Non si può rimediare al passato

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  1. Anselmo
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    Tintinnare metallico, scricchiolii di vecchio legno secco, cigolare di ruote da carro, caldo, puzza e tanta, tanta polvere. In sei, stipati come schiavi all'interno di un carro trainato da cavalli stanchi, stavamo attraversando chissà quale landa. Per innumerevoli ore, tutto ciò che mi aveva circondato era stata una vecchia tela bucherellata ed insufficiente a riparami dal sole battente, una dura panca di legno e sei volti madidi di sudore a lanciarsi sguardi a vicenda. Regnava un silenzio ostile, mal compensato dal frastuono del carro dondolante. E nessuno dei presenti pareva intenzionato a romperlo. Meglio così, non avrei sopportato alcuna domanda. Non ero nemmeno sicuro che parlassero la mia lingua. Squadrai da capo a piede quello seduto difronte a me, notandone mio malgrado ogni singolo particolare; eravamo tanto vicini che le nostre ginocchia si sfioravano ad ogni irregolarità del terreno. Era abbronzato, o meglio, bruciato dal sole. Privo di capelli, se non per una treccia stranamente ben curata che dalla sommità del capo scivolava fino ad adagiarsi alla spalla. Gli occhi erano iniettati di sangue, le pupille slavate, e sotto grosse borse scure. Grasso, sudicio, con un olezzo talmente acre ad elevarsi dalle ascelle, che pareva quasi visibile. Ma le braccia erano possenti, due possenti tronchi d'ebano. Era un lavoratore, uno che si spaccava la schiena per guadagnarsi da vivere. Negli altri quattro non vidi nulla di diverso, ognuno nel proprio panciotto di cuoio mal conciato, nella camicia di cotone o addirittura a petto nudo, i calzoni legati con corde di canapa, i sandali tenuti insieme da logori lacci. L'intruso, in quel carretto, ero io. Uno Shinobi. Chiunque, nell'infilare la testa sotto il parasole, piuttosto di chiedersi chi fossimo, si sarebbe innanzitutto chiesto chi diavolo fossi io. La risposta era semplice: quel giorno, io, ero un viaggiatore.
    Nei giorni anteriori a quel viaggio, mi ero rivolto a varie conoscenze maturate tra le file della Foglia, ma non uno che sapesse porre con precisione l'indice sulla mappa e dirmi "Quel che cerchi si trova qua!". Ishivar, Paese misterioso... La pura casualità mi aveva portato ai cancelli del Villaggio e fatto incrociare un'affarista. Uno dei più spietati, tanto da accettare una manciata di spiccioli per stiparmi tra i suoi "uomini" -perchè ero sicuro che nella sua mente li pensasse unicamente come animali, se non semplice merce- e portarmi "laddove io desiderassi". Diceva che avrebbe attraversato Ishivar lungo il tragitto, e che quindi era contento di vendermi un passaggio, e lo credevo bene.
    Le condizioni di viaggio mi erano state chiare non appena avevo scostato il lembo del tendaggio per salire sul carro. Ed ora, dopo ore di sofferenze, cambiai idea sul fatto di aver sganciato solo pochi spiccioli; qualsiasi persona non avrebbe sborsato un centesimo per subire quella tortura. L'unica cosa che mi aveva permesso di sopravvivere era stato l'attingere alle mie risorse mentali e, più in particolare, al mio personalissimo Palazzo della Memoria. Decisi di tornarci, mi erano bastati pochi minuti di quella realtà scandita dal braccio sudato del tizio accanto a me che m'impregnava la manica e dalle scorreggie di quell'altro per capire che non potevo resistere, ne avevo abbastanza. Chinai il capo, nascondendolo sotto le ciocche bagnate dei mie capelli, e chiusi gli occhi. Piombai con la mente dritto sulla soglia del palazzo che avevo costruito negli anni, dissociandomi dal mondo reale.

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    La porta d'entrata era un' accurata architettura in legno massiccio finemente intagliato, non una mia invenzione ma un'immagine rubata da una mia visita passata alla zona ricca di Konoha, ma a differenza di quella reale, la mia era in legno rigorosamente vivo, ne laccato ne trattato in alcun modo. Al mio passaggio si aprì dolcemente, senza il minimo rumore, dando su un'atrio tridecagonale, un'esplosione di piacere per gli occhi. Colonne, rosette, arazzi, e l'alto soffitto a volta. Il colore dominante era il bianco, ed attraversare quel ambiente dalle molteplici vie d'uscita dipinse il mio animo di pace incontaminata. Mi fermai al centro, sollevai lo sguardo al soffitto e feci scivolare i piedi sul pavimento in marmo freddo al tatto ma dallo stampo caldo ed accogliente. Roteai su me stesso, godendo enormemente del gioco di luci che investiva il mio volto, e fermandomi infine in modo da lasciare al caso la scelta della via da intraprendere. Era l'imboccatura ad arco di un lungo corridoio, la cui fine si perdeva nel convergere apparente delle pareti, dando l'impressione che si estendesse all'infinito. Lo attraversai velocemente, come veloce era la mia mente e la sua capacità senza confini di immaginare. Tasselli in legno lucido a comporre un pavimento chiaro e luminoso, che si fondeva con le pareti in mogano, interrotte regolarmente da dipinti incorniciati che raffiguravano immagini passate capaci di rievocare belle sensazioni, e nei dipinti altri dipinti, ed altri ancora, cosicché io potessi sempre aver memoria del momenti belli. Oltre ai dipinti, molte porte chiuse che davano su altrettante stanze, tutte diverse, tutte create da me nel tempo, in momenti come quello, in cui la realtà non era per medi alcun conforto e quindi attingevo alle mie risorse mentali. Quello era solo uno degli innumerevoli corridoi del mio Palazzo della Memoria, anch'essi vari per forma e con le proprie innumerevoli stanze. Un labirinto in cui solo io potevo districarmi, e non esisteva al mondo edificio di pari complessità ed estensione. Potevo scegliere dove essere e cosa provare, potevo passare periodi imprecisati a sollazzarmi lì dentro. Non v'erano limiti a ciò... o quasi.
    I piacevoli odori che associavo alle belle sensazioni vennero saturati da un intenso sentore di fumo. Ciò che mi circondava s'ingrigì e dalle finestre smise d'arrivare la luce di un sole estivo, sostituita dal gelo lunare. Le pareti presero a creparsi, il legno ad emettere gemiti acuti come se l'intera struttura della mia mente fosse sottoposta a forte pressione. Dalle crepe colava un denso fumo che si infrangeva sul pavimento deformato. Tutto cominciò a cedere, le schegge esplodevano in ogni direzione ed una lunga spaccatura percorse il corridoio per il lungo. Mi voltai in dietro, la vista si dilatava e si restringeva, non c'era più via d'uscita. I vetri s'incrinarono ed esplosero in un frastuono assordante. Scintille volarono, appiccando fuochi attorno a me. Mi afferrai il capo tra le mani e mi chinai al suolo, circondato dal disastro. Immagini violente esplosero nella mia mente, ciò che reprimevo costantemente perchè non influenzasse la mia vita, tornava a galla. Lasciai il mio mondo interiore, ero stato sconfitto ancora una volta dai miei demoni...

    "Gli uomini non sono prigionieri del destino, ma prigionieri delle loro menti"

     
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  2. Kote
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    •Chapter I
    •Legenda Narrato
    Parlato
    Pensato
    Parlato altrui (altri colori)

    Una calda ed afosa giornata come tante ad Ishivar, ma di certo non la si poteva definire monotona e sciatta come tutte le altre. Il giorno precedente, infatti, ero stata affidata ad una squadra di esperti cacciatori per iniziarmi alla caccia di selezione relativa alle bestie delle sabbie reperibili nel sud del paese, precisamente presso i confini con il caldo ed arido Paese del Vento. La squadra di cui ero entrata a far parte per lo più trattava di Sentinelle come me, ma ben più grandi ed esperte della sottoscritta. Tra di noi vi erano anche alcuni Cacciatori d'Ishivar, capaci combattenti dalle spiccate abilità nel combattimento corpo a corpo con e senza armi. Il mio compito, in questa missione che ci avrebbe portato lontano da casa per almeno 5 giorni, consisteva nello studiare l'operato dei miei compagni in modo da imparare come muovermi in un gruppo di cacciatori, nonch'è analizzare i comportamenti, le abitudini, il modo di combattere e quant'altro delle pericolose bestie che saremmo andati a cacciare. Se la situazione lo richiedeva avrei anche avuto la possibilità di dare una mano nel vivo degli scontri, ma in linea generale dovevo stare nelle retroguardie ed aiutare nel trasporto dell'attrezzatura e delle provviste che avremmo raccolto in questi giorni. Quest'ultima cosa non è che mi facesse particolarmente impazzire, ma una volta ritrovatami faccia a faccia con gli enormi scorpioni dalle gigantesche chele in grado di tranciare a metà un essere umano, i lunghi serpenti dotati di zanne talmente aguzze e spesse da perforare gli scudi dei miei compagni ed i rapidi e possenti rapaci che a stento riuscivo a tenere sott'occhio, capii che era meglio fare come mi era stato detto se non volevo rimetterci la pelle ed essere d'impiccio ad i miei compagni.
    Tutto procedeva nel migliore dei modi, senza alcun problema, se non che, il penultimo giorno di caccia, durante lo scontro con un grosso scorpione alto poco più di tre metri e dalla spezza corazza nera come la pece in grado di spezzare la punta delle lance che i miei compagni gli lanciavano contro con tutta la loro forza, fui costretta ad entrare in azione: Keita, un ragazzo sulla ventina con anni ed anni di esperienza sulle spalle in fatto di caccia e combattimenti con bestie di tale risma, nonostante fosse una Sentinella come me, finii per farsi male ad una gamba non riuscendo più a muoversi come voleva.
    Essendo colui che aveva il compito di limitare i movimenti della bestia, venni scelta come sua sostituta grazie alle mie competenze in arti magiche. Difatti, anche se disponevo di una forza neanche comparabile con quella del giovane ragazzo dotato di un fisico possente, e, scusate se ve lo dico, decisamente niente male, con il filo d'acciaio in mio possesso e la Ayatsuito no Jutsu sarei stata in grado sostituirlo; su per giù. Vista la mole e la scarsa agilità dell'artropode non era un problema afferrarlo con il filo, ma la sua forza smisurata mi impediva di tenerlo bloccato per molto. Avrei avuto bisogno di molto più filo, ma purtroppo ero l'unica ad averlo a portata di mano.
    Fatto sta, però, che, con un pò di fatica, grazie ad i preziosi secondi che riuscivo a far guadagnare con le mie azioni, i miei compagni ebbero il tempo di colpire la bestia nei suoi punti deboli; abbattendola. Era stata la mia prima volta, tuttavia non me l'ero cavata niente male e, ricevendo un mare di complimenti da parte di tutti i presenti, finii per imbarazzarmi diventando rossa come un peperone.
    Finito di rifare la nostra roba e raccolto le parti dello scorpione da riportare al villaggio, però, decidemmo di anticipare il ritorno a casa nonostante la giornata fosse appena iniziata. Avevamo ancora del tempo a nostra disposizione, ma la caccia aveva fruttato molte più provviste del previsto e considerando la brutta ferita subita da Keita era meglio se la finivamo qui. Fu per questo che, dopo una breve sosta per ricaricarci di energie e rifocillarci a dovere, ci incamminammo verso il villaggio. Se tutto procedeva senza interruzioni saremmo rientrati nel momento in cui il sole sarebbe stato più in alto in tutto l'arco della giornata, cioè verso mezzogiorno.
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  3. Anselmo
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    Respirai profondamente, il volto madido di sudore che gocciolava tra i capelli che lo nascondevano. Pian piano il mio battito cardiaco tornò alla velocità di crociera. Mi chinai estraendo dallo zaino sotto la panca una grossa borraccia d'acqua, di quelle in dotazione all'esercito della Foglia, traendo grossi sorsi di acqua fresca. Poi mi passai l'avambraccio sulla fronte.
    Nemmeno il mio Palazzo della Memoria aveva voluto accogliermi quel giorno, tutto merito del mio passato, un passato a cui non potevo rimediare in alcun modo. Rinchiuderlo in stanze buie e blindate nella mia mente non era sufficiente, semplici misure preventive che periodicamente andavano in frantumi. I miei demoni tornavano sempre a galla. Chi credeva nel destino era un fanatico deficiente, le pene di ogni uomo sono tutte nelle proprie menti, ad occludere le vie della ragione.
    Spaziai con lo sguardo sui cinque volti dondolanti che mi circondavano sotto quello stretto parasole, e notai che l'indifferenza nei miei era cambiata. Dapprima frutto di semplice disinteresse, ora era forzata, intensamente voluta. Cercavano di ignorarmi, di non incrociare il mio sguardo, intenti a dissociarsi da me. Era come se qualcosa, in me, li avesse spaventati. Forse le cicatrici malamente nascoste dalle ciocche di capelli... no, non erano il genere di uomini che si fa impressionare da qualche traccia di vecchie ferite. Doveva essere altro. Probabilmente un po' di quel tormento che mi affliggeva l'anima era trasparito dal mio corpo, dalla mia espressione, dai miei occhi, e li aveva turbati. Come biasimarli.
    In quel imprecisato momento, dopo ore di caldo supplizio, giunse alle mie orecchie il doppio richiamo del cocchiere che faceva fermare i cavalli. Poi una mano scostò il tendaggio:

    Tu scendi qui!

    Mi districai tra i corpi degli altri passeggeri ed uscii finalmente all'aria aperta ma, nonostante non fossi più rinchiuso in quel dannatissimo forno, non provai alcun sollievo. Il caldo era il medesimo, aggravato dal sole battente e dalla totale assenza di un minimo filo di vento. Mi guardai attorno: niente. Deserto, dune, orizzonte piatto e vuoto in tutte le direzioni. Posi quindi il mio sguardo sul cocchiere, che altri non era che l'uomo a cui avevo dato i miei soldi per un passaggio verso il Paese della Speranza. Lui, con fare del tutto disinvolto ed anzi un po' scocciato, fece un gesto in una direzione farfugliando:

    Ishivar è da quella parte, buon viaggio.

    Avevi detto che mi avresti portato A Ishivar, non VICINO A Ishivar!

    Tsk, beh, hai capito male amico. Addio.


    Disonesto, fasullo, approfittatore. In me montò inevitabilmente un'intensa rabbia. L'unico mio desiderio in quel momento era quello di staccare la testa di quel tizio e scaraventarla tra le dune con un bel calcio, godendo dell'idea che qualche bestiaccia del deserto si sarebbe cibata del suo cervello ed avrebbe stabilito dimora nel suo teschio. Ma mi costrinsi a ragionare, a pensare al fatto che quell'individuo era una fonte di vita per gli uomini nel carro, era il loro datore di lavoro, e mi calmai. Mi limitai a dire:

    Restituiscimi il mio denaro.

    Tendendo la mano col palmo aperto verso di lui. Un orribile smorfia di divertimento gli attraversò il volto.

    D'ahahaha, sei pazzo! Non ho trascinato il sacco di carne che sei per tutta questa strada solo per farti un favore. Io non lavoro gratis. AOOOH!

    Gridò incitando i cavalli a riprendere la marcia. Mi spostai fulmineo, ponendomi sul loro cammino e poggiando le mani sul muso dei cavalli, che si fermarono all'istante, calmati dalle carezze sotto la mandibola. Quindi li aggirai e afferrai il bastardo per le brache trascinandolo giù, a sbattere con la faccia nella sabbia bollente. Lo sollevai per il bavero e gli premetti sul fondo del ventre la punta della lama retrattile che mi spuntava dalla manica, facendo sgorgare un'innocente goccia di sangue. Sussurrai poi al suo orecchio, con i volti guancia a guancia:

    Siamo qui soli, io e te, nel mezzo del nulla. Gli uomini nel carro non alzeranno un dito per aiutarti, e non si scomoderebbero mai a denunciarmi alle autorità, lo sai meglio di me. Quindi dammi il denaro... o ti squarto dalle palle alla gola e ti lascio qui a ripulire le tue budella dalla sabbia, e poi me lo prendo da solo!

    Tastandosi freneticamente le tasche, con gli occhi che mi fissavano gonfi di terrore, cercò di dirmi qualcosa ma tutto ciò che gli riuscì fu di emettere un rantolo strozzato, mentre la pressione della lama si faceva più insistente. Finalmente cavò fuori dalla veste un borsello di cuoio che si ribaltò nella sabbia, versando fuori una copiosa quantità di monete. Lo lasciai andare, disprezzando la sua figura raggomitolata all'ombra del carro, e raccolsi ciò che mi apparteneva. Poi mi voltai e mi diressi alla volta di Ishivar, cercando di lasciarmi quel brutto episodio alle spalle per resistere all'impulso di cancellare quella feccia dalla faccia della Terra.
    Fu una lunga e dura traversata, che compiei con una corsa a ritmo sostenuto ma perfettamente costante in modo da adattare il corpo allo sforzo costante ed essere quindi perfettamente consapevole dei limiti di fatica da non sforare, come voleva la perfetta tecnica Ninja. Il deserto, qualsiasi deserto, era e rimarrà per sempre implacabile con chiunque, una vera espressione di quanto la natura possa essere dura. Ritornavo con la mente agli anni passati a Suna, sotto falsa identità. Quel caldo costante ed onnipresente, che penetra nel tuo corpo fino a scaldarti le ossa e cambiarti dall'interno, come se riscrivesse il codice del tuo DNA. Se il sole non fosse calato, se fossi stato costretto a compiere la traversata in pieno giorno, difficilmente sarei arrivato a destinazione sano e salvo. Quella notte, dopo aver dormito qualche ore sotto le stelle, ero ripartito e finalmente avevo potuto constatare che il paesaggio stava virando gradualmente dal deserto sabbioso all'aridità della steppa. Ancora non sapevo di aver appena attraversato il confine del Paese della Speranza, ma vedere che la strada percorsa mi stava portando da qualche parte fu comunque di conforto.
    Tutto si tingeva di un rosso argilloso, la sabbia instabile veniva sostituita da un suolo duro e compatto e cominciavano ad emergere dal terreno vari ostacoli: rocce sporgenti, vegetazione rinsecchita, solchi, crepe. In lontananza scorgevo gli animali sparire nelle loro tane e ricomparire dopo il mio passaggio. La vita era meno austera laggiù, ma di civiltà nemmeno l'ombra.
    La incontrai qualche ora dopo, o meglio, le tracce di vita passata: una casa in mattoni priva di tetto, circondata da uno steccato eroso dagli agenti atmosferici e cedevole in parecchi punti. Lì vicino, un pozzo secco. Esisteva davvero il Paese della Speranza, v'era davvero una civiltà in quel luogo dimenticato da Dio? Doveva esistere, era passata da casa mia, un'intera nazione di sconosciuti aveva calpestato le terre del Fuoco.
    Trovai poi quello che credevo essere una sorta di palo di Totem fatto con ossa di animale legate in lunghe collane e, sulla sommità, il teschio cornuto di qualche bestiaccia. Vi passai accanto senza fermarmi, impolverandolo con la scia che mi lasciavo dietro, perchè in lontananza intravedevo qualcosa di ben più interessante, case. Erano più d'una, e si inerpicavano su una collina poco pendente. Ciò che mi fece sperare in bene erano i panni stesi sui fili legati tra due grossi alberi rinsecchiti, perchè significava che lì ci abitava qualcuno. Raggiunsi preso il luogo, ma non vidi nessuno all'aperto. Sarei andato a curiosare nelle aperture che c'erano sui muri ricurvi delle abitazioni, ma fui rapito da ciò che estendeva al di là della collina, che fino a quel momento aveva impedito la mia vista: una vasta striscia di terra punteggiata da edifici sparsi casualmente sulla terra arida fin oltre l'orizzonte. Si trattava di uno spettacolo che i miei occhi non avevano mai assaggiato. I Villaggi cui ero abituato non avevano nulla a che fare con quello. Centri urbanistici con un'alta concentrazione di anime in uno spazio relativamente ristretto ma perfettamente organizzato, mentre lì, ad Ishivar, pareva che Dio avesse seminato civiltà ribaltando un secchio al suolo. Rimasi a lungo rapito dal panorama, poi mi rimisi in marcia, camminando tra le case e la gente. Era mezzogiorno, e vidi bambini smettere di giocare con i loro pupazzi intagliati nell'osso per osservarmi passare, vidi donne vestite di cuoio e cotone accendere grossi camini per preparare il pranzo, vidi uomini armati d'archi decorati di piume ed altre armi mai viste sfilarmi accanto con la cacciagione appena ottenuta in spalla. Pelle scura e capelli chiari erano una costante pressoché in ogni individuo. Ma ciò che notai maggiormente, o meglio, ciò che il mio occhio medico notò maggiormente, fu una spropositata quantità di deformità fisiche ad affliggere soggetti di qualsiasi età, come se nel pool genico di quella popolazione vi fosse un allele incompatibile.
    Al centro della strada, un percorso scavato nella terra per via degli innumerevoli piedi che l'avevano battuto, c'era un gruppo di quelli che mi parevano cacciatori, a giudicare dall'equipaggiamento. Mi avvicinai e, senza rivolgermi a nessuno in particolare, esordii:

    Mi servono indicazioni per trovare un certo Andras, gli devo parlare. Ringrazierò chiunque sarà così gentile da aiutarmi con una bella somma di denaro.

    Nel caso notassi il finale un po' scialbo, è per la tarda ora, sono stanco.
     
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  4. Kote
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    •Chapter II
    •Legenda Narrato
    Parlato
    Pensato
    Parlato altrui (altri colori)

    Eravamo appena rientrati al villaggio, molto soddisfatti del nostro operato, che neanche avevamo avuto il tempo di salutare i nostri compagni e già questi ci stavano facendo la festa. Oltre ad una cospicua quantità di cibarie eravamo riusciti a reperire buon materiale da dare sia ad i nostri artigiani per poter fabbricare dell'ottimo equipaggiamento, sia ad i Guaritori per preparare efficaci rimedi curativi.

    Yang, accompagna subito Keita a farsi curare.

    Certo!

    Risposi, mettendomi sull'attenti, a Bakari, uno dei Doanchin che ci aveva accompagnato in questa caccia. Alto poco più di 2 metri, dalla muscolatura massiccia e scolpita, tratti tipici Ishivariani quali appunto carnagione molto scura, corti capelli bianchi tutti scompigliati ed intensi occhi rossi, nonchè una robusta protesi artificiale a sostituire il suo piede destro che, però, era nascosta dai suoi spessi stivali, ogni qual volta si rivolgeva alla sottoscritta un certo sentimento di disagio mi pervadeva. Non è che avesse un atteggiamento burbero, aggressivo o che altro, chi aveva il piacere di scambiare due parole con lui poteva capire che, dietro a quell'espressione sempre seria e decisa si poteva nascondere un omaccione molto gentile e dal buon cure, tuttavia era proprio a causa della sua imponente presenza e quella costante aria imbronciata che ogni qual volta avevo modo di parlare con lui un piccolo brivido mi pervadeva la schiena. Preciso e meticoloso, era sempre pronto ad impartire ordini a destra ed a manca, usando spesso e volentieri un tono autoritario; proprio come aveva appena fatto.
    Lasciando il grosso zaino che portavo sulle spalle ad uno dei miei compagni mi avvicinai a Keita in modo che, una volta appoggiato il suo braccio destro, o meglio la protesi impiantata al posto dell'arto superiore in causa, sulle mie spalle potessi accompagnarlo dai nostri efficientissimi guaritori.

    Grazie mille Yang.

    M-ma di che...

    Dissi, leggermente arrossata in volto, girando il capo nella direzione opposta a quella del ragazzo in modo da non far vedere il mio imbarazzo. Si era semplicemente limitato a ringraziarmi del gesto, cosa più che normale, tuttavia adesso che avevo avuto modo di vederlo così da vicino in faccia in un momento di quiete potei notare quanto era... carino. Non era molto frequente che ricevessi complimenti e ringraziamenti da persone che conoscevo da poco, anche se ormai le cose erano cambiate, in meglio, da quando ero una semplice civile, per cui combinando la cosa al bell'aspetto della giovane Sentinella ciò non poteva non procurarmi dell'imbarazzo. Senza parlare che anche lui, come me, non sembrava mostrare tutti i tipici tratti della mia gente: la carnagione scura cel'aveva, sì, ma i suoi occhi più che rosso sangue avevano un colorito tendente al marrone, un rosso terra cotta diciamo, per non parlare dei corti capelli neri come la pece. Probabilmente doveva essere il frutto dell'unione tra un ishivariano ed un forestiero.
    Raggiunto uno dei centri di cura più vicini alla nostra posizione, una semplice tenda da campo allestita con tutto l'occorrente per cure più o meno complesse, finalmente potei affidare il ragazzo a chi sarebbe stato in grado di sistemargli la gamba. La ferita che gli era stata inferta da quella pericolosa bestia delle sabbie gli aveva procurato un squarcio abbastanza profondo che gli partiva dalla caviglia sinistra fin quasi al ginocchio. Purtroppo sia io che gli altri del gruppo non avevamo buone competenze nel campo medico, a parte poter fare qualche bendaggio di primo soccorso non eravamo in grado di fare altro, per cui, anche se la ferita non sembrava particolarmente grave, nonostante le dimensioni, avrebbe potuto incidere molto sul futuro del ragazzo se non curata adeguatamente.
    Il guaritore di turno, un uomo sulla trentina dalla folta barba bianca, capocchia completamente rasata, carnagione scura ma non troppo e vispi occhi marroni, vestito con i tipici abiti del nostro paese, dopo aver osservato attentamente il bendaggio che copriva la ferita di Keita non ci pensò due volte a disfarlo mostrando un'espressione preoccupata. Non che questo fosse stato fatto male, anzi, si complimentò per il lavoro ben svolto, ma dal gonfiore mostrato sulla gamba nonch'è il brutto colorito che le bende biancastre aveva avuto gli era sembrato di capire che la ferita si era infettata.
    Nulla di grave, con le dovute cure tutto si sarebbe sistemato, è solo che ciò avrebbe impedito al ragazzo di continuare a compiere i suoi doveri di Sentinella per un lungo periodo di tempo.
    Un pò abbattuto per l'informazione appena ricevuta il ragazzo sospirà, ma, mostrando subito un solare sorriso si rivolse a me dicendomi con fare gentile.

    Non preoccuparti Yang, vedrai che tornerò più forte di prima. Torna pure dagli altri che avranno senz'altro bisogno di una mano.

    E tono rassicurante. A quanto pare aveva notato il mio dispiacere, palesemente dipinto in volto, sulle sue pessime condizioni, il che lo aveva spinto a rassicurarmi e spronarmi a non rimanere lì come una scema a preoccuparmi per niente.
    Limitandomi ad annuire lo salutai, uscendo di corsa fuori dalla tenda per tornare dai miei compagni. Keita aveva ragione: era inutile preoccuparmi per una cosa del genere, lo stesso guaritore ci aveva detto che con il tempo necessario sarebbe tornato in perfetto stato, di conseguenza, invece che stare a perdere tempo, avrei dovuto compensare alla sua mancanza dandomi da fare anche per lui. O almeno questo sarebbe stato il mio intento se, una volta tornato da Bakari e gli altri, un'inaspettato evento non avesse turbato la quiete che aleggiava nei dintorni.
    In mia assenza un giovane forestiero aveva fatto la sua apparsa, gridando qualcosa ad i quattro venti che, purtroppo, non ero stata in grado di udire, cosa che invece non si poteva dire nei confronti di tutti i presenti.
    Portando l'attenzione sul giovane uomo dalla carnagione chiara ed i lunghi capelli corvini, tutti gli abitanti della zona sembravano aver interrotto i loro compiti quotidiani, ma anzichè avvicinarsi ad egli sembravano intimoriti standone alla larga. Solo gli uomini, quelli più corpulenti come ad esempio coloro che erano appena ritornati dalla quotidiana battuta di caccia, parevano intenzionati ad avvicinarsi per interagire con lui.
    Dai loro sguardi era palese il fatto che non avessero cordiali intenzioni, cosa che, istintivamente, mi portò ad avvicinarmi a lui con fare curioso.
    Non era certo cosa da tutti i giorni vedere forestieri a zonzo per le nostre terre, anzi, per l'esattezza era una cosa più unica che rara il vedere qualche forestiero "vagabondare" per Ishivar, o almeno questa era l'impressione che stava dando quel tizio a giudicare dal suo aspetto trasandato, per cui non mi meravigliai dello stupore generale nel vederne uno. Non mi meravigliai neanche del fatto che la gente sembrava intimorita dalla sua presenza in quanto, quale usanza tramandata da generazioni e generazioni, non essendo permesso mettere piede fuori da Ishivar ad i comuni abitanti anche per i forestieri era proibito mettere piede ad Ishivar senza permesso. Proprio per quest'ultimo motivo non mi meravigliai neanche dell'atteggiamento ostile che tutti sembravano avere nei suoi confronti, anche se, però, dal canto mio, non condividevo affatto.
    Una volta che, però, la mia distanza da lui si fosse ridotta solo a neanche una decina di metri finalmente potei iniziare capire come stavano le cose: accortosi della sua presenza e della pessima reazione dei civili, Bakari si era posizionato davanti allo straniero squadrandolo con fare serio e sguardo penetrante. Forse un poco inquietante visti gli accesi occhi color rosso sangue che, stando a quello che ne sapevo, non erano un tratto così comune al di fuori delle lande ishivariane.
    Braccia incrociate sul nudo petto, completamente privo di peluria, in modo da mostrare i possenti bicipiti (già, il buon Bakari era solito andarsene in giro con unicamente un paio di pantaloni chiari, degli stivali marroni ed una grossa collana composta ossa di animali, per la precisione quelli che potevano sembrare denti) con il suo solito fare autoritario si rivolse al forestiero chiedendogli chi era, da dove veniva e perchè aveva intenzione di incontrare uno dei loro anziani.

    Per prima cosa identificati, forestiero. Secondo, mi spiace ma noi del vostro inutile denaro non ce ne facciamo di niente. Terzo: dimmi perchè dovrei dirti dove trovare uno dei nostri anziani.

    Non avendo udito cosa egli aveva detto non fui in grado di comprendere per bene tutto il quadro, tuttavia, udendo la vocina di una ragazzina poco distante dalla mia posizione intenta a chiedere informazioni alla madre, tutto mi fu più chiaro.

    Mamma, mamma, cos'è il denaro? E perchè quel tizio tutto chiaro cerca il signor Andr...

    Anche se, onde evitare che potesse attirare l'attenzione di Bakari e del suo interlocutore, la donna chiuse la bocca delle figlia ancor prima che potesse finire la frase.
    Quell'"Andr" stava senz'altro per Andras, altrimenti perchè il Doanchin stava parlando di anziani, mentre quell'affermazione sul denaro probabilmente stava a significare che il forestiero aveva chiesto informazioni sul come trovare Andras in cambio di soldi. Già, i soldi, parola di uso non proprio frequente nel nostro paese e che, solitamente, in pochi ne conoscono il significato.
    Fino a quando non avevo conosciuto Andras manco sapevo cosa fosse il denaro, tuttavia, anche se non è che ne facessi uso, stando a ciò che lui mi aveva detto ed alle informazioni reperite durante l'addestramento per diventare una guerriera della speranza ero venuta a conoscenza che al di fuori del nostro paese la gente era solita usare questa cosa come merce di scambio.
    Insomma, adesso che avevo compreso come stava la situazione mi era chiaro il perchè Bakari e company si erano posti in maniera così ostile nei confronti del misterioso forestiero, di conseguenza dubitavo che la situazione potesse volgere a suo favore se qualcuno non interveniva in suo aiuto. Onestamente non condividevo affatto questa tradizione della mia gente, avendola provata sulla mia pelle fin da piccola trovavo alquanto fastidioso e meschino il porsi in modo maldisposto verso chi non mostrava di essere un ishivariano, per non parlare che il volesse incontrare Andras mi aveva incuriosito.
    Adesso che avevo modo di vederlo in volto, notando le sue brutte cicatrici, in parte nascoste dalla folta capigliatura, ed i chiari occhi azzurri, la mia curiosità si tramutò in interesse nella sua persona appena vidi l'oggetto che portava in fronte: un pezzo di stoffa con sopra una placchetta di metallo con inciso uno strano simbolo ricordante una foglia. Un simbolo di riconoscimento che, stando alla voci dei guerrieri Ishivariani che qualche anno prima erano tornati da una missione in terra straniera che aveva segnato considerevolmente le sorti del "mondo esterno", nonch'è quelle della stessa Ishivar in quanto in molti dei miei compaesani erano periti nella vicenda, stava ad indicare l'appartenenza ad un Villaggio Ninja di nome Konoha.
    Gira come rigira non sembrava affatto che quel ninja avesse brutte intenzioni, per cui, precipitandomi su lui, con un grande sorriso stampato in faccia e fare frettoloso esclamai a voce alta.

    Ma quello è il simbolo di Konoha! Andras mi aveva avvertito del tuo arrivo, vieni con me che ti ci porto subito!

    Per poi afferrarlo per il suo polso sinistro con la mia mano artificiale in modo da portarlo via. Ancor prima che potessimo allontanarci, come ci si poteva aspettare, Bakari rimase stupido della mia entrata in scena, ma ancor prima che potesse proferire parola decisi di chiarire ogni suo dubbio con un piccola bugia; come se quello che avevo appena detto non lo fosse.

    Quando ho portato Keita dai Guaritori mi è stata affidata una lettera da parte di Andras che mi informava dell'arrivo di un ninja di Konoha.
    Si tratta di una questione urgente, per cui non c'è tempo da perdere!


    Conclusi non dando modo all'omaccione di replicare mentre tentavo di trascinare via con forza il forestiero. Probabilmente anche lui sarebbe rimasto stupito da cosa era uscito dalla mia bocca, motivo che mi aveva spinto a portandolo via il più in fretta possibile.
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  5. Anselmo
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    Pensato

    Parlato


    Mi servono indicazioni per trovare un certo Andras, gli devo parlare. Ringrazierò chiunque sarà così gentile da aiutarmi con una bella somma di denaro.

    Avevo detto, rivolgendomi a tutti ed a nessuno. La reazione fu che tempo parve fermarsi, come se qualcuno avesse accidentalmente premuto il tasto pausa nel corso di un film. Tutti smisero di fare ciò che stavano facendo ed uno stormo di sguardi cominciò ad indagare sulla mia persona. Dovetti ammettere che ne fui intimorito, oltre che confuso. Vedere quella massa di uomini, donne, vecchi e bambini fissarmi da dietro i loro rubini vivaci mi mise addosso un certo senso di pericolo. Fossero stati una banda di fuorilegge sghignazzanti con l'acciaio snudato, non mi sarei certo sentito così. Sapevo come muovermi in quelle situazioni ed anzi, erano sia il mio pane quotidiano che una delle mie poche fonti di divertimento. Ma circondato da un gruppo di individui così eterogenei, non avevo idea di come comportarmi. Non ero un oratore, non avevo la stoffa del leader carismatico, le masse popolane non erano materia che sapevo modellare. Uomini, donne, vecchi e bambini... Provai timore, si. Timore che se avessi provato a riparare al danno causato con altre parole, avrei unicamente peggiorato le cose. Ma d'altronde, che diamine avevo detto di così osceno per passare dall'essere un anonimo viaggiatore in cerca di un'unica persona, all'essere il fulcro delle attenzioni di un intero Villaggio, se così si poteva definire quel luogo? Ipotizzai che nessuno ad Ishivar parlasse il linguaggio del denaro, quello strano strumento che mi aveva fatto ottenere le migliori informazioni dai peggiori rifiuti umani. Ne ebbi conferma pochi istanti dopo: dal gruppo di uomini difronte a me, quello armato di tutto punto ed a cui volevo inizialmente rivolgermi in quanto più in sintonia con la mia natura, un individuo avanzò verso di me. Le occhiate peggiori ed i sussurri più minacciosi li avevo ricevuto proprio da loro, ma l'energumeno che mi si stava avvicinando, lui si che mi stava disprezzando con tutto se stesso. Due metri ed una spanna di muscoli compatti e scintillanti, sulla cui bronzea carnagione appena si intravedevano vari ed indistinti tatuaggi, aveva deciso di prendere in mano la situazione. Ad ognuno dei suoi lunghi passi, mentre avanzava e si parava di fronte a me con le braccia incrociate sul petto, potei distintamente percepire il terreno vibrare. La cosa mi stuzzicò la fantasia e con un piacevole fremito immaginai che bel impatto al suolo ne sarebbe uscito, dopo gli avessi fatto saltare un ginocchio.

    Come si suol dire... più sono grossi, più rumore fanno cadendo.

    Sorrisi...

    Per prima cosa identificati, forestiero. Secondo, mi spiace ma noi del vostro inutile denaro non ce ne facciamo di niente. Terzo: dimmi perchè dovrei dirti dove trovare uno dei nostri anziani.

    Il tipico cane rabbioso che necessita di una mano ferma a tenerlo costantemente al guinzaglio. Ero capace di inquadrare immediatamente quelli come lui, d'altronde erano i miei sottoposti preferiti, quelli che ubbidiscono qualunque fosse la direttiva impartita. Non era la persona migliore per accogliere un forestiero, ne ero consapevole e quindi decisi che non avrei giudicato l'intera nazione sulla condotta di quell'animale.

    Hey, il tuo padrone non sarà felice di sapere che sei di nuovo scappato dal recinto...

    Sussurrai di modo che soltanto lui potesse sentirmi, guardandolo dal basso verso l'alto senza la minima esitazione. Paradossalmente, in quel confronto ostile mi sentii molto più a mio agio e ringraziai la venuta del gorilla. Quelle, quelle si che erano le situazioni in cui mi sapevo giostrare a meraviglia. Purtroppo però, prima che potesse replicare, ci fu un intromissione a spezzare quell'aria tesa.

    Ma quello è il simbolo di Konoha! Andras mi aveva avvertito del tuo arrivo, vieni con me che ti ci porto subito!

    Squadrai la nuova arrivata come si fa quando si è sorpresi nel vedere per la prima volta una creatura mai immaginata, senza riuscire a reagire quando ella mi trascinò letteralmente per il polso in un coro di bisbigli. Più tardi sarei stato invaso dal desiderio di concludere a modo mio la questione con il gorilla, ma in quel momento tutt'altro mi occupava la mente.

    Quando ho portato Keita dai Guaritori mi è stata affidata una lettera da parte di Andras che mi informava dell'arrivo di un ninja di Konoha.
    Si tratta di una questione urgente, per cui non c'è tempo da perdere!


    Spiegò lei, ed intuii quali fossero le reali intenzioni della ragazza, anche se non ne ero certo. D'altronde si parlava di Andras, la persona più strana che avessi mai incontrato sul mio cammino. Tutto era possibile. Ma decisi comunque di togliermi il dubbio, non prima però d'essermi lasciato alle spalle le orecchie indiscrete, tra cui quelle dell'energumeno.

    E' vero? E' stato Andras a dirti di venirmi a cercare? Ho bisogno di vederlo, è un mio vecchio amico, portami da lui...

    Nella risposta che seguì, notai un particolare che mi fece abbassare ulteriormente lo sguardo: la presa sul mio polso era gelata, come se...

    E questa cos'è?

    Afferrai quella sottospecie di mano metallica e la staccai dal mio polso, per poi tirarla verso il mio volto ed osservarla da vicino, costringendo la ragazzina a camminare in punta di piedi. Ne aggredii la superficie con il mio occhio medico, scrutando ogni particolare mentre ne accarezzavo gli spigoli e le curvature con i polpastrelli avidi. Poi, con l'arroganza tipica del medico e della poca considerazione che prova verso i sentimenti del proprio paziente, feci scivolare la manica fino al gomito constatando che la protesi proseguiva fino al gomito, il quale pareva inserirsi al suo interno con una tale perfezione da dare l'impressione che quell'oggetto fosse cresciuto assieme al soggetto. Fui rapito ed estasiato da quell'opera di alta tecnologia bio-ingegneristica, ma anche incredulo perchè andava a sconvolgere alle radici qualsiasi opinione mi fossi fatto su quella gente. Avevo avevo avuto un chiaro sentore di arretratezza e repulsione, nonché timore, verso la novità che rappresentavo. Eppure eccolo là, ad un palmo dal mio naso, un gioiello totalmente sconosciuto in qualsiasi Terra Ninja. Lasciai andare il braccio della ragazza ed alzai lo sguardo, facendolo spaziare tra la gente che ci scorreva accanto. Ora, consapevole, mi balzarono immediatamente agli occhi numerosi oggetti simili, come se quella protesi meccanica fosse un oggetto diffuso e necessario a molti individui.

    Le costruite voi? Chi le ha progettate? Questo, questo è...

    Non potei proseguire, troppa era la meraviglia...

    [...]


    Avanzai quindi attraverso Ishivar, guidato dalla ragazza del posto. Vedendomi in sua compagnia, i passanti ebbero meno timore di me e furono più rassicurati, anche se in ognuno dei loro sguardi leggevo sentimenti che variavano dalla semplice curiosità, ad una certa indignazione ma anche sprezzo, in certi casi. Le usanze del luogo, che assimilavo osservando i brevi episodi lungo la via, erano per me motivo di un interesse che non avrei mai pensato di poter serbare ad un popolo. Baratto, caccia, vita laboriosa ed un concetto di comunità che nulla aveva a anche vedere con Konoha e la sua gerarchia basata sul guadagno e la forza. Cominciavo a comprendere i meccanismi ben oleati del posto, ed un certo desiderio di lasciarmi il resto del mondo alle spalle prese piede nella mia mente, contrastato da mille altri pensieri. V'era qualcosa di magico tra quella gente...

    [...]


    Ti ringrazio per l'aiuto. Il tuo amico di due metri e passa, prima, è stato abbastanza chiaro ed ho capito che non accetteresti mai del denaro. Ma voglio che tu prenda questo, come ringraziamento concreto per avermi condotto da Andras. Sono certo che il concetto di "ricambiare un favore" sia conosciuto anche nella tua Terra.
    Mi chiamo Nonubu Senju, comunque. E se cerco Andras è perchè, in tempo di guerra, lui mi fece dono di un potere che conservo molto avidamente. Deve sapere che non ho dimenticato quel giorno, e che il mio futuro sarà in parte risultato delle sue scelte.


    Dissi infine, quando fu il momento di congedarmi da lei. Ciò che le donai era un Kunai, di quelli che avevo trattato meglio. Affilato più di quando l'avevo acquistato, l'impugnatura strettamente fasciata da un nastro di cuoio con un intreccio di spire tale da bilanciare perfettamente l'arma, terminante nell'anello finale, ben lucidato.
    Mi dedicai quindi allo scopo del mio viaggio...


    Io direi di procedere così: Kote, nel tuo post mi porti fino da Andras. A quel punto puoi scegliere se continuare a postare nella PQ oppure terminare con questo tuo terzo post. Io ti consiglio la seconda perchè penso che non avresti molto su cui ruolare mentre io e Andras ci incontriamo. Ma comunque a te la scelta.
    Dopo che hai postato tu, posta Fury.
    Fury, io non ho ruolato il momento in cui ti incontro, ho lasciato a te o a Kote la cosa. Non so se Kote arriverà a ruolare fino al nostro incontro o se si limiterà a dire "Andras è dietro quella Lamborghini", quindi beh, dipende da questo. Ma qualcuno mi offra da bere e da mangiare, il mio PG è un relitto :sagh:

    Ah Fury, già che ci sei, con il tuo post potresti anche assegnare a me e a Kote l'exp che ci spetta per i primi tre post?

    P.S. devo ricordarmi di sottrarmi dalla scheda il Kunai che ho donato a Kote.
     
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  6. Kote
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    •Chapter III
    •Legenda Narrato
    Parlato
    Pensato
    Parlato altrui (altri colori)

    Che dire: non appena il forestiero rispose al terzo grado di Bakari, quest'ultimo parve molto irritato dal suo modo di fare arrogante ed irrispettoso, tanto che a stento riusciva a mascherare ciò mantenendo una certa compostezza. Se non fosse stato per il mio provvidenziale intervento, probabilmente, la cosa sarebbe potuta degenerare molto facilmente. Onestamente non avevo affatto capito cosa, quel misterioso ninja, gli aveva sussurrato, ma, per quanto mi riguardava, non mi importava più di tanto. Avevo avuto modo di conoscere il mio compagno di caccia e potevo comprendere quando potesse essere scontroso e dai modi non molto "aggraziati" verso chi non conosceva. Anche a me, nelle prime volte in cui avevo avuto il piacere di parlare con lui, aveva dato notevole fastidio il suo modo di fare. Ma vabè, questo è un'altra storia.
    Una volta allontanatoci dalla zona in cui il ninja dai capelli corvini aveva attirato l'attenzione di tutti i presenti, quindi da occhi ed orecchie indiscrete, costui si rivolse a me chiedendomi se ciò che avevo detto corrispondeva alla realtà e che lui, quale vecchio amico di Andras, aveva urgente necessità di incontrarlo.
    Dal modo in cui mi parlava e dal suo sguardo non mi dava l'idea di essere uno che mentiva od aveva brutte intenzioni. Cosa me lo faceva pensare? Semplice intuito femminile, per cui, andando contro ciò che mio padre mi aveva sempre insegnato, ovvero che, nonostante fosse cosa buona e giusta aiutare il prossimo, bisognava sempre avere un certo riguardo nei confronti degli stranieri che entravano nella nostra terra senza un qualche lascia passare ufficiale, decisi di non farmi tanti problemi ad aiutare quel ragazzo ed essere sincera con lui nonostante non sapessi una beneamata mazza della sua persona.

    Beh... in verità non è andata proprio così. Io conosco veramente Andras, ma non mi ha mai parlato di un Ninja di Konoha come te, sono semplicemente intervenuta con quell'uscita per portarti via.
    Conosco Bakari, quel tale con cui stavi parlando, e, fidati, mi ero preoccupata sul fatto che la cosa potesse degenerare...


    Risposi con fare cordiale ed un'espressione molto ingenua, facendogli un piccolo sorriso; aggiungendo.

    ...qua da noi misteriosi forestieri non sono visti di buon occhio, tuttavia, anche se non si hanno cattive intenzioni, è regolare prassi essere trattati in quel modo. Personalmente non la trovo giusta come cosa, ma tanti miei compaesani non sono di ampie vedute come me.

    Conclusi finendo, come al solito, per parlare di me. Probabilmente a quel ragazzo non gliene poteva fregare una ceppa delle mie abitudini ma, beh, quando riuscivo a trovare qualcuno che non si faceva problemi a parlare in maniera cordiale con me ero solita aprirmi senza tanti convenevoli.
    Una volta spiegatagli la situazione questi, cambiando assolutamente discorso, venne completamente rapito dalla protesi con cui gli avevo afferrato la mano. Osservando la sua reazione, in un certo senso un pò inquietante, ma, comunque, frutto di semplice curiosità, almeno così mi pareva, sembrava di rivedermi quando, per la prima volta, avevo visto le protesi che utilizzava colei che mi aveva donato quel favoloso marchingegno.

    Le costruite voi? Chi le ha progettate? Questo, questo è...

    Si fermò nell'esprimere i suoi dubbi rimanendo proprio senza parole. Cercando di aiutarlo a chiarire i suoi dubbi gli risposi con un semplice.

    Le costruisce Paninya. E' una ragazza che vive con Andras, un genio di meccanico, per cui ci sta anche che tu possa conoscerla

    Iniziando, poi, a dirigermi verso l'abitazione della nostra comune conoscenza.
    La casa di Andras e Paninya era parecchio lontana dal distretto in cui ci trovavamo, su per giù ci impiegammo un paio d'ore abbondanti di camminata a ritmo moderato prima di raggiungerla, cosa che diede modo al forestiero di osservare con più attenzione la nuova civiltà che, stando a come ne rimaneva colpito, sembrava un qualcosa di estraneo alla sua conoscenza. Difatti, a giudicare da come, in continuazione, volgeva lo sguardo a destra ed manca, dava l'idea che fosse la prima volta che assisteva a quelle semplici scene di quotidianità che io, tutti i giorni, vivevo in assoluta tranquillità.
    Stando in sua compagnia mi sembrava di capire che non fosse un tipo molto chiacchierone, per cui, l'unica volta che mi limitai a rivolgerli la parola era quando, estraendoli dal borsello che avevo con me, gli offrii qualche pezzo di carne essiccata e dell'acqua; cogliendo anche l'occasione per presentarmi visto che non lo avevo ancora fatto.
    Limitandomi ad osservarlo per tutto il tempo, infatti, era abbastanza palese quanto fosse disidratato ed affamato. Ce lo aveva letteralmente stampato il faccia la parola "fame", anche se, però, non me ne ero accorta prima a causa della mia solita sbadataggine.

    Non mi sono ancora presentata, che sbadata: il mio nome è Yang Xiao, Yang Xiao Long per la precisione.
    Spero che ti piaccia! Non ha un aspetto molto invitante, ma sono molto nutrienti. Purtroppo non ho di meglio da offrirti...


    Gli dissi, porgendogli le cibarie in modo che potesse prenderle, assumendo un'espressione un pò desolata.

    [...]

    Una volta giunti a poco meno di un centinaio di metri dalla modesta abitazione del giovane Anziano d'Ishivar, che tra l'altro indicai al ragazzo in modo da attirare la sua attenzione che sembrava tutta rivolta verso un paio di uomini intenti a scambiarsi degli oggetti, questi provvide a ringraziarmi offrendomi una strana arma ed a rivelarmi la sua identità.

    Ti ringrazio per l'aiuto. Il tuo amico di due metri e passa, prima, è stato abbastanza chiaro ed ho capito che non accetteresti mai del denaro. Ma voglio che tu prenda questo, come ringraziamento concreto per avermi condotto da Andras. Sono certo che il concetto di "ricambiare un favore" sia conosciuto anche nella tua Terra.
    Mi chiamo Nonubu Senju, comunque. E se cerco Andras è perchè, in tempo di guerra, lui mi fece dono di un potere che conservo molto avidamente. Deve sapere che non ho dimenticato quel giorno, e che il mio futuro sarà in parte risultato delle sue scelte.


    Ah, g-grazie.

    Furono le prime parole che, colta alla sprovvista, uscirono dalla mia bocca prendendo in mano quello strano oggetto metallico. Doveva trattarsi di una tipica arma proveniente dal suo paese, una di quelle tanto rare "armi ninja" che qui ad Ishivar si poteva reperire solo da alcuni mercanti specializzati nel commercio estero. Onestamente non mi sarei mai aspettata un gesto del genere da parte di quel ragazzo, o meglio da quel Nonubu, così si faceva chiamare, per non parlare che a giudicare dal filo e la lucentezza della lama doveva essere un'arma abbastanza cara e che aveva trattato con tanta cura.
    Stringendola forte con entrambe le mani un grande sorriso colmo di gratitudine si dipinse sul mio solare volto, aggiungendo, al ringraziamento di prima.

    Ne terrò di conto Nonubu, stanne certo.

    Con un piccolo cenno del capo che fece smuovere la fluente chioma d'orata.
    A quel punto non rimaneva altro da fare che non andare da Andras e compagnia, se non che, non appena conclusa la piccola scenetta di ringraziamenti, un piccolo marmocchio dalla carnagione molto scura, come anche i suoi capelli, ma dai vispi occhi rossi e vestito con i tipi abiti ishivariani, corse incontro a noi attirando la mia attenzione. A quanto pare era stato inviato da Keita per riferirmi un messaggio di ringraziamento per come mi ero presa cura di lui, nonchè il fatto che i miei compagni di caccia aspettavano ancora il mio ritorno per via del grosso lavoro che c'era da portare a termine.
    Avrei voluto continuare a rimanere in compagnia del ninja di Konoha, scoprendo magari qualcosa sul suo conto e sul paese da dove proveniva, sempre se, una volta incontratoci con Andras mi avessero permesso di rimanere con loro, ma il dovere chiamava.

    Mi spiace, ma devo salutarti. Se avessi ancora bisogno di me non fare problemi a cercarmi, ok? Ti basta chiedere di me, sono una che bene o male conoscono in molti in zona.
    Beh, arrivederci Nonubu!


    Conclusi con un piccolo cenno di saluto, portato con la mano artificiale, mentre, in compagnia del marmocchio, me ne andai via correndo.

    [...]

    Tornata dai Bakari e gli altri spiegai loro che la cosa era risolta e non dovevano più preoccuparsi di niente. Così, finito di ultimare tutto il lavoro, potei finalmente tornarmene a casa per riposare un pò, mettendo tra l'altro da parte un piccolo omaggio che mi era stato dato per il completamento della caccia.

    scusate per il finale un pò sciallo. Cmq invece dell'exp, come avrete intuito, vorrei inserirmi in scheda un Tomahawk che equivale appunto ad i 450 ryo che si possono prendere nelle Pq al mio grado. Oltre al Kunai di ans ovviamente
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    Direi che Kote può prendersi il suo Tomahawk.
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    E così ritornai ad Ishivar dopo aver ucciso un drago nella maniera più strana che mi sia capitata! Per ricordo portai con me la carcassa (o quello che ne rimaneva) del gigantesco mostro, tutto ciò dopo aver parlato col Raikage circa la missione compiuta, ovviamente. Salutai anche Dorian, anche se posso assicurarvi che lui non ne era uscito bene da quella faccenda.
    Portavo il corpo del drago trainandolo, con una corda avvolto al suo corpo e trascinata dalla mia forza.
    Ammetto che il viaggio fu stancante, ma non così tanto.
    Non appena arrivai ad Ishivar fui accolto come al solito con estrema gioia, soprattutto dai bambini che non appena videro il drago, andarono su di giri. Siete tutti uguali in fondo, eh?

    - WOW ANDRAS! DOVE L'HAI PRESO!? -

    - E' ENORME!! -


    - Sarà almeno un quintale! -

    - Ma che quintale!! Mille tonnellate!! -


    Vi adoro quando mostrate la vostra curiosità, mi ricordate la voglia che avevo io di conoscere ogni cosa, è ciò che deve spingervi a non fermarvi mai, qualsiasi cosa accada.
    Tornando alla storia, lasciai che della carne del drago se ne occupassero alcuni Guardiani e Capi branco, avrebbero fatto in modo che quella bestia non andasse sprecata, soprattutto in quel momento che ora oramai andata agli dei.

    Mi avviai verso la mia casetta, a nord del villaggio, pensavo che molto probabilmente avrei trovato Paninya furiosa perché non l'avevo avvisata della mia partenza.
    Quella donna era incredibile, riusciva ad adirarsi con il sottoscritto per ogni motivazione, ma non mancava mai occasione in cui mi aiutava o si preoccupava per la mia incolumità.
    Nel mio cammino incrociai Jak, che ancora stava cercando di ambientarsi nel villaggio. Dopo la guerra, io ero stato nominato Anziano del Villaggio e quindi facevo parte del Consiglio dei Cinque Astri o Kujai Goronoa Rast, come si dice nella lingua antica.
    Jak invece era stato nominato Guerriero degli Dei sotto mio suggerimento, ma chiesi anche che potesse partecipare alle riunioni del Consiglio come mio "consigliere"! Era una cosa che Scar non tollerava, avere uno straniero che ascoltava i nostri "affari" come li chiamava lui, ma io non ci vedevo assolutamente nulla di male.

    - Andras! Bella caccia, un po' esagerata, non trovi? -

    - Ho aiutato un po' il Raikage con una faccenda! Eheheh! In cambio mi sono portato questo trofeo! -

    - Non finisci mai di stupirmi... -

    - Non sono niente di speciale... Piuttosto Jak dovrei chiederti una cosa, ma non ora, vorrei prima andare da Paninya prima che mi uccida! -

    - Va bene, a dopo! -


    Salutai il nostro nuovo compagno con un sorriso e un cenno con la mano mentre ripresi la mia corsa verso casa. Due salti e ci arrivai in pochissimo tempo.
    L'accoglienza, ovviamente, fu la solita. Ricevetti un sonoro pugno dritto al naso e non un pugno qualsiasi, quello dato con la protesi speciale di Paninya...
    Ruzzolai per terra per qualche secondo per poi sbattere contro la porta che avevo aggiustato solamente due giorni prima. Inutile dirvi che avrei dovuto rimettermi a lavoro io, nonostante la colpa del misfatto non fosse mia... Ah... Le donne. Stento ancora a capirle oggi!

    - MI SPIEGHI DOVE STRATOFERRO SEI STATO? -

    - Stra... Stratoche? -


    Boom... Un altro bel cazzotto sulla testa. Questo fece più male, non ci si abitua mai a cose simili... Nemmeno dopo tanti anni...

    - Per tutti i bulloni! Nemmeno sei tornato e già fai entra ed esci dal villaggio tornando a fare l'idiota naturalista a caccia di animali esotici... Aveva bisogno di aiuto per rimettere in ordine l'inventario e anche per gestire i feriti dopo la guerra che nel caso non te lo ricordassi, sono centinaia! -

    - Mi... Mi sono assentato solo... solo per un giorno... Ci sono tanti guaritori che stanno pensando a... -

    - NON E' LA STESSA COSA SENZA DI TE!!! Sei il capo guaritore, le tue conoscenze mediche sono superiori a chiunque in questo villaggio, non puoi semplicemente assentarti per un giorno, la situazione diventa drastica ogni giorno che passa... Senza contare che Scar non fa altro che creare casini ovunque per la storia dello straniero nel Consiglio e anche del fatto che ti sei portato dietro un insetto gigante come animale di compagnia! -

    - Parlerò con Scar e se ti riferisci a Chomei, non ti devi preoccupare, è innocuo e non darà alcun fastidio! -

    - Ti sbagli! Ha distrutto due case ieri! Fortuna che non c'era nessuno in quel momento! Scar è andato su tutte le furie, solo gli anziani sono riusciti a farlo ragionare! Devi dire a quella bestia che deve essere meno maldestra... -

    - Non è colpa sua, è molto grande e non è libero da tanti anni, gli verrà difficile gestire il suo corpo... Comunque non preoccuparti... -


    Mi rialzai e mi risistemai un tantino togliendo la polvere dalla mia veste cremisi, poi sorrisi al nostro meccanico donna che contraccambiò quel sorriso anche se in modo inizialmente riluttante. Mi voleva sicuramente bene, ma io a quel tempo non capivo quasi nulla di sentimenti ed emozioni.
    Sbuffò e poi iniziò a borbottare com'era sua abitudine dopo una strigliata nei miei confronti... Ovviamente lo fa tutt'ora come sapete!
    Sistemai le mie cose e poi mi sedetti alla mia scrivania per dare un'occhiata ad alcune protesi che aveva finito di costruire Paninya, la mia giornata iniziava sempre faticando, ma la cosa non mi pesava.
    Fui interrotto da alcune voci fuori dalla casa, mi alzai senza pensarci e andai alla porta.
    La scena era la seguente: Yang Xiao che correva via dopo aver salutato un tipo che sembrava uno sconosciuto, ma non appena si voltò lo riconobbi subito!

    - Nonobu! Quanto tempo! -


    Edited by F u r y - 19/6/2015, 12:36
     
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  8. Anselmo
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    Pensato

    Parlato


    In passato, probabilmente, avrei già provato odio nei confronti dell'uomo che mi comparve davanti. Considerando il nostro primo ed unico incontro avvenuto anni prima, avrei stentato a credere che nel rivedermi nel suo Villaggio, difronte alla porta di casa sua, tutto ciò che aveva da dire potesse essere un insignificante "Quanto tempo!". L'avrei giudicato irresponsabile, un incosciente, e mi sarei sentito offeso dalla sua accoglienza perchè al posto suo mi sarei temuto ed interrogato immediatamente sul motivo di tale visita. Perchè la mia fama mi precedeva, avevo avuto modo di scoprire. E non venivo considerato un uomo amichevole o misericordioso. Tutti pensieri che parevano non sfiorare nemmeno lontanamente la mente di quel ragazzo. Ma questo sarebbe accaduto in passato, perchè ero cambiato, ero un'altra persona.
    Ciò che mi aveva definito fino a pochi giorni prima di quella visita ad Ishivar era stato un obbiettivo tanto dolorosamente impresso a fuoco nella mia mente da essere l'unico vero scopo della mia vita, nonché la priorità assoluta in ogni suo istante: la caccia a Zero. Esso aveva cancellato da me ogni considerazione verso il prossimo, ogni concetto di amicizia, empatia, pietà o giustizia. V'era stata solo la pura e semplice vendetta. Ma ora Zero giaceva in una segreta nei sotterranei di Konoha, ed anche se il Consiglio degli Anziani mi aveva impedito di incontrarlo per compiere quello che ancora ritenevo l'obbiettivo ultimo della mia esistenza, pensarlo come rinchiuso tra quattro mura invalicabili a portata della mia mano mi aveva dato una sorta di pace dell'animo. Non ero più un mastino affamato, ma un uomo in attesa. L'attesa mi aveva dato modo di pensare liberamente e di riscoprirmi. Vagliare nuove ipotesi, osservare il mondo e gli eventi che mi avevano caratterizzato sotto una diversa luce. In una parola: evolvere.
    Quindi non fu affatto l'odio a cogliermi quando la porta si spalancò rivelando Andras, ma piuttosto sorpresa ed uno strano senso di surrealismo. Sorpresa perchè nella stessa misura in cui io ero cambiato, lui mi parve identico in tutto e per tutto a come lo ricordavo, e le due cose si respingevano l'un l'altra. Surrealismo perchè quell'individuo era comparso per la prima volta difronte a me in un momento tanto intenso della mia vita, che per quanto mi sforzassi ancora non riuscivo a pensarlo se non come un sogno. Di conseguenza inconsciamente per me Andras era sempre stato una sorta di personaggio immaginario. Ed ora ce l'avevo difronte. Avrei sorriso, se solo fossi stato uomo da sorridere facilmente. Risposi invece:

    Troppo secondo me, è per questo che sono qua. Non mi inviti ad entrare?

    All'interno era presente una donna, che ipotizzai essere sua moglie mentre le sfilavo accanto senza proferir parola. La cortesia avrebbe imposto che mi dovessi presentare, specie prima di giungere in casa d'altri. Ma purtroppo tali usanze nel corso della mia vita mai mi erano state insegnate ne rivolte. L'infanzia l'avevo passata in cattività, per poi essere assorbito dalla gerarchia militare dove il rispetto era dovuto solo ai superiori, non certo alle persone a loro sentimentalmente legate. Inoltre ero sicuro avrebbe fatto Andras gli onori di casa. L'unica cosa che notai veramente di lei fu il mostro metallico che le si estendeva dalla spalla destra. Vi posai lo sguardo un po' più del dovuto, forse fui addirittura indiscreto.
    Quindi spostai una sedia e mi ci lasciai cadere sopra. Ero stremato, la polvere incrostata nel sudore che aveva bagnato la mia pelle, le vesti ingiallite e l'odore... non doveva essere dei migliori. Ma almeno fame e sete si erano placati grazie a quella benedetta ragazza che mi aveva scortato attraverso il Villaggio. Scostai i capelli dal volto con la mano destra, com'ero solito fare, e spaziai con lo sguardo all'interno della stanza, l'espressione corrucciata nonostante non ci fossero sentimenti negativi in me; colpa dell'abitudine.

    Una casetta modesta per uno del tuo... rango... Heh, perdonami, ma l'ultima volta che ho aperto bocca, la tua gente non ha reagito benissimo. Non vorrei scegliere di nuovo le parole sbagliate ed offenderti. Quando ti ho nominato, qualcosa è scattato in loro. Ti hanno definito "Anziano", come fosse un titolo. Chi sei di preciso per gli abitanti? Una sorta di Re?

    Ma non avevo certo fatto tutta quella strada per impicciarmi degli affari di quell'uomo. Ancora una volta il mio essere poco incline ai convenevoli prese il sopravvento e mi feci serio, cambiando decisamente discorso. Non sapevo ancora dove ciò mi avrebbe portato. Decisi di farmi guidare semplicemente dall'istinto, dal bisogno di porre domande. Curiosità, in altri termini. Ma su argomenti che mi riguardavano da molto vicino.
    Mi rivolsi brevemente alla donna:

    Ti dispiace...?

    Le domandai nel tono più cordiale che mi fu concesso dal mio carattere, accennando col capo ad un'altra stanza di modo che capisse che desideravo parlare da solo con Andras. Quindi, tornando a noi, continuai:

    Come ben sai, in questa stanza non ci siamo soltanto io e te. C'è un altro essere oltre a noi. A dire il vero, è proprio lui a legare le nostre esistenze. Il Demone Gatto, quello che mi sigillasti dentro. Se ti stai chiedendo come mai non lo senti, come mai non puoi comunicare con lui... diciamo che è una mia decisione. Ora che l'ho dominato, non può esercitare più nessun potere su di me. E la scelta l'ho presa per il bene di entrambi, io mio ed il suo. Vedi, uhm, ho scoperto col tempo che sotto tutto quel potere si nascondo creature deboli, incapaci di gestirlo. E' come se un essere superiore ci avesse dato le capacità di comandarli, come se fin dal principio i Bijuu fossero la forza, e noi Shinobi la mente. Questo è il motivo per cui ho deciso di incatenarlo, per così dire. La mia è una scelta saggia, non si può lasciare che queste bestie dalla mentalità labile scorrazzino alla mercé dei mal'intenzionati, non credi? Dominarli è un bene per loro e per noi... Si, uhm, ed a proposito di "bene"...

    Dissi allungando il collo verso di lui e puntando i suoi occhi nei miei:

    Cos'è, per te, il bene? In generale, intendo in generale...

    Questioni complicate, nè? :tada!:
     
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    - Troppo secondo me, è per questo che sono qua. Non mi inviti ad entrare? -

    Quello che avevo davanti era un uomo provato, anche se non sapevo da cosa a causa della mia inesperienza evidente nel carpire i sentimenti dei miei interlocutori.

    - Ma certo! Entra pure! -

    Feci la cortesia di far accomodare il mio ospite. In quel momento mi vennero in mente più di un migliaio di domande da porre a Nonobu, ma non volevo, almeno non fin da subito.

    - Siediti pure! AH! Lei è Paninya, una mia amica e meccanico d'Ishivar! -

    Intanto Paninya non era rimasta estranea alla sorpresa del nostro ospite ed era rimasta a fissarlo, esattamente come Nonobu non riuscì a non guardare lei e in particolar modo le protesi di sua creazione.

    - ...mi tocca parlare nella tua lingua, Jinkos... Benvenuto ad Ishivar. -

    Fredda, impassibile. Una regina dell'indifferenza, era anche infastidita dal fatto che dovesse parlare la lingua dei ninja e non la nostra.
    L'Ishivariano è una lingua che si è formata fondendo le radici arcaiche del nostro popolo con quelle dei continente orientale. Ovviamente è incomprensibile per chiunque non ne conosca almeno le basi, le quali sono comunque difficoltose da imparare.
    Tornando a noi... Beh... Lo sapete. Paninya è sempre diffidente e acida con chiunque, arduo vederla disponibile e gentile con qualsivoglia essere.
    Cercai quindi di smorzare un po' la tensione, persino io capivo che bastava una parola di troppo per scatenare un'esplosione.

    - Ehm... Jinkos significa "straniero", non ha offeso tua madre, tranquillo! Lo dico per precisare... eh... eheh! -

    E mentre sorridevo e goffamente tentavo di creare una scenetta comica di bassa categoria, mi sedetti sul mio sgabello da lavoro che presi dal laboratorio, poi fu di nuovo Nonobu a parlare. Come vi ho detto prima, non ero molto bravo a percepire o capire cosa passasse per la testa alle persone, ma lo sguardo del Jinchuuriki era palese e forte: i suoi occhi cercavano qualcosa avidamente, non un oggetto, ma qualcosa che viene dalla nostra mente che vuole essere solamente nutrita.

    - Una casetta modesta per uno del tuo... rango... Heh, perdonami, ma l'ultima volta che ho aperto bocca, la tua gente non ha reagito benissimo. Non vorrei scegliere di nuovo le parole sbagliate ed offenderti. Quando ti ho nominato, qualcosa è scattato in loro. Ti hanno definito "Anziano", come fosse un titolo. Chi sei di preciso per gli abitanti? Una sorta di Re? -

    Disse proprio così. Ci credereste? Eppure per voi oggi sembrerà così assurdo, ma a quel tempo nessuno conosceva le nostre usanze, i nostri modi di fare e tanto meno la nostra organizzazione sociale.
    Noi e i ninja eravamo separati da un muro invisibile, un muro che io avevo intenzione di distruggere il più presto possibile.
    In ogni caso, inizialmente mi venne da ridere. Molti ad Ishivar non sanno nemmeno cosa significhi la parole "Re", un termine in disuso tra millenni, non c'è nemmeno una traduzione, poiché il nostro concetto di comando è sempre stato vicino alla figura del Capo Tribù.
    Però, grazie ad IdrisPukke e alla mia insaziabile voglia di conoscenza, mi ero informato su molte tematiche sociali e politiche che riguardavano il resto del mondo fuori dal mio villaggio e scoprii con piacere che l'uomo era una macchina che sfornava pensieri, idee ed intere filosofie che s'intrecciavano tra loro per dare vita a fatti concreti come l'assetto sociale di una comunità e da quello si arriva all'istituzione di organi politici... Ma sto divagando e sono certo che non volevate sentire discorsi troppo noiosi, vero?
    Trattenni la mia risata che fece uscire fuori un sorriso sincero.

    - Non sono un re. Lasciami spiegare. Qui ad Ishivar abbiamo dei "ranghi" come li chiami tu, sono più che altro delle identità ben precise, un sistema per definire il nostro ruolo all'interno della comunità, quindi questo fa si che nessuno è superiore ad un altro, o almeno... Così dovrebbe essere. Da questo punto di vista, è diverso dalla gerarchia militare di voi ninja. Io sono un Guaritore, o medico come dite voi, ma oltre ad essere un guaritore sono anche uno degli Anziani, i quali in totale sono cinque e sono persone che insieme al Capo Tribù discutono sull'organizzazione del villaggio. Non molto diverso dagli aspetti... ehm... Come li chiamate voi? ... AH! Si... Aspetti burocratici.
    Per quanto riguarda la mia casa, beh, ad Ishivar le abitazioni sono uguali per tutti, nel senso che sono queste quelle che i nostri avi ci hanno lasciato. Non sono confortevoli come le case dei vostri villaggi, ma a noi bastano.
    Non fraintendermi, io progetto di fare di Ishivar un posto più avanzato da tempo, solo che... E' più facile progettare che far cambiare opinione a molti tradizionalisti! Ahahah! -


    Sentivo lo sguardo di Paninya su di me, la quale poi tornò alle sue faccende, non senza condividere anche lei il mio pensiero, sorridendo di nascosto e guardando fuori dalla finestra il cielo chiuso dalle nubi, provenienti dal Paese del Vento.
    La mia spiegazione parve soddisfare la curiosità di Nonobu, ma ovviamente il nostro dialogo non era terminato in quel modo. Il mio ospite si rivolse con un cenno a Paninya...

    - Ti dispiace...? -

    Cercò di farle capire di volermi parlare da solo, senza che nessun altro potessi sentirci. Oggi capisco perfettamente il motivo che spinge qualcuno alla riservatezza, ma a quel tempo per me era una cosa superflua.
    Però assecondai quella richiesta e feci un segno di assenso alla mia amica, sperando che non facesse tante storie e fortunatamente fece semplicemente spallucce e poi tornò nel suo magazzino per lavorare a qualcosa, ma lasciò detto esplicitamente che avrei dovuto sgobbare non appena Nonobu se ne fosse andato. Ovviamente, no?

    - Come ben sai, in questa stanza non ci siamo soltanto io e te. C'è un altro essere oltre a noi. A dire il vero, è proprio lui a legare le nostre esistenze. Il Demone Gatto, quello che mi sigillasti dentro. Se ti stai chiedendo come mai non lo senti, come mai non puoi comunicare con lui... diciamo che è una mia decisione. Ora che l'ho dominato, non può esercitare più nessun potere su di me. E la scelta l'ho presa per il bene di entrambi, io mio ed il suo. Vedi, uhm, ho scoperto col tempo che sotto tutto quel potere si nascondo creature deboli, incapaci di gestirlo. E' come se un essere superiore ci avesse dato le capacità di comandarli, come se fin dal principio i Bijuu fossero la forza, e noi Shinobi la mente. Questo è il motivo per cui ho deciso di incatenarlo, per così dire. La mia è una scelta saggia, non si può lasciare che queste bestie dalla mentalità labile scorrazzino alla mercé dei mal'intenzionati, non credi? Dominarli è un bene per loro e per noi... -

    Avevo intuito che il discorso si sarebbe incentrato sul nostro primo incontro e su quello che ne conseguì.
    Ammetto che rimasi un po' sorpreso, ma non durò molto. Quel giorno ad Ame, dopo aver messo K.O il Bijuu con due code, sigillai la creatura dentro Nonobu per un preciso motivo: l'evidente ostilità del ninja nei confronti del demone e la sua tracotanza potevano essere curati solamente con quella convivenza forzata. Per entrambi sarebbe stato un modo per mettere da parte l'odio. Prima per convenienza, ma poi, col tempo, avrebbero creato un legame indissolubile e sincero, di questo ne ero profondamente convinto e non pensate che il fatto che Nonobu avesse dominato completamente la creatura fosse una cattiva notizia per la mia linea di pensiero. Anzi, era solo il primo passo.

    - Mh... Credo che dominarli sia il termine sbagliato, non è sovrastando con la tua forza che otterrai un grande potere. Il vero potere l'ottieni quando instauri un vero legame con la creatura con la quale condivido corpo e anima. Siete sullo stesso piano, ma sei libero di continuare a pensarla come hai detto tu, è solo che credo sia sempre bene ascoltare le opinioni altrui, non avrai certo da perdere! -

    Restò un silenzio giusto pochi secondi, forse appena il tempo di assimilare, poi prese di nuovo la parola.

    - ...Si, uhm, ed a proposito di "bene"... -

    Si prese una pausa per guardarmi dritto negli occhi...

    - Cos'è, per te, il bene? In generale, intendo in generale... -

    - Uh! Argomenti sempre più seri, eh? Tuttavia probabilmente resterai deluso. Per me il bene è stabilire una connessione tra tutti.
    Il bene è vedere un mondo unitario e per far questo credo che ognuno può fare una piccola parte, basta dare una mano in qualsiasi modo e da quel gesto nasce la mia idea di bene. Lo troverai banale, ma immagino che ognuno di noi abbia la sua idea ben precisa. -


    Sospirai e guardai in basso verso il tavolo, poi ritornai sullo sguardo del Senju per continuare, ovviamente non mi piaceva parlare con grandi paroloni, quando ero giovane... Lo so che ora sono un vecchio logorroico...

    - Non mi dirai che sei arrivato a mille miglia da casa per parlare di questo, vero? Ci sarà dell'altro, anche se, visto che ci stiamo conoscendo, mi permetterò di rifilarti la domanda: cos'è, per te, il bene, Nonobu? -
     
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  10. Anselmo
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    L'impressione che ebbi nell'ascoltare Andras mentre descriveva il Paese della Speranza, fu di aver scoperto un Villaggio giovane. Ishivar mi parve lo stato primordiale della società in cui avevo vissuto i due decenni che la morte mi aveva concesso fino a quel momento. Sensazioni rafforzate da ciò che i miei stessi occhi avevano potuto osservare mentre la attraversavo. Una società agli albori della propria esistenza, che doveva ancora conoscere parassiti quali il potere, la ricchezza, il comando, la corruzione. Era come se il luogo fosse ammantato dalla lieve luminescenza della purezza. Un mondo a se stante in cui la speranza non era ancora stata incenerita e sotterrata da metri e metri di depravazione soffocante. Le possibilità di costruire un sistema nuovo e migliore, in quella terra remota, ancora esistevano. Non era necessario crearsele utilizzando la forza. Konoha, Suna, Kiri, Oto... Villaggi oramai persi, resi irrecuperabili. L'unico modo per costruire qualcosa di nuovo, là, era eliminare il vecchio radendo al suolo l'intero sistema, ma partendo dalle fondamenta. Una missione impossibile. Ad Ishivar, però, tutto ciò non era necessario. Esisteva ancora la speranza in quel Paese. Questo il motivo per cui, mentre Andras parlava, lo scrutai bene in volto. Ma ciò che speravo di vedere non poteva essere colto nemmeno dall'occhio più saggio ed esperto che sia mai esistito. In uomini come lui risiedeva il futuro di Ishivar. Chissà quale via avrebbero scelto per il loro Villaggio. Chissà se avrebbero ceduto alla tentazione di uniformarsi alle potenze del mondo Ninja, o se avrebbero avuto il coraggio di costruire qualcosa si nuovo. Ed in questo caso, cosa ne sarebbe derivato? Un artificio migliore o peggiore? Forse la speranza era una falsa illusione, ed operare una scelta in realtà non era possibile. Magari tutto era destinato ad evolvere verso il peggio, e quindi anche il Villaggio di Andras sarebbe precipitato nel vortice dell'autodistruzione. Una cosa era certa: un uomo solo non può niente. Figuriamoci il ragazzo che avevo difronte. C'era però la possibilità che mi sbagliassi...
    La sua donna ci aveva lasciato senza opporsi, fortunatamente. Per quanto nella mia mancata educazione potessi essere insensibile alle buone maniere, persino io sapevo che, da ospite, pretendere ciò che avevo preteso poteva essere un pessimo azzardo. Specie considerando l'approccio che avevo avuto con il primo Ishivariano a cui avevo rivolto la parola. Ma tutto andò per il meglio.
    Tuttavia, nonostante le apparenze, quella "Paninya" -nome arduo perfino da pronunciare per uno come me, figuriamoci ricordarlo- aveva suscitato un certo interesse in me. Non mi era sfuggito il modo in cui mi era stata presentata: amica del tatuato ma anche meccanico d'Ishivar, come fosse l'unica in circolazione a svolgere quella mansione. Avevo immediatamente collegato la cosa al braccio meccanico della donna, ed al fatto che mi era apparso come il più tecnologico e ben tenuto tra tutti quelli che avevo visto. Che fosse lei la creatrice di quel gioiello biomeccanico? Mi ripromisi che l'avrei scoperto, se non quel giorno, sicuramente alla prima occasione in cui fossi tornato nel Paese.
    Fu con questi pensieri che la osservai lasciare la stanza e chiudersi la porta alle spalle. Solo a quel punto avevo riportato l'attenzione ad Andras introducendo il demone codato alla situazione.

    - Mh... Credo che dominarli sia il termine sbagliato, non è sovrastando con la tua forza che otterrai un grande potere. Il vero potere l'ottieni quando instauri un vero legame con la creatura con la quale condivido corpo e anima. Siete sullo stesso piano, ma sei libero di continuare a pensarla come hai detto tu, è solo che credo sia sempre bene ascoltare le opinioni altrui, non avrai certo da perdere! -

    Fu la sua replica. Non credevo nelle sue parole. Non potevo credervi, per il semplice fatto che avevo deciso di credere solo ed esclusivamente in me stesso. E ciò non poteva ammettere alleanze di sorta, men che meno condivisioni di potere. Il potere del demone era mio, me lo ero preso e non apparteneva più a nessun altro, nemmeno al Matatabi stesso. Questa era la posizione che avevo preso nel legame tra me ed il Bijuu, una presa di posizione a senso unico. Lungi dal aver rimorsi nei confronti delle mie vittime. Così era e così sarebbe stato. Mai avrei ceduto alla debolezza dei principi di forza proposti da Andras. Per me avrebbe significato compiere un passo indietro, regredire a ingenuità. Inammissibile. Ma non fui insensibile a quelle parole. Non seppi perchè ma, nonostante le mie convinzioni, esse rimasero ad aleggiare nella mia mente, pronte ad essere ripescate non appena fossi stato solo e libero di dedicarmi ai miei pensieri.
    Decisi quindi di cambiare, in un certo senso, il filo del discorso, e posi la domanda che avevo avuto in mente di porre fin dal momento della mia partenza.

    - Uh! Argomenti sempre più seri, eh? Tuttavia probabilmente resterai deluso. Per me il bene è stabilire una connessione tra tutti.
    Il bene è vedere un mondo unitario e per far questo credo che ognuno può fare una piccola parte, basta dare una mano in qualsiasi modo e da quel gesto nasce la mia idea di bene. Lo troverai banale, ma immagino che ognuno di noi abbia la sua idea ben precisa. -


    No, non tutti ce l'hanno, non da dove vengo io. Viaggia nel mio mondo e poni la stessa domanda che io ho posto a te, a chiunque incontrerai sul tuo cammino. Riceverai sempre la stessa risposta perchè il concetto di bene, dalle mie parti, non è soggetto a libera interpretazione; viene insegnato, fa parte della dottrina. Aiutare il prossimo, che è più debole di te, e sacrificare tutto per esso, persino te stesso. Non puoi scegliere di farlo, ti è stato imposto fin dalla nascita. La pietà, concetto fondamentale nel... perdonami, mi faccio prendere dalla foga a volte...

    - Non mi dirai che sei arrivato a mille miglia da casa per parlare di questo, vero? Ci sarà dell'altro, anche se, visto che ci stiamo conoscendo, mi permetterò di rifilarti la domanda: cos'è, per te, il bene, Nonobu? -

    Non avevo nemmeno bisogno di pensare alla risposta, perchè era la risposta che si dimenava costantemente nella mia mente, che mi teneva sveglio la notte. Ma istintivamente, prima ancora di considerare l'idea di dare una risposta, fui come indotto a guardami attorno per capire se fossi osservato. Non lo feci davvero, mi limitai ad irrigidirmi per meno di un'istante, ma l'impulso ci fu. Ci fu perchè venivo da un posto in cui una simile risposta non poteva essere formulata. Andava imparata a memoria e recitata qual'ora si presentasse l'occasione. Faceva parte dell'indottrinamento quotidiano, e non del libero arbitrio. Ma in quell'istante di irrigidimento ricordai a me stesso che per una volta tanto ero in un luogo veramente diverso, e potevo rispondere. Un sorrisetto incurvò il lato destro delle mie labbra, quello aggredito dai tentacoli delle mie cicatrici:

    Per me il bene è verità. Qual'è la verità, vorrai chiedermi. La verità è che bene e male non esistono. La verità è libertà. E solo quando ad ogni singolo individuo verrà restituito ciò che è suo di diritto, ovvero il libero arbitrio, nel mondo vincerà il bene. Ma in assenza del male, il bene non sarà altro che vita, la vita libertà, la libertà l'unico vero valore, l'unica verità. Per me il bene è verità, e non va cercata nei piccoli gesti, ne nella fratellanza che proponi. Va conquistata! Con i gesti più grandi, e va combattuto chiunque la minacci. Non può esistere un mondo unitario...

    Conclusi, abbassando lo sguardo, totalmente assorbito nei miei pensieri. Infine, senza quasi accorgermene, aggiunsi:

    Credo sia ora che io torni a Konoha...

    Non è il caso di fare un altro giro di post. Meglio rimandare alla mia eventuale prossima visita. Quindi il prossimo post sarà il tuo ultimo post, e dopo quello farò io il mio ultimo.
    Comunque, nonostante ci siamo scambiati appena qualche battuta, credo che questo nostro incontro avrà un ruolo estremamente decisivo per il futuro del mio PG. Ancora non lo so, dipende da molte cose, ma mi hai dato uno spunto davvero ottimo :soso: Non ti dico quale, ovviamente.
     
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    Nonobu mi parlò di un mondo che non mi apparteneva. Avevo vissuto nelle terre ninja per due anni, tuttavia il mio essere errante non mi permise di studiare a fondo il loro sistema.
    Conoscevo il loro assetto politico, ma non potevo immaginare che ci fosse una dottrina precisa di tipo militare che li inducesse a porsi domande come quelle che il Senju stava ponendo a me.
    Il motivo del suo viaggio non era per la sete di curiosità, era per la voglia di capire se stesso o di ritrovarsi.

    - Non mi dirai che sei arrivato a mille miglia da casa per parlare di questo, vero? Ci sarà dell'altro, anche se, visto che ci stiamo conoscendo, mi permetterò di rifilarti la domanda: cos'è, per te, il bene, Nonobu? -

    Posi la stessa domanda al mio interlocutore e lui rispose con parole che non avrei immaginto.

    - Per me il bene è verità. Qual'è la verità, vorrai chiedermi. La verità è che bene e male non esistono. La verità è libertà. E solo quando ad ogni singolo individuo verrà restituito ciò che è suo di diritto, ovvero il libero arbitrio, nel mondo vincerà il bene. Ma in assenza del male, il bene non sarà altro che vita, la vita libertà, la libertà l'unico vero valore, l'unica verità. Per me il bene è verità, e non va cercata nei piccoli gesti, ne nella fratellanza che proponi. Va conquistata! Con i gesti più grandi, e va combattuto chiunque la minacci. Non può esistere un mondo unitario... -

    Rimasi un po' a fissarlo dopo le sue parole. Erano parole dure, spietate, ma probabilmente per lui le più vere che potesse mai formulare.
    Parlava di conquistare la libertà degli uomini. Perché? Perché ne avevano il diritto.
    Ascoltatemi.
    Quel giorno compresi che le belle parole non potevano aiutare chi era in catene e chi non respirava per il cappio della società attorno al collo. Tuttavia Nonobu non capiva ancora una cosa fondamentale: il mondo era unitario e ancora non lo sapeva. L'umanità doveva prenderne coscienza, perché da sempre siamo stati collegati l'uno all'altro per comprenderci.
    Proprio come voi ora capite me e come io capisco voi.
    Forse era vero che lottare sarebbe dovuta essere una fase per giungere al mondo di cui parlavo io, ma le modalità di quella lotta dovevano essere ben chiare e definite per evitare di cadere nell'oscurità dell'imposizione del vincitore.
    Se vinco una guerra, penso che i miei diritti siano più validi di quelli dello sconfitto, ma è qui che degenera il sollevarsi per un ideale. Non dobbiamo mai cadere nell'ombra di quella luce che ci sembra il nostro obiettivo.

    - Le conquiste sono per i carnefici. Noi due parliamo della stessa cosa, ma in una lingua diversa. Vedrai che prima o poi i nostri ideali s'incroceranno. Poi... Chissà... -

    - Credo sia ora che io torni a Konoha... -

    - Perché mai così presto? Puoi restare quanto vuoi, ma non voglio trattenerti. Sappi che sarai sempre il benvenuto nelle Terre della Speranza. Anzi... Aspetta un secondo! -

    Paninya mi vide correre verso la stanza dove si trovava lei, cioè il nostro banco di lavoro.
    Iniziai a frugare su e giù per le varie borse, oggetti, inventari e finalmente lo trovai! Poi tornai indietro da Nonobu e gli feci un dono prezioso.

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    - Questo è un polsino con il simbolo dei nostri antenati. Il cerchio con cui incrociano tre "petali" se così si possono chiamare. Il Cerchio rappresenta la Natura sovrana, un petalo rappresenta la Vita, uno la Forza e l'altro la Condivisione. Principi fondamentali per la convivenza tra chi ha vita. Te lo regalo perché con questo non dovresti avere alcun problema a rientrare nel nostro villaggio, riconosceranno il simbolo. Ovviamente è meglio che chiedi di me o di Paninya, nessuno ti disturberà. -

    Il simbolo d'Ishivar, un simbolo nato dal patto con la Natura, ora uno degli oggetti era in possesso di Nonobu che credo di poter considerare uno dei miei primi "amici" shinobi.
    Accompagnai l'ospite alla porta fatiscente e uscii insieme a lui per le strade del villaggio, giusto per evitare che qualcuno potesse dubitare di lui, se mi facevo vedere in sua compagnia, non vi sarebbero stati problemi.
    Tutti i bambini che conoscevo ci vennero incontro e iniziavano a curiosare su quel forestiero in mia compagnia, erano sorridenti e felici, non gli negavo mai di giocare con loro e quindi la loro tristezza andava via per qualsiasi avventura potessi raccontargli, esattamente come sto facendo con voi marmocchi!
    Nonobu forse non avrebbe apprezzato tutte quelle attenzioni infantili, quasi al varco delle poche palizzate che circondavano il villaggio, lo salutai.

    - Fai buon viaggio e non far passare un anno prima di venire a trovarmi, mi racconterai ancora se la verità che cerchi l'hai trovata. Vals Morgul, Nonobu! -

    Lo salutai nella mia lingua, era un saluto strano, poteva significare "buongiorno", "ciao" o "arrivederci", solitamente di rimando si rispondeva "Vals Dohaeris".
    Anticamente era un augurio dei nostri antenati... Volevano dire: "Trova il cammino" e di risposta: "Il cammino del guerriero".



    Fine.
    Attendo exp :sisi:
     
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  12. Anselmo
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    - Perché mai così presto? Puoi restare quanto vuoi, ma non voglio trattenerti. Sappi che sarai sempre il benvenuto nelle Terre della Speranza. Anzi... Aspetta un secondo! -

    Tornò con un oggetto, un dono destinato a me, come a voler dare sostanza al nostro incontro in modo che non restasse soltanto un ricordo confinato nella mia mente, ma che esistesse materialmente sul mio copro. Sul mio polso per la precisione, perchè si trattava di un polsino. Cuoio nero bordato di rosso, recante un simbolo composto da tre semicerchi sovrapposti ed inscritti in un cerchio. Lo raccolsi dalle mani di Andras e me lo rigirai fra le dita, analizzandolo mentre mi veniva spiegato il suo significato:

    - Questo è un polsino con il simbolo dei nostri antenati. Il cerchio con cui incrociano tre "petali" se così si possono chiamare. Il Cerchio rappresenta la Natura sovrana, un petalo rappresenta la Vita, uno la Forza e l'altro la Condivisione. Principi fondamentali per la convivenza tra chi ha vita. Te lo regalo perché con questo non dovresti avere alcun problema a rientrare nel nostro villaggio, riconosceranno il simbolo. Ovviamente è meglio che chiedi di me o di Paninya, nessuno ti disturberà. -

    Un lasciapassare per il Paese della Speranza...

    Mormorai tra me e me. Mi avrebbe permesso di evitare altri inconvenienti come quello che avevo avuto con il gruppo di cacciatori nel mio primo approccio ad Ishivar, e per questo glie ne fui grato, perchè certo avevo intenzione di tornare, prima o poi. Ma ancor di più fui grato per il messaggio che quel dono recava; a prescindere da quanto i miei ideali potessero divergere da quelli di Andras e del suo popolo, quel polsino ed il suo simbolo mi rendevano uno di loro. Magari non mi davano il diritto di ritenermi un Ishivariano a tutti gli effetti, ne di godere degli stessi diritti degli altri cittadini. Ma di certo significavano che sarei stato il benvenuto fin quando fossi stato degno di indossarli. Ero mai stato in un luogo dove potessi essere ritenuto il benvenuto senza riserve, prima d'allora? No, non nel mondo da cui venivo. Lì non esisteva la vera accoglienza, era necessario pagare un tacito tributo. Niente veniva donato, era sempre necessario dare qualcosa in cambio. Opportunismo dilagante, non v'era pace.
    Sollevai la manica e mi infilai l'oggetto al polso, lasciando che gli occhi lo accarezzassero ancora una volta. Il cerchio come natura sovrana, aspetto che condividevo. Credevo nel suo potere, ero convinto che per quanto la si potesse danneggiare, manipolare e sfruttare, essa non si piegava mai del tutto. Continuava ad esercitare il suo dominio su di noi, che dipendevamo sempre e comunque da essa, mai il contrario. Il primo petalo era la vita, una prospettiva a cui ero particolarmente affezionato. La vita non era un concetto scontato per me. Passavo ogni istante a combattere contro la corruzione di cui la vita nel mondo si era fatta artefice. Essa era ammorbata dal cancro dei falsi valori, ne trovavo tracce in ogni dove. Il secondo petalo rappresentava la forza. Era il mezzo più importante, quello che permetteva di dare un senso alle mie gesta. Di per se inutile, ma se applicata al valore precedente, la vita, ecco che acquistava fondamento esistenziale. La forza come espressione di vitalità, elevazione dello spirito, senso di vigore al livello più primordiale. Il moto essenziale della mia realtà, e di qualunque altra. Infine il terzo ed ultimo petalo, la condivisione. Condivisione... il concetto non mi apparteneva. Anzi, lo respinsi. Tempo prima avrei stretto il pugno fino a fa affiorare i tendini sotto il polsino, al solo pensiero che una simile astrazione artificiale mi fosse imposta. Ora invece la respinsi con fredda impassibilità, perfettamente capace di dominio sul mio animo. Salvo il fatto che...

    Eppure condividi questo corpo con me.

    Proruppe pacata la voce del demone. Senza accorgermene, dovevo aver addolcito la presa che mantenevo con fermezza sulla coscienza del Nibi. Notai inoltre che gli occhi di Andras erano improvvisamente guizzati verso di me; doveva aver parlato anche nella sua testa. Feci per rispondere tagliando corto, per poi rilegare il Due Code oltre le sbarre che isolavano le nostre psichi l'una dall'altra. Ma prima che potessi farlo, disse:

    No, non è come hai sempre pensato che fosse. Controlli a pieno il mio potere, tanto che anche se tentassi di liberarlo in un'unica scarica capace di prosciugarmi ed uccidermi, te potresti impedirmelo senza provare nemmeno il minimo fastidio. Questo si. Ma non vale lo stesso per il muro che credi di mantenere costantemente eretto tra le nostre due coscienze. Il più delle volte lo lasci cadere senza accorgertene, come è successo nel momento stesso in cui hai varcato i confini di questa nazione. Accade di continuo, ed in queste occasioni me ne sto qui, ad osservare. Preferisci non ascoltarmi, ed oramai ho capito che la tua non è solo cocciutaggine. Quindi non ho motivo per disturbarti, preferisco farmi le unghie sul ferro di questa gabbia. Non ne avevo mai incontrato di tanto resistente, è una goduria...

    Percepii le sue viscere metafisicamente contenute in me vibrare con un rombo profondo. Una risata, delle fusa, o comunque roba da gatti mastodontici. Poi tornò serio...

    Ma sappi che sei in una quasi costante condivisione di pensieri. In sogno vieni a cercarmi... non ne hai memoria, e come potresti? Ma non dormo mai mentre lo fai tu. Preferisco restare vigile. Condividi molte cose con me, Nonubu, senza che nemmeno te ne accorgi.

    Feci di tutto per non reagire a quell'inaspettata rivelazione. Ciò che provai non fu facile da definire. Pentimento o dannazione per aver permesso una cosa simile. Oppure imbarazzo per aver scoperto agli occhi di Matatabi e persino di Andras una simile debolezza. O forse rabbia per aver ignorato un inconscio sospetto che in realtà avevo sempre avuto, oppure sollievo per averlo confermato. Più probabilmente, però, si tratto di un'insieme di tutte queste emozioni.

    Eppure da quel giorno in cui ti incatenai, non mi hai mai più messo in discussione, ne cercato di fermarmi... perchè?

    Tu la definiresti con immenso spregio semplice rassegnazione. Io la chiamo consapevolezza del fatto che io non ho alcun diritto di esercitare il mio volere sul cammino che tu scegli di intraprendere. Ho deciso di condividerlo con te, seguendoti qualunque cosa accada. Il giorno in cui tu deciderai di condividerlo con me, avrò motivo si esistere nella tua mente.

    Non era la risposta che avrei voluto sentire, perché instillò in me un profondo dubbio. Tanto profondo che parve riverberare sulle pareti stesse della casa in cui mi trovavo. Improvvisamente sentii l'impellente desiderio di uscire all'aria aperta. Mi sollevai e feci per dirigermi verso l'uscita, pensando a come essere il più breve ed efficace possibile con i convenevoli. Fortunatamente Andras intuì tutto e mi accompagnò lui stesso alla porta. Una volta tornato sotto la luce del sole, fui decisamente più bendisposto.

    - Fai buon viaggio e non far passare un anno prima di venire a trovarmi, mi racconterai ancora se la verità che cerchi l'hai trovata. Vals Morgul, Nonobu! -

    Ti prometto che lo farò, e ti ringrazio di tutto Andras. Arrivederci...

    3w5iQp7




    Tu puoi prendere il massimo Fury, 100 exp :ans: Me la dai te a me?
     
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    Prendi il max anche te :hat:
     
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