Decisioni che ti cambiano la vita

PQ Yang Xiao Long

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    Ho avuto l'autorizzazione di Fury per manovrare i PNG/PG citati in questa PQ.

    •Chapter I
    •Legenda Narrato
    Parlato
    Pensato
    Parlato altrui (altri colori)

    Una giornata come tante nelle aride e scarne terre Ishivariane. La totale assenza di vento e nuvole in cielo facevano pesare, fin dalle prime ore del mattino, il caldo afoso derivante dai picchianti raggi solari, talmente forti da spaccare la pietra; in maniera metaforica ovviamente.
    Le condizioni atmosferiche, quindi, avrebbero preannunciato una pesante giornata per coloro che avrebbero dovuto lavorare all'aria aperta, quale ad esempio la sottoscritta che, come tutti i santi giorni, sarebbe dovuta andare nei campi ad est del centro del villaggio ed aiutare nella gestione del raccolto.
    Avevo compiuto da neanche un mese 14 anni, tuttavia vantavo una certa esperienza in materia in quanto, fin dalla tenera età, ero stata istruita nella gestione della semina e raccolto di quelle poche piante che queste aride terre ci davano la possibilità di coltivare. Non importava se eri una piccola ragazzina dalla gracile costituzione e con un arto deforme che non ti poteva permettere di compiere in maniera efficiente anche i più semplici gesti quotidiani, nelle inospitali e selvagge lande Ishivariane ognuno doveva prendersi la responsabilità di contribuire nel mantenimento e sostentamento della comunità locale. Cosa che fin da piccolissima mi era stata inculcata nella testa dagli insegnamenti di mio padre e che, con grande dedizione, cercavo di fare con tutta me stessa.
    Il mio insolito aspetto, ovvero la mia carnagione molto chiara nonch'è la fluente chioma bionda, erano stati fin da sempre un ostacolo al cercare di inserirmi a pieno nella comunità e socializzare con gli altri. La quasi totalità delle persone adulte non ci facevano caso, non mi giudicavano solo dall'aspetto, ma i ragazzi più giovani, come ad esempio quelli della mia generazione, in un certo senso vedevano questa mia diversità come un pretesto per emarginarmi e denigrarmi. Inizialmente pensavo si trattasse di una qualche forma di razzismo, tuttavia con il crescere e la solidale presenza di mio padre che, facendosi in quattro, cercava sempre di tenermi su di morale e proteggermi, capii che si trattava solo di bullismo generato dall'ignoranza.
    Difatti, più il tempo passava, più quei ragazzini che mi prendevano in giro e mi offendevano per il mio singolare aspetto iniziavano a vedermi non tanto come la ragazza pseudo-straniera dalla carnagione chiara ed i capelli biondi, ma come una loro compagna che nonostante le difficoltà non si faceva problemi a passare ore ed ore sotto il sole cuocente ad aiutare nel sostentamento dei suoi compaesani. Certo, non mancavano quei soggetti che, nonostante tutto, continuavano a trattarmi male, ma dall'essere la maggioranza divennero una minoranza. Minoranza che, però, si faceva sempre più sentita.
    Se all'inizio quei bulletti da quattro soldi si limitavano solo a prendermi in giro ed a farmi scherzi di cattivo gusto, con il crescere iniziarono anche i veri e propri atti di violenza fisica. Non parlo di pestaggi o cose ben più indecenti, che non sto neanche a citare, tuttavia non si facevo problemi ad alzare le mani se la situazione le richiedeva. Purtroppo, anche se ero ben consapevole che le loro azioni erano fatte allo scopo di farmi mettere in cattiva luce, spesso e volentieri non riuscivo a trattenermi alle loro provocazioni. Cogliendo la palla al balzo, quindi, quei pestiferi ragazzini, con la scusa del difendersi, non si facevano problemi a menarmi. Ovviamente mio padre non tollerava un comportamento del genere, tuttavia, considerando che gli atti di bullismo al quale ero partecipe venivano sempre fatti in maniera che non ci fossero testimoni o cose del genere, non ci poteva fare niente. Intimarli a smettere, anche in maniera minacciosa, era inutile in quanto avrebbe solo messo in cattiva luce mio padre, cosa che volevo evitare ad ogni costo, ed istigare loro a trattarmi sempre peggio.

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    •Chapter II
    •Legenda Narrato
    Parlato
    Pensato
    Parlato altrui (altri colori)

    Fu per questo che, sotto la sua guida, decise di insegnarmi a difendermi.
    Nonostante fosse un normalissimo uomo sulla quarantina, con una stazza nella media, avente i tipici tratti Ishivariani (corti capelli bianchi, carnagione scura ed occhi scarlatti) non lo si poteva considerare di certo un guerriero. Il suo unico pregio era l'avere un solido e robusto corpo, derivante da anni ed anni di lavoro manuale. Tuttavia, anche se lo nascondeva praticamente a chiunque, era in grado di cavarsela egregiamente nel combattimento corpo a corpo. Come mai era in grado di fare questo? Onestamente non mi ero mai interessata all'argomento, ma quando capitava di parlarne preferiva evitare la conversazione dicendo solo che era stata una forestiera ad istruirlo.
    Fu così che, apprese alcune basiche tecniche di combattimento a mani nude, poco a poco divenni in grado di difendermi da coloro che volevano farmi del male. Il problema, però, era che con quel braccio deforme che mi ritrovavo era quasi impossibile riuscire a scamparla se dovevo affrontare qualcuno ben più grosso di me o se ero in inferiorità numerica. Le cose, quindi, continuarono ad andare avanti con questo andazzo, dovendomi rassegnare al fatto che non potevo fare niente. La cosa mi irritava, a tratti fu anche la causa di crisi emotive che mi portarono a deprimermi e pormi domande del tipo "ma che ci faccio al mondo", tuttavia grazie al supporto delle persone che mi stavano vicine ed alla mia voglia di migliorare me stessa ed il farmi accettare dagli altri, continuavo ad andare avanti senza però non riuscire a trovare una soluzione al problema. O almeno questo era la situazione che stavo vivendo a quei tempi prima di quell'inaspettato evento.
    Durante uno scontro con un paio di quei ragazzi che si divertivano a punzecchiarmi ed a provocarmi, reagendo istintivamente finii per creare una piccola lite. In evidente difficoltà, Lian, un simpatico ragazzino della mia età che spesso e volentieri mi aiutava nella raccolta, non ci pensò due volte a correre in mio aiuto. Le sue scarse competenze nel combattimento, però, non gli permisero di durare neanche una decina di secondi contro quei bulletti abituati a menare le mani verso il prossimo. Non riuscendo a sopportare il vedere picchiare un mio amico che, anche se inutilmente, aveva tentato di difendermi, mi buttai a capofitto contro quel grosso ciccione che lo stava pestando; finendo per metterlo KO con un violento calcio in faccia nonostante la schiacciante differenza di stazza tra me e lui. Non riuscivo a capire cosa era successo, ma quelle intense emozioni che avevo provato in quella drammatica situazione sembravano aver risvegliato in me qualche strana energia che fino a quel momento non avevo mai notato.
    Raccontato dell'accaduto a mio padre venne fuori che quella strana energia che mi aveva permesso di compiere quel gesto totalmente estraneo al mio gracile corpicino era niente di meno che il Chakra! Esatto: come graziata da una qualche entità divina ero in grado di utilizzare quella mistica e leggendaria energia che tra la gente di Ishivar solo i più dotati e grandi guerrieri erano in grado di usare: un miscuglio tra energia fisica ed energia spirituale, in grado di portare i loro utilizzatori ad oltrepassare i normali concetti di combattimento al fine di compiere cose a dir poco incredibili. Per non parlare che era il requisito fondamentale al poter intraprendere la Via del Guerriero Ishivariano.
    Scoperta la possibilità di usare il chakra, quindi, realizzai che se davvero volevo essere ben accetta da quegli individui che continuavano a denigrami ed a non considerarmi una vera e propria Ishivariana, allora dovevo smettere di essere una semplice cittadina come tante, ma iniziare a fare di più per il mio paese.
    Fu proprio questa mia scelta che, in quel giorno di quasi 2 anni fa, poco dopo un mese dal mio 14° compleanno, mi portò a bussare alla porta del laboratorio-magazzino del meccanico Paninya invece di recarmi ad i campi come sempre.

    nZ1btbI



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    •Chapter III
    •Legenda Narrato
    Parlato
    Pensato
    Parlato altrui (altri colori)

    Abbastanza nervosa, ma al contempo altrettanto impaziente di essere ricevuta, il primo passo che avrei dovuto fare per provare a diventare una Guerriera d'Ishivar era il farmi installare la più grande invenzione che quel genio di ragazza, insieme ad un altrettanto capace ragazzo di cui avevo solo sentito parlare e mai visto in vita mia, un certo Andras, aveva messo a disposizione per la comunità Ishivariana: la Protesi Auto-Chakra.
    Non ne sapevo molto, ma, da quello che mio padre ed alcuni conoscenti mi avevano riferito, con quel portentoso marchingegno era possibile sopperire all'impossibilità di impastare il chakra tramite le posizioni delle mani che affliggeva la nostra gente aventi deformazioni come la sottoscritta. Uno dei più basilari utilizzi del chakra, difatti, era lo sfruttarlo per usare delle particolari arti chiamate Ninjutsu e Genjutsu. Arti di combattimento straniere, non di origine Ishivariana, che da tempo immemore venivano sfruttate da dei guerrieri chiamati "Shinobi". Uno dei requisiti, però, per poter provare a studiarle era l'imparare ad eseguire le posizioni delle mani ed il relativo impastamento del chakra associato. Cosa impossibile da fare per me in quanto, con la mano destra che mi ritrovavo, non avrei mai potuto formare dei sigilli decenti. Questo, però, era tutto quello che mi era dato sapere sugli Shinobi e le fondamentali arti di combattimento importante ad Ishivar perchè, fin da piccola, mi era stato insegnato che era proibito lasciare il paese ed addentrarsi nelle terre straniere, per via della loro pericolosità, sviluppando quindi un certo disinteresse sull'argomento.
    Per saperne di più era necessario entrare a far parte dei così detti "difensori delle terre della Speranza", visto che, una volta data dimostrazione del proprio valore come guerrieri, raggiungendo il titolo di Doanchin, o anche detti Cacciatori d'Ishivar, si aveva la possibilità di lasciare la propria patria ed esplorare il "mondo esterno" come e quando si desidera.
    Bussato alla porta non ci volse molto prima che una ragazza dalla carnagione molto scura, lisci capelli castani raccolti in una piccola coda ed un fisico ben slanciato, vestita solo con una semplice canottiera di colore scuro, un paio di larghi pantaloni con motivo mimetico e dei pesanti scarponi, mi accolse con un gran sorriso stampato in faccia.
    L'evidente differenza di statura, nonch'è la conformazione dei lineamenti del suo viso, facevano ben capire che fosse più grande di me.

    Ciao ragazzina, di cosa hai bisogno? Sono particolarmente occupata in questo momento, per cui vai dritta al sodo...

    Mi disse con fare relativamente garbato, anche se dal modo con cui si era posta e l'espressione che aveva in faccia era palese il fatto che l'avevo disturbata nel mentre era indaffarata a fare qualcosa d'importante. Immaginavo avesse a che fare con il suo ruolo di meccanico dato che, mentre eravamo sull'uscio dell'edificio, si stava ripulendo le mani completamente nere con un panno che, forse, una volta era di colore bianco.
    Mi ero immaginata più e più volte questa scena nella mia testa, studiando parola per parola cosa dire affinchè potessi convincerla nel sottopormi all'intervento, tuttavia una volta ritrovatami faccia a faccia con lei rimasi incantata nel notare i due arti artificiali che mostrava con così tanta nonchalance: sia il suo braccio destro, dalla spalla fino alle punte delle dita, che la gamba sinistra (esclusivamente la parte non nascosta dai pantaloni dato che li aveva arrotolati fino al ginocchio) erano fatti da quello che sembrava solido acciaio.

    Fine prima parte.

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    Edited by Kote - 26/5/2015, 19:40
     
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    •Chapter IV
    •Legenda Narrato
    Parlato
    Pensato
    Parlato altrui (altri colori)

    Notando il mio interesse verso i suoi arti artificiali la ragazza iniziò a guardarmi male, per poi, dandomi le spalle, sbattermi la porta in faccia.

    Sempre la solita storia: curiosi di vedere le mie protesi venite a disturbarmi mentre lavoro!

    Dicendo con tono decisamente seccato ed irritato; sbuffando per giunta.
    Preoccupata che tutto potesse finire ancor prima di iniziare, mi feci coraggio e facendo un passo in avanti in modo da evitare che la porta si chiudesse dissi a voce alta.

    S-Signorina Paninya, ha frainteso tutto! Non sono venuta qua per importunarla o cose del genere, ma per chiederle se può sostituire questo mio braccio con un arto artificiale...

    Per poi fare una piccola pausa in modo da dare alla ragazza il tempo di girarsi ed osservare la mia orripilante deformazione fisica che rendeva quasi impossibile usare l'arto destro dal gomito in giù; in special modo la mano.

    ...ma non un arto qualunque, bensì una Protesi Auto-Chakra!

    Finii di spiegare assumendo un'aria molto seria e guardandola dritta negli occhi; affinchè capisse che non stavo scherzando.
    Contraccambiando il mio sguardo con uno altrettanto intenso e penetrante, come se la sua intenzione fosse il guardarmi dentro e studiarmi attentamente, Paninya si fece un pò più calma e, rimanendo in completo silenzio, portò la sua mano artificiale sotto il mento iniziando ad articolare le dita meccaniche in modo da grattarselo. Dalla fluidità con cui si muovevano potevano sembrare a tutti gli effetti delle dita di carne ed ossa se, con un guanto in dosso, avesse mascherato il loro aspetto.
    Rimanemmo in silenzio per diversi secondi e, più il tempo passava, più, dall'espressione seria ed impassibile della ragazza, avevo l'impressione che avesse intenzione di rifiutare.
    Cercando di smuovere la situazione strinsi le mani a pugno, o meglio, strinsi solo la mano sinistra, ed assumendo un'espressione determinata ma al contempo malinconica iniziai a dire mentre, senza volerlo, i miei occhi iniziarono a diventare lucidi.

    La prego, ho bisogno di quella protesi! Solo con quella potrei avere la possibilità di riuscire a sviluppare il dono che gli Dei mi hanno concesso ed al contempo riuscire a risolvere la mia situazione...

    Conclusi la frase cercando di trattenere le lacrime che poco a poco stavano uscendo dai miei occhi. Onestamente non era questo il modo in cui avrei voluto chiedere a Paninya di installarmi la protesi, ma, vista la situazione sfuggitami di mano, più la tensione aumentava più i ricordi di tutti i soprusi passati iniziarono a riaffiorare. Non avevo altra idea di come far smettere quei tizzi di importunarmi se non appunto dimostrare il mio valore provando a diventare una guerriera ishivariana, per cui il terrore di non riuscire nel mio intento aveva tirato fuori quel lato debole ed infantile del mio carattere che cercavo di non mostrare verso gli altri.
    Ascoltate le mie parole la ragazza dalla carnagione scura assunse un'espressione particolarmente curiosa, aprendo finalmente bocca e chiedendomi a cosa mi riferissi con "risolvere la mia situazione". Senza starci troppo a rimuginare iniziai a raccontarle, a grandi linee, il problema relativo al mio aspetto che fin da sempre mi aveva impedito di socializzare a dovere con gli altri.

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    •Chapter V
    •Legenda Narrato
    Parlato
    Pensato
    Parlato altrui (altri colori)

    Ascoltata tutta la triste storia finii per asciugarmi le lacrime che avevano rigato le mie candide guance, abbassando il capo e guardando per terra con fare deluso. Non riuscendo a trattenere le mie emozioni avevo finito per fare la figura della bamboccia infantile. Adesso sì che ero sicura di ricevere un no come risposta.

    Quindi stanno così le cose... il problema, però, è che questo genere di protesi sono molto costose e sei parecchio giovane. Un intervento pericoloso ed intenso come quello per l'innesto della Protesi Auto-Chakra non è un qualcosa alla portata di tutti...

    Proprio come avevo supposto Paninya non sembrava affatto acconsentire alla mia richiesta, tuttavia le sue successive parole mi stroncarono totalmente questa mia convinzione.

    ...ma per tua fortuna, qua con me, c'è qualcuno che può aiutarci in quest'ultimo punto! Hai detto di chiamarti Yang, giusto? Su, entra che te lo presento.

    Concluse mostrando lo stesso solare e cordiale sorriso che aveva assunto appena mi aveva visto per la prima volta.
    Non ci potevo credere: alzando di scatto la testa verso di lei sgranai gli occhi assumendo un'espressione d'incredulità, non credendo a cosa le mie orecchie avevano appena sentito. Ero talmente piena di gioia che, nonostante la preoccupante rivelazione sul pericoloso intervento, non mi feci ripetere due volte di entrare.
    Seguendo Paninya venni scortata all'interno di una modesta e spartana abitazione. Per la precisione quella in cui eravamo sembrava a tutti gli effetti un salotto-cucina. Guardandomi intorno notai che su una delle porte, parzialmente aperta, vi era l'insegna "non entrare". Curiosa com'ero, senza neanche riflettere sulla conseguenza delle mie azioni, iniziai ad avvicinarmi notando che, al di là di quella porta, vi erano degli strani macchinari di cui non riuscivo a capirne l'utilità. Fatti a malapena due metri, tuttavia, la mia attenzione venne catturata quando, passando di fianco ad un grosso divano di colore verde, un grugnito attirò il mio interesse.
    Bloccandomi di colpo mi girai in direzione di quel mobile, ma, trovandomi sul lato posteriore, non riuscivo a vedere chi o cosa, probabilmente disteso su di esso, aveva fatto quel verso. Ancor prima che potessi avvicinarmi, però, Paninya si era già posizionata dall'altra parte del divano e, incrociando le braccia sotto al seno in modo da assumere una posizione infastidita, diede un colpo al divano con il piede sinistro in modo da scuoterlo violentemente.

    ANDRAS, pigrone che non sei alto, SVEGLIATI!

    Preceduto da un'altra serie di grugniti, questa volta un pò più intensi, la figura di uno strano ragazzo dall'insolito aspetto si frappose tra Paninya e la sottoscritta. Non lo avevo mai visto in vita mia, ma ne avevo sentito parlare più e più volte da amici e conoscenti: un ragazzo dalla carnagione scura ed folti capelli neri, occhi color oro ed una serie di misteriosi tatuaggi su buona parte del corpo. Non c'erano dubbi: quell'Andras non poteva che essere quel prodigioso ragazzo che, nonostante la giovane età, era stato riconosciuto come un miracolo divino ottenendo il titolo di Anziano d'Ishivar.
    Una volta ripresosi dallo stato di dormiveglia, Paninya lo prese per un braccio portandolo con se all'interno di quella stanza che, pochi attimi prima, aveva attirato la mia attenzione. Prima di chiudersi dentro con il ragazzo si premurò di dirmi di accomodarmi nella stanza di fianco all'angolo cottura ed aspettare il loro ritorno in quanto avevano da preparare tutta l'attrezzatura per eseguire l'intervento.
    Feci come mi aveva chiesto ed aprendo la porta di quella che sembrava una sottospecie di sala operatoria, anche se alquanto grezza e spartana come il resto dell'edificio, mi sedetti sul lettino blu scuro sito al centro della stanza. Intorno a me potevo vedere unicamente un paio di armadietti di metallo, un tavolo spoglio di qualsiasi cosa, anch'esso in metallo, ed una strana e grossa lampada ancorata ad un'estremità del lettino (ndr. una sotto specie di lampada scialitica).

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    •Chapter VI
    •Legenda Narrato
    Parlato
    Pensato
    Parlato altrui (altri colori)

    Poggiando entrambe le mani sulle cosce iniziai a picchiettare in maniera ritmica su di esse con ambedue gli indici. Fin troppe volte ero finita a letto ricoperta di bende e ferite, sia a causa di incidenti sul lavoro che per via delle liti con altri ragazzi, per questo il ritrovarmi in una stanza come quella mi metteva una certa ansia addosso. Nonostante tutti gli sforzi che avevo fatto per entrare, adesso non vedevo l'ora di uscire da quelle quattro mura.
    Per mia fortuna, però, non dovetti aspettare molto: trascorsi a malapena una decina di minuti Paninya ed Andras spalancarono la porta della stanza portandosi appresso un paio di carrelli dotati di piccole ruote con sopra una grande varietà di attrezzatura che comprendeva sia il reparto medico che quello meccanico. Non me ne intendevo molto, ma di sicuro avevo riconosciuto cose come bisturi, pinze, seghe, cesoie, bende, siringhe, martelli, giravite, strani contenitori aventi svariati liquidi con nomi impronunciabili, più altre cose che non avrei avuto modo di elencare in quanto non ne conoscevo il nome. La cosa, tuttavia, che attirò più di tutte la mia attenzione era una protesi che raffigurava una mano destra con annesso avambraccio (giuntura del gomito inclusa); molto simile a quella di Paninya anche se di colore più scuro.
    Presa in mano, la ragazza, con fare molto meticoloso, si avvicinò a me mettendo a confronto il mio arto deforme con la sua creazione. Passati alcuni secondi a controllare che le misure combaciassero mi guardò dritta in faccia.

    Certo che sei proprio fortunata ragazza mia! Avevo giusto giusto completato la realizzazione di una protesi adatta ad un corpo come il tuo, eheh!

    Sfoggiando un ghigno divertito. Beh, non potei che contraccambiare il suo gesto in quanto questo ci avrebbe permesso di procedere subito al trapianto.
    Prima di procedere, però, assumendo questa volta un'atteggiamento molto più serio e composto, Paninya iniziò ad espormi le "problematiche" relative all'intervento. Per mia fortuna l'asportazione della parte di braccio da sostituire e l'innesto della protesi potevano essere fatte da paziente non cosciente, di conseguenza, vista l'intensità dell'operazione, sia Andras che Paninya erano d'accordo nel sottopormi un'anestesia totale. Il problema sarebbe venuto fuori quando avrebbero collegato sia le terminazioni nervose che il sistema circolatorio del chakra alla protesi stessa.
    Trattandosi di una cosa fatta più e più volte dai due, sapevano che c'erano alte probabilità che l'anestesia non fosse sufficientemente potente da inibire totalmente il dolore che questa parte di operazione avrebbe causato nel paziente. Il problema poteva essere risolto in parte grazie al supporto da parte di Andras con i suoi Ninjutsu Medici, ma ciò era da sconsigliare perchè avrebbe reso più difficile l'operazione. Motivo? A saperlo visto che, entrati nel dettaglio, non iniziai più a capire una mazza di tutti quei paroloni e discorsi complicati che la ragazza mi faceva.
    Un pò seccata dalla mia ignoranza, non potè fare altro che rassegnarsi al fatto che stava parlando con una semplice ragazzina di 14 anni che neanche sapeva cosa volesse dire il termine "recettore sensoriale".
    Finite le spiegazioni, quindi, mi distesi sul lettino e guardando dritta negli occhi la ragazza, che, nel frattempo, aveva preso in mano una siringa piena di uno strano liquido giallognolo.

    Dimmi quando sei pronta che procediamo.

    Espose Paninya con fare deciso e fermo. Adesso che dalle parole stavamo per passare ad i fatti sembrava totalmente un'altra persona, molto più seria e responsabile di quanto poteva dare a vedere a cose normali.
    Con le palpitazioni che iniziavano ad accelerare feci un grande e lungo sospiro chiudendo gli occhi, cercando di calmarmi, per poi riaprirli limitando a rispondere alle parole della ragazza con un semplice cenno del capo.
    L'ago venne infilato in una vena del mio braccio sinistro, procurandomi esclusivamente un piccolo pizzicotto, successivamente, nel giro di neanche un minuto, tutto iniziò a farsi buio perdendo conoscenza.

    Fine seconda parte. Il continuo verrò a tempo debito, per altro attendo la valutazione.

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