branco che li aveva dilaniati era ora intenta ad inchiodare, legare, o cibarsi delle parti del corpo che erano riusciti a staccare dai miei uomini.

    Allora, i miei metodi sono malsani?

    Mi voltai verso di lui.

    Io non vedo alcuno metodo... signore.

    Hm. Ben detto. Quando ti ho raccontato dei bambini mutilati dopo che avevamo salvato loro la vita, non ti ho spiegato la cosa più importante, ciò che imparai quel giorno. Ero lì, a contorcermi nel fango, piangendo in modo forsennato nel tentativo di cancellare tutto ciò che mi circondava. Ma poi qualcosa mi colpì, fu come se la mia mente fosse un vaso che cadendo si era frantumato, rivelando ciò che conteneva. Mi alzai e pensai: "mio Dio, che genio c'è in questo, che genio, che volontà per far questo. Perfetto, genuino, completo, cristallino, puro." E così mi resi conto che gli esseri che avevano compiuto quel massacro erano più forti di noi perché loro lo sopportavano. Questi non erano mostri, erano uomini, menti addestrate. Uomini che combattevano col cuore, che avevano famiglia, che facevano figli, che erano pieni d'amore ma che... avevano la forza, la... forza di far questo. Pensai: "se io avessi dieci divisioni di questi uomini, i nostri problemi, qui, si risolverebbero molto rapidamente." Bisogna avere uomini con un senso morale ma che allo stesso tempo siano capaci di utilizzare i loro... primordiali istinti di uccidere senza emozioni, senza passione, senza... discernimento. Senza discernimento. Perché è il voler giudicare che ci sconfigge...
    Ecco, questo è ciò che vedi, ciò che ti circonda, che io ho creato... dal nulla!
     
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  3. Anselmo
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    Uomini che accettano ciò che fanno. Non mentono a se stessi, coprendo la verità con false scuse... Eseguo solo gli ordini, ho dovuto farlo, o loro o noi, a me non piace uccidere... No, solo la verità, la pura e semplice verità. Uomini completi.

    Non sapevo cosa mi avesse spinto a dirlo. Le immagini evocate da quel racconto non mi erano estranee, e così le emozioni. Conoscevo quella sensazione che ti colpiva come un maglio sconvolgendo tutto ciò in cui credevi, conoscevo il desiderio che ne conseguiva.
    Lo osservai, nella sua immobilità, finchè non disse:

    Ti aspettavo, ti aspettavo da lungo tempo. Finalmente sei arrivato... Ora tutto avrà fine...

    Nel dirlo aveva allargato le braccia e rivolto il viso al soffitto. Dubitai si fosse rivolto a me. Sorrideva ora, gli occhi allucinati in chissà quale visione.
    Senza preavviso mosse lunghi passi, attraversando come un'ombra la stanza scura. Quindi afferrò i battenti del portone e li spalancò con forza, investito da un muro di nebbia che si aprì attorno al suo corpo penetrando nella sala. Attraversò l'uscita e sparì alla mia vista.
    Mi guardai attorno, vagamente incredulo. Ero solo, ero libero, potevo scappare. Scappare? No, ero arrivato troppo vicino per tirarmi indietro proprio in quel momento. Dovevo compiere la missione. Ma era davvero ciò che volevo? Non seppi rispondere. Decisi di seguire l'istinto, se così si può chiamare quel desiderio che mi spingeva a seguire i passi dell'uomo. Zoppicante e con una mano premuta sulle costole, attraversai l'uscita. La nebbia era fitta, punteggiata dalle fiaccole allineate sui due lati. Le stelle impossibili da vedere, ma la luna era lì, una perla ammantata di velluto. Ai miei piedi una scalinata scendeva sparendo alla vista, bagnata dalla pioggia torrenziale che scorreva generando cascate ad ogni scalino. Cominciai a scendere, il più velocemente possibile, ma il massimo che le mie condizioni mi permisero fu un passo d'uomo leggermente affrettato. Dopo quelli che mi parvero tanti, troppi scalini, giunsi infondo, ed affondai i piedi nel fango. Mi fermai un'istante. Attorno a me solo fiaccole lontane che infiammavano la nebbia, il fragore violento della pioggia e silenzio. Mi voltai indietro, la scalinata inghiottita dalla nebbia. Decisi di avanzare, cercando di ignorare le numerose ferite. Mi trascinai in quella poltiglia che mi risucchiava i piedi, cercando contemporaneamente di fare in fretta, di non emettere troppo rumore, di rimanere lucido e allerta, e di non farmi sopraffare dai traumi del mio fisico.
    I miei occhi saettarono a destra ed a sinistra senza sosta, finché non si posarono su quella che mi parve una figura umana nascosta nella nebbia. Ma mi accorsi di cosa avevo visto solo dopo aver distolto lo sguardo, e quando tornai a cercare l'ombra... solo nebbia. Ripresi ad avanzare, ma ben presto ebbi nuovamente la stessa impressione. Mi fermai guardandomi attorno. Abbassai per caso gli occhi, e mi accorsi che ai miei piedi, semi-sommersa nel fango, giaceva un'accetta. Mi abbassai e la raccolsi, impugnandola col braccio buono. Mentre mi rialzavo a fatica, una ventata calda mi scompigliò i capelli fradici, disperdendo la nebbia per qualche momento. Attorno a me una massa gigantesca di uomini a formare un muro da cui non potevo sfuggire. Sputai il grumo di sangue e catarro che mi si era bloccato in bocca, deglutii e sollevai l'accetta, pronto ad abbattere chiunque mi si fosse avvicinato. Erano armati anche loro, ma rimasero immobili, i volti impassibili rivolti verso di me. La nebbia li inghiottì e fui nuovamente solo. Ma ci fu una seconda ventata, e questa volta comparve l'uomo della stanza, quello che avevo il compito di uccidere. Era difronte a me che mi guardava minaccioso dall'alto dei suoi due metri, con un'arma uguale alla mia impugnata nella sinistra. Schiuse le labbra nel peggior sorriso che avessi mai ricevuto, e dalla bocca esalò caldo vapore. Le gocce di pioggia gli esplodevano sulla testa pelata e sulle spalle nude, dandomi l'impressione che fosse una statua di bianco marmo inamovibile. Poi, senza il minimo preavvisò, sollevò l'accetta e la calò in un'ampio arco diretta verso di me. La mia risposta fu repentina, ed intercettai il colpo con la mia accetta. L'uomo ne uscì disarmato e privato di tre dita, che volarono ricadendo nel fango, presto inghiottite in un putrido gorgoglio. Lunghi fiotti di sangue sferzarono l'aria tra di noi, prima che si afferrasse la mano menomata stringendola nel pugno. Ora non sorrideva più, ma non seppi dire che genere di sensazione mi trasmettesse il suo sguardo, fermamente fisso nei miei occhi. Mosse un passo in avanti, e la mia accetta sibilò nell'aria come dotata di vita propria, piantandosi in profondità nel suo ginocchio, che cedette sotto il suo peso. Colpii nuovamente alla scapola e quando fu in ginocchio, gli piantai la scure nel collo. Lì rimase mentre l'uomo, affogando nel suo stesso sangue, cadde a faccia in giù nel fango, scosso da contrazioni spasmodiche. Poggiai la suola sulla sua nuca e premetti, facendo affondare l'intera testa nel fango. I rantoli terminarono, giacque immobile. Rimasi con lo sguardo basso, ad osservare il corpo che avevo appena privato della vita con tanta facilità, troppa. E capii... capii che voleva solo andarsene da soldato, in piedi. Non come un povero pazzo cencioso e rinnegato.
    La nebbia attorno a me si diradò per l'ultima volta; ero circondato da una corona di cadaveri dalla gola recisa.

    [...]


    Mi svegliai con il materasso fradicio di sudore e le lenzuola attorcigliate attorno al corpo. Avevo il respiro corto, ed il cuore che batteva in modo infernale. Mi afferrai il petto, incidendo la pelle con le unghie, finchè il dolore non riuscì a distogliermi dal profondo turbamento che mi ammorbava l'anima. Non ricordavo cosa avevo sognato, ma ero certo dovesse trattarsi di qualcosa di orribile, talmente orribile da potermi spaventare. Erano anni che non provavo autentico terrore e, per quanto mi piacesse pensarlo, nemmeno quello era autentico terrore. Ma mi ci volle più di qualche minuto per rimuovere gli effetti spiacevoli con cui quell'incubo mi aveva colmato.
    Infine mi raddrizzai sul letto, mi scostai i capelli dal viso e ruotando su me stesso poggiai i piedi nudi sul freddo pavimento bianco. Mi alzai e mi diressi alla finestra, respirando profondamente l'odore di umanità che emanava il Villaggio della Foglia, esteso sotto il mio sguardo. Qualcuno bussò brevemente alla porta della stanza, per poi varcarla senza tanti complimenti. Mi volati, scrutando il volto flaccido di un vecchio bardato con vesti regali.

    Allora?

    Domandò, la voce tremolante.
    Abbassai lo sguardo sulle mie mani e sul mio corpo, aspettandomi di vederlo bagnato del sangue di quell'uomo, una risposta che sarebbe certo bastata agli occhietti avidi di quel membro del Consiglio degli Anziani che era venuto a farmi visita in ospedale. Ma vidi soltanto candide bende strette laddove i medici avevano operato. Quindi risposi con il tono di chi è privo del minimo entusiasmo:

    Missione compiuta, signore...

     
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    Io vengo dalla luna che il cielo vi attraversa e trovo innopportuna la paura per una cultura diversa

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    Prendi il max, ben narrata e mi è piaciuta molto :sisi:
     
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3 replies since 7/7/2015, 14:33   105 views
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