Amore paterno

Anyone, cagnellone e Revan

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    Tetsu's Samurai
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    La bambina sorrideva, carezzando le lunghe orecchie di Pallino, il coniglio bianco che le aveva regalato suo padre qualche anno prima. Amava Pallino, era un perfetto animale da compagnia: era pulito e mai rumoroso, tranquillo e affettuoso al tempo stesso e il suo pelo era così morbido e le orecchie lunghe la facevano sempre sorridere. Era quella la parte della giornata che dedicava a giocare con il piccolo animaletto, tirandolo fuori dalla gabbia che riponeva con cura in un angolo della sua stanza, accanto al cesto dei giochi e lo scaffale con i libri e le bambole della mamma. Le piaceva chiudersi in camera verso il tramonto e osservare con il coniglio il cielo dalla finestra, le piaceva vedere l'orizzonte tingersi di colori così brillanti e rilassanti. Purtroppo, però, quel tramonto non era affatto bello. Persino alla residenza Drevis le tenebre avevano inghiottito ogni cosa. Era brutto tempo, poteva capitare e non era neanche un fenomeno così raro, seppur quella non fosse proprio la stagione adatta. Il cielo si era fatto nero e tuoni scoppiavano in lontananza, più minacciosi che mai. La pioggia batteva sulle finestre con violenza e i rami degli alberi attorno alla villa venivano scossi energicamente dal vento pungente e freddo della tempesta. Qualche fulmine si vedeva in lontananza. La bambina strinse il coniglietto al petto, rassicurandolo, poiché spaventato dai tuoni. Poi un urlo agghiacciante superò in intensità i tuoni. Un urlo disumano, terrorizzato, che fece gelare il sangue nelle vene della bambina e battere forte il cuore. Alzandosi in piedi, Pallino fece in tempo a saltarle giù dal vestito. Pallida e madida di sudore, la bambina tremò all'urlo del padre, due piani più sotto. Di nuovo urlò e stavolta lei con lui. La casa dei Drevis venne inghiottita dall'oscurità.



    Ad ognuno di loro fu detta la stessa identica frase, né più né meno. <<stanotte, alla porta Sud del Villaggio del Suono>>. Parole non enigmatiche poiché ben chiare, quasi trasparenti, ma perché riferite proprio a loro e in quel modo? Accadde in tre paesi diversi, i protagonisti: tre Shinobi completamente diversi tra loro. Non avevano idea di cosa li attendesse ma a tutti era capitato di vivere la stessa scena: una convocazione urgente dall'Ufficio del Kage (o dall'organo sostitutivo, dipende dal caso) e poi quella frase, per poi essere congedato. Di cosa avrebbe potuto trattarsi? Una missione probabilmente ma di solito non era quella la modalità con la quale si assegnava una missione, seppur di elevata importanza. Quindi perché quel mistero? Purtroppo, per i tre Chunin c'era un unico modo per risolvere quel mistero: trovarsi ad Oto la notte stessa. Erano tempi bui, molto bui quelli in cui vivevano ma, nonostante ciò, il loro mestiere, il loro dovere, consisteva proprio per riportare la luce laddove le tenebre incombevano. Per questo, ognuno per la sua strada, ignaro di ciò che sarebbe accaduto e soprattutto con chi avrebbe condiviso la stessa sventura, s'apprestò a lasciare la propria casa, diretto al Villaggio del suono.

    Recatevi ad Oto e attendete l'informatore alle porte del villaggio. Arriverete di notte, pioverà e farà anche freddo, non ci sarà nessun altro ad aspettarvi se non una figura incappucciata.
     
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    "Chi sia io non è importante - è il mio messaggio ad esserlo."

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    Dorian Ashford - Ultimo degli Immortali



    Il sangue sgorgava liscio sul pavimento di pietra del mio scantinato, solo poche luci illuminavano la stanza, scavata nella pietra e nel cemento delle strade di Ame, una stanza di circa 10X12 metri, stanza che utilizzavo per pregare, al riparo dal chaos della città che, sopra la mia testa, pulsava di vita.
    La pietra sotto i miei piedi era sporca di sangue, sangue umano, mio sangue, sangue che avevo fatto sgorgare da una ferita al mio avambraccio, avevo reciso la vena del polso di entrambe le mani, così che rossi e caldi fiotti di sangue bagnassero la pietra, permettendomi poi di mallearlo come più preferivo con le dita.
    Disegnai un grosso cerchio con all'interno un triangolo inscritto in tutti e tre gli angoli, io ero il centro di quel triangolo e, in silenzio, pregavo.
    La preghiera era una parte importante della mia giornata, poichè rendevo grazie a Jashin per tutto quello che mi donava, tutto il sapere che avevo attinto dal tempio di Kusa, tutto il dolore che egli mi aveva inferto, tutto ciò mi aveva reso più forte, più tenace, più avido di sapere potere e conoscenza, tra pochi mesi sarei partito alla ricerca di Val Ahris, sarebbe stato un viaggio difficile e lungo, che mi avrebbe tenuto lontano da Ame per circa 3 mesi, dovevo chiudere tutti i conti in sospeso che avevo qui prima di partire.
    La preghiera continuava, io me ne stavo li, sdraiato a terra in mezzo al cerchio, con un coltello conficcato nel cuore ed un ciondolo con il simbolo del cerchio e del triangolo, pregavo che il dio mi concedesse di vivere ancora a lungo e di vedere tutto ciò che egli aveva preparato per me, pregavo per la sofferenza che avevo inflitto a gli altri, pregavo di poterne infliggere ancora di più, e ancora, e ancora, fino alla fine dei tempi.
    La mia preghiera, tuttavia, venne interrotta da un brusco rumore, qualcuno tirò un pugno alla mia porta di casa, lo potei sentire chiaramente anche dallo scantinato, non c'era nulla che mi infastidisse di più che vere le mie preghiere interrotte, molto infastidito mi misi addosso qualche indumento e salii le scale, imboccai il corridoio e raggiunsi la porta, la spalancai violentemente, pronto a scaricare un po di rabbie ed imprecazioni su chiunque ci fosse dietro di essa, ma con mia grande sorpresa non c'era nessuno, e quello che io credevo esser stato un pugno sulla porta, non era altro che una freccia, una freccia scoccata da una arco o da una balestra, freccia che si era conficcata nella mia porta, la quale, essendo fatta di legno, incastonò dentro di se la punta della freccia.
    All'estremità opposta della freccia c'era un biglietto in una busta bianca, busta sigillata con il simbolo del Consiglio della Pioggia, solo la vista di quel simbolo mi faceva percepire che si trattasse di qualcosa di ufficiale.
    La mia mente viaggiò a qualche settimana prima, quando una busta simile mi condusse fino a Suna, tra le fauci del Leviatano, chissà cosa vlevano stavolta quei vecchi mattacchioni dei piani alti.

    CITAZIONE
    Al Signor.Ashford

    E' pregato di presentarsi immeditamente nell'ufficio del'Ammiraglio Strauss, ulteriori informazione le saranno comunicate in loco.

    XXXX

    La lettere non era firmata da nessuno, il che è strano, poichè di solito c'è sempre la firma o del Segretario dell'ammiraglio oppure di uno dell'ufficio della Difesa.
    L'assenza di un firmatario mi incuriosì non poco, corsi in casa e mi vestii come al solito, kimono bianco, cintura coordinata, per qualche strano motivo che tutt'ora non so spiegarmi, presi anche la mia fedele katana, un po perchè avevo la sensazione che non sarei potuto passare nuovamente da casa, un po perchè era sempre meglio non andare in giro disarmati di notte ad Ame.
    Raggiunsi rapidamente l'ufficio dell'Ammiraglio, la porta era socchiusa, ma bussai comunque per educazione.

    *toc toc*

    Avanti..

    Ammiraglio Strauss..

    Dorian, grazie di essere venuto..

    Che succede signore?

    Lo sguardo dell'ammiraglio si fece serio, egli era un tipo burlone e scherzoso, non lo avevo mai visto così serio in vita mia.
    Le uniche parole che fuoriuscirono dalla sua bocca furono contemporaneamente chiare e oscura:

    Stanotte, alla porta Sud del Villaggio del Suono

    Ci fu un intenso scambio di sguardi tra me e l'Ammiraglio, cercavo di leggere nei suoi occhi cosa volesse dire, non osai domandare altro, sapevo che in qualche modo non avrebbe aggiunto altro, la sua serietà era un avvertimento da non ignorare.
    D'un tratto, un tuono ruppe il silenzio che da qualche secondo si era venuto a creare, io tornai in me e spostai il mio sguardo alle spalle di Strauss, fuori dalla finestra, un violento temporale stava per arrivare..
    Non risposi nulla, lo fissai nuovamente negli occhi e feci un cenno con la testa, non servivano parole, ma la faccia inquieta dell'Ammiraglio fece cadere anche me in uno stato di inquietudine, dovevo sbrigarmi, l'appuntamento era per la notte stessa.
    Corsi alla porta nord di Ame e presi uno dei cavalli più veloci che avevano, Ombro Manto si chiamava, nome che derivava dal suo pelo, nero, come la notte che incombeva.
    Il temporale si scaricò sulla steppa che circondava Ame, la pioggia, alla velocità a cui andavo sulla sella di Ombro Manto era come aghi che ti pungono il viso, i tuoni spezzavano il rumore degli zoccoli sul terreno mentre il vento ci sospingeva da dietro.

    Tempesta in Arrivo



    Ahhh! Ahhh!


    Urlavo mentre schiantavo le redini sul collo dell'animale, il quale recepiva il messaggio ed accelerava il galoppo, stavamo andando a tutta velocità verso Oto, ma la mia mente non riusciva a staccarsi dallo sguardo inquieto di Strauss, mai lo avevo visto come quella notte, qualsiasi cosa fosse, doveva essere grave.
    Il cavallo sfrecciò rapido ed instancabile fino al confine col Paese del Fuoco ed oltre ancora, mi infilai tra i suoi alberi sulla via maestra che attraversa tutto il paese, non mi interessava di stare attraversando un paese potenzialmente nemico del mio, anche se poi, alla fine dei conti, la guerra era finita e Konoha si occupava di una parte della gestione di Ame, assieme alle altre città dell'Alleanza.
    Konoha era un paese molto esteso, avrei impiegato qualche ora a cavallo a quella velocità, mi premurai di prendere strade speciali, strade che mi tenessero abbastanza distante dal Villaggio della Foglia, più ne stavo alla larga e meno probabilità c'erano di fare brutti incontri con ninja della foglia, non avevo documenti del governo di Ame, nessuna traccia che stessi andando in missione, chissà cosa avrebbe pensato un ninja della foglia se avesse colto uno di Ame in piena notte nel suo territorio, di certo non lo avrebbe invitato a nozze.
    Sebbene con un po di tensione in corpo, giunsi finalmente fino alle porte di Otogakure, il Villaggio del Suono, luogo a me totalmente sconosciuto, infatti non ero mai venuto qui per allenamenti casuali oppure in missione, era la prima volta nella mia vita che vedevo le sue mura, non sembrava un villaggio particolarmente bello dall'esterno, le sue mura erano logorate e a tratti cadenti, la vegetazione intorno ad esso era prevalentemente composta da alberi di media altezza, ma una delle cose che mi colpì di più fu il fatto che nemmeno un anima viva si aggirava intorno al cancello, nemmeno una guardia, nulla, vuoto, era alla stregua di una città fantasma, Ame ha guardie che controllano il portone giorno e notte, qui il nulla più totale...la cosa puzzava.
    Legai il cavallo ad un albero li vicino e lo accarezzai sulla fronte

    ..torno presto..

    Gli sussurrai all'orecchio, poi mi voltai e mi diressi verso il portone del villaggio, la pioggia cadeva sulle mie spalle, ma ormai nemmeno ci fecevo più caso.
    Mi guardia intorno, ed inizialmente non vidi nessuno, poi, guardandomi meglio intorno, avvistai un individuo che se ne stava appoggiato alle mura della città, alla destra del portone, era incappucciato e pareva stare li da un po, nonostante non lo avessi notato al mio arrivo.
    Eravamo solo mio e lui al momento, nessuno in vista, la cosa mi puzzava di trappola di trappola, ecco perchè, prima di avvicinarmi al tizio, sguainai la mia katana, la quale era tanto nera come la notte che ci circondava, rendendola difficile da vedere da distanze elevate, non contavo certo di attaccarlo a sorpresa, ma la prudenza non è mai troppa.
    Lo fissai, mantenendomi a 10 metri circa da lui.

    Qualcosa mi dice che sei tu la perosna che sto cercando..

    Esclamai, di certo non si trovava li per caso..



    Status di Dorian

    Scheda Dorian

    • Nome: Dorian
    • Cognome: Ashford
    • Resistenza: 450
    • Stamina: 200
    • Azioni Eseguite:





     
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    Anno del cavallo, giorno 102
    Le parole di Jackdow mi risuonavano nella mente come un disco che si è incantato, ritornando e ripetendosi fino allo sfinimento, anche quando non desideravo più ascoltarle. Come quelle volte in cui sei a letto e vuoi dormire, magari devi dormire, perchè è già tardi e domani sarà una giornataccia, ma una stupida canzoncina, che molte volte nemmeno apprezzi, ti tormenta e non ti lascia prender sonno. Ecco, per me va avanti da una settimana, ed anziché un motivetto orecchiabile e ripetitivo, ciò che mi assilla sono le fredde ed inespressive parole del mio maestro, ricolme di significato ed importanza. Ci ho pensato a lungo, ho pensato a quel che ha fatto, rivelando la sua vera identità e raccontandoci la sua storia, un racconto che l'avrebbe potuto metter nei guai, parole forti che due giovani ragazzi come quelli al suo ascolto avrebbero potuto fraintendere o mal comprendere. In realtà queste hanno come risvegliato il mio spirito, ultimamente assopito e schiacciato dalle questioni che stanno cambiando il mondo e le persone che ci vivono, deludendomi ogni giorno maggiormente. Ma come ha detto lui, sta a noi stessi forgiare il nostro destino, siamo responsabili di quel che ci accade e anche se nel nostro piccolo, ognuno di noi può cambiare il mondo. Anzi, per come la vedo io ognuno di noi deve cambiare le cose, almeno chiunque possa farlo, poiché restarsene da parte a prendere schiaffi da un mondo crudele non porta proprio a niente. Ed io mi sento di poterlo fare, sento di poter quantomeno essere importante per me stesso e cambiare la mia vita ogni volta che lo riterrò necessario. Voglio essere libero col mio destino, nonostante gli eventi che lo sconvolgeranno.
    Tutto è iniziato come iniziano quasi tutte le storie, una mattina che sembrava non dover rivelare nulla di speciale, un giorno come tanti in quel di Iwa, freddo e silenzioso. Stavo mangiando latte e cereali in abbondanza quando qualcuno ha bussato alla mia porta, un paio di colpi e poi di nuovo silenzio.

    *TOC TOC*

    Chi è? Avanti, la porta è aperta...



    Ma niente, non il minimo rumore e non la minima presenza rilevata nel raggio della mia percezione, come se me lo fossi immaginato o se non fosse mai avvenuto. Così mi sono alzato dalla solita sedia di legno traballante posta a capo del tavolo rettangolare della cucina per dirigermi all'uscio, dove mi aspettava una lettera, fatta scivolare sotto la porta in modo ch'io la trovassi. Rimosso il solito sigillo già visto e rivisto, l'ho aperta per leggerne il contenuto. Si trattava di una convocazione immediata per il palazzo per una missione di urgenza massima, diceva di arrivare già pronto per partire e nel minor tempo possibile. Così ho ammucchiato la mia roba, mi sono vestito con gli abiti del caso e sono partito a razzo verso il palazzo, destinazione raggiunta in una decina di minuti. La mi aspettava un ninja, un jonin con cui avevo già avuto a che fare in precedenza, fermo sull'entrata del palazzo ad aspettare proprio me. Al contrario delle consuetudini, questa volta non sono salito, l'incarico mi è stato affidato al volo da quel ninja, senza particolari spiegazioni o il minimo dettaglio. Solo un ordine, chiaro e preciso.

    Stanotte, alla porta sud del villaggio del suono

    Tutto qui?



    Già, era tutto, il ninja dopo aver proferito quelle poche parole mi ha dato le spalle ed è sparito nell'ombra del corridoio principale, lasciandomi l'unica possibilità di partire per un viaggio oltremodo lungo e faticoso, e per la cui destinazione ero in ritardo ancor prima di partire. Al contrario di altri villaggi posti al centro della mappa di questo folle mondo, Iwa è un territorio piuttosto disparato, difficile da raggiungere e da lasciare. Perciò mi sono messo immediatamente in marcia, bruciando le tappe per giungere all'appuntamento il prima possibile. Nel giro di qualche ora, senza pausa alcuna e col mangiare ancora sul gozzo per aver trangugiato il mio unico pasto mentre camminavo in modo da non perdere tempo, sono uscito dai confini del paese, lasciandomi alle spalle la parte più impervia e faticosa del tragitto. Abbandonate le montagne il clima ed il territorio lasciavano spazio a paesaggi più mitigati, accoglienti, o in altre parole, Taki. Che posto fantastico, da quando ci sono stato per aiutarne la ricostruzione quel posto mi ha ammaliato con la sua bellezza, rendendolo di fatto il mio villaggio ad oggi preferito. Al contrario la mia destinazione, la puzzolente Oto, fino a quel giorno mi aveva riservato sempre spiacevoli avventure che avrei preferibilmente evitato. Come dimenticarsi di quei crostacei, ancora mi appaiono in sogno quei maledetti! Oggi non sarebbe andata diversamente. In ogni caso almeno il viaggio è andato bene, sono riuscito a raggiungere la porta sud del villaggio del suono nel lasso di tempo stabilito, giungendovi in piena notte. Credetemi se vi dico che muoversi al buio in quel di Oto non è affatto cosa semplice, le paludi che si susseguono al di fuori delle mura sembrano nascondere ogni sorta di pericolo, rumori e versi di ogni genere mi hanno tenuto in apprensione per tutto il tempo, facendomi voltare dozzine di volte per la paura, sventolando il grosso bastone con su infisso uno straccio a cui avevo dato fuoco per rischiararmi il percorso. Per fortuna alla fine, con un po di culo devo ammettere, sono giunto nei pressi dell'arrivo, riuscendo infine a percepire la presenza di due persone e trovando dunque quella maledetta entrata al villaggio.
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    Per quanto potesse essere rilassante passare le giornate a dormire e allenarsi, sapevo bene che la vita di un ninja non potesse essere sempre rose e fiori, quindi, provai più e più volte nel corso degli ultimi mesi a passare davanti la bacheca delle missioni, ma nulla.
    Sembrava quasi che il mondo non avesse più bisogno del nostro aiuto. Eravamo divenuti dei fantasmi.
    Per certi versi questo mi faceva molto piacere, ma dovevo ammettere che la cosa non mi tornava molto utile. Io ci vivevo con le missioni.
    Già, sarà quasi un doppio senso, visto che la maggior parte delle volte ci si rischiava di lasciarci le penne, ma io, come qualsiasi altro ninja nelle terre del nostro modo, vivevo di quel che riuscivo a guadagnare con esse.
    Ed era alquanto frustrante non riuscire a partecipare ad alcuna missione che mi facesse realmente rizzare i peli delle braccia per l'eccitazione.
    Potevo quasi paragonarmi ad un predatore... senza la caccia non vi sarebbe alcun animale, e senza le missioni non vi sarebbe alcun ninja.

    -Cazzo!!-

    Piantai un pugno sul duro legno che costituiva la bacheca al centro della città, proprio sotto il grande palazzo del Raikage, che risuonò per tutta la piazza. Tutti gli abitanti li presenti si girarono verso la mia posizione, cercando di capire cosa fosse successo, per capire quale fosse il motivo di tanta rabbia.
    Il motivo?? Loro stessi.
    Mi sarebbe bastata anche una missioncina del cazzo adibita al ritrovamento di un gatto sperduto!! No, neanche quelle erano disponibili. Sembrava quasi che i gatti si fossero anche annoiati dallo scappare dalle loro padrone o dal rimanere bloccati su qualche albero!!
    Mi girai furibondo verso la folla che continuava a guardarmi in modo intenso e fisso, ma non bastò per far cambiare loro "traiettoria di tiro".

    -CHE VOLETE?? IO CI VIVO CON LE MISSIONI, E QUA NON C'E' NULLA DA MESI!!-

    Dissi indicando la bacheca e tirandogli un'altro pugno ben assestato al centro.
    Ma era tutto inutile... facendo così non sarebbe migliorata la situazione. Non sarebbe spuntata dal nulla una missione nuova di zecca solo per me.
    Quindi, rassegnato all'idea che anche quel giorno non avrei potuto fare altro che allenarmi, diedi le spalle alla bacheca, dalla quale provenne però un suono strano, come di qualcosa che si andava a conficcare.
    Mi girai più veloce che potevo, ed effettivamente, un Kunai si era conficcato sul duro legno e alla sua estremità vi era attaccao un foglietto con sopra il sigillo della segretaria del Raikage.
    Mi avvicinai e sfilai via dal legno il Kunai, per poi afferrare il piccolo pezzo di carta infilzato.
    Non sapevo cosa ci fosse scritto all'interno, ma speravo che non fosse un richiamo per il comportamento che stavo tenendo proprio in quel momento.
    Spezzai il sigillo e cominciai a leggere.

    CITAZIONE
    -Yudai, sei convocato nell'ufficio del Raikage immediatamente!-

    Chiusi gli occhi e strinsi i denti. Sperai solamente non fosse quel che pensavo. Speravo solo che il Raikage volesse elargirmi solo qualche brutta battuta alla quale avrei riso e me ne sarei andato sano e salvo... speravo.
    Mi diressi verso il palazzo del Raikage, distante non di più di 50 metri, ed entrai.
    Velocemente mi ritrovai nel piano più alto, davanti la porta i legno massello del capo del villaggio, pronto a bussare.
    Alzai la mano e un secondo prima di far impattare le nocche contro il legno della porta, la voce femminile della segretaria del Raikage m'invitò ad entrare.

    -Entra pure Yudai.-

    Strinsi gli occhi, presi un lungo respiro e aprii la porta, rivelando lo studio del Raikage in tutta la sua bellezza.
    Mi feci avanti e mi misi in ginocchio davanti alla più alta carica dello stato di Kumo. Non fiatai, semplicemente... aspettai.
    L'uomo dai capelli neri con alcune ciocche bianche mi scrutava come fossi uno sconosciuto ed i suoi occhi ambrati richiedevano la mia attenzione, me lo sentivo.
    Alzai lo sguardo e feci cozzare i colori dei nostri occhi.
    Oggi il Raikage era tutt'altro che in vena di fare battute.
    Rimanemmo qualche minuto in questa situazione, fino a quando, con un filo di voce e con serietà assoluta, il Raikage non si espresse.

    -Stanotte, alla porta Sud del Villaggio del Suono.-

    Chiaro e coinciso.
    Mi stava affidando una missione che non richiedeva altre spiegazioni. Probabilmente mi sarebbero state date solo nel momento in cui sarei arrivato a destinazione.

    -Sarà fatto!!-

    Detto questo, mi alzai e mi diressi fuori dall'ufficio, pronto per partire.
    Un sorriseto mi balenò in faccia, come se fosse successa la cosa più bella del mondo... ed in fondo era così. Si tornava in pista!
    Era ancora mattina, ma se volevo fare in tempo ad arrivare per sera, mi sarei dovuto mettere in viaggio il prima possibile, quindi, non appena uscì dall'edificio del Raikage, cominciai subito la mia corsa verso il paese del Suono.
    Per mia incredibile fortuna, Oto non distava molto da Kumo, quindi, dopo già un paio d'ore mi trovavo al di fuori del mio paese, diretto verso quello dei campi di riso.
    Già in lontananza si vedevano imponenti fulmini cadere rovinosamente al suolo proprio sul paese del Suono, quindi, dovevo mettere in conto che la temperatura sarebbe stata più o meno simile come quella di Kumo, niente di più e niente di meno.
    Comunque, continuai a correre come un forsennato, senza mettere nulla sotto i denti ma bevendo di tanto in tanto dalla piccola borraccia che portavo all'interno dello zainetto in spalla.
    Era oramai pomeriggio ed il sole cominciava a calare verso la sua "morte" e i nuvoloni si facevano sempre più pressanti.
    Potevo sentire gli elettroni viaggiare velocemente nell'aria, pronti a far scatenare una nuova tempesta di fulmini.
    Mentre correvo, una goccia d'acqua fece arrestare la mia corsa.

    -Ci siamo...-

    La pioggia torrenziale era vicina e la temperatura cominciava a scendere. C'ero vicino.
    Continuai a correre come un forsennato, quando i fulmini e i tuoni cominciarono a torreggiare su tutto, e avidamente divoravano il cielo.
    Quello era il tempo che io più prediligevo. Sarà stato per questioni di DNA o per altro, ma le tempeste... erano qualcosa di spettacolare.
    E vi era anche un a cosa positiva in tutto ciò, ad ogni lampo, le mura della città erano sempre più vicine e delle voci cominciarono a figurare nei miei timpani.

    -Qualcosa mi dice che sei tu la perosna che sto cercando..-

    La conoscevo, era del ragazzo che si limitò a starsene immobile nel nostro scontro... che ci faceva la??
    Continuai ad avvicinarmi fino a quando non fui a pochi metri dai tre ragazzi.
    Ero arrivato a destinazione.
     
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    Raramente si era vista una pioggia così ad Oto, sopratutto in quella stagione. Una miriade di gocce d'acqua cadevano giù dal cielo ogni secondo, come miliardi di dardi scoccati da alte mura e diretti a terra. Non risparmiava nulla quella pioggia: cadeva su tetti e grondaie, batteva alle porte e alle finestre, s'insinuava per le strade e per le piazze, scivolava dentro pozze e tombini, infradiciava con la sua ostinata tristezza gli animali e le persone che tentavano vanamente di coprirsi con ombrelli e mantelli. Non era una semplice pioggia, non era una tempesta qualunque. C'era qualcosa di diverso quella notte, al Villaggio del Suono. Il vento sbuffava con intensità mai vista, piegando i cipressi fino a farli sfiorare l'umido e fangoso terriccio dal quale spuntavano, trascinando con se oggetti di più svariata misura e provocando quel suono simile ad un sibilo gelido che si insinuava nella testa dei bambini che tentavano di dormire nei loro letti caldi, spaventati. Il freddo pungeva sulla pelle, sembrava trafiggerla con spade infuocate. La Tempesta stava tentando di comunicare, stava manifestando tutto il suo dolore. Era come se il mondo intero stesse piangendo su di loro, sancendo la loro personale condanna. Cosa era accaduto quella notte di così terribile da risvegliare la collera della Natura stessa? Una risposta che si potrà avere solo alla fine di ogni cosa, perché tutto ha una fine, così come ha un inizio. Ed è questo l'inizio di ogni cosa. Un uomo incappucciato di nero davanti alla porta Sud di Oto, fradicio dalla testa ai piedi ma immobile, in attesa. Egli è uno Shinobi, in ritiro da qualche mese per via di una malattia che non gli permetterà più di esercitare il mestiere del Ninja, per questo motivo il suo nuovo impiego si svolge presso la segreteria del Kage di Oto e, per lo stesso motivo, si trova nel bel mezzo del temporale, aspettando. Se ne frega delle scarpe infangate e il mantello che sembra essere stato immerso in una pozza gelida, egli aguzza lo sguardo, finché qualcuno non arriva. Sono tre i prescelti (chi sa dire se dal fato o dall'evenienza) che quella notte hanno il compito di plasmare le lacrime del cielo, sperando che dalla tempesta possa nuovamente brillare il sole. Il primo è un giovane uomo con un lungo kimono bianco che brilla in quell'oscurità; capelli mossi e scuri, occhi indagatori e sinistramente rassicuranti. Il secondo è un ragazzo avviato a divenire un uomo i cui capelli blu rischiarono alla luce della luna che timidamente resta nascosta dietro le nubi nere pece; i suoi occhi sono azzurri e la sua maschera silenziosa nasconde l'impulsività insita nel suo carattere. Il terzo, l'ultimo tra i tre, è il più giovane, poco più di un ragazzo i cui occhi blu inghiottono il buio, risplendendo tra esso; i capelli scuri sono tutti arricciati per colpa della pioggia ma il suo sguardo è determinato. I tre ragazzi si conoscono e non si conoscono ma questo non ha importanza nella nostra storia, poiché tutti e tre sono parte di qualcosa di più grande, ergo, sono giù uniti tra loro, anche senza volerlo o saperlo. Si avvicinano uno alla notte alla porta del villaggio, spostando i loro sguardi sull'unica figura presente, l'uomo incappucciato. Tre reazione ben diverse hanno: il primo sguaina la katana e parla, quasi ad assicurarsi che il Lui sia lui; il secondo è quasi seccato per il mal tempo e la strada fatta ma al contempo è sollevato dall'esser giunto a destinazione; il terzo è incuriosito e si avvicina ai tre, silenziosamente. Sembrano quasi in ordine di altezza e grandezza, questo pensa l'incappucciato shinobi fissandoli. Li squadra, uno ad uno, e senza rispondere alla domanda del primo, sposta lo sguardo dall'uno all'altro, pronunciando i loro nomi ad alta voce, così come gli erano stati segnalati.

    Dorian Ashford... Xavier... Yudai Nobunaga...

    Tra i tre c'è chi è stupito, chi è incuriosito e chi, dei nomi, non gliene frega niente. Eppure lo Shinobi sa di aver fatto centro, i tre nomi corrispondono ai tre volti, in ordine. Mostra il coprifronte di Oto sotto il cappuccio, presentandosi come "Reed" ai tre Chunin. Provengono da Ame, Iwa e Kumo, tre paesi relativamente vicini, chi più chi meno, a quello dei campi di riso. Ed ecco che quindi i tre protagonisti trovano l'informatore che, prima di parlare e spiegare, tira fuori un foglio da sotto il mantello. Plastificato, una semplice pagina ingiallita di un quaderno a righe, strappata in malo modo sulla quale inchiostro nero riporta frasi scritte frettolosamente, in modo curioso, fanciullesco. Il foglio imbustato passa di mano in mano, in modo che tutti e tre i Ninja, alla luce di una lanterna curiosamente antica, evocata da Reed, possano leggerne il contenuto.

    CITAZIONE
    Mi chiamo Aya e ho bisogno di aiuto immediato! Sto scrivendo dalla soffitta dopo essermici barricata dentro. Sono riuscita a scappare da loro ma credo che prima o poi mi troveranno e qui la finestra è al quarto piano... Non voglio morire, quegli esseri mi fanno paura... Devo ritrovare mio padre ma non so come fare... Lui è l'unico che può cambiare le cose ma da quando l'ho sentito urlare dal suo laboratorio non sono riuscita a trovarlo. Odio pensare che quei mostri... no, sono certa che sia ancora vivo! Vi prego, qualcuno ci salvi!

    Il messaggio, così come scritto, certamente non poteva dare alcuna informazione realmente utile. Colei che l'aveva scritto, questa Aya, doveva essere una bambina e molto spaventata per dimenticarsi di scrivere dove si trovasse. Nessuno avrebbe potuto aiutarla in quel modo, chi avrebbe potuto capire dove si trovasse la bambina? Aya era un nome comune per di più, quante potevano esserci di bambine con quello stesso nome al Villaggio? La faccenda si faceva ancor più confusa. Perché i tre Chunin erano stati chiamati se tutto ciò che avevano era una richiesta di aiuto che non poteva aiutare loro? Sembrava quasi una presa in giro ma, ciò che i tre non potevano sapere, non essendo del luogo, era che, in realtà, la lettera conteneva tutte le informazioni necessarie per individuare il mittente. Prima di tutto, il gufo che l'aveva consegnata al Palazzo del Kage non era un gufo qualsiasi ma una civetta bianca che, al Villaggio, apparteneva solo ad una persona. Secondo punto, sulla lettera, come un occhio attento avrebbe potuto notare, c'era della resina, trasferita dagli artigli del volatile alla pergamena gialla e quella particolare resina aveva un colorito bluastro, che si poteva trovare in un unico punto del piccolo bosco che circondava una parte del Villaggio. Come ultimo punto, c'era un'unica abitazione in tutto il Villaggio del Suono, escludendo il Palazzo del Kage, che aveva una soffitta al quarto piano. Proprio conoscendo e collegando questi particolari tra loro, gli Shinobi della segreteria che avevano ricevuto la lettera dalla civetta poterono individuare il mittente. Reed riprese il foglio, ricacciandoselo dentro il mantello mentre s'apprestava a spiegare tutto quanto ai tre Shinobi. Parlò in maniera chiara e coincisa visto che non c'era tempo da perdere. Già da giorni si verificavano strani eventi, per questo, come misura di sicurezza, si era scelto già di contattare i capisaldi di alcuni altri villaggi, in modo che sarebbe semplicemente bastato inviare il segnale per far arrivare ad Oto dei rinforzi. I tre, ecco chi erano i rinforzi. Reed li guardò tutti e tre, prendendo un bel respiro e facendo luce sul prologo della storia.

    Aya Drevis. Ha undici anni e vive in una grande casa, la Residenza Drevis, assieme a suo padre Alfred. È un dottore, nonostante si sia ritirato prematuramente qualche anno fa. Al villaggio li conoscono un po' tutti. Sappiamo che la moglie del Sig. Drevis è deceduta due o tre anni fa, mi sembra che oggi sia l'anniversario ma non ne sono certo. Ad ogni modo, è chiaro che c'è qualcosa che stia turbando la loro vita domestica. Nel messaggio la bambina parla di "loro", si riferisce a qualcosa, in più ha sentito urlare il padre dal suo laboratorio (penso sia il suo studio). Riteniamo che potrebbero essere dei ladri se non peggio, anche se non è chiaro perché dovrebbero prendersela con un dottore. Il vostro compito è infiltrarvi nella casa dei Drevis e trarre in salvo sia il padre che la bambina, e naturalmente scoprire cosa diavolo stia succedendo. Afferrate il mio braccio, ci dislocheremo al limitare della foresta, così non perderemo altro tempo.

    Detto fatto, i tre, senza la possibilità di fare altre domande, afferrarono il braccio dell'uomo sotto la pioggia. I tuoni rombavano fragorosamente mentre i fulmini squarciavano il buio del cielo. Lo Shinobi incappucciato chiuse gli occhi e, improvvisamente, le quattro figure sparirono nel nulla. Era come se i propri corpi stessero levitando nel vuoto, accartocciandosi su se stessi e viaggiando così velocemente da non avere più fiato. Sentivano gli organi scombussolarsi e le orecchie fischiare, finché i loro piedi toccarono di nuovo terra e, barcollando e tremando, si ritrovarono in piedi, nell'identica posizione di quando erano spariti, appena un secondo prima. Si erano dislocati e ora si ritrovavano nel bel mezzo di un modesto bosco, tra l'erba fangosa. Lì sembra che il vento sbuffi ancora più intensamente.

    Andiamo, è da questa parte.

    Esordisce Reed, facendosi strada tra le cortecce scure e bagnaticce degli alberi. Non si sente alcun rumore se non quella della pioggia, gli animali sembrano non esistere ma forse è a causa del maltempo. La tempesta imperversava e i tre ragazzi, seguendo lo shinobi incappucciato, giunsero finalmente, dopo aver seguito per circa dieci minuti una stradina artificiale, una sorta di cammino, davanti a quella che capirono essere la Residenza Drevis.
    giphy
    La strada sembrava circondare la villa per intero e, dalla loro posizione, i quattro poterono osservarla attentamente. Sembrava lugubre così attanagliata dalla tempesta e dai fulmini. Era una casa che sembrava stagliarsi contro il cielo, antica e dall'aspetto regale, sembrava quasi appartenere ad una famiglia altolocata ma, dopotutto, i Drevis lo erano. Il tetto era scuro e, anche dal mezzo dei boschi, la soffitta era facilmente individuabile. Aya Drevis, la bambina che aveva chiesto aiuto, si trovava lì dentro. Dorian, Xavier e Yudai sarebbero entrati in azione da lì a pochi secondi.

    L'ingresso è quello, non penso che sia chiuso, solitamente non ci sono furti da queste parti. O almeno così è stato fino ad oggi... Buona fortuna ragazzi, contiamo su di voi.

    Si dislocò nuovamente e i tre rimasero soli. Da qualsiasi parte la si guardasse, c'era qualcosa che non andava con quella casa. Sembrava che un'aurea maligna la ottenebrasse, sembrava quasi... maledetta. Cosa stava accadendo in quel preciso istante tra quelle mura? E perché? Cosa aveva scatenato tutto ciò? E in qualche modo la tempesta era collegata alla questione? Che fine aveva fatto il padre di Aya? E la bambina? Era stata raggiunta dai misteriosi individui di cui aveva paura o era ancora al sicuro, momentaneamente, in soffitta? Sarebbero stati i tre ragazzi a scoprirlo, magari non avrebbero scoperto ogni cosa ma ciò dipendeva da loro. I misteri e i segreti di casa Drevis non aspettavano altro che essere svelati. Toccava a loro adoperarsi per raccogliere informazioni e salvare così padre e figlia. Ce l'avrebbero fatta?

    Potete entrare nella casa, ritrovandovi nella Entrance Hall. Descrivete l'interno come perfettamente normale, magari un po' all'antica, ma non manca nulla se non la luce. Infatti non c'è elettricità. Non ci sono segni di effrazione, niente di niente, sembra tutto tranquillo se non che non ci sia nessuno. Davanti a voi ci sarà un grande atrio con due corridoi ampi ai lati, una porta davanti a voi, con scritto "Cafeteria" sopra di essa, e, ai suoi lati, delle scale che portano al piano superiore. Avete carta bianca sul da farsi ma, in caso, vi do delle opzioni. Potete scegliere di:
    1. Salire le scale e proseguire per il corridoio a destra/sinistra (specificate in che direzione)
    2. Avventurarsi per il corridoio a destra
    3. Avventurarsi per il corridoio a sinistra
    4. Entrare nella Caffetteria
    5. Restare dove si è in attesa di qualcosa

    Il vostro compito è naturalmente salvare padre e figlia ma fate attenzione perché tutto ciò che farete avrà delle conseguenze. D'ora in avanti qualsiasi vostra azione servirà per chiarire il mistero della storia o, al contrario, per lasciarlo segreto. Questo implicherà che ci saranno diversi finali per la missione di cui solo uno è quello reale. Vi spiegherò tutto più dettagliatamente nei post a seguire ma vi prego di uscire fuori dallo schema "entro nella casa, faccio il culo a qualcuno, salvo chi devo salvare e me ne vado". Dimostratemi ciò che sapete fare.
     
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    L'aria si faceva sempre più densa di curiosità e di tensione, il tizio incappucciato se ne stava li, appoggiato al muro di Oto senza battere ciglio, mentre la pioggia gli cadeva sulla testa, ma lui non pareva curarsi di ciò, se ne stava li, fermo, come se nulla fosse.
    Dopo pochi minuti, altre due persone si presentarono alle mie spalle, credevo fossero degli alleati del tizio incappucciato, ma una breve occhiata ad uno dei due mi confermò che non era così, si trattava di un ragazzo che avevo già conosciuto in un mio viaggio a Kumo, nel quale lo avevo affrontato in un duello, duello nel quale rimasi immobile e subii tutti i colpi che egli mi sferrò, il motivo di questa mia scelta era ancora sconosciuto al ragazzo, ma non a me.
    L'altro aveva una faccia nota, capelli azzurri, giacca bianca e pantalone scuro, aveva una strana tonalità di colore per quanto riguarda gli occhi, e fu quello che mi fece venire in mente che forse avevo già visto anche lui, ma forse era passato troppo tempo e difficilmente me ne sarei potuto ricordare, forse lui aveva una memoria migliore della mia.

    Dorian Ashford... Xavier... Yudai Nobunaga...

    Conosceva tutti i nostri nomi, a quanto pare questo incontro non era una coincidenza, eravamo stati chiamati tutti di proposito, e forse con la stessa pragmatica formula.
    Rinfoderai la katana nel suo fodero, quel tizio non era un pericolo, era il nostro datore di lavoro, e questa era una missione, ed io, come sempre, maledivo il giorno in cui ho deciso di fare il ninja.
    Ultimamente non avevo avuto tregua, 3 missioni a ruota e nemmeno un po di tempo libero per dedicarlo alla preghiera o alla caccia di qualche animale raro come amavo fare da tempo, ma ormai mi trovavo qui, sotto la pioggia, con 2 ninja ed un terzo misterioso individuo, non potevo più tirarmi indietro, ormai eravamo in ballo.
    Il tizio fece qualche passo in avanti e, dopo essersi avvicinato, ci cominciò di chiamarsi Reed e di essere un ninja di Oto, mostrandoci il suo copri-fronte a testimonianza che dicesse il vero.
    Successivamente, si cacciò una mano nella tasca interna sinistra e ne estrasse un foglio di carta stropicciato e plastificato, che passò prima a me, suggerendomi, una volta letto, di farlo girare a gli altri due, sgranai gli occhi e lessi tra me e me il contenuto del foglio.

    CITAZIONE
    Mi chiamo Aya e ho bisogno di aiuto immediato! Sto scrivendo dalla soffitta dopo essermici barricata dentro. Sono riuscita a scappare da loro ma credo che prima o poi mi troveranno e qui la finestra è al quarto piano... Non voglio morire, quegli esseri mi fanno paura... Devo ritrovare mio padre ma non so come fare... Lui è l'unico che può cambiare le cose ma da quando l'ho sentito urlare dal suo laboratorio non sono riuscita a trovarlo. Odio pensare che quei mostri... no, sono certa che sia ancora vivo! Vi prego, qualcuno ci salvi!



    Passai il foglio a Xavier, il ragazzo accanto a me e cominciai a riflettere, qualcuno si era intrufolato nella casa di questa Aya e l'aveva costretta a rifugiarsi in soffitta, inoltre aveva detto "esseri", quindi non dovevano avere sembianze umane, ma cosa potevano mai essere? Forse dei richiami.
    Aveva inoltre sentito urlare il padre nel suo laboratorio, asserendo che lui fosse l'unico in grado di cambiare le cose, forse erano degli esperimenti del padre?
    Avevamo troppe poche informazioni per poter dire cosa stesse succedendo e , soprattutto, dove, poichè nel foglio non c'erano indicazioni geografiche su dove si trovasse la casa di questa Aya, eravamo al punto di partenza.
    Il foglio passò di mano in mano, fino all'ultimo ragazzo, quello proveniente da Kumo, fino a tornare nelle mani di Reed, il quale lo cacciò nuovamente nella tasca interna del suo lungo e nero impermeabile.
    Egli si avvicinò nuovamente a noi di qualche passo, come a volerci parlare in confidenza.

    Aya Drevis. Ha undici anni e vive in una grande casa, la Residenza Drevis, assieme a suo padre Alfred. È un dottore, nonostante si sia ritirato prematuramente qualche anno fa. Al villaggio li conoscono un po' tutti. Sappiamo che la moglie del Sig. Drevis è deceduta due o tre anni fa, mi sembra che oggi sia l'anniversario ma non ne sono certo. Ad ogni modo, è chiaro che c'è qualcosa che stia turbando la loro vita domestica. Nel messaggio la bambina parla di "loro", si riferisce a qualcosa, in più ha sentito urlare il padre dal suo laboratorio (penso sia il suo studio). Riteniamo che potrebbero essere dei ladri se non peggio, anche se non è chiaro perché dovrebbero prendersela con un dottore. Il vostro compito è infiltrarvi nella casa dei Drevis e trarre in salvo sia il padre che la bambina, e naturalmente scoprire cosa diavolo stia succedendo.

    Finalmente, Reed ci illuminò su chi fosse questa Aya e su dove abitasse, probabilmente avevano svolto delle indagini prima di chiamare noi, il che era una cosa positiva, ora sapevamo chi e dove cercare, ma il fatto rimaneva comunque attornato da un fitto alone di mistero, non credo si trattasse di ladri come il ninja di Oto suggeriva, aveva parlato di "esseri", dunque qualcosa di potenzialmente non umano.
    La prima cosa da fare era recarsi alla residenza Drevis ed indagare in loco sull'accaduto, magari avremmo trovato qualche segno di effrazione o qualche segno di intrusione..

    Afferrate il mio braccio, ci dislocheremo al limitare della foresta, così non perderemo altro tempo.

    Avevo sentito parlare della dislocazione, una tecnica che permette di spostarsi quasi in un battito di ciglia da un punto ad un altro, era considerata una tecnica di alto rango, non l'avevo mai sperimentata, ma ninja che avevo conosciuto asserivano di averla provata, e dicevano che la sensazione è quella delle montagne russe, solo molto più amplificata...ammetto che l'idea di smaterializzarmi non mi aggradava per nulla, ma Reed pareva sapere quel che faceva, quindi mi sarei fidato e saremmo stati a vedere, la mia paura era quella di smaterializzarmi tutto d'un pezzo e ri-materializzarmi senza un arto o peggio.
    Seppur con non poca tensione in corpo, appoggia la mano sul braccio del ninja di Oto e chusi gli occhi, d'un tratto, sentii le mie budella contorcersi, la mia testa sembrava volersi staccare dal corpo per andare a fare un giretto, la sensazione era davvero simile a quando cadi in picchiata dalle montagne russe, solo molto più accentuata, lo stomaco era sotto sopra, ma in un batter d'occhio quelle sensazioni scomparirono, lasciando spazio ad una leggera nausea e voglia di vomitare, doveva essere normale però, essendo la mia prima smaterializzazione.
    Riaprii gli occhi, il panorama era totalmente diverso, non ci trovavamo più alla porta di Oto, la dislocazione era andata a buon fine ed io ero, apparentemente, tutto intero.
    Reed ci aveva dislocato all'interno di un bosco, i nostri piedi affondavano nell'erba fangosa, mentre il vento sbuffava ancora più forte di prima, schiaffeggiandoci il viso e riversando la pioggia contro di noi, dovevamo muoversi.

    Andiamo, è da questa parte.

    Reed ci fece strada, capeggiando il gruppo e procedendo verso quello che supponevo essere il nord, anche gli altri due ragazzi parevano essere scombussolati per la dislocazione, segno che era una cosa normale per tutti quelli che la vivono per la prima volta.
    La foresta andava a farsi a poco a poco sempre meno fitta, gli alberi diminuivano di numero, così come la loro altezza andava sempre a decrescere, finchè, ad un certo punto, uscimmo dalla selva, ritrovandoci davanti un maniero che definirlo spettrale era un complimento.
    Un enorme casa coloniale di colore nero si stanziava davanti a noi imponente, costruita prevalentemente in legno e in mattoni, con varie ed ampie finestre al secondo ed al terzo piano, nessuna luce pareva trasparire da dentro, forse era saltata a causa del temporale.
    La tempesta imperversava violenta, i tuoni ed i fulmini cadevano con una frequenza sempre più frequente, dando al maniero un aura ancora più spettrale, tanto da far sussultare persino me.

    Questo luogo mette i brividi..

    Dissi a mezza voce, sicure che però i due ragazzi mi sentissero.
    Ci avvicinammo alla casa, fino a giungere davanti alla sua entrata principale, solo un grosso portone in mogano nero ci separava dall'interno della casa, non ero più così sicuro di voler entrare dentro, ma alla fine io avevo molto meno da temere che i due ragazzi accanto a me, ignari di cosa io fossi e di cosa fossi in grado di fare, uno di loro sapevo già essere un ninja abbastanza ferrato nelle arti magiche a medio raggio, mentre di quello Xevier non riuscivo proprio a ricordare nulla, forse lo avevo affrontato quando ancora mi facevo chiamare Rain..

    L'ingresso è quello, non penso che sia chiuso, solitamente non ci sono furti da queste parti. O almeno così è stato fino ad oggi... Buona fortuna ragazzi, contiamo su di voi.

    Il tizio non aspettò nemmeno il tempo di vedere se avessimo avuto qualcosa da ribattere che, accompagnato dal rombo di un tuono, si dislocò, lasciandoci da soli n mezzo a quella tempesta, davanti alla residenza Drevis.
    Presi coraggio e mi incamminai, spingendo con entrambe le mani le due grosse ante del portone, spalancandolo e sancendo definitivamente il nostro ingresso nella villa, i due ragazzi mi seguirono, la porta fu lasciata aperta per permettere alla poca luce della luna di illuminare l'atrio della casa, poichè ogni luce era spenta, probabilmente un corto circuito causato dal temporale.

    Milford Sound in New Zealand



    L'atrio si presentava più spettrale che mai, complice l'assenza di illuminazione e la tempesta che fuori rendeva il tutto più sinistro.
    Una volta varcata la soglia, ci saremmo trovati davanti una grossa stanza quadrata, davanti a noi si stagliava una grossa scalinata che portava al piano superiore, già dalla nostra posizione era possibile notare che, una volta salita la scalinata, era possibile imboccare un corridoio a destra oppure uno a sinistra.
    Sotto la scalinata, alla sua destra, c'era una porta di legno che, dopo una breve discesa, annunciava l'ingresso nella "Caffeteria", probabilmente le cucine oppure una sala adibita a qualcosa che riguarda il pranzo o la cena.
    C'erano poi due corridoi, subito prima delle scale, uno verso destra ed uno verso sinistra, era impossibile vedere dove portassero, poichè due porte bloccavano l'accesso, era necessario aprirle per imboccare il corridoio, insomma, eravamo davanti ad una scelta.

    Direi di dividerci, io vado su per le scale...prudenza però, questa casa ha qualcosa che non mi convince...

    Esclamai, distaccandomi dal gruppo e raggiungendo le scale, la poca luce non mi permetteva di vedere bene le decorazioni della casa, ma pareva essere tutto molto antico.
    Salii le scale e svoltai a destra, la zona era ancora molto buia, vedevo poco, mi sarei affidato alla vista e all'udito per non andare a sbattere contro nulla.




    Status di Dorian

    Scheda Dorian

    • Nome: Dorian
    • Cognome: Ashford
    • Resistenza: 450
    • Stamina: 200
    • Azioni Eseguite:





     
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    Oramai il mio focolare era ridotto a una piccola luce, sufficiente appena per rischiarare la mia persona ed il passo successivo sul mio cammino, per evitare quanto meno di inciampare in qualche rovo o storcersi la gamba in qualche buca. La palude che circondava la zona intorno al villaggio era più ricolma che mai d’acqua piovana, la quale continuava a cadere incessantemente e senza darmi tregua, facendo si che i miei vestiti fossero completamente inzuppati, pesanti e freddi, in una situazione tutt’altro che piacevole. Piccole pozze che normalmente si riuscivano ad attraversare bagnandosi a malapena le caviglie erano divenute veri e propri stagni, nei quali mi muovevo immerso nel fango fino al bacino, sforzandomi per spostarmi in fretta e non rimanere impantanato sul fondo. Ogni passo era una fatica, trascinavo il mio corpo ormai privo di forze in quei covi di anguille e siluri, per fortuna non abbastanza grandi da risultare un più che un semplice fastidio. Il sudore si mischiava al diluvio e mi colava sulla fronte accecandomi e costringendomi ad asciugarmi il volto con la manica della maglia ormai ridotta a uno straccio, un passo ogni due. Ero stremato, fisicamente ma soprattutto psicologicamente, se quello era il buongiorno allora c’era da aspettarsi il peggio per quella missione. Per fortuna il mio vagare apparentemente senza meta è stato interrotto dalla percezione di alcuni individui in lontananza, segnale che ho seguito fino a giungervi addosso, trovando infine la porta e la mia meta, nonché compagni e guida.

    *Anf anf* Sono qui per la missione…



    È stato tutto quel che sono riuscito a dire prima di piegarmi su me stesso, poggiando le mani sulle ginocchia e sostenendo il mio corpo privo di forze per riprendermi dalla stanchezza, con la testa rivolta verso il basso e la bocca aperta in evidente affanno. Era buio, la mia fiaccola si era spenta giusto in tempo, lasciando ora solo una piccola scia di fumo verso l’alto al posto del fuocherello che mi era servito non poco in precedenza. La scarsa visibilità mi impediva di riconoscere i volti e le fattezze dei miei compagni, per la maggior parte nascosti da indumenti che li proteggevano dalle intemperie. Giunti tutti all’appello, uno di loro ha preso la parola, ovvero colui che ci avrebbe spiegato i fatti e portato nel luogo dove si sarebbero svolte le ricerche, e quindi la missione. Era tra tutti il più bardato, tanto che non si scorgeva di lui nemmeno il minimo dettaglio fisico. Era solo un ombra, una figura nera e tenebrosa.

    Dorian Ashford... Xavier... Yudai Nobunaga...



    Conosceva i nostri nomi, era informato perfettamente di chi fossimo, al contrario di molti altri richiedenti al giorno d’oggi. In ogni caso, ancora sconvolto e provato, non ho fatto caso alle identità dei miei due compagni, i cui nomi mi sono passati da orecchio a orecchio senza ch’io vi badassi tanto, ignorando il fatto che conoscessi in effetti entrambi, anche se per scoprirlo avrei dovuto ancora attendere. A quel punto il tizio ha scoperto il volto per qualche secondo, ed un lampo ne ha illuminato le fattezze per qualche decimo di secondo, il tempo necessario perché io potessi scorgere lo scintillio del suo copri fronte, il quale recava il simbolo di oto.

    Io sono Reed…



    La sua voce tenebrosa e grave lo rendeva perfetto per il ruolo, immergendolo a pieno nell’atmosfera e facendo di lui l’interprete ideale della faccenda. Era uno di poche parole, tanto che prima di esibirsi in inutili e lunghe spiegazioni ha estratto un foglio dalla tasca, facendolo poi passare di mano in mano cosicché potessimo esaminarne il contenuto.

    CITAZIONE
    Mi chiamo Aya e ho bisogno di aiuto immediato! Sto scrivendo dalla soffitta dopo essermici barricata dentro. Sono riuscita a scappare da loro ma credo che prima o poi mi troveranno e qui la finestra è al quarto piano... Non voglio morire, quegli esseri mi fanno paura... Devo ritrovare mio padre ma non so come fare... Lui è l'unico che può cambiare le cose ma da quando l'ho sentito urlare dal suo laboratorio non sono riuscita a trovarlo. Odio pensare che quei mostri... no, sono certa che sia ancora vivo! Vi prego, qualcuno ci salvi!

    Era un foglio stropicciato e malmesso, una pagina strappata da un quaderno e scritta probabilmente di fretta e senza appoggio. Alcune parole erano più grandi, altre più piccole, lo scritto non seguiva un andamento lineare e in molti parti l’inchiostro era sbavato, senza contare che non mancavano gli errori grammaticali, a rendere evidente il fatto che fosse opera di una bambina. Nonostante fosse privo di informazioni esplicite, la lettera era preoccupante, le parole della bambina erano strane e parlavano di una minaccia abbastanza esplicita. Del resto si capiva poco, senza contare che essendo stata scritta da una fanciulla gli eventi potevano esser stati mal interpretati. Ma d’altronde non sapevo ancora nulla, povero sciocco…

    Tutto qui??



    Non era abbastanza, come avremmo potuto trovare l’abitazione della bambina senza il minimo di un riferimento. Non c’era un nome, un indirizzo, un dettaglio, niente di niente. Per fortuna c’era chi ad Oto aveva pensato a tutto questo, indagando preliminarmente sulla provenienza dello scritto. Perciò, una volta ripreso il documento, l’uomo si è fatto avanti ed ha preso la parola, informandoci del necessario che mancava.

    Aya Drevis. Ha undici anni e vive in una grande casa, la Residenza Drevis, assieme a suo padre Alfred. È un dottore, nonostante si sia ritirato prematuramente qualche anno fa. Al villaggio li conoscono un po' tutti. Sappiamo che la moglie del Sig. Drevis è deceduta due o tre anni fa, mi sembra che oggi sia l'anniversario ma non ne sono certo. Ad ogni modo, è chiaro che c'è qualcosa che stia turbando la loro vita domestica. Nel messaggio la bambina parla di "loro", si riferisce a qualcosa, in più ha sentito urlare il padre dal suo laboratorio (penso sia il suo studio). Riteniamo che potrebbero essere dei ladri se non peggio, anche se non è chiaro perché dovrebbero prendersela con un dottore. Il vostro compito è infiltrarvi nella casa dei Drevis e trarre in salvo sia il padre che la bambina, e naturalmente scoprire cosa diavolo stia succedendo. Afferrate il mio braccio, ci dislocheremo al limitare della foresta, così non perderemo altro tempo.



    Almeno ora avevamo un punto di partenza, anche se li per li la faccenda non mi era affatto chiara. Le informazioni in loro possesso erano davvero poche, senza contare che la lettera della bambina lasciava aperte fin troppe ipotesi su cosa stessimo andando incontro. In ogni caso pensare serviva a poco in quel momento, l’unica cosa da fare era seguire le indicazioni della nostra guida. Così, pur ignorando di cosa stesse parlando, mi sono attaccato a lui, afferrandolo per un braccio subito dopo i miei compagni. Al contatto con questo sono stato come risucchiato in un vortice, le immagini si sono avvolte su se stesse per poi sparire in fondo a una spirale, mescolandosi in forme e colori in continuo movimento. Ho sentito il mio corpo pressarsi, sparire non so dove per poi riapparire come sputato da un condotto di scarico, in un atterraggio non proprio piacevole.

    Porcaccia troia che botta… mai più!



    Avevo le vertigini, i brividi e un senso di nausea altissimo, tanto da barcollare un momento e quasi vomitare, salvandomi solo per il fatto di dover mantenere un certo regime. Eravamo ora da tutt’altra parte, nei pressi di un bosco con uno scenario totalmente diverso intorno a noi. Gli unici elementi rimasti invariati erano il fango sotto i nostri piedi, la pioggia ed il vento, il quale soffiava ora nettamente più forte, urlando tra le fronde degli alberi come incazzato nero, trasportando via con se tutto ciò che non aveva la forza di rimanere al suolo e combattere la sua forza. La pioggia ora cadeva talmente forte che ogni goccia era come un proiettile su ogni parte scoperta del mio corpo, a fatica riuscivo a tenere gli occhi aperti e a farmi avanti incontro al soffiare del maltempo. Persino le parole di Reed, eppur così vicine, suonavano lontane centinaia di metri, udibili al pelo.

    Andiamo, è da questa parte.



    Lo seguivo osservando a occhi socchiusi le sue gambe muoversi innanzi a me tra gli alberi, fino a giungere al confine del bosco, in pochi minuti. Li finalmente abbiamo raggiunto la nostra meta. I fulmini che si susseguivano ad intervalli regolari illuminavano la scena a intermittenza, rivelando le fattezze della casa che ci stava d’innanzi così spesso da permetterci di osservarla e capirne la fisionomia. Era una villetta piuttosto grande, completamente isolata, dalle fatture moderne e di struttura solida, posta su tre piani con alcune stanze completamente isolate tra loro. Un immobile non indifferente, senza dubbio bello, ma che in quell’atmosfera rendeva lo scenario ancor più tenebroso di quanto già fosse. Dall’interno neanche una luce, finestre nere che riflettevano la forma dei fulmini che frastagliavano il cielo, mura biancastre e tetto scuro, e poi nient’altro.

    L'ingresso è quello, non penso che sia chiuso, solitamente non ci sono furti da queste parti. O almeno così è stato fino ad oggi... Buona fortuna ragazzi, contiamo su di voi.


    L’aiuto del nostro tutore finiva di fatto li, egli non si sognava nemmeno di entrare in quel posto, tanto che nemmeno si è avvicinato all’ingresso, denunciando forse una certa paura verso quel luogo. Se da Oto avevano richiesto la presenza di tre ninja del nostro livello un motivo doveva pur esserci, e quella faccenda sembrava ogni momento più preoccupante. In ogni caso ci siamo mossi, facendoci coraggio a vicenda ed entrando nell’edificio.

    Almeno qui dentro è asciutto



    Una volta entrati, non rilevando nessuna presenza e visto che nessun altro sembrava aver notato niente di strano, ho provato a sdrammatizzare un po la faccenda, approfittando inoltre per togliermi tutto quel che non mi serviva di dosso, abbandonando una decina di kili di vesti bagnate, restando con l’essenziale addosso. Così ho lasciato cadere il grosso giubbotto che portavo sulle spalle ed ho riacceso la mia fiaccola, sostituendo la parte in cima, fradicia, con una tenda delle finestre sull’entrata, per poi darvi fuoco col mio chakra katon. Rischiarato l’ambiente con la torcia rudimentale, esso si presentava come una gigantesca sala, con pavimenti in marmo e una marea di oggetti dal valore senza dubbio elevato sparsi in ogni dove. Lo spazio non mancava, il posto era a dir poco dispersivo, e si capiva subito che ci sarebbe voluto del tempo per esaminarlo tutto. Anche una volta dentro, l’atmosfera è rimasta spettrale, non volava una mosca ed il silenzio regnava incontrastato, interrotto solo dalla pioggia che si infrangeva sui vetri ed altri rumori provenienti dall’esterno. Dopo aver acceso un altro paio di fiamme qua e la, siamo infine passati all’azione, dividendoci di fatto per velocizzare i lavori.

    Direi di dividerci, io vado su per le scale...prudenza però, questa casa ha qualcosa che non mi convince...



    Il primo di noi, il ragazzo di Ame che mi ricordava qualcuno con cui avevo combattuto tempo prima, ha preso la via delle scale, sparendo nel buio del piano superiore. A quel punto io, rimasto solo con altro ragazzo col quale avevo combattuto tempo addietro, ho proposto lui di dividerci a nostra volta, aggiungendo che comunque avrei tenuto tutti sotto controllo con la mia percezione del chakra. Perciò io ho preso in direzione della caffetteria, l’unico luogo inizialmente segnalato da un cartello, incuriosito dalla faccenda e per non dirigerci in massa di sopra quando magari avremmo potuto trovare informazioni importanti ai piani bassi…

    Edited by cagnellone - 24/7/2015, 19:21
     
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    Nel cielo risplendevano degli immensi fulmini che saettavano come dei serpenti alla ricerca della loro preda, seguito poi subito dopo dal maestoso rombo caratteristico dei tuoni.
    Quello era il tempo che a mio parere sarebbe dovuto esserci sempre.
    Nelle sue caratteristiche così distruttive e così spettacolari, era la dimostrazione più pura di quanto la natura potesse essere distruttiva.
    Il cielo veniva rischiarato dai lampi più lucenti che facevano si che io non potessi perdere la retta via e che potessi continuare a marciare verso Oto, verso la mia missione e verso il mio destino.
    Il destino... quale futile cosa.
    Non ci avevo mai creduto, per mio modesto parere il destino è un qualcosa che si forgia con le proprie mani, che lo si tira su come un vaso d'argilla e poi lo si inforna per farlo indurire.
    Questo era il destino per me, ovvero, un semplice mezzo con la quale io stesso decidevo se vivere, morire o qualsiasi altra cosa.
    Dovevo ammettere però che nelle missioni, per quanto potessi scegliere le azioni da compiere, non avrei mai potuto sapere come sarebbe andata a finire, alla fin fine, ero tutt'altro che un vegente, quindi, non saprei.
    Ma comunque, divagare non serve proprio a nulla.
    Ad ogni passo in più che percorrevo, mi avvicinavo sempre più alla mia meta.
    Ad ogni passo che percorrevo, una goccia d'acqua in più mi si andava a schiantare contro la pelle ed i vestiti rendendoli zuppi.
    Ad ogni passo che percorrevo, il rischiarare dei lampi diveniva sempre meno utile.
    Difatti, cominciai a captare i battiti cardiaci delle tre figure della quale a poco poco cominciavo a capire le fattezze.
    Due avevano il battito calmo, seppur uno fosse in evidente stato di allerta indotta, il terzo, invece, era come attanagliato da una strana forma di tachicardia o di palpitazioni.
    Non ne sapevo le cause, ma potevo ben immaginare fosse per la stanchezza o per la preoccupazione dovuta alla missione.
    Mi avvicinai sempre più, fino a quando, circa un minuto più tardi, m'aggruppai al resto del gruppo.
    Eravamo tutti imbardanti da qualcosa in grado di coprirci, ma colui che parlò era colui che anche se totalmente zuppo, vestiva l'impermeabile più pesante.
    Non ci diede neanche il tempo di disperdere il discorso in futilità che egli stesso passò subito per le presentazioni.

    -Dorian Ashford... Xavier... Yudai Nobunaga... -

    Conosceva bene i nostri nomi, quasi come se avesse la capacità di prevedere il futuro, cosa quasi impossibile.
    Nella realtà dei fatti, molto probabilmente, era stato chiesto ai nostri stessi Kage di selezionare dei ninja di un determinato grado e poi contattarli, non prima però di averne comunicato i nomi alla stessa reggenza di Oto.
    O per lo meno, così la pensavo io.
    I nomi dei ragazzi non m'importarono un granchè, li avevo già incontrati e ci eravamo scontrati... o più o meno.
    Comunque, per via dei nostri “allenamenti” ci eravamo già incontrati, quindi, non mi dilungai neanche al pensare troppo su quei nominativi.
    Il tizio, dal canto suo, sapeva bene che non potevamo fidarci di lui fino a quando non ci avrebbe mostrato un coprifronte o comunque un documento che attestava che egli era veramente un ninja di Oto, quindi, per un secondo circa, si alzò il cappuccio, lasciando spazio ai nostri occhi di percepire lo scintillio del coprifronte di Oto ed un paio di tratti somatici del suo volto.
    Dopodichè, ritornò nella sua ombra a guardarci.

    -Io sono Reed… -

    La voce roca e tenebrosa rimbombò in quel piccolo spiazzo, facendo si che il tutto si mescolasse alla perfezione per l'atmosfera che vi era attorno a noi.
    Questo “Reed” per quanto fosse colui che doveva metterci al corrente di tutto quel che poteva servirci, non si dilungò in alcun discorso, ficcò una mano all'interno dell'impermeabile e ne fece fuoriuscire un foglio plastificato che passò di mano in mano fino a quando l'afferrai io e ne cominciai a leggere il contenuto.
    CITAZIONE
    Mi chiamo Aya e ho bisogno di aiuto immediato! Sto scrivendo dalla soffitta dopo essermici barricata dentro. Sono riuscita a scappare da loro ma credo che prima o poi mi troveranno e qui la finestra è al quarto piano... Non voglio morire, quegli esseri mi fanno paura... Devo ritrovare mio padre ma non so come fare... Lui è l'unico che può cambiare le cose ma da quando l'ho sentito urlare dal suo laboratorio non sono riuscita a trovarlo. Odio pensare che quei mostri... no, sono certa che sia ancora vivo! Vi prego, qualcuno ci salvi!

    Il foglio era probabilmente stato preso da una pagina di quaderno strappata che con la fretta si è stropicciato e stirettato in qualche altro punto.
    La scrittura era tutt'altro che semplice da capire, si vedeva che era stata scritta da una bambina, per di più di fretta.
    Ma la cosa che più mi fece strano, fu il ritrovare una specie di melma blu appiccicosa che mi si spiattellò per tutta la mano destra.
    La guardai e la toccai più volte con la mano libera, quasi a voler capire cosa fosse, era quasi come una resina.

    -Resina... blu?? Impossibile, non esistono alberi che posseggono una resina blu. Ma allora che cos'è??-

    Non riuscivo a capire, quindi, porsi di nuovo il foglio all'uomo, che se lo rificcò velocemente nella tasca ove l'aveva uscita.
    I dettagli in nostro possesso erano quasi nulli, sembrava quasi uno scherzo ben architettato. Quante possibilità avevamo di trovare questa Aya e questa tenuta in tutta Oto??
    Quasi nessuna a dir la verità.

    -Aya Drevis. Ha undici anni e vive in una grande casa, la Residenza Drevis, assieme a suo padre Alfred. È un dottore, nonostante si sia ritirato prematuramente qualche anno fa. Al villaggio li conoscono un po' tutti. Sappiamo che la moglie del Sig. Drevis è deceduta due o tre anni fa, mi sembra che oggi sia l'anniversario ma non ne sono certo. Ad ogni modo, è chiaro che c'è qualcosa che stia turbando la loro vita domestica. Nel messaggio la bambina parla di "loro", si riferisce a qualcosa, in più ha sentito urlare il padre dal suo laboratorio (penso sia il suo studio). Riteniamo che potrebbero essere dei ladri se non peggio, anche se non è chiaro perché dovrebbero prendersela con un dottore. Il vostro compito è infiltrarvi nella casa dei Drevis e trarre in salvo sia il padre che la bambina, e naturalmente scoprire cosa diavolo stia succedendo. Afferrate il mio braccio, ci dislocheremo al limitare della foresta, così non perderemo altro tempo. -

    Ed ecco che Reed ci spiegò tutto il necessario per la missione stessa, tutte le informazioni e tutte le possibilità, che alla fine era sempre e solamente una, andare a casa Drevis ed indagare di persona.
    E comunque, per quanto potessero essere poche le informazioni su cosa fosse realmente successo in quella casa, beh... non potevamo far altro che andare e cominciare ad indagare.
    Una volta finito di parlare, l'uomo non fece altro che alzare il braccio ad angolo retto, pregandoci di attaccarci ad esso.
    Senza pensarci due volte, spostai la mano sopra l'avambraccio dell'uomo e, neanche un secondo dopo cominciai a vedere tutto distorcersi, le mie budella che si ribaltavano le une sopra le altre e le immagini che si accartocciavano tra di loro in quel che sembrava una vera e propria baraonda, fino a quando, qualche millesimo di secondo dopo, i miei piedi toccarono a terra, lasciandomi nel profondo un grandissimo senso di nausea quasi da vomitare.
    Non lo diedi troppo a vedere, ma ero sicuro che anche li altri membri se ne fossero accorti.

    -Porcaccia troia che botta… mai più!-


    L'unico che non si faceva troppi problemi a mostrarlo era Xavier che a quanto pareva, sembrava stesse per sboccare proprio davanti a noi.
    Mi avvicinai un pochetto a lui e gli dissi:

    -Se devi vomitare va lontano da noi, così non è molto carina come cosa.-

    E mi allontanai di nuovo.
    Mi distrassi così tanto che neanche mi accorsi che l'uomo ci avevamo teletrasportati con un qualche strano Jutsu da tutt'altra parte... adesso, il nuovo “teatro” era un fitto bosco dalla quale i sibili del vento erano diventati veri e propri urli che rimbombavano tra le fronde degli alberi, e la pioggia era divenuta come una cascata di piccolissimi senbon affilati.

    -Andiamo, è da questa parte.-

    Feci un piccolo sorrisetto e cominciai a seguirlo in mezzo agli alberi senza far conto della mia vista. Fortunatamente potevo far affidamento ad altri tipi di sensi, come l'udito.
    Continuai a seguirlo per un paio di minuti, fino a quando, non arrivammo a destinazione.
    Una grande casa a tre piani più mansarda dall'aspetto vagamente antico stagliava proprio d'innanzi a noi, illumanata solo a tratti dalla luce prodotta dai lampi.
    Sembrava quasi una di quelle case che si vedono in alcuni film Horror.
    L'unica cosa che mi risaltò subito all'occhio è che all'interno dell'abitazione era saltata la luce, come se il contatore si fosse bruciato.

    -L'ingresso è quello, non penso che sia chiuso, solitamente non ci sono furti da queste parti. O almeno così è stato fino ad oggi... Buona fortuna ragazzi, contiamo su di voi.-

    Parlava della vicenda quasi come ne fosse terrorizzato... mi sorse subito il dubbio se ne sapesse qualcosa o meno, ma non potevo azzardare così facilmente una domanda di questo spessore... o per lo meno, non ancora. Non ne avevo le prove.

    -Va bene, ora vattene e facci lavorare!-

    Aaaah, ero sempre così gentile...
    Nel mentre, l'uomo si teletrasportò altrove. Era totalmente scomparso dalla vista e da qualsiasi altro tipo di trucco percettivo che sapessi utilizzare.

    -Vogliamo entrare o stiamo qua tutto il giorno??-

    Dissi con un sorrisetto stampato in volto.
    Non sapevo perchè, ma quella casa mi caricava, non vedevo l'ora di scoprire cosa fosse successo li dentro, non vedevo l'ora d'indagare ed in caso fare il culo a qualche stronzetto.
    Ci muovemmo tutti in gruppo, fino ad arrivare alla porta che venne aperta dal ragazzo di nome Dorian che ci “mostrò” il contenuto dell'abitazione.

    -Poco sfarzo direi... esagerati!-

    Quell'interno non era di una villa... quello era l'interno di un Castello!!
    Finiture di ottima importazione manifatturiera tutto specularmente posizionato nel modo migliore per non creare intralcio e creare un'aria quasi antica e moderna allo stesso tempo.
    Per quanto a quest'uomo piacesse vivere nel lusso, dovevo ammettere che di gusto ne aveva molto.
    Non appena entrato mi tolsi subito il mantello impermeabile che non serviva più a nulla, per poi dirigermi più in profondità all'interno del grande atrio con al centro la grossa scalinata.
    Cominciai a cercare qualche indizio qua e la, senza però avere alcuna risposta o senza trovare alcunché.

    -Direi di dividerci, io vado su per le scale...prudenza però, questa casa ha qualcosa che non mi convince... -

    Ed il primo del gruppo se ne andò all'esplorazione del piano superiore, mentre Xavier ancora accanto a me, decise di andare nell'unica stanza contrassegnata da un nome, ovvero la Cafetteria.

    -Va bene... io invece starò qua a cercare qualche indizio. La bambina parla di esseri e di urla del padre provenienti dal laboratorio.
    Ora, son quasi sicuro che nessuna persona sana metterebbe un laboratorio in un piano superiore, quindi, sarà in un piano interrato.
    Per di più, la bambina afferma di essere salita in soffitta... e per questi esseri l'unico modo di salire in soffitta era passare per l'atrio e poi risalire le scale. Spero di trovare qualche indizio che ci possa aiutare a capire cosa siano realmente questi esseri. Buona fortuna anche a te!-


    Dopo che mi prolungai in questo sproloquio senza una ragione apparente, cominciai a cercare. Ero sicuro che qualcosa ne sarebbe uscita fuori, dovevo solamente aguzzare la vista e tutti gli altri sensi.
     
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    Le finestre della casa erano chiuse, non c'erano spifferi o porte lasciate aperte, non buchi nel tetto o infiltrazioni varie. Eppure i ragazzi si accorsero che ad ogni passo il freddo innaturale e pungente di cui era pregna l'aria aumentava. Sembrava mozzare loro il respiro. Il senso di dispersione che ebbero alla vista della grandezza del posto li pose in una sorta di inconscio disagio, forse solo qualcuno di loro ne percepiva gli effetti ma le sensazioni che la Villa Drevis scatenava non erano affatto normali. Qualcosa aleggiava in quel posto, una misteriosa forza, forse un'aura per meglio dire, capace di mettere in soggezione e far cadere in uno stato di ansia chiunque vi mettesse piede. C'era solo da scommettere quanto avessero resistito i ragazzi, e scoprire chi di loro avrebbe ceduto per primo... Il grande e sfarzoso salotto sembrava uscito da un maniero: sfarzoso e sobrio al contempo, forse era la penombra a mascherare la sua reale immagine. Dalle grandi finestre ai lati, alte quasi fino al soffitto e contornate da morbide tende vellutate di rosso scarlatto, i bagliori dei fulmini erano l'unica luce a rischiarare debolmente la Entrance Hall. I rombi dei tuoni sembravano riuscire a far tremare l'intero Villaggio del Suono con la loro inaudita potenza. Gli oggetti attorno ai tre estranei erano immobili, proiettavano ombre silenziose sui muri. La compostezza faceva intuire che nulla fosse stato trafugato, niente era stato distrutto o messo in disordine. Eppure tutti gli oggetti, tutti i soprammobili emanavano una sensazione strana, come se, seppur nel loro ordine, essi fossero stati violati in qualche modo. Era questa la sensazione che dava la grande sala, di essere stata trafugata nella sua personale essenza. Seppur il silenzio e l'apparente tranquillità, nessuno dei tre Shinobi poté non percepire la sensazione di estraneità del luogo. Qualcosa si aggirava tra i corridoi e le stanze di quella villa, ne erano certi. Fermi sulla soglia, osservarono la Hall mentre Xavier si toglieva di dosso i suoi panni zuppi, utilizzandoli per ricreare una fiaccola che riuscì ad accendere grazie al suo chakra, un gioco da ragazzi. Ed ecco che quell'unica fonte di luce rischiarò fiocamente la stanza. Le nuove ombre proiettate sui muri avevano qualcosa di anormale, sembravano sibilare, strisciando impercettibilmente. Era la loro mente che giocava brutti scherzi, la loro psiche sarebbe stata messa a dura prova. Dorian, il ragazzo più alto, non aveva nascosto le sue sensazioni, aveva ammesso ed esplicato che quel posto <<metteva i brividi>> e nessuno avrebbe potuto dargli torto; nonostante questo, fu il primo tra loro ad avanzare, proponendo agli altri di dividersi. Proseguì sulla scalinata di destra. Le assi di legno scricchiolavano e si piegavano leggermente sotto il suo peso, come se il legno si fosse inumidito in qualche modo, eppure la pioggia era stata lasciata fuori dalla villa. Vedendolo sparire per il corridoio a destra, il più vicino, gli altri due ragazzi, Xavier e Yudai, convennero che dividersi era la cosa migliore da fare, come aveva detto il loro compagno dal kimono bianco. Xavier, forse grazie alla luce della sua torcia improvvisata, era stato attirato da alcuni pezzi di legno tagliati in modo che formassero delle lettere, proprio sopra una grande porta, di quelle che sono divise a metà e, aprendole, sembra di essere in un vecchio saloon. << CAFETERIA >>, v'era scritto. Il ragazzo dai capelli turchini sparati in aria rassicurò l'altro, sparendo attraverso la porta. Yudai rimase solo e non gli piacque affatto l'atmosfera che si creò attorno a lui. Sembrava fare molto più freddo. Gli sembrava di sentire sei curiosi e rapidi sibili, dei sussurri, interrotti solo dal cupo silenzio.


    La pioggia batteva sui vetri ticchettando ritmicamente senza sosta. I boati in lontananza e il vento che sbuffava facevano da sottofondo rendendo quel silenzio ancora più opprimente e fuori luogo. Sembrava quasi che non esistesse nessun altro nella casa, o forse era semplicemente così grande che i rumori e i suoni si disperdevano prima di raggiungere le altre stanze. Nella solitudine, qualcosa iniziò a turbare il ragazzo. I suoi sensi furono ingannati da quell'atmosfera lugubre e carica di tensione. Ad ogni lampo di luce qualcosa sibilava attorno a Yudai e i suoi occhi intravidero nuove ombre sulle pareti. Il freddo lo attanagliava, sembrava quasi impedirgli di respirare. Sussurri la cui eco vibrava scandendo i battiti del suo cuore, mani invisibili che gli sfioravano la punta dei capelli. Poi una presenza vicino a lui. Lo Shinobi cedette improvvisamente, come vittima di un terribile maleficio, abbandonò la sua postazione. In un impeto di paura, si arrampicò per la scalinata di sinistra, facendo i gradini a due a due il più velocemente possibile. Sentiva qualcosa che lo raggiungeva, sentiva il fiato sul collo di una presenza terrificante. Con il cuore in gola e madido di sudore nonostante il freddo, raggiunse la cima del piano superiore e si lanciò nel corridoio più vicino. Improvvisamente la calma si ristabilì dentro di lui, seppur il suo cuore dovette impiegare qualche minuto per tornare a battere normalmente. La sensazione di pericolo e paura era scemata, adesso il freddo non era più così pungente e i sibili, i sussurri e le ombre erano lontane, separate da una semplice scalinata. Con un sospiro di sollievo il giovane Ninja dagli occhi blu alzò lo sguardo verso il corridoio. Buio totale. Non c'erano finestre in quel posto, per questo non era possibile intravedere nulla di nulla. Solo in quel momento gli occhi del ragazzo cercarono unafonte di luce e la trovarono: prima di imboccare il corridoio, sotto un grande quadro che era stato posto sulla parete centrale del primo piano, c'era una lanterna appesa al muro. Emanava una luce fioca e il suo aspetto era piuttosto vecchio e arrugginito, il vetro che chiudeva la fiamma era quasi opaco a causa della polvere. Non aveva altra scelta che prenderla e portarla con se e, invero, era piuttosto pesante per essere una lanterna, niente che i muscoli del ragazzo non potessero sopportare, comunque. Prendendo un respiro Yudai si incamminò, un passo per volta, mentre il suono del temporale fuori da Villa Drevis si faceva man mano più ovattato. Quella parte della casa sembrava più angusta, più tenebrosa delle altre. Le pareti erano chiare, una specie di violetto sbiadito che alla luce della lanterna sembrava di un grigio smorto. Il tappeto rosso per terra non copriva del tutto il pavimento di piastrelle a scacchi bianchi e neri. Non c'erano mobili, quadri, fiori, vasi, era un corridoio desertico. Sarò stato lungo una ventina di metri in tutto ma era facile sbagliarsi con quel buio. Tenendo gli occhi aperti, Yudai capì che a sinistra non v'era nulla, solo la fredda parete, ma a destra la situazione cambiava. Due porte, a quasi dieci metri di distanza l'una dall'altra. Non avevano nulla di tenebroso o malefico, niente di strano o particolare, erano due semplice porte. La famiglia Drevis doveva davvero abitare in un posto gigantesco perché anche quelle porte, come per la Caffetteria, avevano riportato un proprio nominativo, scritto in piccolo, inciso sulla porta con una bella calligrafia tutta ghirigori e svolazzi. Uno era il bagno, ovviamente era una casa e ogni casa ne ha uno o due; l'altra recitava << Archivio >>. Per sicurezza, guardandosi attorno, il ragazzo bussò ma nessuno gli rispose. Provò ad entrare e nessuna delle due porte era chiusa a chiave. La decisione era semplice, in realtà, il giovane avrebbe dovuto scegliere semplicemente se andare in bagno o in archivio, ma qualcosa lo distrasse. Un rumore atipico, che raramente aveva sentito. Un corpo strisciante. Scoprì allora, voltandosi verso la fine del corridoio, che non era affatto finito. Sulla destra si poteva proseguire ulteriormente. Ma quel suono strisciante sembrava provenire da lì. Lentamente, pesantemente, avanzava. Strisciava e strisciava, accompagnato da un mugolare sinistro. Di nuovo Yudai cominciò ad avere innaturalmente freddo. Cosa stava succedendo?


    Dall'altro lato della villa le cose procedevano in modo diverso. Dorian aveva risalito le scale prima degli altri, addentrandosi nel corridoio verso destra. Anche lui si ritrovò davanti un corridoio completamente buio e, sebbene il ragazzo possedesse un udito formidabile, non si lasciò sfuggire la lanterna appesa accanto al grande quadro appeso alla parete. Il misterioso Shinobi di Ame non era certo un pittore o uno storico dell'arte ma non gli sfuggì la complessità dell'opera. Era un astratto davvero curioso, la sua tela era alta poco più di un metro ma la lunghezza copriva tutta la parete, ovvero una dozzina di metri. La cornice sembrava pregiata ma non aveva ghirigori o fronzoli, era completamente liscia e, all'apparenza, un po' vecchiotta. L'opera era stata dipinta su tela bianca: una miriade di macchie colorate, scarabocchi incomprensibili, linee tracciate alla rinfusa con il risultato di un arcobaleno di colori gioiosi e tenebrosi al contempo. Dorian distolse lo sguardo, concentrandosi di nuovo sul corridoio. Inizialmente fu stupito perché tutti i colori della tela dovevano essergli rimasti in mente e, per un strano gioco mentale, ora ne rivedeva sprazzi in quell'oscurità. Proseguì con la lanterna in mano mentre il ticchettio della pioggia svaniva e i rombi dei tuoni si attutivano fino a scomparire. Il corridoio era semplice: le pareti erano state dipinte di un bel colore chiaro ma il gioco di luci era decisamente spettrale e poco invitante. Il pavimento era composto da piastrelle a scacchi neri e bianchi ma erano in parte coperte da un lungo tappeto rosso. La parete sulla destra era completamente vuota ma, sulla sinistra, un comodino con un vaso di fiori appassita se ne stava nello spazio che separava due porte, meno di cinque metri distanti l'una dall'altra. Alla luce della lanterna il ragazzo dal kimono scoprì due incisioni sulle stesse porte: la più vicina al quadro e all'Entrance Hall recitava << Camera di Monika >>. Leggere l'altra incisione fu decisamente un passo avanti per Dorian e il gruppo in generale: aveva trovato la camera di Aya. Scoprì che questa stanza non era chiusa a chiave ma l'altra, per qualche ragione lo era. Il silenzio ottenebrava ogni cosa nella East Hall, non un sibilo o un minimo rumore. Eppure c'era qualcosa di strano in tutta quella quiete così innaturale e la luce della lanterna di Dorian andava affievolendosi inspiegabilmente.


    L'interno della Caffetteria era quanto di più ovvio potesse esserci. Una sala da pranzo, o da rinfresco, completamente buia. Grazie alla torcia che Xavier aveva creato, i suoi occhi furono in grado di dedurre per sommi capi la natura della stessa. Una modesta stanza quadrata con al centro solo un tavolo molto largo, della stessa forma, sparecchiato. Le sedie erano in piedi o buttate per terra, alcune mancavano. Sulle pareti bianchi c'erano degli schizzi di qualcosa di scuro, forse del cibo o qualche bevanda. Non c'era altro se non una grossa tenda a coprire tutta la parete difronte al ragazzo. Probabilmente copriva qualcosa, per cui, incuriosito, Xavier si avvicinò. Non appena tirò poco la tenda, una luce accecante lo infastidì e, per riflesso, scostò con mal grazia il reso della tenda. Ad accecarlo era stata la luce di un fulmine perché, coperta dalla lunga tenda rossa, c'era un lungo vetro. Ma mentre gli occhi dello Shinobi venivano rapiti dalla vista della foresta in tempesta, il suo udito fu rapito da altro. Un tonfo sordo al suo fianco. Il ragazzo chinò la testa e il suo cuore automaticamente sobbalzò, senza permesso, come fosse inevitabile. Un cadavere rotolato a terra. La forma era umana benché mancassero i capelli e il colorito della pelle aveva assunto un colorito verdastro, forse a causa della luce della fiaccola mista a quella del cielo grigio e tuonante. Il corpo aveva numerose ricuciture in ogni dove e alcune parti, come l'arto destro, sembravano più grosse e malformate delle altre. A quel punto c'era solo da chiedersi cosa fosse quello scherzo della natura e cosa ci facesse lì. Mentre questi interrogativi prendevano ad occupare la mente del Ninja, il suo corpo si alzò come per allontanarsi dalla vista del cadavere. Fu allora che la sua torcia illuminò una porta sulla parete destra della stanza, socchiusa. Rivelò quella che era stata la cucina, adesso totalmente messa a soqquadro. Il frigorifero era aperto e illuminava di una fioca luce la parete davanti, sgombra, con solo un vecchio tappeto buttato in malo modo all'angolo. Il cibo era sparpagliato per terra, le posate, i piatti e le pentole ammucchiate in un angolo e gli stracci per pulire nei posti più strani. Sembrava che fosse passato un ciclone. C'era però un'altra porta che incuriosì il ragazzo. Non c'era scritto nulla sopra o accanto ad essa, era forse un luogo di cui non si voleva far sapere l'esistenza? Difficile per Xavier capirlo perché la porta in questione era perfettamente chiusa a chiave.

    Prima di cominciare con le tracce singole, tutti voi avete da questo preciso momento fino alla fine dell'evento un malus di 10 punti su qualsiasi tipologia di azione. È il risultato del luogo che, per un motivo ancora sconosciuto, vi fa sentire, chi più chi meno (dipende dalla mentalità del vostro pg), impauriti, spaesati. Insomma, non è divertente stare in questo posto. Per via di questo, inoltre, qualora incontrerete "qualcosa", egli avrà un bonus di +10 sulla riuscita di qualsiasi azione e, a mia discrezione, perderete dei punti resistenza per lo "spavento". Questo, ripeto, a causa della condizione in cui vi trovate.
    Inoltre, volevo dirvi di non prendere troppo alla lettera l'immagine che ha messo Rev. Rendo molto l'idea devo dire ma la descrizione che ho fatto è leggermente diversa, però potete prenderla ad esempio per descrivere la sfarzosità l'ambiente.
    Se avete dubbi mandatemi pure un MP, e ora proseguiamo.

    Revan: Hai carta bianca, decidi cosa vuoi o non vuoi fare. Puoi provare ad entrare in una stanza, proseguire per il corridoio o cambiare anche zona, sei completamente libero.
    Ah, Hai una lanterna in mano quindi, qualsiasi cosa accadrà, devi usare una mano sola, al massimo poggiala da qualche parte ma potrebbe non rimanere là...

    Cagnellone: perdi 2 punti resistenza alla vista del cadavere. Non puoi forzare la serratura della porta in alcun modo se non trovando la chiave. Hai carta bianca sul da farsi, sentiti libero anche di cambiare postazione.

    Anyone: purtroppo non è stata una buona scelta restare ad aspettare da solo. Perdi cinque punti resistenza e ti sposti verso una zona decisa da un D5. D5: 2 - Salire le scale e proseguire per il corridoio a sinistra. Hai carta bianca sul da farsi.
    Ah, Hai una lanterna in mano quindi, qualsiasi cosa accadrà, devi usare una mano sola, al massimo poggiala da qualche parte ma potrebbe non rimanere là...
     
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    Ero fermo al centro della grande Hall che si divideva in diverse strade, alla ricerca di una qualsiasi indizio di quel che poteva essere accaduto all'interno della grande abitazione.
    Cominciai a girarmi in torno alla ricerca di qualche indizio, fino a quando un piccolo mobiletto non strappò la mia attenzione da tutto il resto.
    Sembrava quasi messo fuori posto, come se qualcosa o qualcuno vi fosse andato a sbattere... dei piccoli graffietti erano ben visibili nel finale del piede di destra.
    Sembrava quasi come se un qualcosa di strisciante vi si fosse avvinghiato alla ricerca di una qualche salvezza.
    Cosa che a quanto pareva non aveva trovato.
    M'inginocchiai e ci passai le dita.
    Quei graffi non erano recenti, quindi, dovevo abbandonare l'intera idea che mi ero fatto.
    Il trovare indizi si stava rivelando ben più complicato di quello che avrei potuto immaginare, e quando ritornai al centro della Hall... beh, quello che provai fu una sensazione che avrei veramente fatto a meno di provare.
    Un freddo gelante mi entrò nelle ossa e nei muscoli, quasi come se non mi volesse far procedere, il fiato cominciò a mancarmi e il freddo cominciò a bruciarmi i polmoni.
    Una strana sensazione d'insicurezza e paura cominciò ad attanagliare il mio corpo. Di secondo in secondo ne perdevo sempre più il controllo.
    Il mio istinto primordiale prendeva il sopravvento ogni secondo che passava, ma la situazione non era ancora abbastanza grave da permettermi di schiodarmi da quel posto.
    Il ritmo che veniva scandito dalle goccie d'acqua contro le pareti ed i vetri rendeva tutta la situazione ben più agghiacciante di prima.
    Non so, forse per via della situazione, i miei sensi cominciarono ad andare nel pallone, tutto quello che riuscivo a percepire erano delle presenze che vorticavano attorno a me, dei sussurri che andavano e venivano portati via dal vento della porta aperta.
    I miei occhi cercarono di mettere a fuoco, ma l'unica cosa che videro furono delle ombre che vagavano vicino il mio corpo, ombre che venivano illumate solo ed unicamente dai prorompenti lampi provenienti da fuori.
    Stavo andando fuori controllo, il mio cuore cominciò a palpitare come quello di un cavallo da corsa. I battiti aumentavano di secondo in secondo, e quando sentì delle mani accarezzarmi i capelli... beh, quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
    Non ebbi più il controllo del mio corpo, che in preda alla paura cominciò a correre verso le scale, procedendo il più velocemente possibile.
    Seppur ci fosse freddo, un freddo quasi innaturale, il mio corpo trovò il modo di sudare. Un sudore freddo che penetrava nella mia pelle al contatto con l'aria congelata che mi tagliava dolcemente come il filo di un rasoio.
    Non appena mi ritrovai al bivio scelsi la diramazione di sinistra, sperando che tutto quel che stava accadendo potesse smettere, che potesse cessare istantaneamente.
    Ma così non era, o per lo meno, non ancora.
    La presenza continuava a seguirmi come nel peggiore degli incubi, tenendomi il fiato sul collo. Lo sento, lo sento ancora oggi al solo ripensare a quella situazione.
    Spinsi il braccio all'indietro, nella speranza di allontanare quella che doveva essere questa presenza, ma nulla... dietro di me vi era solo il nulla ed il buio più profondo.
    Ma io lo sentivo, era li... era li accanto a me, lui giocava con i miei capelli. Lui... era la presenza più terrificante che io avessi mai potuto "avvertire".

    -AAAAAHHH VATTENE!! LASCIAMI STARE!!-

    Gridai, nel tentativo disperato di allontanarlo con quelle mie parole, e non appena varcai la soglia del piano superiore e svoltai al primo corridoio nella quale era possibile "entrare", la sensazione che mi colpì fu la pace.
    Tutta quella situazione era scomparsa, tutte le sensazioni erano andate via. Adesso, ero l'unica presenza all'interno di quel lungo corridoio totalmente al buio.
    Seppur la sensazione della presenza terrificante fosse scompare ed il freddo gelante fosse solo un bruttissimo ricordo, il cuore tornò normale solo dopo pochi minuti di naturale tachicardia.
    Non vi erano più le ombre, i sibili da loro pronunciati e la loro presenza. Niente.

    -Questo posto... che cosa sta succedendo!?!?-


    Non riuscivo a comprendere.
    Mi girai più e più volte semplicemente per constatare che realmente non ci fosse più alcun pericolo.
    Il terrore... cosa che non ero mai riuscito a provare in vita mia, aveva prevalso sulla mia mente, gettandomi in un'oblio d'incertezza e paura.
    Non potevo più farmi prendere così dal panico. Dovevo per forza mantenere la calma!
    Non appena capì che non vi era più nulla di cui preoccuparsi, cominciai a guardarmi attorno. All'interno del lungo corridoio non vi era alcuna finestra, nessuna luce, tranne una lanterna posta poco prima del corridoio, sotto ad un grande quadro.
    La fioca luce che creava illuminava ben poco, ma era comunque sempre meglio di nulla e riusciva bene o male a farmi capire dove poggiavo i piedi.
    Sospirai intensamente e cominciai a marciare all'interno di quell'infinito buio che torreggiava su me.
    Il "paesaggio" che mi si mostrava dinanzi a me di secondo in secondo era sempre più strano. Le pareti che illuminavo tramite la lanterna sembravano grigiastre, il pavimento veniva rinchiuso quasi totalmente da un lungo tappeto rosso, lasciando solo ai bordi il colorito delle mattonelle, che erano poste a scacchiera con piastrelle bianche e nere che aiutavano a rendere il corridoio quasi infinito per via di uno strano effetto ottico.
    Non vi era alcun mobilio, era tutto totalmente vuoto, come se quello che stesi percorrendo in quel momento fosse un corridoio fantasma.
    Il ticchettio della pioggia era oramai scomparso da un bel pezzo, ma per via della situazione non me ne ero ancora reso conto. Sgranai gli occhi alla ricerca di una qualche curva o porta e capii che sulla sinistra vi era il nulla, solo il duro muro, mentre sulla destra vi erano due porte che distavano tra di loro circa dieci metri.
    Continuai a camminare fino a quando non arrivai davanti ad una delle due porte che portava incisa la scritta "Archivio". Bussai un paio di volte e nessuno mi rispose, quindi, aprii la porta lentamente, per poi richiuderla.
    Prima di procedere, volevo sapere cosa si celava dietro alla seconda porta.
    Mi avvicinai anche ad essa, e nella stessa maniera di poco prima, feci rintoccare le nocche contro il duro legno subito dopo aver letto la scritta che riportava la tipologia di stanza, ovvero "WC", e poi aprii la porta alla ricerca di qualcosa.
    Le scritte erano state incise in maniera molto elegante e con una grafia degna del più grande grafico del mondo, arricchita con girigori e quant'altro.
    Mi richiusi dietro la schiena la porta, deciso a controllare dapprima la porta con su scritto archivio, seppur il bagno fosse ben accetto in quel momento...
    Tornai davanti la porta dell'archivio, ma un rumore mi distrasse, qualcosa che avevo sentito solo pochissime volte nella mia vita, anzi, forse mai.
    Sembrava quasi come un oggetto che strisciava, lentamente, in modo pesante, quasi come se volesse tagliare in due le assi di legno.
    Il gelo cominciò a farsi sempre più pressante, stava tornando.
    Le presenze, i sussurri, la tachicardia, il gelo... tutto, tutto stava tornando come prima!!
    Cercai di rimanere il più calmo possibile e senza aspettare un secondo di più, entrai nell'archivio, ignaro di cosa potesse aspettarmi li dentro.

    Resistenza: 400 -5= 395
    Stamina: 400


    Sii magnanima :asd: non avevo mai dovuto scrivere tutte ste sensazioni :asd:
     
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    E così ci siamo divisi, prendendo ognuno per la sua strada alla ricerca di un qualsiasi indizio che potesse chiarire minimamente quella strana faccenda. Nonostante inizialmente potesse sembrare anche a me una buona idea, mi sono pentito quasi subito di aver abbandonato i miei compagni per girare da solo, quel posto era inquietante, spaventoso, macabro, lo era stato fin dal primo istante in cui vi eravamo entrati, e devo ammettere di esser stato parecchio a disagio ad addentrarmici senza un adeguato supporto. Poteva sembrare una semplice impressione, frutto del maltempo esterno e in generale del brutto scenario che ci aveva accompagnato fin dal principio, in realtà non era affatto così, c'era qualcosa che non andava in quel luogo.


    click4play



    La mia torcia illuminava pareti su cui le ombre proiettate dagli oggetti sembravano muoversi come animate, cambiando forma e dimensione e diventando simili a mostri che mi accerchiavano per aggredirmi, stringendosi intorno a me quando ero distratto per poi tornare normali non appena mi voltavo dopo aver visto qualcosa di strano con la coda dell'occhio. In effetti quando mi concentravo su qualcosa non vi era nulla di strano, sembrava tutto a posto, tanto che non riuscivo a capire se quelle strane movenze fossero frutto dell'oscillare della fiamma della fiaccola o della mia immaginazione. Ero confuso, avanzavo distraendomi su ogni inutile particolare, cercando di mantenere la mente sgombra da stupide illusioni e perdendo di vista quasi subito l'obbiettivo principale della missione. La bambina, si, quasi me ne ero dimenticato, avanzavo senza una meta precisa voltandomi ogni tre per due a guardarmi le spalle in preda al panico di suoni che forse erano solo nella mia mente. Ero inquieto, come quando hai talmente paura che fraintendi i rumori e tutto sembra potenzialmente pericoloso, finché i rumori stessi non arrivano direttamente dalla tua testa e non distingui più la realtà, vuoi solo che tutto finisca in fretta. Ma eravamo purtroppo soltanto all'inizio. Dal freddo iniziale la mia temperatura corporea si era alzata notevolmente in quei pochi infiniti minuti all'interno, almeno per quanto mi riguardava, nonostante la pelle fosse gelida al tocco, sudavo come un maiale, tanto da dovermi asciugare continuamente la fronte per evitare che il sudore colasse sugli occhi, i quali erano completamente sbarrati, aperti come sotto effetto di stupefacenti, veloci nel muoversi tutto intorno al corridoio nel quale avanzavo a piccoli passi, silenzioso e guardingo.

    Stai calmo, stai calmo, non è niente, non c'è niente...



    Sussurravo parole senza senso sperando che la cosa potesse aiutarmi psicologicamente, mi rassicuravo cercando di mantenere la lucidità anche se ero ben consapevole di non esser mai stato così in difficoltà come in quella situazione. Il brutto era che non c'era niente, avevo una paura fottuta e nessun motivo per avercela, era una semplice casa, buia come poteva essere la mia, ben arredata e con niente fuori posto, eppure incredibilmente terrificante. Non so dire quanto ci sia voluto per arrivare alla caffetteria, il tempo era dilatato, infinito, mi sembrava di esser la dentro da giorni, lo stesso corridoio, il quale impediva probabilmente che gli odori della cucina giungessero fino alla sala principale, sembrava non aver fondo, anche se per fortuna alla fine sono riuscito a giungere alla porta della caffetteria. L'ho quindi aperta, tirando a me l'anta in modo da non produrre il classico rumore da scatto del fermo collegato alla maniglia, così da non esser sentito da eventuali presenze all'interno, poi ho aperto di scatto facendomi luce, pronto all'azione. Ma niente, non c'era un'anima che fosse una, vuoto totale, silenzio di tomba. A prima occhiata ciò che ho potuto notare è stato il grosso tavolo posto in mezzo alla sala, circondato da sedie sparpagliate senza il minimo ordine, oggetti che occupavano quasi tutto lo spazio disponibile, costringendomi a spostarle per avanzare alla ricerca di qualcosa. Illuminando qua e la ho potuto notare sui muri delle macchie scure che apparentemente mi sembravano sangue, anche se in realtà doveva trattarsi di schizzi di cibo, probabilmente una qualche bevanda, piuttosto appiccicosa al tatto. In realtà ho avuto poco tempo per concentrarmi sui dettagli, poiché la mia attenzione è stata quasi subito catturata da una tenda alle cui spalle sembrava esserci qualcosa di simile a una luce che si accendeva a intermittenza, illuminandola e mostrando il suo colore rosso sangue. Mi ci sono avvicinato, catturato da quella strana visione a tal punto da non accorgermi di una sedia a terra nella quale sono inciampato, rischiando di cadere e facendo più rumore di quanto avrei voluto. Consapevole del mio errore subito mi sono guardato intorno, sventolando la fiaccola in ogni direzione prima di riposizionarla verso il mio obbiettivo. Una volta giuntovi a ridosso ho spostato il mio rudimentale attrezzo alle mie spalle per evitare di bruciare il tessuto vermiglio su cui ho quindi poggiato una mia mano, afferrandone un bordo per spostarlo leggermente e sbirciarvi oltre. Ma proprio quando ho ficcato un occhio nello spiffero una luce mi ha accecato, costringendomi ad aprire violentemente il resto della tenda per vedere che stava succedendo con l'occhio rimastomi buono.

    Ma che caz-



    In realtà quel che la tenda copriva non era altro che una grossa finestra a muro che dava sull'esterno, dove il temporale stava ancora squarciando il cielo con lampi che disegnavano la scura volta celeste. Osservavo lo spettacolo pirotecnico, distraendomi per un momento da quell'opprimente atmosfera con cui stavo combattendo, quando un tonfo alle mie spalle mi ha fatto saltare letteralmente per aria, un rumore sordo ed inaspettato che mi ha colto di sorpresa, allarmandomi e facendomi esplodere il cuore in petto. Immediatamente mi sono voltato temendo il peggio, ma niente, tutto era immobile, immutato. Facendo luce in direzione della sorgente del rumore mi sono però subito accorto di un corpo, comparso all'improvviso sul suolo che avevo calpestato poco prima. Morto, c'era un cazzo di morto comparso dal nulla ai miei piedi. Non c'è voluto molto per capire si trattasse di un cadavere, il colore della pelle era pallido e bluastro, l'odore che emanava non lasciava molto spazio a dubbi, inoltre non dava il minimo segno di vita ai calcetti che gli davo per vedere se rispondesse agli stimoli. Accertato il decesso quindi l'ho esaminato meglio, voltandolo e scoprendo alcuni sconcertanti dettagli. A parte il fatto che fosse privo di capelli infatti mostrava innumerevoli cuciture su tutto il corpo, suture malfatte e sconnesse che univano lembi di pelle differenti, come appartenenti a più persone. Anche le parti del corpo, come ad esempio un braccio, erano notevolmente sproporzionate al resto, e questo perchè in principio non gli appartenevano. La faccenda si complicava parecchio, la presenza di quella specie di esperimento fallito portava nuove domande e praticamente nessuna risposta, l'unica cosa certa era il pericolo che si nascondeva chissà dove, e che presto o tardi si sarebbe fatto vivo. Disgustato dalla presenza di quell'obrobrio me ne sono distaccato alla svelta, proseguendo ansioso di scoprire qualcosa più avanti nella speranza di essere sulla buona strada per chiudere il discorso quanto più presto possibile. Così ho attraversato l'altra metà della sala, giungendo a quella che doveva essere la cucina. Là il casino regnava sovrano, tutto era completamente messo a soqquadro, sottosopra, come se fosse appena passato un ciclone a ribaltare ogni cosa. Stoviglie, cibo, coltelli ed ogni attrezzo ed alimento d'ogni genere era sparso in giro come gettato con violenza nei posti più impensabili, dal pavimento al soffitto, dai muri ai mobili, niente era al suo posto. La puzza regnava sovrana, cibo andato a male in ogni angolo di stanza, coltelli piantati nel muro e stracci in tutti i posti che non ti aspetteresti mai. Il tutto era illuminato parzialmente dalla luce del grosso frigo lasciato colpevolmente aperto, come preda di razzie selvagge. In fondo poi vi era una porta, nascosta nella penombra dell'angolo più buio della stanza, una porta che nonostante i tentativi, era chiusa a chiave, bloccata e non forzabile. Avrei potuto buttarla giù in qualche modo, ma per il momento preferivo evitare di metter su un gran casino visti gli eventi poco rassicuranti e i presagi tutt'altro che positivi. Così mi sono messo a frugare in quel casino alla ricerca della chiave, altrimenti sarei tornato sui miei passi, magari alla ricerca di qualcuno dei miei compagni...
    Cerco la chiave, se non la trovo torno indietro alla sala :si2:

    Ho scritto che c'è un piccolo corridoio tra la sala e la caffetteria se non è un problema, volevo descrivere un corridoio :omg:


    Edited by Cagnellone - 28/8/2015, 16:12
     
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    [La Chiave]


    I fulmini squarciavano il cielo, illuminando a sprazzi l'orrore che nascondeva la villa dei Drevis. Il cadavere che giaceva a terra aveva il volto straziato e tumefatto rivolto al plenilunio. Il rancido puzzo che emanava la sua pelle verdastra e putrefatta aleggiava nella Caffetteria, silenziosa. Il vento ululava e i tuoni scoppiavano come bombe capaci di far saltare in aria qualsiasi cosa. Gli occhi azzurri di Xavier balenavano in ogni direzione, tentando di cogliere un luccichio. Le sue orecchie tese in ascolto, nella speranza di percepire anche il più piccolo tintinnio. Una chiave da trovare, questo era il suo obbiettivo. Tastava pareti e superficie. I polpastrelli freddi venivano a contatto con il gelo mentre il ragazzo tentava di ignorare il trambusto della tempesta. La porta sembrava chiamarlo a se, lo fissava con occhi invisibili, stringendolo a se con lunghe braccia di fumo invisibile. C'era qualcosa al suo interno, qualcosa che il Chunin non riusciva a spiegarsi. Eppure una vocina dentro di lui continuava a sussurrargli di aprirla. E per questo cercava la chiave. Spostò posate e svuotò cassetti, aprì armadi e sollevò sedie. Non c'era nulla che assomigliasse ad una chiave. Tentò di controllare anche ciò che c'era nell'altra sala, superando il piccolo corridoio. La puzza della carcassa a terra gli fece storcere il naso ma non gli impedì di continuare a cercare. Niente. Della chiave non v'era traccia. Si volse verso la grande finestra, osservando gli alberi piegati sotto la potenza del vento mentre tutto era nero. La pioggia batteva forte sul vetro con un tic tic continuo. Poi, un fulmine illuminò ogni cosa. Fu allora che Xavier colse qualcosa nell'orribile volto di quello che un volta fu uomo. Il volto scarnificato, immobile in una smorfia di dolore e terrore puro. Il naso rimosso, le labbra tagliate e i denti mancanti. Un occhio si illuminò quando la luce lo raggiunse. L'occhio destro: un'orbita opaca e spenta, consumata e sporca. Un altro fulmine confermò il tutto: quell'occhio nascondeva qualcosa al suo interno. Qualcosa che rifletteva la luce. Come una chiave. Nell'esatto istante in cui se ne rese conto, il giovane sapeva già cosa fare. Reprimendo tutte le sgradevoli sensazioni e l'orrore di ciò che stava per fare, recuperò la chiave nascosta nell'orbita ora vuota della carcassa. Una chiave piccola e appiccicosa, la stessa chiave che aprì la porta. La serratura scattò e la porta, con un cigolio sinistro, si aprì. Un vento tagliente sbuffò forte e Xavier si sentì come toccare da un'infinita di gelide, morte mani. Un corridoio buio, affacciato sull'ignoto. Prima di entrare, lo Shinobi afferrò una torcia elettrica che aveva trovato mentre frugava tra uno dei tanti cassetti della cucina. La afferrò, era fredda al tatto, la accese e bastò un colpo di mano per creare un fascio di luce tenue. Un passo per volta, entrò dentro al corridoio. Le assi di legno sulle quale camminava scricchiolavano e gocce d'acqua cadevano dal soffitto basso. Il cunicolo trovò finalmente una fine. Una grata già aperta con tracce di sangue sulle sbarre. Il luogo era illuminato artificialmente, il che era curioso visto che la corrente sembrava essere saltata nel resto della casa. Si trattava probabilmente di un secondo impianto. Xavier oltrepassò la grata e lo vide. Una sala lugubre, scavata nella roccia. Scaffali marci a ricoprire quasi ogni parete, ricolmi di oggetti chirurgici, ampolle, barattoli con dentro parti del corpo umane e animali. L'odore di sangue e marcio era irrespirabile e a peggiorare il tutto era un lungo tavolo e rozzo tavolo di legno sporco di sangue. Quattro ingranaggi montati ai suoi lati lasciarono intendere che era stato progettato per legare animali ed esseri umani. Dei grossi sacchi sporchi di sangue giacevano in un angolo. Ciò che restava di una mano spuntava da uno di essi. Una specie di laboratorio degli orrori giaceva nei sotterranei di villa Drevis. Il Chunin aveva scoperto qualcosa di grosso ma un singhiozzo lo fece trasalire. Proveniva da dentro un armadio chiuso. Sembrava la voce di una donna e subito il ragazzo pensò ad Aya, la figlia del signor Dravis. Con il cuore in gola per via di quell'atmosfera decisamente poco gradevole, afferrò le ante dell'armadio e le aprì. Non era Aya ma una giovane donna in lacrime. I loro occhi si incontrarono e la giovane scoppiò in lacrime, tentando di schermarsi il volto con le mani. Era molto bella, con grandi e profondi occhi verdi, lucidi per il pianto, e una lunga treccia di boccoli castani. Era vestita da cameriera e non sembrava ferita bensì scossa. A Xavier non era sfuggita la porta sul fondo della stanza, accostata appena, come se qualcuno fosse fuggito da lì. Probabilmente là donna era passata proprio da là, fuggendo da qualcosa. I suoi singhiozzi si fecero sempre meno forti e continui, finché non si calmò abbastanza da poter parlare con quel misterioso individuo davanti a lei.

    [L'Archivio]


    Quando si richiuse la porta alle spalle, tutto sembrò improvvisamente sparire. Al contrario del resto della casa, l'archivio era illuminato da fiaccole alle pareti, era un luogo caldo e non sembrava nascondere nulla. Scaffali e scaffali di libri, proprio quello che ci si aspetterebbe da un archivio. Ciò che di orribile stava aspettando Yudai fuori da quella porta non poteva penetrare al suo interno. Era salvo e il suo cuore si calmò. Respirò tranquillamente quell'aria che sapeva di vecchie pagine ingiallite e polvere, tossendo un poco. Non c'erano finestre nella stanza. Solo libri su libri, accatastati a terra, negli scaffali. Per un attimo il giovane pensò di aver preso un granchio: cosa avrebbe mai potuto scoprire lì dentro? Non gli faceva neanche impazzire l'idea di mettersi a leggere ma, poco alla volta, tirò qualche volume fuori dagli scaffali, leggendo pigramente il titolo sulla copertina. Erano quasi tutte favole per bambini o atlanti geografici. C'erano anche fumetti o album di famiglia. Fu proprio uno di questi che incuriosì, chissà perché, Yudai. Aprì la prima pagina e alla luce fioca delle lampade scorse una grande foto in bianco e in nero. Una foto di famiglia piuttosto vecchia ma che suscitava dolcezza. Un grande prato con un uomo e una donna seduti su un telo. La donna era straordinariamente bella e l'uomo era anch'egli affascinante, seppur il suo sguardo sembrasse appartenere ad un altro tempo. Quegli occhi sorridevano distaccatamente, come fossero presi da altri pensieri. Erano il signore e la signora Drevis, e tra le loro braccia, una bambina di due o tre anni con lunghi e lisci capelli neri e un sorriso da un orecchio all'altro. Aya Drevis. Yudai richiuse l'album e lo mise al suo posto distrattamente. Gli cadde dalle mani con un gran tonfo. Subito si chinò per raccoglierlo e fu allora che, sullo scaffale più nascosto e più in basso, i suoi occhi videro qualcosa. Un diario nascosto sul fondo, sopra la pila di libri, disposto orizzontalmente, come se qualcuno lo avesse messo lì di proposito. Senza indugiare lo prese e la sensazione che provò fu quella di aver afferrato un pezzo di ghiaccio. La temperatura iniziò a scendere pian piano, mentre il ragazzo apriva il diario dalla copertina nera e rigida. Ciò che trovò al suo interno furono appunti scarabocchiati dove solo poche parole e qualche disegno erano comprensibili. Disegni di torture e operazioni atroci su animali. Una specie di ricerca su un qualcosa che non riusciva a capire e più voltava pagina più il tutto diveniva più fitto e complesso. Finché ai disegni di animali si sostituirono disegni di persone. Smembrate, putrefatte, torturate, mutilate. Il tutto per trovare un qualcosa che solo la mente malata che aveva percepito quel diario poteva scorgere. Il diario si fermava bruscamente all'ultima pagina, strappata via di netto, senza un motivo. Yudai ricontrollò se quel diario contenesse dei nomi a lui noti, poteva essere del signor Drevis, il dottore, ma non c'era nulla di nulla. Tutto ciò che era riuscito a capire il ragazzo, oltre agli orribili esperimenti, era che chiunque avesse scritto quelle pagine, stava cercando qualcosa e forse... l'aveva trovata. Ma dove era andata a finire la pagina mancante? Cosa conteneva? Istinto o no, il Ninja sentiva che non c'era più nulla da cercare in quel posto. Afferrò saldamente il pomello della porta: era gelato. La porta si aprì con un cigolio e il ragazzo si infilò nella stanza accanto all'archivio, chiudendosi velocemente la porta alle spalle. Sembrava che qualunque cosa lo stesse aspettando nel corridoio si fosse allontanata, ma preferì non rischiare. Come aveva pensato prima, non era una cattiva idea andare in bagno, sopratutto in quel momento. Il bagno non era né caldo né illuminato come l'archivio. Era tetro e umido, buio se non fosse stato per la fiaccola che reggeva il giovane Shinobi. Ciò che però lasciò un vago senso di disagio nel ragazzo fu che, al contrario di tutti i bagni del mondo, quello fosse diverso. Non c'erano specchi, non c'erano mobili o sanitari. Era un'unica stanza con una vasca da bagno di porcellana nel mezzo. Era così bianca da risplendere anche nell'oscurità. Fu solo quando gli occhi cerulei di Yudai si abituarono all'oscurità che scorse qualcosa sulla sua superficie. La vasca era piena di acqua nera. Immobile, la superficie liscia emanava un odore acre e spiacevole mentre una strana atmosfera calava sempre di più sulla stanza. Quella singola vasca di porcellana, ferma nel mezzo del nulla, nascondeva qualcosa. La torcia del ragazzo si avvicinò di poco all'oggetto per osservarlo meglio, fu quando illuminò del tutto la superficie che il nero divenne più chiaro, seppur più oscuro. Sangue scuro come la notte riempiva il bacino di porcellana. Nel silenzio, una bollicina partì dal fondo della vasca, scoppiando in superficie. Qualche secondo dopo, un'altra bolla. Poi un'altra e un'altra, sempre più grandi, sempre di più. Improvvisamente quel sangue prese a ribollire come una pentola d'acqua sul fuoco. Il sangue sgorgò fuori dal perimetro della vasca, colando appiccicoso sul pavimento. Poi qualcosa emerse dal profondo rosso. Una mano avvizzita, scarnificata e tremolante afferrò il bordo di porcellana. Qualcosa stava cercando di uscire. Fu questione di pochi attimi in cui la scelta sul da farsi ricadde su Yudai. Avrebbe potuto urlare, scappare o affrontare qualsiasi fosse l'orrore che stava spuntando fuori dalla pozza di sangue. Non sapeva cosa fosse né tanto meno se potesse davvero fermarlo. Un cadavere si era arrampicato sul bordo della vasca ed era caduto giù, scivolando sul sangue putrido e scuro, lamentandosi come il più reale dei fantasmi. E lentamente strisciava verso lo Shinobi.

    [Le Creature]


    Le due camere gemelle brillavano sotto la luce della torcia di Dorian. C'era qualcosa di strano in entrambe, come se fossero legate da un qualcosa, e non era il comodino con un bouquet di fiori avvizziti sopra di esso. C'era qualcosa in quei due nomi, incise sulle superfici di legno, che portava a pensare ad un qualche legame. La scelta del giovane dal kimono bianco era semplice, si trattava di quale delle due camere esplorare per prima. Del resto, i tre Chunin avevano un compito da portare a termine: salvare il signor Drevis e la piccola Aya. E ora il ragazzo si trovava davanti alla stanza di quest'ultima, probabilmente piena di indizi utili per scoprire dove fosse. Dalla lettera che era riuscita ad inviare, sembrava spaventata, come se qualcosa la stesse braccando. Forse aveva poco tempo, forse non ne aveva affatto. In quella casa buia e spettrale, anche pochi minuti potevano fare la differenza per ritrovare la bambina e suo padre. Eppure, qualcosa non quadrava. C'erano delle presenze fin troppo reale ed abominevoli a mettergli i bastoni tra le ruote. Lo si respirava nell'aria, non erano fantasmi ma qualcosa di peggio. Il perché fossero lì o cosa fossero esattamente nessuno lo sapeva. Sfuggirgli era impossibile, come afferrare il fumo a mani nude. Essi aspettavano nell'ombra e sinuosi quali vipere, colpivano. Fu ciò che accadde quando la fiaccola di Dorian andò a sciuparsi inspiegabilmente. Secondo dopo secondo si consumava, la sua luce andava spegnendosi senza un motivo. Un'aria gelida proveniente dalla fine del corridoio lo avvertì di non essere solo. Nel buio quasi completo, gli occhi del ragazzo ai abituarono poco a poco all'oscurità, riuscendo a delineare due sagome avanzare lentamente verso di lui. Sbilenche, zoppicanti e innaturali, le pose delle due sagome si avvicinavano sempre di più. Una in piedi, strascinandosi metà del corpo, avanzava a capo chino. La pelle era scarnificata e verdastra, come putrefatta. La parte sinistra del corpo era un ammasso di carne cucita e ricucita, sicché non esistevano più ne gamba né braccio. Gli occhi vuoti sembravano essere stati bruciati con tizzoni ardenti e la bocca mancava di mandibola. Della lingua restava solo una piccola parte, gonfia e nera, che inzuppava il corpo della creatura di sangue. Tre file di denti acuminati e storti sostituivano la dentatura normale di ogni essere umano. La seconda creatura era stata vittima di un esperimento scellerato. Camminava sulle mani e sui piedi ma con il bacino rivolto all'insù. Spalle e gambe erano state rimosse e ricucite nel senso contrario, esattamente come dovrebbero stare normalmente ma su un busto voltato. Il collo portava segni di cicatrici e cuciture, molte delle quali ancora fresche. La testa seguiva il verso degli arti, ignorando il verso del torso. Camminava lentamente e a fatica, ingobbendosi e incespicando nei suoi stessi passi. Gli occhi del mostro erano bianchi come il latte e la bocca cucita in una smorfia ghignante. Solo quando le due orribili creature furono abbastanza vicine a Dorian, la torcia si spense del tutto.

    Scusate per il tremendo ritardo, non accadrà più. Procederemo più velocemente da adesso.

    Cagnellone: hai carta bianca. Puoi interrogare la donna (si chiama Maria), decidere se portarla con te, lasciarla lì, dirle di andare da qualche parte ecc. Puoi anche restare dove sei, indagare in giro, tornare indietro, scegli tu cosa vuoi fare.

    Anyone: carta bianca anche per te. Fai ciò che vuoi, sei completamente libero.

    Revan: hai saltato il turno ma ancora non sei fuori, a meno che tu non voglia più continuare, scegli tu senza problemi! In ogni caso, devi difenderti e contrattaccare dai due mostri. Ricorda che loro hanno un bonus e tutti voi un malus.

    Ps: ho cancellato gli spoiler. Per qualsiasi dubbio o varie mandatemi pure degli MP.
     
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    Spiegatemi un po perchè non ho ben capito, si continua?
     
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    SounD


    La ricerca è stata mentalmente estenuante, quella porta aveva qualcosa di anormale e la sua presenza mi opprimeva, sentivo il suo richiamo frusciarmi nelle orecchie, come se mi incitasse a sbrigarmi ad aprirla. E così cercavo e ricercavo, frugando in ogni possibile nascondiglio e poi di nuovo da capo quando non riuscivo a trovare niente, ricominciando la mia nervosa ricerca ogni volta, ancora e ancora, smuovendo sempre più cose e aggiungendo nuovi luoghi da indagare ad ogni tentativo. Stavo impazzendo, mi lanciavo alle spalle ogni oggetto che non nascondesse la chiave, e quelli che non mi finivano alle spalle li schiantavo a terra o li calpestavo, calciandoli in preda al nervoso. La mia follia era illuminata a intermittenza dai fulmini che senza tregua imperversavano nella zona, squarciando il cielo con una luce così intensa da far strizzare gli occhi. I continui lampi accecavano le mie pupille e non permettevano loro di dilatarsi abbastanza da vedere bene nel buio che ne restava. I tuoni rompevano il silenzio facendomi sussultare ad ogni nuova esplosione, il freddo mi era entrato dentro, ormai non sentivo più la punta delle mani e una buona parte delle gambe, ma quello che più di tutto mi metteva a disagio era la sensazione che si provava in quel luogo. Già perchè il solo restare in quella maledetta villa mi metteva inquietudine, non ero a mio agio e avrei fatto di tutto per andarmene da li quanto più presto possibile.

    Maledizione, dove cazzo è quella chiave?! Dove sei?? … Dove sei??? … DOVE SEIII???!



    Ma come mi hanno insegnato ai tempi del monastero, la casa nasconde ma non ruba, ed alla fine eccola spuntare. Ero seduto a terra, sfinito e privo di idee che guardavo il pavimento, accanto al mostro deforme privo di vita che mi stava innanzi a qualche metro, quando l'ennesimo fulmine ha rischiarito la stanza, facendo brillare un luccichio nei pallidi occhi del defunto. Questo sembrava inizialmente un barlume di vita, un riflesso bagnato, ma ad ogni nuova luce esso assumeva la sua vera forma, quella di una piccola chiave incastonata nella molle pupilla biancastra. Sono scattato in ginocchio sul morto, afferrando il minuscolo manico dell'oggetto e strappandolo da quel poco che restava di quell'ormai marcio strumento visivo. È venuto via come il coltello dal burro, portando via con se parti organiche che vi sono rimaste attaccate in più punti prima che lo pulissi sui pantaloni.

    Eccoti qui! Ah-ah!



    Finalmente le mie paranoie si sono placate, con la chiave in mano sentivo di aver finalmente trovato una strada e la soluzione di quel mistero poteva essere più vicina. Così mi sono fiondato sulla porta, inserendo nella serratura il gingillo appena trovato. Era quello giusto!

    *Clang!*



    Il meccanismo è scattato rumorosamente, di colpo, sbloccando l'ingranaggio che ha fatto aprire la porta da sola, come guidata da un fantasma. Già perchè una volta abbassata la maniglia una folata di vento ha spalancato l'uscio, investendomi in pieno nella sua corsa e togliendomi il fiato per diversi secondi, attimi interminabili in cui credevo d'esser finito preda di qualche terribile male, il quale di certo abitava quei luoghi ma che non si era ancora mostrato nella sua reale forma. Passata la ventata senza che nulla di spiacevole a parte un bello spavento mi fosse successo, mi sono addentrato nel corridoio che stava dietro al blindato, armato di una vecchia torcia che andava a cazzotti che avevo trovato frugando in cucina. Questa illuminava flebilmente la mia via, un insolito cunicolo scavato nella roccia che sembrava addentrarsi nelle profondità della terra. L'aria si faceva sempre più pesante ad ogni passo, acqua gocciava nervosamente dal soffitto e faceva si che le assi di legno sotto i miei piedi scricchiolassero marce al mio passaggio. Sebbene l'atmosfera in quel viottolo fosse tutt'altro che rassicurante, mi sentivo meglio che in precedenza, la strada era dritta e difficilmente avrebbe potuto riservarmi sorprese, senza contare che con tutta quella roccia ero avvantaggiato contro praticamente qualsiasi nemico mi si parasse di fronte. Cammina cammina però niente mi è successo, ed infine sono giunto alla fine di quel lugubre corridoio, delimitato da una grata ferrosa mezza aperta, vagamente sporca di sangue ormai rappreso ed inscurito, lasciato a chiazze sul metallo ormai tempo addietro. L'entrata era mezza aperta ed io mi ci sono infilato senza doverla muovere, evitando un pressoché sicuro scricchiolamento scivolandovi accanto in modo quanto più silenzioso possibile. Già perché al di la dell'ingresso vi era una sala, scavata nella roccia, illuminata artificialmente da diverse luci, segno che poteva esservi qualcuno al suo interno. Era curioso che li sotto vi fosse luce quando nel resto della villa questa mancava, inoltre quello aveva tutta l'aria di essere una specie di laboratorio segreto, o anche qualcosa di peggio probabilmente, ma qualsiasi cosa fosse era senza dubbio segreta, schifosa e preoccupante. Già perché, dopo aver ravvisato che non vi era nessuno al suo interno, ho potuto esaminare quel posto, scoprendo si trattasse di un terribile luogo di tortura e morte, un posto che mi ha sconvolto, una verità che ha rivelato in che tipo di brutta storia mi ero cacciato.

    Oh santi dei! Ma che diavolo - ?!



    Al muro alcune mensole ospitavano ampolle contenenti parti del corpo umane, animali, esseri viventi fatti a pezzi e conservati come olive o carciofi sott'olio e aceto per far si che si mantenessero nel tempo. Al centro un grosso tavolo rettangolare sporco di sangue a tal punto da non capir più quale fosse il colore originale del legno di cui era composto, con quattro legacci agli angoli per far si che le vittime non potessero muoversi durante gli orrori che stavano per subire. A terra dei sacchi con dei resti, mani, braccia, interiora e tutto quel che non veniva minuziosamente conservato, lasciato al suolo a puzzare come niente avevo mai sentito prima. Un odore fetido, pungente che si insinuava nelle mie narici come benzina, bruciandomi nel naso, in gola e nello stomaco a tal punto che non potuto evitare di rigettare a terra il mio ultimo pasto, più d'una volta per lo schifo, finché l'odore del mio stesso vomito non ha otturato le mie vie nasali, impedendo al fetore di addentrarvici. Ripresomi da quell'orribile esperienza mi sono accorto di un flebile singhiozzio, un pianto leggero che si confondeva col gocciare d'acqua ed altri rumori lugubri cui ormai mi ero abituato. Attirato da quel lamento mi ci sono avvicinato badando bene a non farmi fregare da qualche tranello o fregatura del caso, scoprendo che esso provenisse da dentro un armadio a doppia anta. Mi ci sono avvicinato, aprendolo di colpo pronto ad entrare in azione nel caso di pericolo. Mi aspettavo di trovarci la bambina della lettera, in realtà era la domestica di casa Drevis, vestita di tutto appunto con abiti di servitù. Piangeva disperata, nascondendosi il volto con le mani per quanto più possibile, viso da cui traspariva comunque una bellezza così pura da risultare irrovinabile da pianti ne terrore. La giovane donna dai profondi occhi verdi e i capelli castani raccolti in una lunga coda che gli cadeva sulla schiena mi si è gettata addosso, trovando conforto nel mio abbraccio, poggiando la sua testa sulla mia spalla per riprendersi da chissà che terribili orrori avesse assistito. Con la fanciulla addosso ho potuto notare alle sue spalle una porta socchiusa, una seconda uscita da quel posto, probabilmente proprio il luogo da cui questa era arrivata, o dove qualcuno era fuggito. L'unico modo per sapere la verità a questo punto era chiedere alla ragazza, la quale necessitava però di qualche momento per riprendersi dallo shock che la affliggeva.

    Calma, calma, stai tranquilla, è tutto finito. Sono qui per aiutarvi, non hai più nulla da temere, quindi voglio che adesso ti calmi e mi racconti tutto quel che c'è da sapere su questa faccenda, tutto quello che mi sarebbe utile sapere su questo strano luogo...

    Senza fretta, inizia dicendomi il tuo nome...

    Avanti, continua...



    Edited by Cagnellone - 29/11/2015, 18:56
     
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