Prologo - la promessa!

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    Hiro Mikazuki!


    La giovane donna correva a perdifiato per il corridoio dell'edificio mentre gli occhiali spessi le ballavano sulla punta del naso. Non era da lei correre in quel modo ma aveva appena trovato qualcosa che doveva assolutamente comunicare. Anzi, in realtà non aveva trovato proprio niente ed era questo il problema. Ansimando, giunse alla fine del corridoio, fermandosi davanti alla porta di legno scuro sulla destra. Bussò ma non attese alcuna risposta, semplicemente entrò.

    Preside! L'ha fatto di nuovo!

    Aveva aperto la porta di uno studio dove un uomo corpulento, dai radi capelli grigi, stava chino sulla scrivania, scrivendo una lettera, probabilmente. L'uomo alzò lo sguardo, dapprima seccato per le cattive maniere della donna che era entrata senza permesso, ma non appena le sue parole gli giunsero alle orecchie non poté fare a meno di assumere un fare preoccupato.

    Di nuovo Hiro? Dannazione! Non sopporto più quella piccola peste! Forza, dobbiamo riportarlo subito qui. Manda Misako, forse a lei darà retta..

    Sentenziò il preside passandosi la mano sul volto. Non era la prima volta che quel ragazzino ne combinava una delle sue e, questa volta, era scappato di nuovo andandosene chissà dove. La donna con gli occhiali annuì preoccupata e corse a chiamare Misako, l'unica che sembrava capace di interagire con il combina guai numero uno dell'orfanotrofio. Fu raggiunta qualche minuto dopo dalla donna con gli occhiali, nella sua stanza. Era intenta a leggere uno dei suoi tanti libri e quando alzò lo sguardo sull'occhialuta, capì immediatamente che avrebbe fatto meglio a infilare un segnalibro tra le pagine e mettersi l'anima in pace.

    Di nuovo Hiro?

    Chiese senza espressione. D'altronde c'era abituata ormai, toccava sempre a lei andare a ripescarlo in giro o nascosto da qualche parte. Non che le dispiacesse troppo, vedeva in quel ragazzino qualcosa di diverso dagli altri ed era convinta che non fosse una semplice peste. Però quella storia della fuga stava diventando preoccupante, ormai era la terza volta in una settimana.

    Sì. E' scappato un'altra volta e il Preside ha chiesto se puoi andarlo a riprendere tu, Misako.

    Uff... Questa volta quel ragazzino mi sentirà! Vado a chiedere agli altri se per caso sanno dove è andato. Sono stufa di girare a vanvera!

    Posò il pesante libro sul letto e si lasciò la sua stanza alle spalle mentre l'altra donna si scusava con lei, tornando al suo lavoro. Misako era cresciuta in quel posto, proprio come tutti gli altri orfani. Non aveva mai avuto notizie dei suoi genitori e non ne aveva neanche adesso, ventisette anni dopo. Raggiunta la maggiore età aveva deciso di lasciare l'orfanotrofio ma vi era tornata qualche anno dopo per fare da insegnante. Era una donna abbastanza alta ma gracile, con lunghi capelli neri e occhi scuri, silenziosa e dalla scarsa pazienza che però non riusciva a non essere buona con tutti. I bambini provavano molta stima nei suoi confronti perché, oltre ad avere un bell'aspetto ed essere sempre gentile, Misako sapeva anche un sacco di cose e aveva sempre la risposta giusta alle loro domande. Per questo la donna scese le scale dell'orfanotrofio, diretta nel cortile: chiedere ai bambini se avessero visto Hiro era la cosa migliore da fare. Non si aspettava di certo che sapessero esattamente dove si trovasse il ragazzino ma almeno un punto di riferimento, quello sì, sperava di trovarlo. Il tutto era ancora più complicato perché Hiro non aveva amici. Non era un bambino cattivo o antipatico, ma era una testa calda e amava fare le cose a modo suo per questo non era riuscito ad integrarsi a dovere, nonostante fosse stato cresciuto in quel posto. Il problema principale era il mix di goffaggine e desiderio di attenzioni che lo caratterizzava. Tentava in ogni modo di dire la sua o farsi notare dagli altri bambini, che però finivano col prenderlo in giro. Misako era, per così dire, l'unica amica del ragazzo. Sospirando mentalmente, la donna si avvicinò ad un gruppo di ragazzini di undici anni tutti intenti a giocare a palla. Si fermarono alla sua vista e le corsero incontro, salutandola contenti. Misako ricambiò i saluti con un grande sorriso e qualche carezza sulla testa ma venne subito al dunque. Non c'era tempo da perdere.

    Ragazzi, avete per caso visto Hiro? Non è che è successo qualcosa?

    I bambini si zittirono all'istante, distogliendo li sguardi colpevoli e seccati. La donna capì all'istante che qualcosa doveva essere successo. Tentò di farli parlare ma non riuscì a cavar fuori nulla, finché non li prese per il verso giusto (li strillò per bene, insomma). Fu allora che, ascoltando le diverse testimonianze, riuscì a mettere insieme un'abbastanza lineare ricostruzione di quello che era successo appena un'ora fa.

    Un'ora prima


    Smettila, Hiro!

    Sei davvero un buono a nulla!

    Ridacci la palla, tanto non ci riuscirai mai!

    Hiro sorrise spavaldo fissando la palla di cuoio per terra, immobile. Era a cinque metri da lui, esattamente sulla traiettoria del vecchio canestro del cortile. Dietro di lui, cinque o sei ragazzini della sua età se ne stavano a fissarlo, prendendolo in giro o pregandolo di rendergli la palla con la quale stavano giocando.

    State zitti, scemi! Vi dico che ci riesco!

    Un coro di "come no!" si levò dal resto dei ragazzini che, adesso, erano impazienti come non mai di giocare nuovamente. Erano già cinque minuti che se ne stavano a quel modo e tutto perché Hiro voleva a tutti i costi fare canestro con i piedi. Era piombato in mezzo a loro all'improvviso, tentando di prendere parte al loro gioco ma Kisho lo aveva spinto via senza permettergli di proseguire. Kisho detestava Hiro perché diceva sempre che non era capace a far nulla se non rompere le scatole agli altri. Siccome Kisho era anche il più grosso tra loro, nonostante avessero undici anni, tutti gli davano retta, tranne Hiro, ovviamente, che non voleva starlo a sentire. Si era rialzato, pronto a fare a botte, ma l'altro l'aveva preso in giro, dicendogli che non gli avrebbe permesso di giocare con loro neanche se avesse fatto canestro con i piedi. Hiro aveva subito abbandonato l'idea di fare a pugni e, invece, aveva preso la palla lasciando gli altri stupiti e confusi, affermando che, se ci fosse riuscito, allora gli avrebbero permesso di giocare d'ora in avanti. I bambini cominciavano a farsi sentire ma Kisho, in prima fila, disse loro di fare silenzio e tutti ammutolirono. Hiro si voltò a guardare il paffuto volto del ragazzo, simile a quello di un maiale biondo e con gli occhi azzurri.

    Se ci riesci ti permetteremo di giocare con noi. Altrimenti non dovrai più venirci a rompere mentre giochiamo, capito?

    Tsk! Come se potessi sbagliare! Cominciate a rifare le squadre perché Hiro Mikazuki sta per scendere in campo!

    Prese la rincorsa e calciò il pallone dal basso verso l'alto, mirando al canestro alto poco più di due metri. La palla assunse una traiettoria a cupola e sembrò davvero andare a canestro. Hiro, però, aveva messo troppa forza nel tiro e la palla superò il bersaglio di un bel po'. Non sarebbe stato un problema ma lo era, perché il cortile della scuola non era al piano terra. Era costruito sopra i tre piani della lavanderia, quindi la palla finì di sotto, dove ai bambini non era permesso andare. Hiro sbiancò, grattandosi i capelli color inchiostro con un sorriso da scemo.

    Ops!

    MA SEI SCEMO?!

    I ragazzini gliene dissero di tutti i colori e lo costrinsero ad andare a riprendere la palla. Lo trascinarono, letteralmente parlando, lungo il vialetto, chiuso da un cancelletto perennemente rotto, che portava all'ingresso della lavanderia. Nessuno dei bambini vi entrava mai perché sapevano bene che farsi beccare in quel posto equivaleva a finire davvero nei guai. Il ragazzino dagli occhi scuri si scrollò di dosso le mani che lo tenevano stretto, si sistemò la felpa e, davanti alla porta chiusa, iniziò a venirgli la pelle d'oca.

    Che c'è, Hiro? Non mi dirai che hai paura...

    Col cavolo che ne ho! Riporterò la palla, sarà come bere un bicchier d'acqua!

    Aprì la porta e un vapore caldo e gelido al contempo gli fece quasi cambiare idea. Prese un bel respiro, si fece coraggio ed entrò. La porta si chiuse alle spalle e sentì i passi veloci dei suoi compagni di classe che si allontanavano.

    "Che fifoni..."

    Pensò seccato il ragazzino magro, dai capelli neri. Si guardò intorno incuriosito, scoprendo che c'era un sacco di vapore ad oscurare l'intero edificio! Davanti a lui c'era una rampa di scale che scendeva fino al piano terra e, alla sua sinistra, una grande stanza con quelle che sembravano enormi vasche che emettevano tutto quel caldo vaporoso.

    "Meglio darsi una mossa e recuperare il pallone."

    Senza perdere tempo, percorse le scale, acquattandosi ogni tanto perché sentiva delle voci provenienti dalle stanze, eppure non riusciva a vedere nessuno. Forse a causa di quel vapore. Ad ogni modo, raggiunse l'uscita in fretta, richiudendosi la porta alle spalle e potendo nuovamente respirare l'aria pulita. Sospirò e si asciugò un rivolo di sudore dalla fronte, cercando con lo sguardo la palla. Si ritrovò in un altro cortile che però non somigliava affatto a quello per bambini che avevano lassù. Inoltre, c'erano degli scalini che conducevano ad una porta che dava agli alloggi degli insegnanti, o almeno Hiro pensò così perché in quella parte dell'orfanotrofio non potevano andare i ragazzini come lui. Lo stupì, però un cancello sulla destra, dentro al muro, che non aveva mai notato. Sembrava portare fuori dall'edificio e Hiro ne rimase folgorato. Lì accanto c'era la sua palla. La raccolse con poco interesse, portandosela sottobraccio e continuando a fissare tra le sbarre del cancello. Non c'erano dubbi: dall'altra parte c'era il Villaggio della Cascata. Il sorriso smagliante del ragazzino tornò sul suo viso mentre gli occhi brillavano.

    Woa! Ho scoperto un'altra entrata per il villaggio! Troppo forte!!

    Intanto, la signorina Sumia stava passando per il cortile come al solito, per assicurarsi che tutti i bambini stessero bene e non ci fossero problemi. I pesanti occhiali che rendevano i suoi occhietti verdi simili a quelli di un gufo, si posarono sul gruppetto di Kisho che proprio in quel momento rientrava in cortile dal cancelletto che non dovevano mai oltrepassare. I bambini avvamparono e tentarono subito di disperdersi come formiche, ma la donna fu più veloce. Chiese loro cosa diamine ci stessero facendo in quel posto e loro le risposero che Hiro era sceso per riprendere il pallone che aveva lanciato di sotto.

    Eh? Hiro?!

    Corse attraversò il cancello veloce come non mai, ordinando agli altri di non muoversi fino al suo ritorno. In contemporanea, Hiro se ne stava ancora nel cortile di sotto, con la palla sottobraccio, pensando alla sua scoperta. Peccato che, in quel momento, la porta della lavanderia si aprì. Il ragazzino perse colorito e tremò dalla paura quando una voce minacciosa gli urlò contro.

    Chi sei tu? Cosa diavolo stai facendo?!

    Senza pensarci due volte, Hiro prese la palla tra le mani, portandosela avanti. Prese lo slanciò e calciò il pallone in aria con tutta la forza possibile. Sumia, che stava per aprire la porta della lavanderia, vide la palla volare in alto e ricadere a terra mentre Kisho e gli altri esultavano contenti. Si sbrigò, atterrita, scendendo le scale a due a due, rischiando anche di cadere. Ma, quando giunse dall'altra parte, trovò solo la signora lavandaia che la guardava con aria seccata e preoccupata. Di Hiro non c'era traccia. Fu inutile per Sumia tentare di dire qualcosa, l'altra la anticipò.

    Scusa, Sumia, non ho fatto in tempo. E' scappato.

    [...]


    Il ragazzino dai capelli scompigliati e neri stava passeggiando con le mani in tasca, fischiettando tranquillo. Era da un'ora che se ne andava in giro e, finalmente, era riuscito a raggiungere la foresta di Taki. Le guardie non gli avrebbero mai permesso di andarsene in quel posto da solo se non si fosse confuso ad una scolaresca che aveva incontrato per strada. Ed ora, eccolo lì, tutto contento. Il vento gli scompigliava i capelli e i suoi passi risuonavano mentre schiacciavano rametti e scalciavano pietruzze.

    "Ah, finalmente libertà. Non ne posso più di starmene chiuso in quel dannato orfanotrofio!"

    Calciò un sasso verso mentre sorrideva felice. Non aveva idea di dove stesse andando ma, ad un certo punto, si imbatté quasi senza saperlo in un piccolo e stretto torrente. Lo seguì finché non arrivò ad una radura con pochi alberi e una bella sponda con l'erba bassa e verde brillante. Senza pensarci due volte, si rotolò per terra, arrivando fino a lì e sdraiandosi tranquillo, di lato al torrente. Chiuse gli occhi e sentì l'erba soffice fargli da letto mentre il sole lo illuminava.

    Questa sì che è la vita vera!

    Fu allora che udì un frusciò lontano. Aprì un occhio e si mise a sedere, guardando dall'altra parte del torrente.

    Uh?

    Proprio dove stava lui ma una dozzina di metri più in là, c'era un ragazzino della sua stessa età che lo guardava disinteressato, quasi seccato dalla sua presenza.

    ... Che hai da guardare?
     
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    Makoto Oshiro!


    Hiro restò a bocca aperta, fissando il ragazzino dall'altra parte del torrente che non batteva ciglio. I due non sarebbero potuti essere più differenti. Hiro aveva una chioma ribelle, sottili capelli neri come la notte e occhi scuri, color cioccolato; quel ragazzo, invece, aveva gli occhi dello stesso colore del mare e i capelli erano chiarissimi, spettinati proprio come i suoi, forse un po' più corti. Si fissavano da quella dozzina di metri di distanza, senza dire nulla. Hiro si chiese se avesse capito male, magari erano troppo distanti e aveva frainteso le sue parole.

    Se te lo stai chiedendo, ti ho proprio chiesto che hai da guardare.

    Ma sei un maleducato!

    Hiro si alzò di scatto, puntandogli un dito contro. Strinse i denti perché quel tipo non gli andava per niente a genio. Sembrava così innocuo eppure era capace di zittire le persone a quel modo, non era qualcosa di cui andare fieri, secondo il ragazzo. L'altro, comunque, lo ignorò, continuando a giocare con i sassi sulla sua sponda. Ignorò completamente Hiro che si stava irritando sempre di più. Detestava essere ignorato.

    Sto dicendo a te, biondino! Hai intenzione di scusarti o no?!

    Perché dovrei? Sei tu che sei venuto qui senza permesso.

    Eeeeh? Non è mica tuo questo posto!

    Sì, invece... E' l'unico posto dove posso stare da solo...

    Hiro si fermò all'istante, colpito dalle parole del ragazzino che si era fatto improvvisamente triste. Abbassò il dito e si grattò la testa, imbarazzato. Si rese conto di essere davvero un estraneo. Gli venne in mente come detestasse chi entrava nella sua stanza senza il suo permesso, anche se si trattava di Misako. Gli occhi scuri del ragazzo squadrarono meglio l'altro. Aveva sicuramente la sua stessa età e, sebbene sembrasse più alto, era più gracile di lui. Sospirò e si lasciò cadere sull'erba.

    ... Scusa. Non volevo disturbarti.

    L'altro alzò lo sguardo stupito, osservando per la prima volta il suo interlocutore con vivido interesse. Ai suoi occhi era un normale ragazzino come lui, forse aveva trovato quel posto e voleva farsi una pennichella, infondo non lo stava disturbando granché: c'erano dodici metri e un torrente a separarli.

    Scusa accettate.

    Anche Hiro alzò lo sguardo ma l'altro lo abbassò all'istante. Il silenzio era calato tra i due eppure non era così male, c'era una bella atmosfera. L'orfano iniziava a nutrire interesse per quel ragazzo biondo e non poteva immaginare che i suoi sentimenti fossero ricambiati. Restarono in silenzio per un po' finché i loro sguardi si incrociarono. Un paio d'occhi scuri e un paio d'occhi chiari.

    ... Che hai da guardare?

    DI NUOVO?!

    Restarono in silenzio per qualche minuto, ognuno sdraiato sulla sua sponda, guardando il cielo sopra di loro, limpido come non mai.

    Posso chiederti perché sei qui?

    Esclamò Hiro, senza voltarsi verso il biondo che aveva gli occhi chiusi, lasciando che il venticello leggero gli scompigliasse i capelli. Attese qualche secondo, sembrò quasi meditare una risposta. Non sembrava il tipo con tanti amici e che ama chiacchierare, Hiro pensò che doveva piacergli stare da solo, sembrava proprio il contrario di lui, sempre alla ricerca di compagnia.

    Nulla di che. Vengo qui quando non mi va di stare a casa. E visto che non sopporto la mia famiglia vengo qui spesso..

    L'altro non sapeva cosa volesse dire avere una famiglia, ma immaginava che potesse anche essere stancante come nel caso del biondo. Lui, invece, non riusciva neanche a ricordare il volto dei suoi genitori.

    Capisco.. Deve essere difficile la tua famiglia, allora..

    Già.. Sono tutti Ninja, quindi...

    Non riuscì a capire. Era da sempre vissuto in orfanotrofio e non aveva quasi mai messo piede nel villaggio, era come tagliato fuori dal resto del mondo e questo era il motivo delle sue fughe recenti. Odiava non sapere cosa ci fosse all'esterno e odiava non poter godere della vita del villaggio con i suoi occhi. Per questo, quando l'altro parlò di Ninja, Hiro non aveva la minima idea di cosa stesse parlando.

    Uh? Ninja?

    Si mise a sedere e l'altro fece lo stesso. Fissò il ragazzo dai capelli neri un po' dubbioso, stringendo gli occhi come per metterlo a fuoco. Lo stupiva la banalità della domanda, tanto che pensò fosse uno scherzo seppur il volto di quel ragazzino fosse davvero confuso.

    Esatto. I Ninja sono i guerrieri che proteggono i vari villaggi.. Non ne hai mai sentito parlare?

    Veramente no... Ma quindi ne abbiamo anche qui a Taki?

    Il biondo si grattò la testa, confuso. Come poteva non sapere certe cose? Anche i bambini con la metà dei suoi anni sapevano dell'esistenza degli shinobi! Adesso lo aveva fatto seccare, non gli andava di essere preso in giro in quel modo!

    Ma è ovvio... Diavolo, non sai davvero cosa siano i Ninja? Ma i tuoi genitori non ti hanno insegnato niente?

    Hiro abbassò lo sguardo e il suo sorriso si affievolì. Il ragazzo dall'altra parte capì subito di aver detto qualcosa di sbagliato per provocare un simile cambio d'atteggiamento. Infatti, dopo qualche secondo ne ebbe la certezza.

    Io non ho i genitori.

    Il biondino si pietrificò, desiderando di non aver mai detto quelle parole né di aver parlato male della sua famiglia. Con che cuore ci si poteva lamentare della propria famiglia davanti a un orfano? Provò subito a scusarsi ma le parole di Hiro lo fermarono. Non era triste, ridacchiò e lo fissò nuovamente con i suoi brillanti occhi color cioccolato. Il sorriso riaffiorava nuovamente sul suo volto e il ragazzino sconosciuto ne restò abbagliato.

    Ma la cosa non mi fa stare troppo male! Perché non li ho neanche mai visti. Da quello che mi ricordo sono sempre stato in orfanotrofio, quindi non preoccuparti, sto bene! Ahahah!

    "Questo ragazzo... Non ha i genitori eppure riesce a ridere..."

    Infatti, le risa di Hiro cessarono solo poco dopo, lasciando spazio alla sua curiosità verso l'altro, ancora imbarazzato per aver detto qualcosa di così inappropriato. Ma al moro sembrava non interessare, anzi, era proprio la sua storia ad interessarlo. Questo fece sentire strano il biondo perché a nessuno era mai importato del suo punto di vista, nessuno gli aveva mai chiesto cosa ne pensasse davvero di questo o di quello. Non poté fare a meno di pensare che, forse, quel ragazzo era una persona completamente diversa da quelle che era abituato a frequentare lui.

    Comunque volevo sapere perché sei sempre qui. Insomma, cosa ti dice la tua famiglia di così seccante?

    L'altro si morse le labbra, distogliendo lo sguardo. Non poteva parlarne, non poteva rivelare tutto al primo che passava lì per caso. La sua storia, la sua famiglia e il suo futuro.. No, non poteva rivelarlo. Tuttavia, perché sentiva che quel ragazzo dai capelli neri l'avrebbe capito? C'era una sorta di empatia tra loro che lo spingeva a rivelargli tutti i tormenti che si era tenuto dentro per anni, senza possibilità di mettersi mai a nudo.

    "No, questo sarebbe troppo. Io... non posso dirgli tutto.. Almeno non... quello..."

    Prese un bel respiro e alzò la testa, guardando il sole pallido su quel tappeto azzurro, immobile e impassibile alle loro misere vite.

    I miei genitori... Vogliono che io diventi un Ninja, proprio come mio fratello maggiore. Sai, lui è diventato Chunin da poco.

    Che cosa volesse dire "Chunin" Hiro non lo sapeva ma lo emozionava il fatto che, come aveva spiegato il suo interlocutore, suo fratello fosse un guerriero che si occupava di proteggere il villaggio.

    Che forte! Essere Ninja deve davvero essere un sogno!

    No. Non lo è.

    Le parole del biondo erano state fredde, taglienti. Hiro lo osservò confuso e un po' irritato da quell'atteggiamento così glaciale nei suoi confronti. Era lunatico quel ragazzo che adesso aveva ripreso a giocare con i sassi, senza più degnarlo di uno sguardo. Sembrava star pensando a qualcosa che gli provocava un dolore inaudito perché aveva preso a colpire il terreno con i pugni e strappare a mani nude l'erba verde del campo. Hiro lo osservava con attenzione. Qualcosa nel suo comportamento lo irritava.

    I Ninja... Si allenano per uccidere e venire uccisi. Non sono altro che pedine da sacrificare... Non c'è nulla di eroico nell'essere un Ninja.

    Disse a bassa voce con molta rabbia e continuando a fissare il vuoto davanti a lui. Fu allora che Hiro si alzò, fissandolo con aria seria.

    Secondo me ti sbagli.

    Il biondo sgranò gli occhi, alzando lo sguardo verso quel ragazzo che lo fissava con così tanta sicurezza negli occhi che la sua rabbia svanì in un attimo. Ma chi era quel ragazzo dai capelli neri?!

    Insomma, mi hai detto tu che Ninja proteggono il villaggio. Secondo me... proteggere le persone a cui vuoi bene vuol dire essere un vero eroe!

    L'affermazione lasciò senza parole il biondo che non disse nulla, continuò a fissare l'altro senza battere ciglio. Hiro si fece improvvisamente accigliato e si grattò la testa come faceva sempre quando era imbarazzato o confuso.

    Io... non ho mai messo piede fuori dall'orfanotrofio prima di qualche mese fa.. Non so nulla sui Ninja o sulle usanze del villaggio, non so neanche se ci sono posti inesplorati là fuori a dire il vero.. Ma una cosa la so di per certo. So che non c'è altro posto in cui vorrei stare. Anche se sono rinchiuso in un buco, questo è anche il mio villaggio. E se qualcuno mi chiedesse di proteggerlo mettendo in gioco la mia stessa vita, bhe, io lo farei senza se e senza ma!

    Gli occhi blu dell'altro si inumidirono e distolse lo sguardo. Si asciugò e tornò a fissare il ragazzo dagli occhi scuri che, però. gli puntava un dito contro con un sorriso di sfida sul volto. Era davvero strano quel tipo!

    Ho un'idea! Adesso devo andarmene ma prima facciamo un patto, che ne dici?
     
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    Patto tra Ninja!


    Un patto...?

    Lo sguardo confuso del ragazzo dai capelli biondi fece sorridere ancora di più Hiro, in piedi a una dozzina di metri da lui, i piedi pericolosamente in bilico sulla sponda del torrente.

    Esatto, un patto! Tu prometti una cosa e io ne prometto un'altra, ci stai?

    Non so... cosa dovrei promettere?

    Promettimi che diventerai un Ninja come vogliono i tuoi genitori e ti prometto che lo diventerò anche io! Così proteggeremo il villaggio insieme!

    Il biondo lo fissò sbalordito, prendendo seriamente in considerazione la proposta. Lui che aveva avuto un passato così dolorosa da lasciargli il segno, lui che era cresciuto tra i Ninja e li odiava per tutto ciò che rappresentavano, lui che mai avrebbe voluto percorrere quella strada... ci stava ripensando? Era tutta colpa delle parole di quel ragazzo dagli occhi neri. Aveva detto che proteggere il villaggio era una cosa che facevano gli eroi, ma per lui i Ninja non lo erano. No, forse lo erano. Era la sua famiglia ad essere sbagliata e lui li detestava, per questo detestava i Ninja e rifiutava la strada che loro volevano che percorresse. Ma in questo modo si sarebbe riscattato. Avrebbe percorso la via che gli avrebbe permesso di diventare ciò che era nato per essere. Sarebbe diventato un vero Ninja e avrebbe dimostrato alla sua famiglia cosa volesse dire esserlo davvero. Avrebbe ripagato quegli anni di dolore con il proprio valore. E se quel ragazzo dai capelli neri sarebbe stato al suo fianco, sì, forse poteva farlo davvero.

    Allora? Ci stai?

    Il primo sorriso apparve sul volto luminoso del ragazzo dagli occhi blu. Una nuova scintilla lo pervase, permettendogli di lasciarsi alle spalle il passato per guardare al futuro. Sarebbe stato il suo futuro, avrebbe deciso lui d'ora in poi. Si alzò in piedi, ricambiando lo sguardo del ragazzo dai capelli neri.

    Sì. Ci sto!

    I loro sorrisi brillarono all'unisono mentre qualcosa tra i due si faceva sempre più nitido. Era l'amicizia che, da quel giorno, li avrebbe legati con un filo invisibile.

    Allora è deciso! Diventeremo dei Ninja! Ahahah! E ora me ne vado, Misako sarà già in giro a cercarmi, eheh.

    Alzò la mano e fece per andarsene ma il biondo lo fermò. Avevano trascorso quasi un'ora in quel posto e si erano entrambi dimenticati di una cosa importante.

    Ehi! Dimmi come ti chiami!

    Il ragazzo dai capelli neri lo fissò, sorridendo energicamente mentre la sua figura veniva illuminata dal sole, rivelando che gli occhi che sembravano neri erano in realtà color cioccolato, brillanti e profondi come non mai.

    Il mio nome è Hiro Mikazuki!

    L'altro attese qualche secondo, fissandolo.

    ... Mikazuki... sembra un nome da donna.

    NO CHE NON LO E'!

    Ho detto che sembra, mica che lo è!

    Arrrgh! Sei davvero...

    L'altro scoppiò a ridere e Hiro si fermò subito. Prima aveva sorriso e ora stava ridendo a crepapelle. Il volto dai bei lineamenti sembrava ancor più luminoso adesso che gli occhi chiusi e la bocca spalancata e ridente si specchiavano sulla superficie dell'acqua.

    Ci sei cascato, Hiro! Sei un tipo divertente, sai?

    Hiro lo fissò un po' imbronciato ma, davanti a quell'ilarità, perse il controllo e si portò le mani alla pancia, tenendosela per le risate. Risero e solo il cielo e la foresta li osservò mentre non facevano altro che essere loro stessi, per la prima volta. Dopo un po' si placarono, asciugandosi le lacrime. Calmandosi, Hiro decise che, adesso, era davvero il momento di tornare indietro.

    Ora è meglio che torni all'orfanotrofio, ma tornerò qui altre volte. Ci stai?

    Puoi scommetterci!

    Allora ci rivedremo, ehm...

    L'altro sorrise, facendogli un cenno col capo. Era la prima volta che, quando veniva chiesto il suo nome, poteva rispondere da solo.

    Makoto. Oshiro Makoto!

    "Makoto Oshiro..."

    Si scambiarono uno sguardo d'intesa. Entrambi sapevano che, d'ora in avanti, nulla avrebbe potuto separarli. Era per entrambi la prima vera amicizia e sapevano che quel giorno sarebbe rimasto un ricordo indelebile dentro ognuno di loro.

    E sia! Alla prossima, Makoto!

    Non vedo l'ora, Hiro!

    [...]


    Il ragazzino dai capelli neri camminava per il villaggio, confuso. Si guardò in giro sempre più agitato finché non dovette arrendersi all'evidenza: si era perso. Sconsolato, si lasciò cadere su una panchina, tentando di ignorare il suo stomaco che reclamava il pasto serale che aveva saltato senza accorgersene. Da quanto tempo girava per le strade del villaggio della Cascata? Si era lasciato andare tra le sue viette e le bancarelle, i negozi e le insegne pubblicitarie, senza più rendersi conto dell'ora. Ed ecco che si era smarrito, finito chissà dove, nel suo stesso villaggio. Possibile che nessuno fosse venuto a cercarlo? Con la testa bassa si fissava i piedi, stringendosi la pancia che continuava a brontolare.

    Accidenti! Ma dove diavolo è Misako quando serve?

    Capisco. Quindi adesso sono io il problema?

    Misako mollò un pugno in testa a Hiro che, nonostante il colpo, non era mai stato tanto felice di vederla. La strinse tutto contento mentre lei tentava di scrollarselo di dosso, pretendendo spiegazioni. Poi sentì il brontolio proveniente dalla pancia del ragazzino e, sbuffando di rassegnazione, gli disse di seguirla.

    Torniamo all'orfanotrofio?

    Dopo. Prima ti porto a mangiare qualcosa, sembra che tu stia morendo di fame.

    Oh, Misako! Ti ho già detto che ti adoro?!

    Risparmiati per quando saremo seduti davanti a una ciotola di ramen. Ho saltato la cena anche io per venirti dietro!

    [..]


    Hiro non aveva mai assaggiato il ramen e solo ora che aveva svuotato la sua ciotola si rendeva conto che non esisteva nulla di più buono! Misako, tuttavia, gli impedì di prenderne un'altra ciotola perché non le bastavano i soldi. Hiro era però contento e, con la pancia piena, finì il suo racconto che la donna seguì con attenzione, anche se non dandolo a vedere.

    Quindi scapperai di nuovo per andare a trovare questo Makoto?

    Certo! Una promessa è una promessa, no?

    Misako sorrise, posando la sua ciotola. Hiro non sapeva proprio dire bugie e manteneva le promesse, era davvero un bravo ragazzo infondo. Eppure, questa era una cosa di cui dovevano discutere per bene. Infatti, la donna si fece seria.

    Ascoltami, Hiro. Sai che non puoi farlo. Scappare dall'orfanotrofio è contro le regole, se ti accadesse qualcosa ci farebbero chiudere, e allora cosa accadrebbe agli altri bambini?

    Io... non avevo pensato a questo..

    Misako sorrise perché, come le aveva appena dimostrato, Hiro era davvero buono, solo un po' tonto e impulsivo, a tratti maleducato e testardo, ma erano le sue qualità ad essere davvero importanti. Dentro di se, la donna stava già pensando a cosa avrebbe detto al preside, forse sarebbe riuscita a convincerlo perché, ora che ci pensava, quella sarebbe stata la soluzione migliore per Hiro.

    E poi hai detto che diventerai un Ninja, vero?

    Assolutamente sì! Non ne so molto ma ho capito che i Ninja sono guerrieri incredibili che proteggono il villaggio, quindi voglio esserlo anche io!

    Oh, allora dovrai partecipare ai corsi in accademia, lo sai?

    Eh? Davvero? Spiegami tutto!

    Ma certo. Devi frequentare i corsi in accademia e, una volta superati, sarai promosso a Genin, il che vuol dire che sei ufficialmente uno Shinobi di Taki.

    Woa! Come fai a sapere tutte queste cose, Misako?

    Eheh, diciamo che qualche anno per il villaggio l'ho trascorso, abbastanza da sapere questo.

    Ma, un momento... non posso frequentare i corsi se sono in orfanotrofio.. O sbaglio?

    Avresti dovuto pensarci prima di prometterlo a Makoto, Hiro.

    Lo rimproverò lei e il ragazzino si rabbuiò. Non ci aveva pensato proprio per niente e ora se ne pentiva. Voleva davvero iscriversi in accademia ma solo ora si rendeva conto che era impossibile, almeno fino al raggiungimento della maggiore età. Non gli avrebbero mai dato il permesso di uscire dall'orfanotrofio, e, anche se fosse diventato Genin, non avrebbe potuto proteggere proprio nessuno da dentro quelle quattro mura che gli facevano da casa. Misako lesse i suoi pensieri e, addolcendosi, decise che era giunto il momento per il ragazzino di scegliere.

    Hiro... Se lo desideri, chiederò al preside di lasciarti andare.

    Il volto del ragazzo si illuminò improvvisamente, carico di speranza. Gli sembrava un sogno, come poteva lei fare qualcosa del genere? E dove sarebbe andato allora? Avrebbe potuto iscriversi in accademia?

    Ci stavo pensando da un po'. Io... potrei diventare la tua tutrice e darti la mia casa qui al villaggio. Non la uso da un po' ma c'è tutto e potresti starci senza problemi. Naturalmente ti passeremo un mensile per fare la spesa e comprarti dei vestiti, ma intanto potresti frequentare l'accademia del villaggio. Se il preside accetta manca solo la tua opinione. Che ne pensi, Hiro?

    Il ragazzo la fissò senza battere ciglio, impassibile, così tanto che Misako quasi si spaventò. Ma, improvvisamente, il ragazzo pianse e un sorriso di ringraziamento e puro affetto affiorò sul suo viso fanciullesco.

    Penso che sono davvero fortunato che sia sempre tu a starmi dietro!

    Gli occhi di Misako si inumidirono ma la donna sorrise divertita, scompigliandogli i capelli. Era fatta. Mentre si incamminavano per le strade del villaggio parlavano dei Ninja e del villaggio in generale, parlarono anche della casa della donna e si diressero insieme all'ufficio del preside, quella stessa sera. Quando poi Hiro si infilò sotto le coperte della sua stanza solitaria, guardò la luna che brillava nel cielo.

    "Questa è l'ultima volta che la vedo da questa prospettiva. Da domani... sarò uno studente dell'accademia Ninja di Taki..."

    Si addormentò per l'ultima volta in quel letto, in quella stanza, in quel posto. Un nuovo giorno stava per sorgere, e con lui, la nuova vita di Hiro Mikazuki, futuro Ninja del Villaggio della Cascata!

    Finita!
     
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  4. Kote
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    A me è piaciuta un sacco e trovo che il tuo stile è impeccabile come sempre. Il massimo te lo meriti tutto :sisi:
     
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3 replies since 25/5/2015, 15:07   88 views
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