Genesi dell'esploratore

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  1. ~Dan
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    Una folta chioma nera si agitava animata dal vento: il paesaggio che si palesava dinanzi agli occhi dorati di Kira era di una mortale monotonia, sfumature di un rosso bruciato, non particolarmente gradevole alla vista, si alternavano fra piatte pianure e modesti rilievi rocciosi, il tutto solcato da profonde scissure e fratture.
    L'acqua non era di certo una risorsa particolarmente fruibile, in quelle terre, non importava in quale stagione o in quale periodo dell'anno ci si trovasse, una delle tante, forse troppe, costanti di quel Villaggio era la necessità di rifornirsi di quel raro tesoro presso una fonte lontana qualche chilometro dal centro abitato. Kira era appena tornata dal lungo cammino, un'esile e mingherlina bambina di soli dodici anni sola per un sentiero impervio, gravata da tanti, forse troppi contenitori secchi come la terra sotto i suoi piedi. Era piuttosto comune incrociare, in quella marcia, altri coetanei, impegnati nelle sue stesse mansioni, compiti cui i genitori non potevano occuparsi non per pigrizia o per qualche forma di sfruttamento minorile, ma perché impegnati nei propri lavori, spesso manuali, di artigianato, o legati alla cura della terra, in modo che a metà giornata, durante la pausa pranzo, questi o chi per loro potessero riversarsi nel mercato del Villaggio per comprare ciò di cui la famiglia aveva bisogno.

    Comprare..

    Kira conosceva il significato di quella parola - tra le altre cose la Madre curava, per quanto ne fosse in grado, la sua istruzione - ma non aveva ancora avuto modo di trasdurne il significato nella realtà, questo perché fra la gente della Speranza vigeva il baratto dunque, quella cosa chiamata "denaro", qualunque forma poi avesse, risultava priva di alcun valore: coloro che frequentavano il mercato offrivano i propri prodotti in cambio di altri di pari valore, dunque una vettovaglia poteva essere scambiata con un altra, oppure per un tozzo di pane e mezzo e così via. E' chiaro che stava anche nella capacità delle persone svolgere trattative vantaggiose anche se, fra gli Uomini Liberi, non esisteva l'indole di raggirare il prossimo, la comunità viveva per il singolo, ed il singolo per la comunità.
    Lo sguardo della bambina vagò fino all'orizzonte, fino a quella linea in cui il rossiccio si fondeva nell'azzurro del cielo, mescolandosi in una tonalità inedita a cui non sapeva dare un nome: ogni volta si sforzava di aguzzare la vista, di scorgere un metro oltre il proprio limite, in modo da ampliare il confine del proprio campo visivo, tanto da permettergli di vedere al di fuori del Paese della Speranza. Naturalmente ogni tentativo risultava vano e la ragazza rimandava al giorno successivo, sperando in più fortuna.
    Un ciuffo nero ricadde sul suo volto ed automaticamente lo scostò con la mano sinistra: le dita protesiche sfiorarono la sua guancia, il materiale plastico oramai non la stupiva più come i primi tempi, il suo cervello si era oramai abituato a quel tocco artificiale ed asettico, erano 12 anni che la sua mano era quella, un ammasso di congegni ed tendini artificiali, il tutto contenuto in un involucro della stessa tonalità della sua carnagione, tant'è che poteva essere tranquillamente scambiato per legno.
    I polpastrelli, quelli in carne, carezzarono l'altra mano, seguendo i confini dei singoli costituenti assemblati insieme, quasi nel tentativo di risvegliare dolcemente l'arto da quel tepore che non gli consentiva di percepire quella sensazione tattile, come anche quelle dolorifiche o termiche.
    Un corpo estraneo agganciato a qualcosa di vivente, ad un essere pulsante.
    Tante potevano essere le reazioni a quel trauma, forse la più comune era la sindrome dell'arto fantasma, e infatti talvolta le era successo di osservare persone lamentarsi di dolori immaginari e di mali insanabili, ma tutto quello non era altro che frutto della contorta mente umana, reali ed immaginari. Niente di tutto questo era successo a Kira, che sembrava aver accettato di buon grado quel "dono", che oltre ad averle concesso una vita normale, le aveva dato la possibilità di coltivare il suo sogno, esplorare il mondo fuori dal Paese della Speranza, conoscere qualcosa che tradizionalmente era disprezzato dalla sua gente, senza che qualcuno spiegasse mai le proprie ragioni.

    Kira, Kira!

    La voce della madre rimbombò per la piccola casa, destandola dal suo torpore. Era già l'ora di andare al mercato.
    Odiava quel posto, ma doveva pur mangiare.
    Pigramente girò sui propri tacchi e si avviò verso la porta, scostando il logoro telo acconciato a mo di tenda.


    Edited by ~Dan - 28/5/2015, 12:21
     
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    Kira non era una ragazzina comune.
    Non che spiccasse per qualche dote in particolare, o almeno niente si era ancora manifestato pubblicamente, ma possedeva un carattere ben differente rispetto a quello dei suoi coetanei, era decisamente troppo matura per una bambina della sua età, tanto che a volte questo fatto dava così fastidio ai suoi interlocutori che improvvisamente dall'essere al centro della discussione, il "bastian contrario" di turno, si ritrovava sola, ferma sulle sue posizioni.
    Questo non voleva dire che la ragazza non amasse giocare con i suoi amici - pochi, a dirla tutta - o con i bambini del vicinato, ma in tutto quello che faceva c'era qualcosa che stonava, una nota dissonante in un'orchestra che suonava all'unisono ed in perfetta sinergia.
    Kira sapeva cosa aveva che "non andava", e sapeva anche che non aveva nessuno con cui confidarsi, né con un amico intimo né con i propri genitori.
    Amava i suoi genitori, non conosceva nessun altro bambino che potesse dire il contrario, come poteva essere altrimenti, ma comunque non poteva rivelare loro il suo segreto, alla ricerca di sollievo, in primo luogo, e quindi di consiglio.
    La verità è che Kira non amava la sua terra e la sua gente come era supposto avesse dovuto, non provava quella cieca ammirazione e abnegazione nei confronti dello stile di vita imposto o dei costumi tramandati dai propri antenati.
    Erano emozioni complesse e pensieri pericolosi, quelli, che tante volte aveva tentato di soffocare con tutte le proprie forze ma alla fine questi avevano prevalso, la sua natura e la sua indole non potevano di certo mutare a causa di una sua decisione razionale dettata dal mondo esterno.
    Ma cosa ne poteva sapere una ragazzina di come funzionava il mondo e di come era organizzato, se esistente, ciò che trascendeva i loro confini. tanto da poter muovere critiche così aspre? Nulla, ed era proprio questo il motivo del suo perenne scetticismo.
    Il popolo della Speranza, riunito per la maggior parte nel Villaggio di Ishivar, con eccezione di alcune piccole tribù sparse qua e là per il territorio, amava definirsi Comunità: non era un semplice sinonimo o una parola convenzionalmente scelta per definirsi come collettività, ma era sostanzialmente l'incarnazione del loro modo di essere e dell'alta considerazione che avevano per l'altro e per il loro passato.
    Considerata dunque la critica tagliente, per di più partorita dalla mente di una dodicenne, risultava più che giustificato il timore che provava nel confidarsi con gli altri.

    Kira, Kira!

    La voce assordante della madre rimbombò per la casa, riportandola alla realtà. La loro dimora era particolarmente umile, al pari di tutte le altre di Ishivar: consisteva essenzialmente in un'ampia stanza cui si aprivano tre piccole stanze, quasi delle apprendici del corpo centrale, ovvero la sua camera, quella dei suoi genitori, ed il bagno, anche se forse latrina era il nome più corretto.
    L'ampia sala non aveva un nome specifico, poiché assolveva ed era preposta a varie funzioni: sala da pranzo, cucina, laboratorio del Padre. E in effetti al momento l'uomo era seduto dinanzi ad un rozzo tavolo in legno, intento ad incidere e scolpire il legno, ultimando la partita di prodotti da barattare.

    Hai finito, caro? E' tardi, se non ci sbrighiamo non troveremo nient'altro che cianfrusaglie e pane raffermo. Kira sei pronta? Prendi quel cesto di frutta, è sufficiente per scambiarlo con della verdura fresca.. Kira?!

    Voglio diventare una Sentinella di Ishivar.

    Il coltello sfuggì dalle mani del Padre, cadendo rumorosamente sul tavolo e ci mancò poco che la Madre facesse cadere una sacca piena di mercanzie preziose. Sapeva cosa stessero pensando, ancora una volta aveva cominciato quel discorso che tanto faceva infuriare i suoi genitori, che pretendevano rimanesse con loro, ad aiutarli a mandare avanti la famiglia, in quella routine tediosa e che non avrebbe mai avuto fine.

    Kira, smettila. Ne abbiamo già parlato e ti abbiamo già detto di no. Tu devi rimanere qua a darci una mano, presto non avrò più la forza di occuparmi dell'orto o di raccogliere la frutta, sarai tu a sostituirmi. Poi troverai marito e ti accaserai. Questa è la vita..

    Questa non è vita!

    Le urla della bambina sovrastarono la voce ferma della madre, ma furono a loro volta interrotte dal suono sordo del manrovescio che la colpì in volto, facendola cadere a terra.
    Gli Uomini di Ishivar erano particolarmente muscolosi, e dato che spesso vestivano canotte o addirittura andavano in giro a petto nudo, era difficile non notare la loro definizione e le loro dimensioni. Il Padre non era mai stato un tipo di troppe parole, né tanto meno dai modi maneschi, solo in poche occasioni Kira era riuscito ad irritarlo a tal punto da costringerlo ad intervenire in tal modo. La bambina si alzò in piedi e, sopportando con forza il dolore, corse via, fuggendo per la porta d'ingresso. La madre fece per fermarla, ma l'uomo la bloccò.

    Lasciala sfogare per un po', tornerà prima del tramonto. Ti accompagno io.
     
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    Kira corse via, travolgendo la porta d'ingresso in legno massiccio e perdendosi per i sentieri bianchi del proprio quartiere.
    La sua corsa non aveva una meta, la giovane non aveva mai scelto, durante l'infanzia, alcun luogo come suo rifugio personale ove nascondersi e sfogarsi, quando l'unica compagna che potesse desiderare fosse esclusivamente la solitudine: né una grotta, né un boschetto né tanto meno gli oscuri "corridoi" Ishivariani, luoghi così chiamati poiché la Natura li aveva costruiti proprio come dei passaggi e collegamenti fra le varie caverne o anfratti, spazi scavati nell'arida terra dove spesso si ritrovavano i guerrieri del Popolo Libero per affinare le proprie capacità, in modo da poter difendere la comunità dall'attacco di bestie feroci o arginare gli eventuali danni provocati dagli agenti atmosferici.
    Il Villaggio era sprovvisto di mura? Loro costituivano le loro solide cinta; il Villaggio era sprovvisto di difese intrinseche? Loro le incarnavano. In definitiva, quegli uomini costituivano il fiore all'occhiello della loro gente, essere così altruisti da aver investito la propria esistenza per la salvaguardia degli altri, scommesso la propria vita in modo da vincere l'integrità di quella dei civili.
    Kira poteva sembrare una ragazzina matura e a volte dura e caustica nei suoi commenti e nelle sue affermazioni, frutto di una visione non idilliaca della propria terra natale, ma era pur sempre una bambina, e, come tale, non era ancora in grado di sopprimere i propri sentimenti, piegarli e sfruttarli a proprio favore: copiose lacrime bagnavano la sua carnagione scura, perdendosi poi al suolo a causa del suo frenetico moto; il naso le colava e sovente era costretta a strinare il polso a livello della bocca, in modo da tamponare quella sorgente che appariva inesauribile; talvolta qualche singhiozzo interrompeva il frenetico ritmo respiratorio della giovane, cui torace si alzava e abbassava all'impazzata, tentando di soddisfare le richieste di ossigeno dei vari tessuti.
    Erano settimane, se non addirittura mesi, che quel pensiero le ronzava per la mente, quasi come una tentazione proibita che lei aveva cercato, con tutte le proprie forze, di sopprimere, di zittire e di annichilire, poiché ritenuta folle dai propri genitori, oltre che infattibile e proibita: il suo desiderio di conoscere ciò che esisteva al di fuori del Paese della Speranza si sposava necessariamente con il suo arruolamento nelle forze armate del Villaggio, una carica che le avrebbe sicuramente fornito numerosi privilegi, al costo, ovviamente, di altrettanti doveri: crescendo la sua forza, il suo "range" di attività sarebbe cresciuto in maniera proporzionale, fino al punto in cui questo sarebbe coinciso con i confini geo-politici del Paese, e dunque oltre, valicandoli ed estendendosi a tutto il mondo conosciuto.
    Quella sembrava la scelta ovvia, se non l'unica a sua disposizione. Eppure prenderla non era così semplice, prenderla con leggerezza sarebbe stato folle.

    Paninya.. è a lei che devo rivolgermi.. Sicuramente lei saprà dirmi come devo fare..

    Kira si fermò, piegandosi su se stessa e poggiandosi sulle proprie ginocchia, tentando di catturare quanta più aria possibile: se non si era sbagliata, si era spinta verso Est, giungendo però in una parte del centro abitato che mai aveva visitato prima: le case presentavano più o meno la stessa architettura, come anche la routine di chi abitava questo preciso settore, infatti un flusso di anime si accalcava e si riversava verso il mercato di riferimento, ognuna carica del frutto del proprio lavoro, pronta ed impacchettata per essere barattata.
    Non avendo mai conosciuto di persona il meccanico, il cui nome era forse più famoso e noto di quello di Andras, membro di spicco del Consiglio degli Anziani, la ragazza non conosceva dove questa abitasse, dunque, una volta calmatasi, fu costretta ad affidarsi alle conoscenza degli altri, chiedendo ai vari passanti se le potessero indicare la via, cosa che risultò particolarmente semplice, dato che chiunque avesse qualche anno in più di lei era in grado di risponderle in maniera esaustiva.
    La fortuna volle che la direzione presa nella corsa non era poi così sbagliata - un segno del Destino, forse - dunque Kira riuscì a raggiungere la sua meta in pochi minuti: l'abitazione era bassa, su per giù come casa sua, dunque doveva svilupparsi su un unico piano. Ciò che la stupì erano le grandi dimensioni, maggiori di qualsiasi edificio la giovane avesse mai visto.
    La bambina girò intorno all'abitazione un paio di volte, da una parte studiandone le caratteristiche, dall'altra riflettendo su cosa dire alla donna, una volta bussato alla porta, su cui era inoltre affissa una sorta di targa, che portava il nome di Andras.

    Andras, l'Anziano Andras vive qui, insieme a Paninya? Chi meglio di lui per rispondere ai miei quesiti, per dare chiarezza ai miei dubbi?

    Alzò il pugno, pronta a battere con forza contro il solido legno, in testa una miriade di domande che gli avrebbe presto sottoposto, non accettando alcuna scusa per sfuggire a quell'"interrogatorio".
    Pochi centimetri la separavano da ciò che desiderava sapere, eppure le mancava il coraggio di compiere quell'atto.

    E' davvero giusto? E' giusto ottenere la risposta ora, senza che io non sappia nulla? No, prima voglio vedere la realtà con i miei occhi, poi potrò chiedere spiegazioni..

    Il pugno impattò pesantemente contro la superficie solida, più e più volte, fino a che una ragazza dalla carnagione, capelli ed occhi scuri aprì la porta, inondando il locale di luce: vestiva una canotta nera aderente, che seguiva fedelmente le sue curve per terminare in un paio di pantaloni militari forse di qualche taglia più grandi rispetto la sua, tanto da dover essere legati sopra la vita con un laccio bianco. A sinistra, inoltre, risultava bloccato da un risvolto, forse tenuto fermo da qualche spillo, in modo tale da mostrare ed esporre la protesi metallica che comprendeva tutto l'arto dal ginocchio in giù. A completare il "set", un ulteriore protesi era saldata alla sua spalla destra.
    La Fortuna, evidentemente, non era stata benevola come per la ragazzina, che si ritrovò ad osservare la propria mano artificiale, sentendosi estremamente fortunata,

    Ti serve qualcosa, ragazzina? Ho parecchio lavoro da fare, quelle protesi non si ripareranno da sole..

    Sono Kira Nemeshisu.. io vorrei imparare a combattere, divenire un soldato di Ishivar..

    Ah, un'aspirante Accolita, eh? Sei sicura? E' un cammino difficile ed insidioso, un sentiero continuamente in salita.. Fammi vedere un po' la tua protesi?

    La ragazza prese la sua mano e la tirò dentro di forza, dunque osservò con cura la sua opera d'arte, annuendo e sorridendo di tanto in tanto, probabilmente compiacendosi del proprio prodotto di qualità.

    Ah, mi ricordo di questo prodotto. Non è niente male, dico davvero, come ti ci sei trovata? Se l'hai curata e ne hai seguito la manutenzione, non dovresti aver avuto alcun problema, quasi fosse una mano in carne ed ossa, giusto?
    Per divenire Accolito, avrai bisogno di una nuova protesi, una un po' più "sofisticata".. L'intervento di innesto è particolarmente doloroso, e all'inizio ti risulterà un po' fastidiosa, ma se è questo che vuoi.. Da quanto so, a fine mese dovrebbe iniziare una nuova sessione di addestramento.. Se intendi parteciparvi, torna domani e procederemo all'operazione..


    Grazie mille, ma penso di rifiutare.. Cioè non la protesi, ma il fatto di tornare a casa. Io non ho nulla da offrirti in cambio, dunque permettimi di aiutarti qua, di lavorare per te..

    Il meccanico fece per replicare, assicurandole che non ce ne fosse bisogno, dato che era solita eseguire quelle operazione del tutto gratuitamente, ma Kira fu più rapida, dunque si inoltrò nell'officina, in quel cimitero di metallo e ingranaggi, da cui la mano esperta di Paninya avrebbe tratto qualcosa di nuovo e funzionante, rendendo dunque la vita di qualcun altro decisamente più confortevole. Il tutto senza voler qualcosa in cambio.
    Quella, in definitiva, era la Genesi dell'Esploratore.
     
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  4. ~Dan
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  5. Kote
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