Amore paterno

Anyone, cagnellone e Revan

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    Mi richiusi la porta alle spalle con l'affanno più totale, con la paura di essere stato scoperto da quella sottospecie di creatura non identificata che mi faceva raggelare il sangue nelle vene.
    Non sapevo se gli altri ragazzi si trovavano nella mia stessa situazione o anche peggio, però sapevo di non dovermi preoccupare di loro, per il momento dovevo pensare solo a me.
    Aspettai che il battito cardiaco si calmasse e che il fiatone scomparisse, poi, aprii gli occhi e mi accorsi di qualcosa di estremamente strano.
    Quella era l'unica stanza in tutto l'edificio ad essere in qualche modo illumnata... che fosse un caso?? O qualcuno mi aveva lasciato una briciola sulla quale indagare?
    Respirai a fondo, e l'odore inebriante dell'inchiostro sulle pagine, l'odore delle pagine stesse, l'odore di storia mi inondò le narici provocandomi dei colpi di tosse dalla quale pensai di non riuscire a salvarmi, ma in realtà, ero semplicemente al sicuro.
    E il fatto che quella fosse l'unica stanza illuminata, mi fece pensare subito che al suo interno si fosse nascosto qualcuno, quindi, camminai tra i vari scaffali alla ricerca di qualcosa d'interessante, ma in realtà i miei occhi ricercavano una finestra o una qualche feritoia dalla quale poter guardare la situazione fuori dalla casa e capire se era realmente possibile fuggire da quella stanza, ma non vi era assolutamente nulla.
    Solo libri su libri, accatastati alle volte ordinatamente ed altre volte disordinatamente.
    Era tutto un casino quel posto.

    Non c'è nulla qua dentro... diamine!!

    Seppur non ci fosse nulla all'interno di quella stanza, cominciai a far uscire qualche libro dal suo scomparto, e cominciai a leggere il titolo sulla copertina.
    Inutile dire che erano tutti ben poco interessanti.
    Stavo cercando qualcosa che mi sarebbe potuta servire per la mia missione, non per far addormentare una bambina o per viaggiare chissà dove.
    In quel luogo non vi era assolutamente nulla che mi sarebbe potuto essere utile, quindi, all'ennesimo libro che feci uscire, non diedi neanche uno sguardo alla copertina, lo uscii e lo riposai subito all'interno.
    Era oramai più di mezz'ora che cercavo, quando ad un tratto, la mia curiosità venne rapita da un palese album di famiglia.
    Non saprei dire perchè, ma la curiosità fu tale da spingermi ad afferrarlo e a sfogliare sin da subito la prima pagina ove trovai una grande foto in bianco e nero dalla quale non risaltava alcun colore, aiutati anche dalla fioca luce delle lampade.
    La foto era piuttosto vecchia, ma non m'importava quello, la cosa che mi catturò, fu la foto in se, ovvero le persone raffigurate.
    Un uomo ed una donna che stavano seduti su di un telo con un grande prato sotto di esso.
    La bellezza della donna mi colpì subito come un pugno in pieno volto, e per quanto non mi intendessi dell'altro sesso, anche l'uomo sembrava piuttosto bello.
    Tra le braccia della donna e dell'uomo si scorgeva poi la faccia di una ragazzina di massimo due o tre anni che sorrideva in modo divertito.

    I Drevis in una scampagnata direi... che diamine sarà successo poi?...

    Richiusi velocemente l'album e nel posare il libro, mi cadde dalle mani, producendo un suono sordo all'impatto del libro contro il terreno.
    Mi abbassai per riprendere il libro, e mi accorsi di uno scaffale praticamente nascosto, dove vi era un libretto che assomigliava molto ad un diario.
    Lo afferrai senza paura ma la mia mano si sentì subito raggelare.
    La stanza cominciò a diventare velocemente sempre più fredda, ma senza ulteriori indugi, aprii la prima pagina del diario, cominciando a rabrividire.
    Vi era solo qualche parola e qualche disegno raffigurato sul diario, ma il problema era il cosa era raffigurato nei disegni. Animali squartati sotto tortura e sotto strane operazioni chirurgiche.
    Non capiuvo nulla di medicina, ma ad ogni pagina che voltavo sembrava quasi che fosse sempre più vicino ad una specie di cura medica o qualcosa del genere.
    Ma a quanto pareva, gli animali non bastavano più per gli esperimenti. Adesso toccava agli esperimenti su gli esseri umani. Difatti, adesso, il diario era pieno di disegni di perosne smembrate, putrefatte e mutilate, sembrava quasi di poter sentire il dolore che avevano provato semplicemente guardando quel piccolo diario.
    In poco tempo arrivai all'ultima pagina, ma stranamente... mancava!
    Era stata strappata via con un colpo netto. Qualcuno stava cercando di nascondere qualcosa. Qualcuno stava cercando di non farsi scoprire. Probabilmentw qualcuno che era gia stato citato all'interno del diario, quindi, tornai alla prima pagina e ricominciai a leggere il tutto attentamente, seppur non ci capissi nulla.
    Ma dalle poche parole che si capivano all'interno dello scritto, il pazzo che faceva quegli esperimenti, sembrava alla ricerca di qualcosa.

    E mi sa proprio che l'ha trovata!!!

    Uno strano senso d'inadeguatezza cominciò ad afferrarmi il corpo, quasi come se io non avessi più nulla a che fare con quel luogo, quindi, m'infilai il libricino in uno dei miei taschini e feci per uscire.
    La porta era diventata un pezzo di ghiaccio e le farfalle della porta cominciarono a cigolare fino a quando non me la richiusi alle spalle.
    Il gelo se n'era andato e con esso... anche qualsiasi cosa ci fosse al suo interno.
    Ma, forse era ancora nei paraggi, quindi, preferii entrare all'interno del bagno, chiudendomi la porta alle mie spalle per l'ennesima volta.
    La stanza era tutto il contrario dell'archivio accanto. Era freddo e buio. L'unica fonte di luce era la mia piccola fiaccola, poi, ci sarebbe stato solo il nulla li dentro.

    E questo sarebbe un bagno??


    Non c'era nulla. Assolutamente nulla. La stanza era totalmente spoglia se non fosse stato per una vasca da bagno di porcellana.
    Aspettai qualche secondo, e i miei occhi cominciarono ad abbituarsi all'oscurità del posto.
    All'interno della vasca da bagno vi era uno specchio immobile di liquido scuro come la notte. Mi avvicinai un po' di più, alla ricerca del sapere cosa ci fosse all'interno. Ma aimèh, avrei preferito non saperlo.
    Quello, era una vasca ricolma di liquido scarlatto. Al suo interno... vi era tranquillamente il sangue di molte persone.
    Ma ad un tratto, delle bollicine cominciarono a risalire dallo specchio di sangue, facendolo ribollire e facendolo rovesciare in terra e una mano scarnificata cominciò a riemergere dal lago di sangue. feci un paio di passi indietro cercando di capire cosa potessi fare, ma il corpo di quel mostro era oramai totalmente fuoriuscito dalla vasca e sui avvicinava a me strisciando lentamente.
    Non cercai nemmeno di capire cosa fosse realmente, che allungai la mano verso quella creatura e feci fuoriuscire un unico raggio laser verso la sua testa e il suo collo, per far si che almeno non avesse più la possibilità di muoversi. Sapete... era già morto in realtà.

    Resistenza: 400
    Stamina: 450 -20= 430

    Azioni:
    -Laser alla testa ed al collo (cercando di prenderlo con uno solo in tutti e due i punti)


    Questo post è stato un parto e seppur faccia schifo ho deciso di postarlo, è una settimana che ci lavoro (giù di lì hahha) e non riesco a migliorarlo, perciò... eccovelo ahhaha Scusa Cagne per l'attesa :sigh:
     
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    "Chi sia io non è importante - è il mio messaggio ad esserlo."

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    DorianAshford - Ultimo degli Immortali


    Nella casa regnava un silenzio spettrale, non una sola mosca si sentiva ronzare, nessun rumore di legno calpestato sotto ad i miei piedi, solo il rumore delle fiamme che bruciano sulla mia torcia, non era un buon segno.
    Avevo deciso di salire le scale e raggiungere il secondo piano, girando a sinistra una volta salita la scalinata, mi ritrovai in un lungo corridoio, il pavimento era di legno e pochissimi addobbi decoravano i muri, qualche quadro qua e la ed un comodino sul quale era appoggiato un vaso con dei fiori, ormai appassiti da tempo, si vede che nessuno se ne era preso cura da un po, ma forse non era quello il motivo, forse erano semplicemente morti a causa di quello che era successo in questa casa, era facile farsi suggestionare da quel luogo, si respirava morte, e se lo dice un assassino professionista, fidatevi che è così.
    Riuscivo quasi a sentire l'odore del sangue che trasuda dai muri lignei e dal parquet sotto i miei piedi, mi immagino qualcuno che viene trascinato lungo il corridoio, con la gola mozzata, lo ricreo nella mia mente, vedo un cadavere che viene trascinato, la torcia mi fa luce ed io illumino il pavimento, nessun segno di trascinamento, nessun graffio dato da unghie, unghie di qualcuno che cerca, invano, di opporsi al suo assalitore, che lo trascina inerme verso la dolorosa fine.

    Mi sto facendo suggestionare dal posto, non è da me, devo rimanere calmo ed analizzare la situazione..

    Ripeto nella mia testa, mentre, dopo essere arrivato a metà corridoio, noto due porte, una davanti all'altra, in quella alla mia destra c'è una targhetta con scritto "Aya".

    La camera della bambina..

    Penso, mentre muovo qualche passo verso la porta, sicuramente dentro quella stanza avrei trovato le risposte a quello che era successo qui, la bambina si presuppone che abbia scritto la lettera mentre era asserragliata dentro la sua cameretta, qualunque cosa la stesse braccando dev'essere riuscita ad entrare e a prenderla, cosa le sia successo però davvero non potevo immaginarlo.
    D'un tratto, un vento gelido si insinua dentro il mio kimono, ed un brivido di freddo parte dal mio collo ed arriva fino alla fine della schiena, facendomi sobbalzare, un brutto presentimento mi balzò alla testa, tant'è che mi voltai verso il fondo del corridoio, scrutando qualcosa che gelò il mio sangue nelle vene.
    Due figure dalla forma a dir tanto antropomorfa si erano palesate, non riuscivo a vedere bene il loro volto, ma il mio udito superiore al normale mi permise di percepire un verso...un rantolo di agonia provenire dalle loro bocche, un rantolo di dolore e sofferenza, accompagnato da un avanzata lenta e trascinato, e da un indebolimento sempre maggiore della luce della mia torcia.
    Non potevo muovermi, non sarei riuscito a farlo nemmeno volendo, man mano che quelle...cose...si avvicinavano, riuscivo a cogliere sempre più dettagli, cominciando anche a capire che quello che era successo qui, era molto peggio di quello che chiunque di noi poteva aver anche solo immaginato.
    Una di esse aveva la pelle del viso totalmente scarnificata, come se fosse stata passata più volte con una grattugia o con delle carta-vetro, pelle morta in putrefazione, cominciai addirittura a percepire un odore forte di carne marcia, a conferma id quello che vedevo.
    La parte sinistra del corpo era un ammasso di carne marcia e cuciture fatte con un filo spesso e resistente, non c'erano più ne la gamba sinistra ne il braccio sinistro, camminava saltellando sulla gamba destra, con la testa china e lo sguardo vuoto.
    I denti erano affilati come rasoi e posizionati quasi a casaccio nella bocca, con una lingua gonfia e nera dietro di essi, lingua che buttava sangue giù per la gola, dando un senso ancora più macabro e putrido a quella informe creatura, ma se essa era contemporaneamente terrificante e amorfa, quella che la seguiva era degna di un romanzo di Mary Shelly.

    ...mio dio...

    La creatura sulla destra non aveva la forma di un essere umano, benchè fosse assemblato con parti di esso.
    Camminava a quattro zampe, come i bambini appena nati, solo che il busto era rivoltato, dunque con la schiena verso il basso e dil petto verso l'alto, anche le braccia e le gambe erano state modellate per essere funzionali a quel tipo di busto, solo la testa era rimasta al suo posto, dando a quella creatura un aria grottesca e mostruosa.
    Tutte quelle cuciture sul corpo facevano pensare a dei corpi assemblati con parti umane...dei grotteschi esperimenti di un fosse scienziato, forse un esperimento per riportare in vita un corpo deceduto, o forse dietro c'era qualcosa di ben più oscuro.
    Le creature si avvicinavano sempre di più, la loro camminata era lenta e goffa, ma inesorabile, stavano per raggiungermi, dovevo fare qualcosa.
    La prima cosa che mi balenò per la mente fu quella di spalancare la porta e chiudermi nella stanza della ragazza, ma così mi sarei ritrovato nella stessa situazione di essa, barricato in un luogo chiuso ad aspettare che le creature sfondino la porta, dunque la fuga era esclusa, l'unica via era la battaglia, ma proprio appena realizzai che avrei dovuto combattere, la torcia esalò il suo ultimo respiro, ed il buio calò nel corridoio, questa volta non accompagnato dal silenzio, mai dai mugolii e dai lamenti di quelle creature, i cui occhi, bianchi come il latte, divennero l'unica cosa luminosa in tutto il corridoio.
    Appena mi furono abbastanza vicine, cercarono entrambe di saltarmi addosso, quei denti avrebbero dilaniato qualunque essere umano con un solo morso, non potevo farmi prendere per nessun motivo al mondo.
    La prima creatura, quella dalla forma più umana, che camminava su una sola gamba, mi saltò addesso per prima, cercai di evitarla gettandomi all'indietro, verso le scale dalle quali ero arrivato, sguainando nel mentre la mia katana, O'Ren.
    La seconda creatura mi fu addosso quasi immediatamente, cercò di afferrarmi il braccio destro saltandomi addosso, facendo mossa su tutti e quattro gli arti su cui poggiava il suo peso, il cercai di difendermi con la katana, proteggendomi dal suo attacco con un movimento evasivo della katana, parando il suo colpo con la parte piatta della lama.
    Non appena terminato il contrattacco, la katana si sarebbe mossa rapida e letale, con una serie di fendenti atti a tranciare di netto il corpo di quella aberrante creatura, per poi dedicarsi alla seconda, quella dalla forma leggermente più umana.
    cercai di tagliare la testa di essa con un fendente altrettanto rapido, il tutto era reso più difficile dalla quasi totale assenza di luce, ma il mio udito mi aiutava un po a capire le distanze e gli ostacoli che avevo davanti, una vera manna dal cielo.
    Se fossi riuscito a liberarmi in fretta delle creature mi sarei diretto nella stanz adi Aya, per scoprire cosa conteneva la stanza dove, probabilmente, la ragazzina era scomparsa dopo esservisi rifugiata.



    Status di Dorian
    Scheda Dorian


    • Resistenza: 450-1-1-35-1= 411
    • Stamina: 200
    • Azioni Eseguite:
    • Schivata all'indietro sull'attacco della prima creatura.
    • Parata con la Katana sulla seconda creatura (busto storto).
    • "Lame Concatenate" sulla creatura dal busto storto.
    • Fendente alla testa della prima creatura per decapitarla.

     
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    Maria


    La giovane donna singhiozzava ininterrottamente, sostenuta dal ragazzo che le stava accanto. La sua presenza non la stava danneggiando in alcun modo, per cui, anche se a rilento, cominciò a calmarsi. Le parole di Xavier, inoltre, erano gentili e sembravano quasi farla tornare sulla terra. Qualsiasi fosse stato lo shock subito, la giovane domestica si stava riprendendo. I grandi occhi verdi brillavano tra le lacrime e il suo profumo emanava bontà. Mille interrogativi occupavano la mente dello Shinobi che desiderava fare chiarezza sulla situazione.

    Calma, calma, stai tranquilla, è tutto finito. Sono qui per aiutarvi, non hai più nulla da temere, quindi voglio che adesso ti calmi e mi racconti tutto quel che c'è da sapere su questa faccenda, tutto quello che mi sarebbe utile sapere su questo strano luogo...

    Maria singhiozzò di nuovo, tentando di calmarsi. Le spalle sussultavano ma aveva ripreso a respirare, seppur con la bocca, innaturalmente. Xavier, però, non aveva fretta e non voleva metterla sotto pressione. Doveva essere abituato a situazioni del genere, perché l'altra si calmò sempre di più.Il suo volto rosso per il pianto si spense, diventando di un colore bianco, candido come la neve. Sembrava uscita da una fiaba, quella giovane, tanto era sconcertante la sua bellezza.

    Senza fretta, inizia dicendomi il tuo nome...

    ... M-mi chiamo Maria...

    Avanti, continua...

    Io....

    Scoppiò di nuovo in lacrime e allo Shinobi toccò aspettare e calmarla di nuovo, sempre più desideroso di capire cosa stesse accadendo. Poi, dopo cinque o sei minuti, Maria trasse un profondo respiro, chiuse gli occhi e buttò fuori l'aria con la bocca. Si era finalmente calmata, seppur restasse spaventata e confusa.

    Non so cosa sia successo... Ci sono questi strani esseri e-e-e questo posto...!! Oh! Non so neanche perché sono qui!! Ad un certo punto mi hanno inseguita e non ho trovato altro posto dove nascondermi!! Qui è tutti così orribile... ho tanta paura!! ... Sono sollevata che sia stato tu a trovarmi e non uno di quei...
    ...
    Sei qui da solo? È davvero pericoloso, dovresti andartene! Quegli esserei sono troppo... troppo per te! Se però avessi dei compagni, forse c'è una possibilità... Ma a questo punto... Quei... quei...
    Questi m-mostri... penso che c'entri qualcosa con...


    Il Signor Drevis, avrebbe pensato chiunque. Dorian aveva supposto che si trattasse di alcuni suoi orribili esperimenti. Yudai aveva ritrovato un diario contenente appunto riguardo operazioni abominevoli sugli essere umani. Ma Xavier, in quel momento, scoprì un altro, curioso, punto di vista.

    Monika... La defunta moglie del Signor Drevis... Questa deve essere una maledizione.. una maledizione...

    Rabbrividì e i suoi occhi si spensero. Si strinse forte le braccia al petto e cominciò a fissare il vuoto davanti a se, terrorizzata. Ripeteva continuamente la parola "maledizione", senza aggiungere altro. Fu inutile per Xavier cercare di farla rinsavire. Ormai la ragazza era completamente shockata. Era giunto il momento per il Ninja di prendere in mano la situazione e fare luce sulla faccenda.

    Bagliore


    Per Yudai, quella notte, l'oscurità, per ben due volte, fu illuminata da un bagliore tenue. La prima volta fu consenziente. L'essere strisciante sul pavimento del bagno rantolava mentre l'attrito del suo corpo sulla superficie del pavimento viscido e coperto di sangue emetteva un rumore fastidioso e appiccicoso. Si avvicinava al ragazzo dai capelli scuri. Strisciava con il corpo inumano, grondante di sangue suo e di altri. Il bagliore fu generato da un laser. In quel modo, il giovane Shinobi utilizzò il raggio contro l'essere che non poté difendersi in alcun modo. Si udì il rumore di carne e ossa lacerate, poi Yudai poté vedere con i suoi occhi il risultato della sua azione. Il mostro era immobile, ma la testa era stata tagliata all'altezza della bocca, orizzontalmente, sicché la parte superiore penzolava all'indietro, scoprendo tutte le interiora marce di cui era fatto il cadavere. Emanò immediatamente un puzzo nauseabondo che per poco non provocò un conato al ragazzo. Non c'era più nulla da fare in quel posto, così uscì fuori. Il freddo lo avvolse istantaneamente e l'oscurità lo inghiottì. Solo la luce della sua torcia illuminava quel corridoio buio e.. silenzioso? C'era qualcosa di innaturale in quel posto. Fu allora che Yudai incontrò il secondo bagliore. Era una luce chiara e tenue al contempo, azzurrina, senza corpo. Una piccola sferetta di luce, alla fine del corridoio. Era immobile e sembrava respirare poiché brillava ad intermittenza, come una stella. Sembrava quasi chiedere al ragazzo di seguirla. Fu quando lui fece un passo in avanti che essa si allontanò un poco, e lui capì dove voleva portarlo. A destra, alla fine del corridoio, c'era una svolta. Ma non era solo. Una sensazione di terrore iniziò a strisciare sulle pareti mentre il silenzio veniva interrotto da risolini agghiaccianti e malefici. Sussurri femminili, centinaia di sussurri che potevano sconvolgere la mente con la loro follia. E la luce invitava Yudai a buttarcisi in mezzo. Stava al ragazzo scegliere.

    Stanza


    CITAZIONE

    Responso nr. 1


    Attacco ???:
    - Attacco: 100+1+10= 111 contrastato

    Attacco ???:
    - Attacco: 100+8+10= 118 contrastato

    Difesa Dorian:
    • Schivata: 170+6+7-10= 173 riesce!
    • Parata: 170+7+7-10= 174 riesce!
    • Lame Concatenate: 170+13+2+7-10= 182 riesce!
    • Fendente: 170+3+7-10= 170 riesce!

    Danni:
    Dorian: //
    ???: K.O.
    ???: K.O.

    La lama della katana tranciò di netto la pelle molle dei due mostri. Schizzi di sangue nero come la pece imbrattarono l'arma con quella sostanza calda e appiccicosa. Si sentirono tre tonfi e i mugolii cessarono. I corpi aperti emanarono un odore nauseabondo di carne marcia e interiora putride. Il monaco non aveva avuto bisogno della luce grazie alle sue particolari abilità nel combattimento. Rinfoderò la lama sporca e poggiò una mano sul pomello di una porta. Era aperta e vi entrò dentro. Era illuminata da due modeste fiammelle che rendevano il tutto spettrale, ma permettevano almeno di vedere cosa vi fosse all'interno. Era la stanza di Aya Drevis. Era proprio come ci si aspetterebbe essere una stanza di una bambina di undici anni. Un letto candido, pareti colorate, una scrivania con sopra matite colorate, penne e quaderni. Una piccola libreria in un angolo, un cesto dei giochi, un cassetto pieno di vestiti e, poggiata in un angolo, a terra, una gabbia con dentro una palla di pelo bianca tutta tremante. Il coniglio di nome Pallino sembrava o infreddolito o spaventato, perché le lunghe orecchie bianche erano basse, gli toccavano la schiena. Non c'era nulla di anormale in quella stanza, tutto sembrava in ordine ma, di Aya, non v'era traccia. Dorian avrebbe dovuto continuare a cercare la ragazzina, o magari puntare su altro. Ad ogni modo, lasciò la stanza, reimmergendosi nel buio di casa Drevis.

    @Cagn: carta bianca. Devi comunque scegliere se portarti dietro Maria o no, magari puoi farla uscire dalla casa, devi scegliere tu. Poi scegli dove andare.
    @Any: carta bianca anche tu. Scegli se seguire la luce o andare da un'altra parte.
    @Rev: hai carta bianca, puoi fare tutto quello che vuoi.

    Questo è un giro di post corti, è una cosa voluta, non preoccupatevi. Da il mio prossimo post, vi avverto, che inizierà il conto alla rovescia. Di cosa non ve lo dico, per ora, ma avrete un tempo di turni limite per risolvere il mistero.
     
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    ... M-mi chiamo Maria...

    La ragazza era completamente in panico, le parole strozzate in gola a fatica riuscivano ad emergere dal pianto disperato, il singhiozzo le spezzava il respiro, la mente era annebbiata e il fisico provato. Era sudata fradicia, aveva gli occhi sbarrati e rossastri di chi li ha tenuti aperti a guardarsi intorno per troppo tempo, nonostante la stanchezza di chissà quante ore sveglia nel suo peggiore incubo. L’ho stretta forte, cercando di rassicurarla il più possibile e trovando io stesso in quell’abbraccio un po di conforto per quella situazione così spaventosamente contorta. Non mi aspettavo niente del genere, e a sapere che il peggio doveva ancora venire me ne sarei andato immediatamente, fanculo il malloppo. Per fortuna la ragazza è riuscita poco a poco a calmarsi, trovando la forza di mettere in fila le parole che servivano a spiegarmi quel che sapeva di quella strana storia.

    Io… non so cosa sia successo... Ci sono questi strani esseri e-e-e questo posto...!! Oh! Non so neanche perché sono qui!! Ad un certo punto mi hanno inseguita e non ho trovato altro posto dove nascondermi!! Qui è tutti così orribile... ho tanta paura!! ... Sono sollevata che sia stato tu a trovarmi e non uno di quei...

    Non riusciva a finire la frase, un senso di disgusto le storceva la bocca impedendogli di concludere la sua frase, e nonostante lo schifo le sparisse dal volto dopo qualche secondo, sembrava mancarle totalmente una definizione per quel che aveva visto. Non poteva spiegarmi quel che non conosceva.

    Sei qui da solo? È davvero pericoloso, dovresti andartene! Quegli esserei sono troppo... troppo per te! Se però avessi dei compagni, forse c'è una possibilità... Ma a questo punto... Quei... quei...
    Questi m-mostri...


    Finalmente una parola, anche se mi aspettavo qualcosa del genere. Le sue parole comunque non mi erano gran che di aiuto, non aveva fatto altro che mettermi ancora più ansie riguardo quel posto. Eppure aveva altro da riferirmi, una curiosità che non mi aspettavo affatto. Prima d’allora pensavo infatti c’entrasse il padre della bambina, mentre a sentire la ragazza la causa di quell’inferno era da ricercare in un altro componente della famiglia…

    …penso che c'entri qualcosa con Monika... La defunta moglie del Signor Drevis... Questa deve essere una maledizione.. una maledizione...

    La moglie?! Spiegati meglio, ho bisogno di sapere più cose possibili su questa storia… ma andiamocene da qui, ti riporto di sopra.

    Così ho ascoltato quel che la ragazza aveva da dirmi mentre insieme ripercorrevamo i miei passi verso il salone principale, dove avrei lasciato andare la ragazza dall’entrata principale per poi mettermi alla ricerca di qualcuno dei miei compagni, cercando di percepire la loro presenza nella casa.

    Kerbe decidi tu con chi farmi riunire
     
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    DorianAshford - Ultimo degli Immortali


    Le due creature caddero inermi contro la mia lama, la testa di una cadde a terra e rotolò via lungo il pavimento ligneo, ma per scrupolo controllai che fossero entrambe morte, poichè avevano tutta l'aria di essere delle specie di morti viventi, magari non basta tagliargli e affettarli per mandarlo K.O.
    Una volta appurato che erano entrambe fuori gioco, varcai la porta della camera della piccola di casa Drevis, speranzoso di trovare qualche indizio di dove la ragazzina fosse finita.
    Ciò che mi trovai davanti dopo aver richiuso la porta dietro di me erano due fiammelle che illuminavano una stanza di medie dimensioni, decorata come ci si può aspettare da una bambina di quell'età, pareti colorate con colori caldi e vari, un letto a una piazza e mezzo di colore bianco ed una scrivania con sopra pennarelli e quaderni di scuola, un piccolo cesto contenente vari vestiti e duno contenente quelli sporchi e da lavare...era una normalissima stanza di una bambina, ma della bambina, ovviamente, non ce n'era traccia, Aya Drevis non era qui.

    Mhmm..?

    In compenso c'era un altro essere vivente oltre a me qui, un piccolo coniglio bianco in una gabbietta, posta in un angolo della stanza, vicino al letto.
    Il coniglietto era palesemente terrorizzato, era tutto un tremare, con la testa bassa e rannicchiato nell'angolo più remoto della gabbietta, il più distante possibile dall'entrata di essa, con le orecchie basse e la testa nascosta nella paglietta della gabbia.
    "Pallino" c'era scritto su di una targhetta sopra la ciotola dove mangiava, doveva essere il nome della creatura.
    Aprii la gabbietta, per dare la possibilità al coniglio di uscire di li, se lo avesse fatto o meno a me non interessava, ma era giusto dare anche a lui una possibilità di mettersi in salvo, in caso una di quelle creature fosse tornata.

    Qui Aya non c'è...forse è meglio tornare da gli altri, magari hanno avuto più fortuna di me...ma prima..

    Pensai, mentre uscivo dalla stanza e tornavo nel corridoio buio e tetro di casa Drevis, meravigliandomi di come una bambina potesse vivere in un posto così tetro e sinistro.
    Prima di tornare al piano di sotto però, c'era ancora un altra porta da controllare, quella che adesso si trovava davanti a me, la camera gemella a quella di Aya, forse quella del padre.
    Appoggiai la mano sul pomello della porta e lo girai, entrando dentro la stanza, pronto a tutto, o forse non proprio a tutto...



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    • Entrare nella porta davanti alla camera di Aya.




     
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    Uno spiraglio di luce si aprì dinanzi ai miei occhi, squarciando quella tetra oscurità che mi avvolgeva da capo a piedi, che non permetteva alla mia umile vista il controllo dello spazio a me circostante.
    Uno squarcio creato dal mio volere, per avere salva la vita.
    Difatti, dovetti in un modo o in un'altro difendermi dall'avanzare di una creatura immonda, che non dovrebbe più essere in mezzo ai vivi, ma che si sarebbe dovuta trovare tra i morti, fino a rimanere, in questa vita terrena, solo un cumulo di ossa inutili ove i familiari sarebbero potuti andare a piangere la vita del loro care marito, fratello o figlio. Non aveva importanza.
    Però, questo non fu possibile per quella creatura, che con rantoli che sembravano quasi di dolore e movimenti lenti e scattosi, probabilmente provocati dalla durezza della muscolatura subito dopo la morte del "corpo", si avviciniva sempre più.
    L'unica cosa che la mia mente riuscì a generare era una risposta offensiva contro l'essere, ed allungando la mano verso di esso... la sua vita all'interno della morte finì con un colpo secco che provocò parecchi rumori poco godibili dall'apparato uditivo.
    Gli occhi non erano più abituati alla luce, quindi, il laser che utilizzai mi rese per pochi secondi cieco, al termine del quale però, riuscii a vedere a cosa aveva portato il mio operato.
    La testa si era distaccata in due parti di putride carni, ossa bucherellate e maleodorante sangue che lasciavano spazio nel distacco tra di essi alla vista di ogni singolo organo putrefatto, mentre veniva lentamente mangiato da dei bigattini che continuavano ad affondare i loro minuscoli dentini nelle carni del poveretto.
    Lo stato di decomposizione era in uno stato veramente avanzato tant'è vero che il senso di vomito arrivò quasi immediatamente.
    Cercai in tutti i modi di fermare questo processo, difatti, mi bloccai subito la bocca con una mano, mentre con l'altra spingevo all'altezza dell'amplesso solare, cercando in qualche modo di sbarrare la via al mio pranzo ed ai miei succhi gastrici.
    Mi voltai di scatto alla ricerca di una fuga da quel tanfo terribile che aveva inondato le mie narici ed uscii dalla porta. Non vi era nulla che mi avrebbe aiutato nella mia ricerca.
    Ero ritornato nell'immensità dell'oscurità più famelica e silenziosa e la mia unica compagna di viaggio era una piccola fiaccola che sembrava quasi stesse per spegnersi inesorabilmente, per lasciarmi da solo contro quello che sarebbe stato -probabilmente- il mio incubo peggiore.
    Avanzai di un passo, cercando di capire dove stessi andando, quando ad un tratto, tutto mi sembrò maledettamente strano ed innaturale.
    Quella sensazione... non avrei saputo neanche come spiegarla.
    E fu a quel punto che una sferette chiara dal colore azzurrino si creò dinanzi a me alla fine del corridoio.
    L'intermittenza della sua luce creava in me una sensazione di tranquillità che mi portò ad avanzare un passo. Maledettamente, lei si allontanò da me... mantenendo sempre le distanze.
    Voleva portarmi alla fine del corridoio, alla svolta che mi avrebbe portato in un'altra ala del palazzo.
    Avanzai ancora un po', ma ad un certo punto, non riuscii più ad avanzare neanche un passo. La paura s'insediò di nuovo all'interno del mio corpo e quel rumoroso silenzio vennevo interrotto da delle risa che mi fecero accapponare la pelle susseguendo dei sussuri femminili che avrebbero fatto perdere la testa a chiunque.
    Ma quella luce... non sapevo perchè, ma sapevo che in un qualche modo mi avrebbe protetto. Dovevo seguirla.

    Revan, ti avevo già risposto in tag molto gentilmente e scherzosamente pochi giorni fa, ma mi porti realmente a dirlo, sei un'ipocrita. Ma come fai ad avere la faccia di scrivere una cosa del genere dopo che io e Cagnellone ti abbiamo aspettato per un mese e mezzo?? Con quale faccia?? Prendo testualmente, così tanto per capirci: 28/12 21:08 Revan: ormai è un po
    28/12 21:08 Revan: se non posta rapidamente dirie che puoi postare anche tu
    28/12 20:59 Kerberotte: Nope, ora lo sento :sisi:
    28/12 20:56 Revan: Ma any kerbe? ti ha detot nulla?

    Per di più, non ci siamo neanche lamentati tranne i dovuti "sapete dov'è Rev?", e tu ti vieni a lamentare per 6 giorni?? Ma fammi il piacere. Ipocrita.
    Al massimo l'unico che ha veramente il diritto di lamentarsi qua è Cagnellone che ha sempre risposto in modo preciso e puntuale e l'avrei accettata una sua lamentela. Ma la tua... no, non l'accetto.
    E tanto per dire, non è che prendi per il culo dicendo "pensavo che fosse abbandonata la missione" o (dopo che ti avevamo già risposto E DOPO ben 7 giorni più o meno) "aspettate non ho capito, ma quindi si continua?". Credi seriamente che la gente sia rincoglionita?? Bah.
    Se volete, potete anche segnalarmi in zona staff, non m'importa.
    Detto questo, ti assicuro che vossignoria non aspetterà più il mio post. Spero tu possa fare in egual maniera. E non provare neanche a controbattere perchè sei semplicemente in torto e non tornerò su questa discussione. Perderesti solo tempo. Ciao.
     
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    La missione è congelata fino a nuovo ordine
     
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    La pioggia scrosciava rivoltandosi sulla casa dei Drevis come un nugolo di dardi scuri. Come la maledizione incombeva su di essa, anche la natura sembrava volersi rivoltare contro gli orrori che la casa nascondeva. A guardarla dal di fuori ci si sarebbe aspettati che crollasse da un momento all'altro sotto la pioggia battente. Invece il portone si aprì improvvisamente. Una sagoma ne venne fuori, un'altra della quale si notarono solo i capelli azzurri richiuse l'accesso dietro di se. La ragazza aveva i grandi occhi lucidi e teneva la testa china. Osservò il cielo grigio preoccupata per qualche secondo. Poi, lentamente, un sorriso determinato apparve sul suo volto. Sgusciò velocemente sul retro della casa, senza essere vista da nessuno.

    Alfred... aspettami... !


    La luce eterea guidò il ragazzo dai capelli scuri fino alla fine del corridoio. Lì la temperatura sembrava essere scesa di molti gradi tanto era gelida. Persino i respiri del ragazzo apparivano sotto forma di sbuffo di vapore. La mano tremante si posò sul pomello della porta ma un boato raggiunse le sue orecchie e ciò che nascondeva la stanza dietro la porta finì in secondo piano. Nello stesso istante, parallelamente, Dorian rinfoderò la katana, lanciando uno sguardo di superiorità e disgusto verso i due strani esseri, inermi a terra, nella pozza scura e putrida che doveva essere il loro sangue. Il monaco lanciò un'occhiata verso le due porte dietro di lui ma non ebbe il tempo di ispezionarne l'interno: qualcosa attirò la sua attenzione. Un rumore grottesco proveniente dal piano inferiore. Il giovane si precipitò giù per le scale, incontrando Yudai che mimò i suo spostamenti. Si unirono a Xavier che si era appena richiuso la porta alle spalle, fissando davanti a lui la grossa porta chiusa della caffetteria. Tutti e tre gli shinobi non poterono non notare come la porta in questione venisse percorsa da sussulti regolari. Qualcosa stava cercando di venire fuori.
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    D'improvviso la porta si palancò con un gran fracasso lasciando che una corrente gelida e un olezzo di carne putrida e sangue riempisse l'aria. Nel buio i tre chunin non potevano vedere nulla. Solamente il cielo tuonò, rischiarando ad intervalli regolare l'orrore che scaturì. Centinaia di corpi in decomposizione che si agitavano e si sostenevano come una grossa carcassa rivoltante. Gli occhi bianchi e sanguinolenti, i corpi mutilati, appiccicati tra loro in strane posizioni. Chi non aveva gli arti, chi ne aveva una dozzina, chi si trascinava sui gomiti, chi strisciava come serpi. I gemiti e i singhiozzi strozzati erano insopportabili, creavano un ronzio continuo, un sottofondo di bassi terrificanti. Ed ognuno dei mostri avanzava lentamente, tentando di sovrastare gli altri. Lentamente reclamavano una vendetta che non avrebbe mai potuto trovare giovamento. Ciò che una volta erano state donne, uomini e bambini, non era altro che un insulso aborto di Dio. Una raccapricciante e malriuscita imitazione di vita. Il nuovo Dio non aveva ancora raggiunto la perfezione e si nascondeva in quel preciso istante nella casa. Alfred Drevis, l'amato padre di Aya. L'orda di mostri assetati di sangue e carne umana si rivoltarono sui tre Shinobi. Iniziò per loro lo scontro finale.

    Ma cominciava per qualcun altro la ricerca della verità. Al sicuro nella soffitta, la piccola Aya carezzava Pallino da quasi un'ora, ormai. Non avrebbe saputo dire con esattezza da quanto tempo si fosse rifugiata lì dentro, tentando di scappare da quelle creature rivoltanti che non avrebbe potuto immaginare neanche nei suoi incubi più agghiaccianti. Ormai aveva smesso di piangere e avere il fiatone, era persino riuscita ad inviare la lettera di aiuto al palazzo del Kage. Forse, pensò, i soccorsi erano già giunti. Si alzò in piedi dal suo giaciglio con le gambe tutte tremanti. Le venne un capo giro e barcollò, decisa comunque a scendere di sotto. Non era una bambina particolarmente coraggiosa ma aveva sentito l'urlo di suo padre. Ricordava la mamma. Lei era sempre buona con me e il papà, ricordò. L'unica donna in grado di capire un uomo così particolare e... distruttivo. Era morta di malattia anni prima e da allora Aya poteva contare solo su suo padre. Lo amava più di ogni altra cosa al mondo e il fatto che fosse in pericolo la spinse a lasciare il suo nascondiglio, affrontando chissà quali pericoli pur di ritrovarlo e non stare da sola. Scese le scale e si ritrovò nel corridoio che dava sulla sua stanza, lo conosceva bene. Soffocò un urlo vedendo della poltiglia nera simile a carne sul pavimento. Poi degli strani suoni attirarono la sua attenzione. Era troppo buio e faceva fatica a distinguere il reale dal vero. Ma affacciata sulle scale, vide qualcosa combattere nel bel mezzo del salotto. Non sembrava neanche più casa sua, non poteva esistere che qualcosa di così orribile accadesse in luoghi che per lei rappresentavano la quotidianità. Vide tre figure sconosciute lottare contro qualcosa che la sua mente ripudiava. Qualcosa dentro di lei fece breccia e i ricordi riaffiorarono più taglienti che mai.
    *- Papà? Dove sei, papà? - chiamava a gran voce, reggendo tra le braccia cinque o sei bambole. Non voleva disturbare la mamma perché sapeva bene che a quell'ora riposava. Da quando le avevano diagnosticato la malattia riposava ogni giorno per molte ore e per questo Ata era triste. Ma c'era il papà con lei, lui avrebbe potuto giocare. Solo non riusciva a trovarlo. Lo chiamò per un poco, poi ci pensò un po' su e decise che quella era un'emergenza, quindi poteva cercare il genitore "nel posto segreto". Lui non voleva che lei ci andasse, "solo se è una vera emergenza!" le aveva detto una volta. E lei si annoiava così tanto... era una vera emergenza! Imboccò il corridoio a destra della Entrance Hall, superò velocemente una stanza mentre diventava tutto più buio e pauroso. L'aria era fredda e ad Aya non piaceva, ma doveva trovare suo padre. Superò la grata aperta e fece per bussare alla porta di legno, che era socchiusa. Ma si fermò. C'era qualcosa di strano. Confusa, rivolse l'orecchio verso la porta. Una sensazione fastidiosa e al contempo piacevole la invase mentre sentiva quegli strani gemiti. Erano acuti ma sussurrati, dolci, appartenenti ad una donna. Ogni tanto un respiro soffocato a controbilanciare. Un respiro profondo che apparteneva a suo padre. Schiocchi di baci e cigolii di un tavolo. Aya corse via, portandosi dietro tutte le bambole. Risalì le scale e si precipitò nella stanza della mamma. Era così bella anche in quell'occasione, stanca e debole, nel suo letto. - Mamma!
    - Aya, cosa c'è bambina mia?

    ...
    Aya ricordava bene l'espressione di sua madre quando osservò ciò che stava dietro la porta. Accovacciata sbirciava dalla porta semi chiusa. Prima incuriosita, ora i suoi occhi si spalancarono dalla sorpresa. Il volto attonito che divenne subito serio. Monika carezzò la testa della figlia, accompagnandolo fino alla sua stanza.*

    Aya si schermò gli occhi, ritrovandosi a correre per il corridoio buio dove faceva molto freddo. Superò il bagno, superò la libreria dove sua mamma raccoglieva tutti i libri di poesie e delle fiabe, solo per lei. Senza capire cosa la spingesse a compiere quel gesto, aprì la porta nascosta alla fine del corridoio, sulla destra. Quello era un altro posto proibito, dove sua madre e lei non potevano entrare. Forse neanche Maria c'era mai stata. Rischiarate dai fulmini, occhi di vetro fissarono Aya. Sugli scaffali, a gruppi per terra, negli angoli. Decine e decine di bambole di porcellana la fissavano inespressive. Ad Aya si gelò il sangue nelle vene ma ebbe abbastanza prontezza per accorgersi di un particolare agghiacciante. Davanti alla finestra, praticamente circondato dalle bambole, c'era un trono, vuoto. Era di seta rossa e per qualche motivo alla piccola Drevis venne in mente che era troppo grosso per delle bambole. Era... perfetto per lei. Il pensiero la spaventò e corse fuori dalla stanza, precipitandosi nell'atrio. Ma non c'era più nessuno. I tre sconosciuti e la "cosa" erano scomparsi. Era di nuovo sola. Poi l'urlo di suo padre la fece tremare. Questa volta era più vicino. - PAPÀ! esclamò, precipitandosi per il corridoio a destra. Superò la stanza di Maria, si lasciò alle spalle la grata sporca di sangue, precipitandosi nel laboratorio. Non c'era nessuno eppure sapeva di aver sentito la voce del padre provenire da lì. Lo chiamò a gran voce ma non ebbe alcuna risposta. Ignorò il sangue sulle pareti, gli strumenti di tortura e i sacchi sporchi di sangue, ricolmi di chissà cosa, stipati negli angoli della stanza fredda. Prese un profondo respiro e aprì la porta di legno, ritrovandosi in una stanza di cui non conosceva l'esistenza. Una lunga camera mortuaria. Dozzine di lettini che si fissavano da un angolo all'altro della stanza. Ognuno ospitava un cadavere ricoperto di lenzuoli di fortuna, altri neanche lo avevano e mostravo corpi torturati, mutilati e ricuciti dalla mente di un pazzo. E infondo alla stanza, c'era suo padre. A terra, rannicchiato e debole, così fragile da rischiare di farla scoppiare a piangere. Lo avrebbe fatto ma era troppo sorpresa di vedere sua madre. Accanto a lui, in piedi, fissandolo con odio. Non sembrava neanche lei e Aya avanzò piano, fissandola confusa. Era la mamma ma sembrava quasi trasparente. Era intangibile, come se la sua stessa essenza potesse svanire da un momento all'altro. Eppure erano proprio i suo occhi a fissarla con dolcezza. All'altezza del cuore, una grossa e scura macchia di sangue, sintomo di una ferita mortale.
    - Aya, sei arrivata, piccola mia.
    - M... mamma...? MAMMA!

    Si lanciò verso di lei ma una forza misteriosa la respinse, facendola cadere in terra. Le lacrime le rigarono il volto mentre il suo piccolo cuore da bambina sembrava star per esplodere. Perché la mamma non voleva abbracciarla? Perché era lì e perché sembrava così triste? E il papà?
    - Devi andartene, Aya. Non avrei mai voluto trascinarti in questa situazione ma... non ho avuto il tempo di fermarlo...
    - Chi, mamma? Fermare chi?
    - ... Tuo padre, Aya. Lui ha fatto del male a molte persone, anche a me...
    e dicendo ciò si toccò la ferita sul petto. Aya era senza parole. Suo padre barcollò, alzando il volto verso la sua unica, amata figlia.
    - A-ay... ya...
    - Papà... Che cosa vuoi dire, mamma?
    - Non permetterò che continui, piccola mia... Porterò tuo padre con me...
    - No... NO! NON VOGLIO RESTARE DA SOLA! PORTA ANCHE ME, MAMMA! PERA FAVORE!
    - NO! Tu devi vivere felice, bambina mia.. Devi crescere e conoscere le gioie della vita... non permetterò che lui...

    Ancora una volta Aya raccolse tutte le sue energie e si lanciò contro i suoi genitori. L'onda d'urto la respinse e sua madre la fissò affranta. Suo padre sputava sangue ma sembrava star recuperando le forze.
    - Ti prego, Aya... Non posso farlo se continui a proteggerlo... Ho solo questa notte...
    - Aya... ti prego...
    - FA SILENZIO, TU! NON CERCARE DI COINVOLGERLA!

    La piccola Drevis scoppiò in un pianto disperato mentre ognuno dei suoi genitori cercava di portarla dalla sua parte. Tra le lacrime, la piccola osservò il volto di sua madre. Le incuteva timore. La mamma non avrebbe mai parlato in quel modo, non avrebbe mai fatto del male a papà. Lui aveva fatto del male, lei.. lo sapeva. Lo capiva adesso che tutto quel sangue, le urla che ogni notte sentiva provenire dal suo laboratorio... Sapeva ogni cosa. Ma era suo padre. Non aveva altri che lui. E la mamma voleva che restasse da sola...?
    - Mamma... sigh... Lui è mio padre.. Io non voglio restare sola... NON VOGLIO!
    Monika Drevis sorrise amaramente mentre lacrime invisibile le rigavano il volto. "Corri, bambina mia. La mamma ti proteggerà" fu tutto ciò che disse, prima di svanire. Sua figlia la guardò sparire davanti ai suoi occhi, sprofondando nella tristezza. Alfred si rialzò barcollando su se stesso, debole come non mai.
    - Aya... Coff!
    - Papà!
    gli gettò le braccia al collo e lui per poco non cadde. Gli occhiali erano rotti e ballavano sul naso sporco di sangue. Avrebbe dovuto abbracciarla, essere felice di averla ritrovata ma.. c'era qualcosa di strano nei suoi occhi.
    - Aspettami qui, Aya... Il papà.. deve mostrarti una.. cosa... COFF! COFF!


    Maria risalì le scale della Entrance Hall, guardandosi intorno impaurita. Alfred non era dove si erano separati e dei tre Shinobi non c'era traccia. Chiamava il suo amato a gran voce ma non otteneva alcuna risposta. Fradicia dalla testa ai piedi, si diresse verso il laboratorio, sperando che si trovasse nella camera mortuaria. Ma una voce la chiamò. Al suono di quella voce, la giovane rabbrividì, immobilizzandosi.
    - Monika...?! la chiamò di nuovo e la vide, questa volta. Una piccola luce fluttuante sopra le scale. Incredula, la ragazza dagli occhi color smeraldo la seguì fino a ritrovarsi davanti alla porta della stanza della defunta signora Drevis. Sapeva di non esserle mai piaciuta, sapeva di averle fatto del male, di averle rubato l'unico uomo che avesse mai amato. Ma era stata sinceramente dispiaciuta per la malattia che l'aveva portata alla morte. Perché adesso una sorta di sua presenza si stesse manifestando.. non le era chiaro. L'interno della stanza era proprio come lo ricordava, solo sepolto da uno strato di fitta polvere. E la luce scomparve prima di illuminare uno dei tanti libri sullo scaffale. Titubante, Maria lo afferrò. La copertina era rigida e di pelle, fredda. Si trattava di una fiaba per bambini dove la protagonista faceva sempre affidamento sullo spirito della madre, che la vegliava dal cielo. Le pagine erano bianche e candide come la neve. Tutte tranne una. Una pagina da un bordo strappato, giallognola. Confusa, la giovane la afferrò, posando il libro al suo posto. Quando la lesse il suo cuore vacillò. - Voglio che tu sappia la verità.
    - AH! C-COSA?!
    - Voglio mostrarti cosa è accaduto davvero, con ciò che resta dei miei poteri...

    E Maria vide la realtà sulla morte della donna di cui aveva preso il posto, senza volerlo, senza alcuna cattiveria. La verità la colpì dritta al cuore ma i sentimenti di Monika la raggiunsero. Ora tutto tornava.


    Perché l'aveva lasciata ad aspettare da sola in quella stanza? Aya respirava piano, guardandosi intorno spaventata. Erano trascorsi tre minuti da quanto suo padre si era richiuso alle spalle la porta del laboratorio, lasciandola in quella orribile camera, da sola. Non si comportava normalmente e le parole dello spirito della madre le tornarono in mente, diventando sempre più pesanti dentro di lei. Voleva proteggerla... ma perché? La porta cigolò e la bambina sorrise, seppur provasse una sgradevole sensazione. - Papà, sei tornat.. tremò con violenza. Le parole di sua madre, ora, acquistavano un senso. Ma perché? Perché proprio a lei? - P-papà.. No... Il rombo della motosega la fece urlare. Gli occhi di suo padre indugiavano bramosi sul suo corpo mentre agitava l'arma sporca di sangue con due mani. Il volto era sereno, il sorriso fin troppo aperto, come quello del demonio in persona.
    - Non preoccuparti, Aya. Il papà ti farà stare bene! Vieni qui, non fare storie o dovrò punirti!
    - NO!
    - AYA!

    Con una risata da far gelare il sangue il padre si avventò contro la figlia. La motosega che vibrava a gran velocità, reclamando di perforare e sventrare carne umana. La piccola si gettò di lato, sfuggendo al colpo mortale per un soffio. Poi tutto divenne buio. La luce del generatore d'emergenza si spense improvvisamente, per un qualche motivo. Alfred imprecò ad alta voce, continuando a chiamare la figlia come se per lui si trattasse solo di un gioco. Spense la motosega e il silenzio calò sulla camera mortuaria, interrotto solo dalle risate del pazzo. Lei credeva di morire per la paura. Suo padre stava cercando di ucciderla. Sgusciò sotto un paio di lettini, sperando di non essere vista. Ma quel buio penalizzava anche lei. Sperava che qualcuno la aiutasse, che la mamma tornasse a salvarla. Represse un conato di vomito e impose a se stessa di fare silenzio e non farsi scoprire. Purtroppo, però, urtò qualcosa con il piede. Una risata gelida le fece stringere lo stomaco in una morsa che niente aveva a che fare con la fame. Sentì i passi del padre avvicinarsi proprio a lei, lo sentì frugare nelle tasche e tirare fuori qualcosa. Sopra il letto, sentì il peso della motosega che veniva lasciata a riposo. Era inutile nascondersi, tirò su con il naso, piangendo. Poi senti qualcosa scattare, seguita da una breve scintilla. Una, due, alla terza volta, la fiamma dell'accendino si accese, mostrando il ghigno del padre pazzo che la fissava.
    - Ayaaaaaa, doko ni iru no kana???
    - KYAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHH!!!!!!!!!

    Colpì in mezzo agli occhi il suo vecchio che, sorpreso, ricadde all'indietro mentre lei sgusciava fuori dal suo nascondiglio. Le era venuta in mente un'idea e decise di provarci. Si diresse verso la porta del laboratorio, la aprì e la sbatté con forza, nascondendosi poi velocemente dietro un lettino, cercando di non fare rumore. Trattenne il respiro così a lungo che le sembrò quasi di svenire ma, recuperata la motosega, vide suo padre sparire nel laboratorio. Aveva funzionato. Invece che trovare la figlia, Alfred trovò Maria all'interno della stanza, illuminata da poche fiaccole alle pareti. Gli occhi di lei si spalancarono per l'orrore nel vederlo in quello stato. Lui, sembrava fuori di se.
    - Alfred...
    - L'hai vista, Maria? Hai visto.. Aya?
    - Io... l'ho lasciata passare... Sono stata stupida, scusami. Sono certa che però la ritroveremo e..
    - Tu... INUTILE!!

    Aya sentì un urlo soffocato e il rumore della motosega che veniva azionata. Poi il tonfo di un corpo, a terra. Una porta sbatté ancora e Aya si precipitò nel laboratorio. Maria era a terra, in una pozza di sangue, ancora viva. La motosega l'aveva ferita al fianco che ora sanguinava copiosamente.
    - S- signorina...
    - Maria! Perché... Cosa sta succedendo?
    - N-non credo sia il momento buono per le spiegazioni... Ugh.. C-ci sono delle bende in quell'armadietto.. Per favore...
    La bambina le recuperò e, come le disse la giovane donna, le avvolse molto strette attorno alla vita, per bloccare la ferita. Era molto debole e Aya aveva così paura di restare di nuovo solo che cercava di spronarla ad andare con lei.
    - Non.. credo di poter proseguire.. Aya... c'è una porta segreta nella camera mortuaria... Porta alla cappella in giardino... Vacci e scappa, ti prego...
    - Ma papà..
    - Tuo padre... non è più quello di una volta, Aya... Mi dispiace!
    Scoppiò in un pianto dirotto, disperato. Solo lei sapeva come Alfred l'avesse portata via dalla miseria in cui l'aveva trovata. Orfana, senza mezzo ryo in tasca, l'aveva portata via dal circo che l'aveva accolta. Faceva la tiratrice di coltelli a quel tempo, era l'unica cosa di buono che avesse: la mira. Lui era stato buono con lei, l'aveva accolta nella sua casa, integrata nella sua famiglia. E l'aveva amata, seppure il l'ombra di quell'uomo che Maria aveva amato con tutta se stessa non fosse nient'altro che un ricordo, ormai. - Vai, Aya... Cercherò di proteggerti... Tua madre l'ha fatto per tutto questo tempo... Chiuse gli occhi e perse i sensi. Con le dita tremanti, Aya le carezzò il volto, afferrando una fiaccola dal muro e rientrando nella camera dove suo padre aveva mostrato al mondo il suo vero volto. Trovò la porta segreta e vi entrò. Conduceva ad uno stretto passaggio costruito sotto terra. Umido e freddo, Aya lo percorse finché non giunse ad una porticina scura. Non aveva maniglie. La spinse ed essa si aprì. Per un attimo le sembrò quasi di essere tornata indietro nel tempo. Non entrava nella cappella di famiglia da quando la mamma era morta. Le panche erano vuote, il lungo tappeto rosso che collegava l'entrata e l'uscita principale era pieno di polvere. Il presbiterio era rialzato e l'altare... era occupato. Quando Aya se ne accorse, fu troppo tardi. La luce della sua fiaccola illuminò suo padre, in piedi su di esso, la motosega levata al cielo. Nel tentativo di sottrarsi a quella vista, la piccola inciampò e la fiaccola cadde a terra. Subito il tappeto e le assi del pavimento cominciarono a prendere fuoco. Alfred saltò giù dell'altare, incombendo su sua figlia mentre il fuoco illuminava il volto dilaniato da un folle e sanguinolento sorriso.
    Basta, Aya. Smettila di scappare, il gioco è finito. O devo fare in modo che tu non possa continuare a scappare?
    - No.. ti prego... papà... non voglio...!
    Tranquilla, non potei farti del male, sarebbe un peccato rovinare il tuo bellissimo aspetto... Anche se potresti sempre fare a meno di un paio di gambe!
    - No! Papà... ti prego... io ti voglio bene... voglio solo stare con te... Per favore... smettila!
    - Aya... non preoccuparti. Il papà ed Aya staranno sempre insieme, d'ora in poi. Quindi chiudi gli occhi, Aya...

    Le lacrime di Aya e il suo tono supplichevole non diedero alcun risultato. Il padre accese la motosega che irruppe con un rombo metallico da far gelare il sangue. Alfred levò l'arma sopra di se, sorridendo follemente. Era finita. Le braccia tese erano pronte ad affondare e uccidere la sua unica figlia. Nei suoi occhi, un grido disperato.
    - TI VOGLIO BENE!
    - NOOOOOOOOOOOOO!!

    Prima che la motosega potesse sventrare le carni di Aya, la motosega perse potenza. Alfred emise un grido strozzato. Aya aprì gli occhi e si portò le mani alla bocca. Un sottile coltello se ne stava dritto, infilzato nel suo collo. Il sangue scorreva a fiordi mentre gli occhi piccoli del padre erano sgranati per la sorpresa e il dolore. Poi un secondo coltello lo raggiunse, conficcandosi nella spalla. E un altro, nella testa, pose fine alla sua vita. Il corpo dell'uomo cadde a terra, inerte, mentre Aya urlava, precipitandosi verso di lui. Dall'entrata secondaria, Maria abbassò il braccio con uno sforzo sovrumano, dirigendosi verso Aya, in lacrime.
    - PAPÀ! PAPÀ! SVEGLIATI! NON LASCIARMI, TI PREGO! MARIA! LUI... PAPÀ È...
    - Sei ferita? -
    Aya non rispose, si perse in singhiozzi disperati. L'altra la abbracciò stringendola forte a se mentre il fuoco avvolgeva ogni cosa.
    - Sniff... Sniff.. è morto... vero? Il papà... è morto...
    - ... Mi dispiace, Aya...
    Ripose piangendo a sua volta. La trascinò con se fuori dalla cappella, barcollando per la ferita. Si lasciarono cadere nel giardino, sotto la pioggia. Guardarono la cappella e la casa prendere fuoco lentamente, bruciare senza che la pioggia riuscisse a placare le fiamme ardenti. Aya osservò tristemente suo padre bruciare con la consapevolezza di essere sola al mondo.
    - Cosa faremo, adesso...? chiese con un sussurro. Maria zoppicò verso di lei, stringendola al suo fianco. - Non lo so... Però resterò con te, se me lo permetti..
    - ... Sì. Non voglio restare sola. Maria.. resta con me!
    - Certo. Ti proteggerò qualunque cosa accada, d'ora in avanti
    - Grazie, Maria..



    I tre Shinobi sconfissero tutte le creature che la casa aveva risvegliato. Levando di mezzo l'ammasso di carne che generava mostri, nascosto nei sotterranei nel corridoio a sinistra della Entrance Hall, riuscirono a sconfiggere le creature definitivamente. Scapparono dall'incendio e trovarono Aya e Maria, nel giardino. Del signor Drevis non restava altro che cenere. Maria ed Aya avrebbero impiegato anni per lasciarsi quel tragico evento alle spalle ma restarono comunque insieme, supportandosi a vicenda. La missione, secondo il governo di Oto, si era conclusa alla perfezione e ciò che restava degli orrori di casa Drevis, divenne solo un brutto ricordo. La bambina e la giovane si lasciarono Oto alle spalle, scegliendo per un futuro migliore. Solamente con gli anni Aya dimostrò interesse per la medicina e il desiderio di aiutare le persone. Portò avanti i suoi studi con voti eccellenti e, nella nuova e modesta casa che poi divenne anche il suo studio, Maria la supportò per lunghi anni a venire. Si accorse solo troppo tardi che c'era qualcosa di.. sbagliato. Ormai passata la mezza età, capì di essere tornata al punto di partenza. Per il dolore si ammalò anche lei come la defunta madre di Aya, Monika. Ma con le ultime forze rimaste, Maria si allontanò da quella casa, la nuova residenza Drevis. Lasciandosi alle spalle Aya che, grazie a lei, era davvero stata salvata.
    - Alla fine ti somiglia più di quanto immaginassi... Deve essere di famiglia... Alfred.

    Missione conclusa. Avete già aspettato abbastanza e visto che Cagn ha archiviato il pg, meglio finirla. Dunque, passiamo all'exp:
    Cagnellone: 87
    Anyone: 85
    Revan: 85
    Me: 90
    Non c'è bisogno dei post conclusivi, grazie a tutti per aver partecipato :hat:


    Edited by Kerberotte - 31/3/2016, 11:14
     
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