What If...?

II P.Q di Kyrios Yume

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  1. G.roucho
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    Principio Antropico ~ Prologo


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    Quando il principale mi urlò in faccia, cercai a stento di frenare la mia istintiva rabbia. Quanto odiavo quell'uomo che più di una serpe aveva nell'animo. Emanava una certa aurea nauseabonda, quasi ostile alla stessa vita. Appena finì di parlare, lasciai che l’adrenalina mi scorresse lentamente nel sangue. Un impulso infrenabile di morte cominciò a variare la percezione razionale dei miei pensieri. Sangue, budella, viscere. Potevo annusare nell'aria l’odore della sua carne putrefatta e la mia mente strinse più volte il pensiero di mutilare violentemente il suo cuore. Taci pezzente. Potrei raccontare delle tue perversioni ossessive nei confronti di quelle povere fanciulle. Zitto animale. Agiti per bene vipera malata, ora non mi controlli più. Il corridoio si allarga e una voce rauca e maledetta comincia a intronarmi nella testa. Chi sei? Maledetto bastardo. Non riesco a ragionare, privo del tutto delle mie facoltà…ora quel suono riesce a manipolare i fili della mia mente come una marionetta in un circolo vizioso da diavolo tentatore. Che cosa sono realmente io? Lascio agitare i miei impulsi vitali fino al mio ultimo battito vivace; solo uno dei due uscirà vivo da questa stanza. Agito l’ombra che è in me, un’oscura presenza sorride nei disturbi visivi dello stato delle cose: il battito lento, l’aria calda nei polmoni…
    Apro il sentiero del male, un’occhiata svelta alle spalle per poi chiudere lentamente la porta con lo sguardo fisso sui suoi piccoli occhi da insetto. L’anima di quel povero cristo era maledetta dalla sua stessa perfidia, come un naufrago senza acqua che si getta in mare per la troppa sete, quell'uomo si lasciava alle spalle una moltitudine di orrori senza fine. Tutto questo era successo per colpa sua e ora doveva colmare la mia sete, implacabile, quasi impercettibile. Quando mi avvicino alla sua figura, l’uomo mi urla contro. Cosa c’è vipera maledetta ora temi il mio potere? Lascio che sul suo volto si dipinga per un momento il nervo della paura. Tutto finirà per ricadere fatalmente su se stesso. Certe volte una nota musicale non riesce bene. Puoi essere il più grande musicista del mondo, ma se quella nota non suona quello che desideri…
    Semplicemente quell'orrore di uomo agiva d’istinto ma era lui in quel momento la preda da me tanto anelata. Le dita della mia mano si muovono da sole, assodate perenne dalla voglia di colmare quella seta animalesca; lascio che la forbice posta sulla parte destra della scrivania finisca per essere impugnata tra il piccolo pollice e le due cavità dell’indice e del medio. Anch'essa riflette per un attimo il terrore dell’uomo nello specchio d’acciaio che sarà il suo boia carnefice.
    This is a man…un bulbo oculare che schizza fuori come gelatina bianca…A man who has lost everything…il sangue che si sparge a spruzzi sulla parete mostrando la figura di un demone disidratato…A man without a future…le sue ultime urla mentre conficco più volte la forbice nel suo stomaco…This is a man…
    “Che puzza che emani amico mio. Che disgusto. Se vuoi, posso aggiustarti queste viscere…non sembrano tanto eleganti tutti disposte qui fuori…”.
    Un’ombra improvvisa si proietta sul muro, assume lentamente la forma che ricorda una donna. A un tratto una voce quasi demoniaca prende il sopravvento su quell'ombra animata;
    - Young boy…this is a man! Mangia quel cadaver mio piccolo ospite… -
    “Non mi va di mangiarla. E’ solamente un ammasso di carne mutilata…”
    - Povero Young boy…this is a man…ti ordino di mangiarlo! - pretese nuovamente quell'ombra. Potevo sentirla cantare nella sua micidiale ira mefistofelica. Quella cosa non era umana. Non proveniva sicuramente da questo mondo…
    - Young boy…come sei infimo. Non sai altro che piagnucolarti della vita non è vero? Papino di qui…Elizabeth di là… -
    “Elizabeth? Io non conosco nessuna Elizabeth… “.
    - Sicuro? Stai mentendo mio caro ragazzo. Io sono Elizabeth… -
    La figura demoniaca sembrava vibrare incessantemente. Voleva tutti costi uscire da quella sua dimensione onirica…
    “Sono proprio i sogni che dominano gli istanti mio piccolo ospite. Credi realmente di aver ucciso quell’uomo?
    Osservai incredulo alle sue ultime parole; il corpo mutilato di quell’uomo cominciò lentamente a sgretolarsi in piccoli pezzetti di sabbia. Le pareti si ristringevano e la stanza si era impicciolita così tanto che mi sembrò per un attimo di soffocare. Cosa mi stava accadendo? Sotto di me il pavimento scivolò in una specie di spazio tempo senza dimensione. Osservai per un attimo il me stesso mentre compieva quelle macabre azioni. Non ero io…era lei, quella voce che avevo sentito più volte. Quella donna. Che cosa voleva mai da me Elizabeth? Mi sentivo irrequieto. Stanco, privo di ogni altra emozione umana. A un tratto la figura si allargò vistosamente su tutta la parete dimensionale. Non avevo mai provato quella sensazione di sconforto e di malessere che stava per risucchiarmi completamente la vita. Il demone di quella donna andava trasformandosi in una grossa bestia umanoide. Non avevo mai visto prima d’ora una creatura simile. Il mio primo istinto fu di gettarmi ai lati del bordo dove vi era ancora un briciolo di materia fisica. Ora invece era tutto inglobato dal delirio. L’essere sorrideva, si agitava e nel buio della strana pazzia si scuoteva perché era ancora legato a delle grosse catene arrugginite. Perché non riesce a liberarsi? Attorno alla possente corporatura dell’essere immateriale, un altro braccio oscuro sbucò come dal nulla per cercar di schiacciarmi contro il suo agghiacciante peso; con un balzo veloce mi lanciai verso sinistra, non avevo nessuna chance di farcela contro quell'essere ma pulsava in me la volontà di vivere. Non bramavo la morte. Ero ancora troppo giovane. L’essere mostruoso capendo la mia volontà, cercò in tutti costi di intralciarmi con la sua mastodontica potenza. Lanciai alcuni sguardi snervati alle orbite oscure della bestia poi mi divincolai in avanti per evitare la seconda ondata di schiacciate. Tutto si verificò ben presto alquanto invano. Un altro disgustoso braccio era sbucato alle mie spalle e ora soffrivo tra la stretta possente della sua mano. La creatura mi avvicinò alle sue enormi labbra; riuscivo a osservare le anime intrappolate nelle sue fauci mentre si agitavano disperate nel buio dell’orifizio che m’imploravano pietà. Non seppi spiegarmi la tristezza di quei gesti, la disperazione e la follia di quei movimenti. Non riuscivo a comprendere la casualità di tutto ciò, così mi lasciai andare a un lungo e sofferente pianto;
    - Sfogati piccolo bastardo. Hai negato la nascita della vera vita. Sei un essere inferiore. Osserva tutte le anime della gente che un giorno tu ucciderai! Si…hai capito bene! Tu non sei destinato a fare cose buone. Non sei un eroe. Hai appena fatto un uomo a pezzi solamente per una TUA colpa. La verità è che tu sei un pazzo omicida e queste allucinazioni sono la prova di quello che affermo. Si hai ragione…sono un demone. Ma io esisto perché tu esisti! Cosa pensi che io sia realmente qui? In questa dimensione che altro non è la tua lurida mente? Sei un povero ragazzino con dei seri problemi! Curati…o in alternativa lascia che la tua volontà muoia sotto false speranze. Fai trionfare la sopravvivenza! Io sono colui che rafforzerà questo corpo…l’essere che dominerà perfettamente l’essenza del caos e il tuo meraviglioso potere. Vivi di un’illusoria speranza. Lascia che spezzi la tua sofferenza… - così concluse prima di lanciarmi in quel tumulto di vite inconsistenti….

    Edited by G.roucho - 7/4/2015, 12:10
     
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  2. G.roucho
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    Una luce. Un debole barlume bianco sul soffitto. Cerco di muovermi, liberarmi, parlare ma tutto sembra ineluttabilmente inutile. Sono senza tempo. Non riesco a capire dove sono. Odo una piccola voce fioca verso la mia destra e una grossa, rauca, profondamente maschile, sulla sinistra. A un tratto un piccolo brivido sconosciuto mi percuote la schiena propagandosi velocemente in tutto il corpo; lo posso sentire sulle dita, nei polpacci, sulle palpebre, all'interno del mio stomaco, insomma dappertutto. Un glicerato d’immagini e strane figure geometriche comparirono improvvisamente d’innanzi ai miei occhi: un enorme cubo radioso di color misto tra il blu e la sfumatura viola che per un attimo sembrò sfiorarmi quello che ancora percepivo della pupilla destra. Quando finalmente qualcosa accadde, quelle strane voci e quegli interminabili movimenti eterni sembrarono improvvisamente essere cessati. Cosa diavolo era successo questa volta? Apparentemente nulla. A poco a poco potetti sentire nuovamente il lento deglutire della mia saliva e il sibilo lancinante danzar vittorioso nel piccolo canale della “Tromba di Eustachio”, che terminava nella faringe. Lasciai per un attimo al mio corpo la possibilità di riprendere nuovamente quei sensi ancora addormentati. Ero stato avvelenato o peggio in qualche modo drogato con qualche sostanza? Chi poteva saperlo. Nella mia situazione potevo solamente esaminare quel poco che c’era da vedere e apprendere con ragione, allontanando la sopraffazione dell’irrazionale. Avevo in qualche modo paura ma non potevo lamentarmi. Ero stato vittima della mia stessa mente, del mio stesso inconscio. Che cosa era mai quell'essere nauseato che tanto mieteva le anime di quell'orrendo purgatorio? Provai terrore quando ricordai ad una ad una tutte le parole da lui enunciate…

    "Si…hai capito bene! Tu non sei destinato a fare cose buone".

    Una piccola scossa elettrica mi fece sobbalzare di sorpresa dai miei tormentosi pensieri. Era frivola ma d’impatto. Mirava al cuore. Nuovamente lo risentii battere; si muoveva con fatica al centro della cavità toracica. Un’altra scossa invece mi svegliò di soprassalto. Ero steso, su un lettino da ambulatorio, con un camice bianco sporco di sudore e con uno specchio repentino posto in alto sul soffitto. Fissai il mio corpo ripreso dall’alto e una troupe di medici intenti a risvegliarmi con un vecchio defibrillatore. Non riuscivo a capire, io ero realmente desto ma in qualche modo il mio corpo era deceduto. Vi era un uomo, dall'aria stanca e unta, con una lunga barba non curata e da un vestito sporco e logorato. Passò del tempo prima che io cominciai a mettere a fuoco il suo viso. Era mio padre. Non sembrava triste della mia morte ma più…come dire…insoddisfatto di qualcosa o da qualcuno. Forse in realtà non mi aveva mai amato e quella mia morte apparente era infine una specie di liberazione. Non volevo crederci ma sembrava la dura verità. Mi avvicinai al suo viso e seppur nuovamente con qualche difficoltà a riconoscerlo cercai di toccarlo delicatamente con la mano. Ero un fantasma? Non riuscivo a sfiorare nulla che fosse la stessa aria. Poi ecco accadere una cosa, assurda in un certo senso, quasi metaforica. Osservai il mio piccolo corpo mentre veniva rinchiuso in una specie di sacca sferoidale;
    “Dove lo portate!” esclami di scatto sapendo in cuor mio che nessuno realmente mi avrebbe sentito. A un tratto dalla cavità genitale del mio corpo deceduto osservai una specie di cordone di chakra chiaro che lentamente veniva meno, scomparendo del tutto nel giro di pochi istanti. Una specie di sensazione dolorosa colpì all'istante i miei sensi e mi lasciai fluttuare rapidissimo oltre il dorsale di quella specie di ospedale. Osservai di sfuggita la mia casa, i campi raccolti degli agricoltori e le vaste risaie che ricoprivano interi spazi di verde; varcai fulmineo le nuvole in cielo per poi superare infine le barriere invisibili della stratosfera. Mi ritrovai nello spazio fluttuante, oltre i confini di quel profondo universo oscuro. Non percepivo più nulla se non una leggera vibrazione allo stomaco. Non riuscivo a spiegarmi quelle profonde linee d’orizzonte interminabili che sembravano cambiar colore a ogni mio istante. Dal verde all’arancio, dal rosso alla porpora e così via. Era tutto così maestoso, lucente, puro, quasi t’invogliava a diventare tutt’uno con esso. In questo singolare viaggio cercai di non pensar più a nulla. Mi ero realmente rassegnato. Più viaggiavo nell’infinito spazio siderale e più mi rendevo conto del concetto di differenza che vi era tra macrocosmo e microcosmo. Per me tutte quelle percezioni astratte, visioni e immagini andavano oltre il transumanare delle mie capacità intellettive. A un tratto una sfavillante linea blu chiara oltrepassò davanti al mio corpo immateriale, lasciando alle sue spalle innumerevoli scintille effervescenti simili a tante piccole lucciole. Ogni piccola favilla danzava beata nello spazio astrale di quell’immensa dimensione; ognuna di essa emetteva delle note musicali diverse. Assieme potevano comporre tutte la musica esistente poiché nel suo infinito essere la musica, era e diventava ogni attimo d’esistenza l’essenza stessa della vita. Riuscii a osservare le varie costellazioni allinearsi a ogni ritmo emesso. Non potevo spiegarmi quel fenomeno, sembrava tutto così fantastico. Quella morte terrena mi aveva fatto tornare ingenuo, delicato, quasi energico. Vivevo la vita che non avevo mai vissuto. Respiravo il meglio di quello che in vita non avevo mai respirato. Percepivo quello che in realtà la terra non mi aveva mai trasmesso. Tutte quelle sensazioni e quelle apparenti illusioni sembravano assecondare ogni mio più avvallato desiderio. Era così bello. Era così appagante. Era così pieno di vita lasciarsi fluttuare tra le onde stellari dell’universo. Ogni concezione della paura, della morte, della sofferenza, dei rimpianti e così via andava a sfumarsi in soli sentimenti positivi e dolci. Non vi era guerra. Non vi erano soldati o tristezza. Non c’era amore ma solo e unicamente della pura musica. Una melodia che incanalava a se tutti i pensieri positivi degli esseri viventi umani e non, risedenti nell’intero sconfinato universo. Non vi erano note storte perché esse appartenevano alla sodoma della vita terrena. Tuttavia al centro di tutta quella musica incommensurabile riuscii a scorgere una figura tetra. Diversa da tutta quella poesia. Era davvero immenso, sembrava non aver più fine. Essa stonava con tutto quello splendore poiché era formata da numerosi tentacoli da polpo e stringeva tra quei denti sfolgoranti un’energia smisurata…
     
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  3. G.roucho
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    Quell'essere conglobava a se tutte le energie dell’universo. Potevo percepire ogni vita, ogni sua creazione e distruzione all'interno dell’universo stesso. Era quell'abominevole creatura a emettere in realtà quelle linee cosmiche all'interno degli spazi siderali. Ogni nota musicale da me percepita era in realtà un pensiero della creatura stessa. Come poteva un essere così disgustoso dominare l’intera bellezza della musica? Sembrò capire il mio dissenso e provò a emettere un ruggito centrifugo;
    - Sei morto giovane umano. La tua essenza è finita. Io sono la creatura che abita al di là di tutto ciò che conosci. Questo viaggio è possibile affinché tu capisca le potenzialità del TUO potere. Non disperarti giovane umano. A me ogni cosa è possibile ma per via del tempo e dello spazio non posso rivelarti altro del tuo destino. Tuttavia posso soddisfare la tua sete di sapere. Conosco ogni essere esistente in ogni forma e dimensione delle galassie più conosciute e tu, come una piccola formica sperduta in questo infinito universo, ti conosco perfettamente sia nell'animo e nel fisico. Non sono né vivente né morto. Come te sono un semplice osservatore dell’esistenza. Liberati dal male che ti percuote dall'interno…il tuo potere può essere usato per scopi nobili. Sei ancora un giovanotto…hai tutta la tua vita davanti a te. L’intero percorso della tua realtà ti riserverà un tragitto lungo e tortuoso ma se preso consciamente, diventerai il più grande eroe della tua epoca. Non dare retta alla via del male. Essa concede grandi soddisfazioni ma riduce l’anima a brandelli. La fatica di vivere e della sopravvivenza rende un essere vivente non un martire ma un vero e proprio EROE. Essere spregevoli, spietati e vendicatori non porterà altro che una strada dritta verso la morte. Le mie parole saranno dimenticate da te col tempo ma rimarranno, sperduti chissà dove, per sempre nei meandri metaforici del tuo cuore. Lasciati guidare dalla vita, perché essa stessa è il piacere dell’esistenza umana. Assapora l’amore, il sesso, la natura, l’amicizia e soprattutto ascolta e quando sarà il tempo componi della dolce musica. Essa richiamerà ogni qual volta quelle mie parole. Non ti giudicherò per quella tua inutile violenza. Ogni essere vivente conosce nei propri sogni gli istintivi pensieri che tramutano le emozioni in apparenti realtà… -
    “ Vuoi dire che non ho mai ucciso quell'uomo? “ chiesi d’impulso alla creatura. Non parlavo realmente, sembrava che tra noi due ci fosse una specie di scambi di pensieri eterogenei e incorporei.
    - Uccidere. Cosa vuol dire uccidere? Non esiste la morte. Ogni essere vivente vive la sua vita incondizionata da un legame con me…con ogni cosa! La morte è un processo evolutivo che allontana dalle emozioni frivole della vita. Osserva oltre la vita, scruta ogni suo attimo. Allarga i tuoi profondi orizzonti e gioisci quando riuscirai a far sorridere un altro essere triste. Ama incondizionatamente ogni suo attimo. Ogni suo sorriso e qualsiasi parola pronunciata che richiama a se il “Grazie” o il “Prego”. Affronta ogni demone che la vita interiore ed esteriore ti disporrà davanti al tuo cammino. Esso è una prova. Come quella prova che hai vissuto poco tempo fa! Non fidarti troppo di chi appare essere entusiasta della sua vita. Esamina, studia e poi gioisci. Ogni essere vivente contiene nella sua anima infinite sfumature di personalità… -
    “ Che cosa succederà adesso al mio corpo? “
    - Quello che deve succedere… -
    “Che cosa accadrà alla mia vita dopo questo?”
    - Semplicemente quello che deve accadere. Non c’è bisogno di porsi tutte queste futili domande. Come ti ho già detto basta vivere a pieno l’essenza della vita. Essa ti rivelerà ogni risposta alle tue mondane domande! –
    “D’accordo…volevo chiederti un’ultima cosa. Hai parlato delle potenzialità del mio potere. Cosa c’è che non va in me? “
    - Non c’è niente che non va in te piccolo essere umano. Non posso rivelarti nulla riguardo al tuo potere per colpa di ESSO… -
    “ESSO? Che vuoi dire con quest’affermazione…”.
    - Esistono delle cose che non possono essere dette o pronunciate. Esso è il TUTTO o il NULLA che ha voluto che tu ed io ci incontrassimo in questo spazio siderale. Non mi è concesso dirti di più… -
    “Vuoi dire che c’è qualcosa o qualcuno più immenso di te? Che magari ti controlla…che ti ha messo qui al centro dell’Universo…”
    - Perspicace. Io sono solamente un mezzo che conduce allo scopo. Tale scopo non mi è dato saperlo. Siamo tutti piccoli tasselli di un puzzle di un qualcosa più grande. Non è sempre concesso sapere tutto. Alcune domande rimarranno per sempre irrisolte perché per la loro stessa natura non possiedono apparentemente una risposta. Ora però ti devo lasciarti andare mio piccolo essere umano, ESSO mi chiama e devo ubbidire. Addio piccolo Kyrios Yume… - così disse prima che tutto scomparisse all’istante. Rimasi per un attimo nell’oblio assoluto; l’universo, le sfavillanti scintille galleggianti e il resto erano semplicemente scomparsi…
    “ Non puoi andartene così! Devo sapere altro…”

    Non andartene docile in quella buona notte,
    I vecchi dovrebbero bruciare e delirare al serrarsi del giorno;
    Infuria, infuria, contro il morire della luce.


    Come se non fosse mai successo niente, mi risvegliai di soprassalto in camera mia. Era tutto normale. I libri al loro posto, il coprifronte come dal solito ben posto sul comodino alla mia destra e così via. Era tutto dannatamente così comune che non riuscii a credere di aver sognato e immaginato tutto. Mi alzai di scatto tutto sudato dal lettino e osservai la leggera brezza della cauta notte. Un sogno. Uno strano e triste sogno. Un sogno nel sogno. Scesi al piano di sotto per controllare la situazione. Mio padre era nel suo letto, tutto era in ordine e il tempo trascorreva tranquillamente. Non potevo crederci. Corsi al bagno per sciacquarmi la faccia e mai come quella notte la fredda acqua mi sembrò più vera; d’istinto piansi e lasciai che quell'enorme pianto dei sensi balenasse tormentato nell'animo…

    E tu, padre mio, là sulla triste altura maledicimi,
    Benedicimi, ora, con le tue lacrime furiose, te ne prego.
    Non andartene docile in quella buona notte.
    Infuriati, infuriati contro il morire della luce.


    To be continued...
     
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    Principio Antropico ~ Capitolo I


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    Quando mio padre mi urlò di prendere a volo la piccola fiaccola, io in quel momento ero già riparato dietro il verde fogliame; ero spaventato ma allo stesso tempo mi sentivo al sicuro. Quel gesto però aveva causato la distrazione di mio padre che preso alla sprovvista fu azzannato alla gola. Quando successe, io ero ancora nascosto; udivo ancora i gemiti dolorosi del mio vecchio pronunciare con debole bisbigliò il mio nome. Non ero pronto per affrontare tutto questo. Non ero in grado di combattere quella bestia arida di sangue. Non doveva succedere. Io era il ninja e lui solo un dottore. Io dovevo difenderlo e invece mi ero nascosto come un vigliacco per la paura. Quella bestia. Quella maledetta aveva rovinato tutto. Potevo sentire i suoi passi, i suoi guaiti di richiamo del branco. Fiutava soddisfatta nell’aria il mio odore. Ero diventato la prossima preda per un piacevole antipasto. Mi batteva il cuore. Veloce l’adrenalina mi saliva su per le vene. Sentivo il richiamo della paura oltrepassare quell’attimo improvviso e istantaneo. Avvertivo l’istinto di sopravvivenza che mi batteva forte l’abisso dei pensieri; sussurrava di correre e fuggire verso casa. Ma come? Come potevo fare? Non potevo. Era illogico e stupido. La bestia era a conti fatti più veloce di me e conoscendo la natura della lupa, essa aveva chiamato a raccolta anche altre bestie nei dintorni; mi davano in qualche modo la caccia. Annusavano nell’aria il sudore della mia paura. Dovevo limitare i loro sensi e ingannarli per crearmi un varco nella loro cecità. Ero un ninja e non vi era tempo per la compassione e la disgrazia. Dovevo salvarmi per non finire come mio padre. Feci capolino tra le fonde e aprii un piccolo varco in essa per osservare la scena. Quello che era rimasto di mio padre erano solamente una faccia mutilata e aperta a metà, dove vi si potevano ben vedere gli interni, e lo stomaco squartato con la fuoriuscita di viscere mangiucchiate dalla disgustosa lupa. Era una scena davvero abominevole. Improvvisamente una piccola e lenta lacrima cominciò a fuoriuscire dalle mie orbite tondeggianti. Volevo piangere, sfogarmi e vendicarmi di tutto quell’orrore che non potevo dominare. Per un attimo il silenzio e la sofferenza divennero le mie due uniche amiche. Sapevo in cuor mio che un minimo rumore poteva costarmi caro; qualunque fuoriuscita di un piano sarebbe diventato inutile. Passarono dei minuti e la mia mente cominciò a elaborare qualcosa. Dovevo affidarmi completamente ai sensi e alla ragione. Era l’unica via per la salvezza. Avevo più percentuali di sopravvivenza se mi affidavo alla più completa riflessione. L’istinto e l’adrenalina portavano a far cose stupide ed io dovevo evitare in qualunque modo un errore del genere. Chiusi gli occhi, respirai a fondo la natura attorno e mi lasciai assorbire da essa per ogni ripianto, paura e desolazione. L’aria si era fatta nefasta, provavo una sensazione di sconforto, un sentimento che ricadeva nella profonda desolazione. Mi spostai velocemente in avanti facendo attenzione a non causare rumore con le scarpe. Ogni ramoscello, foglia o arbusto poteva potenzialmente rovinarmi il nascondiglio, causandomi fatalmente la morte. Calma. Dovevo concentrarmi…ma in quel momento mi riusciva abbastanza difficile. Fissai i miei pensieri su qualcosa di bello ma l’immagine sfumava, continuamente, diventando a poco a poco quell’orrenda del corpo martoriato di mio padre; tutto di un colpo intraprese a invadere i miei profondi pensieri…
    Un ululato profondo circondò la grossa lupa che da qualche tempo aspettava indifferente la venuta del branco; il più grosso di loro, il capobranco, mostrava la stazza di un orso con grosse zanne bianche e possenti zampe. Sembravano comunicare attraverso alcuni segnali come guaiti o piccoli ululati. Per un momento desiderai di capir i loro pensieri. Assieme sentivano ancor di più la mia presenza ma io, approfittando di una loro distrazione, salì svelto su una quercia usufruendo della concentrazione del chakra. Quella mossa però mi era costata cara. Il mio brusco movimento aveva allertato un piccolo cucciolo di lupo che si era messo come un dannato a mugolare contro la piccola quercia. Cercai in tutti i costi di scacciarlo con dei sassolini ma la creatura non si arrendeva e nel buio continuava a frignare. Tutto a un tratto mi ritrovai circondato da un branco numeroso; a ogni attimo aumentavano sempre di più, affamati e violenti latravano con saliva ai denti alla mia persona. Ero spacciato. Qualunque cosa io pensassi o facessi era atto inutile. Ancora inesperto senza un potente jutsu in grado di fronteggiare quella famelica avanzata, rischiavo di rimanerci secco. Ero stato sfortunato. La loro intelligenza si era dimostrata sbalorditiva, al di là di ogni altro lupo conosciuto. Ad uno ad uno battevano il debole albero con l’intenzione di farmi scendere. Alcuni di essi si erano già sistemati dietro il tronco, aspettavano pazienti la mia scesa. Forse non era la prima volta che cacciavano qualcosa o qualcuno che si era rifugiato su un albero. Il mio non era neanche troppo grande e per giunta percepivo la sua instabilità: era una quercia debole. Maledizione! Non potevo morire, lasciare la vita in quel modo per finire di essere sbranati da qualche bestia non era il massimo. Dovevo escogitare qualcosa…ma cosa? Preso dallo sconforto e con poca lucidità a farmi da padrone cominciai ad agitarmi traballando sull’albero. Stavo persino perdendo l’equilibro delle mie capacità ninja. Era arrivata alla fine per me…
    Pensai a tutte le cose belle, le parole dolci della vita che ti lasciavano qualcosa dentro, una percezione che ti equilibrava e ti divideva dall’essere unicamente umano. Il cuore batteva, nuovamente. Le mani mi sudavano, nuovamente. Con ultimo gesto di disperazione lanciai un vivido urlo gettandomi tra il branco per colpire la bestia più spietata di tutte, quella che aveva causato quel caos e che aveva squartato mio padre, la grossa protettrice dell’intero branco e madre dei più piccoli, la spietata e predatrice lupa regina!
    Da quello che né scaturì non ricordo granché. Nei meandri dispersi della mia giovane mente rimembravo ancora il muoversi veloce della polvere della terra e il caldo gelido dei fiati violenti di quelle istintive creature...poi chiusi gli occhi e a un tratto, tutto, tacque...

    Sognai la mia genesi nel sudore del sonno, rompendo
    Il guscio rotante, potente come il muscolo
    D’un motore sul trapano, inoltrandomi
    Nella visione e nel nervo travato.


    Edited by G.roucho - 8/4/2015, 21:49
     
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    Il vento. Il buio di una leggere brezza. L’ombra del passato che confluisce nel futuro. L’ombra del presente che svanisce nel passato. Attimi che vengono, che volano via e non tornano più. Che cosa resta di me in questo spazio vuoto? Forse la mia coscienza. La mia vita. Osservo a poco a poco l’allontanarsi del margine d’orizzonte. Non riesco a sentire più la musica cosciente del sudore, della disperazione e della morte. A un tratto la vista annebbiata dal corvino oscuro dello spazio vuoto assume un nuovo orizzonte di visioni e colori. Un’immagine. Una singola figura appare ai miei occhi come luogo alternativo degli estesi, profondo e vitale conseguenza delle cose. Una città lussureggiante dai vividi suoni delle moto, della tecnologia in continua evoluzione e dal dinamismo volubile. Non conosco nessuno in questa grande metropoli; i negozi sembrano tutti statici, anche se pieni di colori effervescenti, dal lilla al rosso, dal verde neon al blu cobalto acceso. Sembra un paradiso del futuro. La gente cammina lenta e divertita come se fosse sempre festa; uomini con portamenti da ricconi sperperano i loro ryo per velivoli ultra-macchinosi, lasciano che la loro fama sia sulla bocca di tutti. Non mi stupisce più niente in questa città del futuro. Ora stanco e logoro cerco una via di ritorno verso casa nelle infinite sfumature di queste strade. Non sono triste ma confuso; da dove deriva questa città così vigorosa? A un tratto un mucchio di gente corre svagata verso un’enorme luce bionda; proviene dal fondo. E’ così vistosa. Allegra. Rassicurante. E’ la ruota panoramica di un piccolo Luna Park. A un tratto mi viene voglia di correre lontano. Voglio avvicinarmi a quei movimenti globulari dalla tinta lucente, come il sole nel pieno crepuscolo del mattino. Voglio sognare, giocare, divertirmi in quel parco giochi come se non ci fosse altro pensiero nella vita. Mi fermo, sono incantato dalle piccole giostre che vivacizzano i miei pensieri. Da un lato i sorridenti saltimbanchi si esibiscono mostrando il loro miglior repertorio; dall’altra fenomeni da baraccone mettono a repentaglio la loro umiltà pur di far sorridere il loro pubblico. Ecco la donna barbuta. Signori e signore l’uomo con due teste. L’uomo con la barba più lunga del mondo. Agli occhi della gente questi esseri appaiono felici e spensierati delle loro azioni. Io lì posso osservare incatenati in quel luogo di divertimento, dove pur di far soldi, crea nel cuor di chi ci lavora la tristezza e l'oppressione. Prima all’angolo vi era un pagliaccio, piangeva perché non riusciva a far ridere. Ora tutto mi è chiaro. Questo è un sogno. Un maledetto incubo dove la mia mente naviga in mari sconosciuti dell’inconscio. Sono lucido, comprendo ciò che sogno. Non riesco a svegliarmi ma tutto, anche con lucidità, continua a essere vivido. Percepisco nuovamente le sensazioni, sono io ora a dirigere la scena. Nell’aria sento l’odore del ramen appena fatto, caldo e intenso, mi entra in corpo come un odore primordiale. I bambini sono in festa e la giostra continua a girare; d’improvviso, in mezzo alla folla, squadro la figura familiare di una persona. E’ una donna, lunghi capelli neri, labbra carnose e una fine camicetta di seta bianca. Io…la conosco. Mi ha visto. Lentamente si avvicina. Non so dove…ma quel portamento, quegli occhi… mi ricordano qualcosa;
    - Hai da accendere bello? – mi domanda la donna con indifferenza.
    “Sono solo un ragazzino…”
    - Sei un drogato? Dall’aria non si direbbe… -
    “Drogato? Guarda che ti sbagli!”
    - Io? Sbagliare? Ma ti sei mai visto allo specchio? Ah…ho capito! E’ un nuovo metodo per agganciare delle donne come me? Fare la parte dello smemorato… - scherza lei con fare ironico.
    “Io ricordo tutto! Tu invece sei nel mio sogno…”
    - Oh… Capisco. Il tuo sogno. E dimmi…Young Boy…ti piace quello che vedi? –
    “Non lo so. Dovrebbe piacermi quello che vedo?”
    - Ah tu sei tipo da giochetti. Capisco. Ragazzino…dammi 500 ryo e posso farti anche da madre… -
    “ Non capisco. Senti, io devo uscire da questo maledetto incubo! Tu sei parte integrante di tutto questo…dimmi come fare per tornare a vivere…”
    - Bhe…per prima cosa ti accompagno a casa mia. Ho un appartamento proprio qui vicino…se non sei schizzinoso e non ti danno fastidio i ratti, puoi anche salire da me! – così disse prima di uscire in fretta dal parco fumando una sigaretta rovente. Io la seguii senza indugi, passai con lei un vicolo buio lontano da quella città del futuro e salii quasi nauseato in quel palazzo così sporco e usurato.
    - Bella topaia eh? Avanti entra. Non toccare niente. Sono un po’ assillante su queste cose… -
    Gli diedi le spalle. La dimora, a differenza dal palazzo che lasciava a desiderare, era mantenuta abbastanza bene, anche se mancava di stile. Era abbastanza piccolina, con l’utile e necessario;
    - Sdraiati su quel letto… - sussurrò sottile la donna.
    “Cosa?”
    - Non preoccuparti! Ho lavato le lenzuola...-
    “Non è quello che mi preoccupa…”
    Non capivo dove voleva andare a parare. A un tratto le luci si spensero e in un lampo la donna si sfilò la maglia e poi il reggiseno, mostrando due piccoli seni ben sodi;
    - Ora spogliati! Lasciati coccolare da tua madre! Succhia questo latte…assorbi la linfa vitale della tua Elizabeth! –
    “Che cosa hai detto?” mi lasciai andare a un commento confuso. Ecco dove l’avevo vista…era lei…era Elizabeth! Tutto a un tratto la stanza si deformò e nel segno del caos mi ritrovai risucchiato nell’oblio oscuro della mia mente. Lei scomparve del tutto.
    Quel sogno che tutto a un tratto si era mostrato così limpido e vivo…ora giaceva ancorato in una prigione dell’inconscio. Ero ritornato alla situazione di prima…vagavo nell’infinito nero corvino. Alcuni flash mi mostravano il viso di quella Elizabeth. Perché tutto ciò? Che senso aveva? Capii che ancora una volta l’inconscio si era preso gioco di me. Era come un musicista brioso che non mostrava mai la sua più grande opera al pubblico, limitandosi solamente a prendere in giro l’intero mondo. Ora dominava totalmente i miei pensieri e le mie paure. Risucchiava in essa le mie buone speranze e amalgamava il tutto in cocktail senza sapore. Ero solamente l’artefice del nulla. Niente lucidità. Niente dalla vita stessa…

    Erede delle vene in cui bolle la goccia d’amore,
    Preziosa nelle mie ossa una creatura, io
    Feci il giro del globo della mia eredità, viaggio
    In prima nell’uomo che ingranò nottetempo.
     
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  7. G.roucho
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    Fuoco divampa. Eterna solitudine. Luogo di sterminio. Lontano ricordo.



    Osservavo con fatica quello che si presentava ai miei occhi. Un oceano di fuoco divorava feroce quel luogo maestoso che una volta risedevano pace e prosperità. Anche la mia tenda andò bruciata e con essa tutto il mio doloroso ricordo di quel maledetto viaggio. Ai miei piedi notai una grossa fune che mi teneva ben legato a una specie di palatura di legno. In quell’inferno di fuoco tutte le bestie che una volta dominavano la zona si mostravano impalate e squartate in alcuni pioli di legno che si chiudevano a cerchio davanti ai miei occhi. Ogni cranio di quelle bestiole era stato stranamente svuotato e riempito di segatura. Chi più bestia della bestia stessa poteva aver mai fatto una cosa del genere? La risposta non tardò ad arrivare. Un gruppo di Mukenin si eleggevano vincitori in quella corposa carneficina. Come retribuzione della loro caccia, stavano bruciando senza sensi di colpa, tutta quella povera natura violentata. Come essa provavo un profondo sentimento di solitudine e disprezzo per gli uomini. Mi sentivo male. Troppo male. Avevo la gola secca e facevo fatica a respirare. Le braccia e le gambe mi si allargarono d’improvviso; ci misi un po’ di tempo a capire che si trattava di una tipica tortura di quei banditi. Ero troppo piccolo per resistere a tutta quella violenza e così mi lasciai andare alla conquista della morte. Chiusi gli occhi come per morire e nell’attimo della stessa vita respirai a fondo per ben tre volte. Il capo dei banditi si avvicinò a me come per deridermi e spogliandomi del tutto dei miei vestiti, mi bruciò sul petto un pezzo di legno rovente. Non sentii il dolore raggiungermi e nemmeno la sofferenza. Come in uno stato di estasi assoluta fissai la mia stessa pelle sciogliersi lentamente dal mio corpo. Colava tra il sangue corposo e lo sporco del sudore. Il bandito era lì e non riusciva a capire lo strano e ammutolito silenzio; diede un ordine ai suoi uomini ed essi mi tolsero dallo strumento di tortura per portarmi al suo cospetto. Io socchiudevo gli occhi, non volevo peccarmi dell' azioni di quell’uomo. Il Mukenin lanciò un grido di disperazione e con una ferocia inaudita conficcò nel mio stomaco un kunai di ferro. Potevo vedere le viscere spruzzare ai bordi del mio ventre ma anche in quel momento non provai nessun dolore;
    - Perché questo ragazzino non urla? Cosa c’è che non va in lui? Nessuno resiste così tanto a una tortura del genere. Guardate quanto sangue fratelli miei…temetelo presto perché esso è un sangue maledetto! Lui non è un essere umano! Come il fuoco domina la natura…noi adesso vinceremo la sua immortalità! – così disse prima di ordinare ai suoi uomini di lanciarmi nel fuoco rovente…
    Per un attimo il suono, la fiamma, quegli uomini e tutto il resto diventarono semplici ceneri in un tempo senza spazio. Un pizzico freddo dell’intera esistenza entrò in me in cerca della felicità. La morte aveva raggiunto il suo scopo e ora richiamava a me la figura del suo destino. Un corridoio. Quello che vedetti dopo fu solamente un lungo corridoio bianco. Camminai senza voltarmi indietro per scoprire il futuro. Quella porta. Quella dannata porta posta in fondo riportava sulla targhetta la dicitura del mio nome: Kyrios Yume. Aprire la porta fu il passo più facile…quello che vi trovai dentro fu il difficile. Nuovamente una stanza vuota rappresentata dall’illusione del mio inconscio; all’interno una piccola luce schiarì un tavolo di legno con sedute due persone a me ben note. La giovane Elizabeth e il capo dei banditi;
    - Ciao…Young Boy! – esclamò ironica la fanciulla.
    “Elizabeth…”
    - Dimmi Hades. Ti andrebbe di fare l’amore con me? –
    “Hades? No… ti sbagli… il mio nome è Kyrios…”
    Il capo dei banditi si tolse di scatto la maschera e si mostrò come un uomo vecchio e logoro;
    - Hades? Ti prego non pronunciare più il nome di mio figlio. Lui è morto e non ritornerà mai più in vita... –
    Quell’uomo, dal volto più vecchio ma ben riconoscibile era mio padre. Non c’erano dubbi. Era vivo e nei meandri più nascosti del mio pensiero risorgeva dal nulla come emblema della mia disperazione;
    “Scusami padre…io ti ho abbandonato quando tu avevi più bisogno del tuo povero figlio! Riuscirai un giorno a perdonarmi? Non desidero altro che il tuo perdono…”
    - Padre? Come osi chiamarmi padre! Tu sei un impostore. Non osare... via da me figlio che proviene da sodoma. Fasullo non riuscirai a ingannare ancora la mia mente. Non sei lontanamente somigliabile al cadavere di mio figlio. Taci brutta copia senza anima… -
    “Elizabeth ti prego…almeno tu! A te sicuramente darà ragione. Dirglielo che io sono suo figlio…”
    - Hades. Mi costringi a dire le bugie. Cosa c’è…ti eccita dirmi le bugie? Vuoi che giochiamo ancora? –
    Era una pazzia. Tutto quello. Tutte quelle voci senza senso non potevano essere parte integrante del pensiero. Corsi di scatto in una porta più lontana; dovevo uscire da quell’incubo, mi stava divorando nel profondo dell’anima. Il labirinto di porte della mia mente si apriva con un’interessante mostra dei miei ricordi ben sospesi tra gli angoli straziati dell’anima; c’erano quelli relativi alla guerra, i pensieri rivolti a mia madre, all’amore per la natura, allo studio, a mio padre e alla stessa vita. Tutto ruotava nello splendore dell’essenza di una pazzia onirica. Che limite c’era tra la pura realtà e un plasmabile sogno dannato di una notte? Nulla. Continuava a regnare la disgregazione eterna. Mi fermai di soppiatto dietro ad un’illusoria riva di un fiume. Era la mia ultima meta, quella che nel bene e nel male mi avrebbe rivelato la realtà sulla stessa esistenza. Su un solo letto del fiume riponevano da un lato una risposta alla miseria della vita stessa e dall’altra la conseguenza della morte apparente. Scesi lontano da quell’acqua aspra e mi lasciai con solitudine trasportare dolcemente nelle curve di quel percorso senza fine…

    Il giorno dopo

    “Apri gli occhi. Apri gli occhi giovane Kyrios. Sono io. Hai dormito tutto questo tempo. Sono Elizabeth…”

    Sognai la mia genesi nel sudore di morte, caduto
    Due volte nel mare che nutre, diventato stantio
    Nell’acqua salata di Adamo finché, visione
    Di nuova forza umana, io cerchi il sole.




    To be continued...
     
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    Devo dire che a me piace molto, o meglio intriga, il modo in cui scrivi; è pomposo, vero, ma allo stesso tempo è ammirevole che tu riesca a renderlo così scorrevole nonostante il lessico e le associazioni di parole siano ben strutturate ed anche abbastanza ricercate :sisi: Ma c'è una pecca: ogni tanto hai sbagliato qualche preposizione e devi migliorare la punteggiatura in alcuni punti, e te ne prendo solo uno ad esempio!
    CITAZIONE
    poi chiusi gli occhi e a un tratto, tutto, tacque...

    Diciamo che le virgole qui c'entrano poco :sisi:
    Comunque ti do 33 Exp perchè sei davvero bravo e mi piace molto la tua maniera di scrivere, ed anche la storia mi sta intrigando :tada!:
     
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  9. G.roucho
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    Principio Antropico ~ Capitolo II


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    Ancora non ci potevo credere. La giovane Elizabeth mi aveva baciato. Quella pelle. Quella rossa carne focosa aveva toccato per la prima volta le mie giovani labbra. Mi sentivo male, a stento riuscivo a fiatare. Il cuore mi batteva veloce nell’animo. Sentivo qualcosa che non andava, come una sensazione euforica che riusciva a incatenarmi fatalmente al muro dell’amore. Quasi non riuscivo a sentire i suoni intorno a me. Quella ragazza aveva rapito il mio cuore e ora lo stava usando per amalgamarsi con esso. Sentivo i suoi battiti, il suo cuore, le sue pulsazioni sessuali rintronare nella mia mente; non riuscivo a uscirne, ero rinchiuso in una cella fatta da odori, sudore e piccole sensazioni animalesche. Sentivo una pulsione energica colpire l’intero corpo. Perché gli esseri umani erano attratti dalla riproduzione del loro stomachevole seme? Ero entrato anch’io nel girone del sesso. Sentivo la presa forte di quei sapori, di quei colori forti e della piacevole sensazione che bramava il calore eterno. Mi osservava e quasi disinibita mi richiamava a sé, mentre mi mostrava con leggera allusione i suoi morbidi seni. Perché ero attratto dalla sua fisonomia? Per quale ragione non riuscivo a pensare altro che a lei? Incappai sbadatamente tra le sue braccia e lei, più matura di me, continuò a toccarmi i capelli come se volesse possedermi. Mi voleva e non faceva altro che sussurrarlo nelle mie orecchie mentre pronunciava il mio nome. Cos’è era quella tormenta di emozioni che colpivano i miei sensi? Quell’alito caldo della sua bocca che ricadeva lento sulla mia pelle; quei brividi sulla schiena, lunghi, dolci, eterni… che riversavano come piccola pioggia sulle sensazioni confuse del mio corpo. Sentivo il suo ansimare. Suda forte mia ubbidiente damigella. Quel perenne stato d’incontrollabilità. Stavo vivendo il viaggio più extracorporeo della mia vita. Sentivo il sangue ribollire caldo nelle vene; i sensi della vita accendersi davanti all’opportunità della riproduzione. Stranamente mi ero lanciato tra le braccia dell’incarnazione animalesca; ora era lei a comandare i miei istinti. Che demone sono se non posso controllarmi? Lei è il vero demone. Con quelle sue mani illusorie, con quella sua voglia di toccare, esplorare e dominare la coscienza dei sensi; lei era in quel momento sia il mio caldo interiore sia il mio freddo esteriore. Era il tutto e anche il nulla. La fine e l’inizio. Io l’eterno viaggiatore nel profondo deserto e lei la regina Sole nel caldo dell’inferno. Non riuscivo a trovare le parole per descrivere i suoi occhi, profondi come la sua anima pura ma ammalianti di quel suo stesso corpo docile. Quasi mi pareva di compiere un reato. Mi sentivo un orco e lei la principessa. Mi sentivo un famelico lupo e lei un povero scoiattolo.
    Cosa ne era della mia anima?
    Cosa ne era della vita eterna?
    Cosa ne era rimasto della morte?
    Cosa ne era rimasto dell’amore?

    Solo uno sciocco sentimento. Solo un’eterna disperazione. Vivere secondo dei canoni illusori della vita stessa. Aiutami. Aiutami. Posso sentire il deglutire lento della mia voce; la lingua che s’incastra nelle parole della morte. Non voglio perdere l’essenza della gioia, il battito inesorabile dell’amore eterno. L’oscurità divampa. La Vita. Chiamala Vita colei che fa finta di essere Vita. Frasche ingannevoli in cui si nasconde la vera stirpe del male. Cos’è rimasto dal crollo di questo vero amore? Nulla. Il silenzio. Altra nota bruciata della stessa esistenza. C’era un vuoto, in quello stesso tempo abbandonato dalla mia interiorità; un vuoto generato da me stesso. Sono stesso io quel malinconico vuoto?
    Tutto sembrò scomparire d’innanzi ai miei occhi come una luce bianca; fortissima e con un sottofondo assordante di un eterno mormorio. Freddo. Incontrollabile artico dell’anima. Davanti a me un’energia bianca mi divora completamente. Non ho paura. Di tanti miei incubi fatti fino adesso, questo è quello che preferisco di più. Non c’è cattiveria in tutto questo e non vi è alcuna malizia in questo spazio vuoto. L’amore eterno era generato dal sesso primordiale…ma quello spazio vuoto era stato creato per focalizzare e incarnare il mio sentimento inconscio dell’innocenza. In quello spazio magico, completamente avvolto dal silenzio, ritrovai nel suo profondo la figura docile di Elizabeth. Aveva un profondo vestito dalle sfumature rosse e capelli corvini sbiaditi dal cuor della tenera luce. A suo fianco vi era anche il piccolo scoiattolo Risu; giocherellava e nell’eterno spazio bianco dell’innocenza, si perdeva girovagando felice come se non ci fosse un domani;
    - Raggiungimi, avanti… - urlò malinconica la fanciulla. - Mi fa ancora male… -
    Stranamente, non riuscivo in nessun modo a correre; mi sentivo oppresso e bloccato da una percezione invisibile, quasi non vivente. Era più forte di me e mi teneva ben legato alla paranoia dei miei pensieri e della mia esistenza. Che cosa era successo al caos? Posso sentirlo lamentarsi nella mia testa, forse è vivamente avvolto dallo spirito della propria decadenza. Lasciami andare infima creatura. Posso sentire il tuo male riecheggiar nella mia mente. Voglio solamente vivere una vita senza pervertimento. Chi sono realmente io in questo spazio bianco? Cos’è realmente lo spazio bianco? Dammi almeno una risposta all’inevitabilità della vita stessa. Sono o non sono ancora vittima e carnefice dell’oblio onirico? Cosa c’è…non mi vuoi rispondere? Hai paura che possa lasciarti soffrire sotto il tuo martirio? Non andartene docile, creatura immorale del mio inconscio. Ti cercherò, ti prenderò e ti strangolerò per evitare che tu maledica la mia vita. Io sono la realtà. Tu l’illusoria vita che non potrà mai avere. Quel suo collo, quella reale vitalità che pulsava improvvisamente sotto le mie mani, apparteneva in realtà a una figura incappucciata dall’oscurità. Cosa sei? Gli chiedo invano. Le tolsi con forza la lunga veste di seta che ricopriva il suo corpo. ;- Io sono la PERVERSIONE. Aiutami a morire…Young Boy! – URLA. URLA. URLA. URLA. URLA. URLA. URLA. URLA.
    Non poteva essere. Del sangue mestruale sgorgava dalla sottoveste di quella strana figura. Avevo appena ucciso una giovane fanciulla macchiata dalla violenza delle mie perdute azioni...

    Splendessero lanterne, il sacro volto,
    Preso in un ottagono d’insolita luce,
    Avvizzirebbe, e il giovane amoroso
    Esiterebbe, prima di perdere la grazia.
    I lineamenti, nel loro buio segreto,
    Sono di carne, ma lasciate che entri il falso giorno
    E dalle labbra le cadrà stinto pigmento,
    La tela della mummia mostrerà un antico seno.



    Se vuoi…
    Ti capirò…
    Nel profondo della tua anima…
    Elizabeth. Perdonami…
     
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  10. G.roucho
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    I was standing by my window
    On one cold and cloudy day
    When I saw that hearse come rolling
    For to carry my mother away

    Will the circle be unbroken
    By and by, Lord, by and by
    There's a better home a-waiting
    In the sky, Lord, in the sky

    L’aria. Non posso sentire altro che un odore intenso. Fastidioso. Come la salsedine. Completamente amaro. Starnutisco e mi risveglio da quel mio burrascoso tremore. Sento la vita scendermi lentamente nel corpo; pesante come questo stesso vento. Alzo gli occhi verso il cielo e mi rendo conto di essere solo. Sento scivolare sulle mie dita qualcosa. Percepisco un grosso prudore; piccoli granelli di sabbia che si posano delicati sulla mia pelle bagnata. Osservo lento il degenerarsi dei miei sensi. Solamente gli occhi sono rimasti dentro di me per costringere il mio sguardo a perdersi sul lontano mare. Una piccola spiaggia sconosciuta ai miei ricordi. Vivo perenne con il desiderio di allontanarmi da me stesso. Tutto si spegne nel pensiero. Solamente una melodia danza nell’aria e va amalgamandosi con il suono del onde; osservo il crepuscolo dell’orizzonte trionfare vivido sul solco del mare; la gente si raduna, d’improvviso, come se assistesse a uno spettacolo energico e misterioso, quasi trascendente. Un grosso orologio sulla banchina risuona l’avvento della sera. Aria romantica, notturna che richiama a se l’oscurità abissale della morte. C’erano di tutti i tipi, di esseri umani intendo, piccoli, grandi, vecchi, donne, uomini, bambini…praticamente tutti. TIC. TOC. TIC. TOC. La grande sveglia risuona l’esplosione delle ore e la folla acclama l’avvenuta dei fuochi del cielo. Io ero ancora lì, senza voglia di vivere; seduto su una piccola sedia di un bar notturno, osservo indifferente lo scoccare dei fuochi d’artificio. Nessuno è accanto a me. Nessuno. Posso bere? Mi rimane solamente un piccolo bicchiere di acqua salata. Com’è infelice la vita mentre la ammiri dal passato. Non puoi giudicarla. Non si può ritornare indietro per continuare a fingere che vada tutto bene. Ormai sono logoro e vecchio e il tempo è passato velocemente; quanti anni sono passati? Ancora me lo domando dall’ultima volta che ho cercato di andarmene via da quella nostalgica spiaggia. Ora non mi resta che brindare alla MORTE. Lei è qui, accanto a me, vestita con un costume da spiaggia e un sombrero messicano; ridacchia, attenta, alle mie battute sulle donne;
    - Dovrei proprio cambiare mestiere… - mi sospirava irrequieta la Morte mentre teneva ben saldo tra le mani un drink alcolico;
    “Come mai?” sostenevo io senza voglia;
    - Mah. Sono stanca. Vorrei fermarmi in questi luoghi, scrivere poesie, contemplare il mare. La mia Vita è una noia. Via di qui, torna di là. Prendi questo, acchiappa l’anima di quello. Voi esseri umani siete alquanto noiosi. Vi lamentate sempre…anche in punto di morte. Che posso farci io se la natura della Vita è quella di morire? Ma che parlo a fare; credo di averti riempito la testa di queste fandonie… -
    “No. Ti prego…continua pure. Non è da tutti i giorni sorseggiare qualcosa con la Morte. Per me è un onore….”
    - Mi lusinghi. Dico davvero. Nessun essere umano mi aveva mai davvero adulato; bada a te però, sono già sposata con Vita. Se mi scopre a oziare e per giunta a parlare con un essere umano…. –
    “Non ci scoprirà mai. Stai calma. Appena avrai finito di sorseggiare questo drink, puoi anche prendere la mia anima. Ormai non m’interessa più…”
    - Mi dispiace, Kyrios Yume. Eri destinato a grandi cose e invece ti sei arreso. Allontanato dalla via del ninja per percorrere un’esistenza sedentaria. Cosa ti ha spinto a fare questa scelta? Non badare alle mie domande. Sono troppo curiosa. In punto di morte, domando spesso agli esseri umani delle cose che mi sono sfuggite al mio eterno potere; sai che c’è? Negli ultimi secoli sono diventata davvero troppo distratta… - sembrava molto amareggiata. La capivo nel profondo;
    “ Il tuo problema è che non fai mai sesso “ così affermai senza doppio senso. La Morte scoppiò a ridere; gli tremavano i denti. Era da tanto che non si sentiva così felice;
    - Capisco cosa intendo. Peccato. Un vero peccato. Mi sei davvero simpatico. Vorrei darti qualche giorno in più…ma sei stato tu stesso a chiamarmi, suicidandoti su queste sponde vuote del mare. La Vita è sacra e tu l’hai sprecata perché sei triste della sua stessa esistenza; hai sempre rifiutato mio marito, la Vita. Mi dispiace ma ora lui ti ripudia e per questo non vuole più vederti. Non posso fare altro per te… - affermò malinconica la Morte mentre accarezzava il mio volto pallido con le sue mani scheletriche ;
    “Posso sapere solamente una cosa?”
    - Non sono onnisciente ma posso tentare. Che cosa desideri? –
    “Di cosa ne è stato della vita di Elizabeth? Puoi dirmi se ha vissuto una vita serena?”
    - Elizabeth? La giovane fanciulla della tua infanzia? Posso confermarti che sta benissimo. Ora vive con un uomo al largo del Paese del Mare. Ha avuto numerosi figli, dei birbanti nipotini, un buon marito e un’ottima carriera come medico… -
    “Sono felice…”
    - Non mi è dato dire tante cose. Mi dispiace… -
    “No, va bene così. Grazie…”
    - Ora dobbiamo andare. Il tuo corpo già galleggia nelle profondità marine; col tempo si decomporrà e diverrà nutrimento per altri microrganismi. Il ciclo della vita si ripete, mio malinconico essere umano. Ora osserva quella luce in fondo, cosa riesci a vedere? – domandò curiosa la Morte; mi teneva delicatamente le mani.
    “Mia madre. E’ lei…ciò che posso scrutare oltre l’orizzonte della vita. Non ho mai avuto la forza interiore di cercarla; vi erano giorni in cui preparavo le valigie, pronto per seguire il sentiero di quei ricordi…”
    - Perché non hai mai continuato sulla strada di quel profondo viaggio? Perché rifiutavi di partire sempre all’ultimo minuto? Di cosa avevi realmente timore? –
    “Avevo paura di scoprire la verità…”
    - Quale verità? – chiedeva curiosa la Morte.
    “L’amara verità. Il suo segreto. La eterna consapevolezza dei suoi pensieri; cosa ne era rimasto di me?”
    - Ho capito… –
    “Non odiarmi, Morte mia. Lasciami andare. Ti prego…questa luce diventa fin troppo forte per la mia anima; cantami la tristezza di mia madre…”
    - La verità è… -


    L’oblio.
    Attimi che fuggono.
    Attimi che vengono.
    Consapevolezza di quei baci, di quelle carezze, di quegli abbracci.
    Attimi che fuggono.
    Attimi che vengono.
    L’oblio.
     
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  11. G.roucho
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    Un risveglio. Ancora un altro. Un dannato incubo. Ero vecchio. Stanco. Desolato. Solo. La notte mi sembra più caotica del solito. Le luci non funzionano. La mia stanza è nella completa oscurità. La morte? Una donna. La perversione? Ancora un'altra figura femminile. Madre. Sono ormai infinite le porte della tua incarnazione; non riesco a scordarmi di te, forse nel profondo, non voglio dimenticarti. Dove sei madre mia? Non faccio altro che ripetertelo ogni volta che ti penso. E’ vero che anche nei miei sogni mi hai abbandonato? La finestra è aperta e posso sorridere ai rumori della notte. Un gufo echeggia lento il suo malessere esistenziale. Sono io quell’animale senza alcuna felicità? Vago per la casa senza un obiettivo apparente, solo il tempo sembra essere una porta immobile e statica tra i confini del passato e quelli incerti del futuro. Quei mobili mi sembrano spenti, si eleva nell’aria la lugubre polvere dello sporco. Giace spaventato il mio cuore; non vuole oltrepassare quella porta cupa. Non c’è nessun mostro nell’armadio. Ci sono solo io, un piccolo ninja sognatore d’incubi. Un profumo varca la soglia della mia emarginazione; aspro e fastidioso colpisce veloce i miei sensi come una pugnalata al cuore. Sono disperato. Cerco di accendere una luce alla mia sinistra ma stranamente rimane spenta. Un guasto? Probabile. Soffro d’insonnia, la casa mi sembra più diversa del solito; per un attimo ho ascoltato una risata malefica su quel quadro davanti al camino. Molto Probabilmente, allucinazione da sonno. Un rumore assordante mi fa sobbalzare d’improvviso, si espande goffo nell’aria taciturna; c’era qualcuno in casa? La luce. Quella maledetta lampadina non voleva accendersi. Chi è? Domando con tremore al cuore; un battito. Due. Tre. Di nuovo. Un suono riecheggia nella stanza affianco. C’è qualcosa nel bagno che si agita e si confonde nella notte. Mi avvio cauto nel corridoio che porta al bagno; di nuovo i miei occhi mi giocano un brutto scherzo. Un’allucinazione uditiva ricade nel timpano delle mie orecchie assumendo la forma di un pianto. Lento. Quello di un bambino. Cosa? Manco a farlo apposta, la porta del cesso mi si presenta aperta, con la chiave rovesciata sul pavimento di marmo; chi c’è lì dentro? Arretro di qualche passo. Traspiro e deglutisco più volte. Un'altra volta i gemiti si propagano fastidiosamente; questa volta capisco che quei suoni non sono frutto della mia mente. Sono reali. O forse no? Sono diventato pazzo? Noto con inquietudine che la maniglia della porta è zuppa di sangue. Cosa diavolo succede? Un altro odore si va a sostituire a quello precedente; stavolta assume la sensazione di morte, quasi come per richiamare la decomposizione. Vi è un cadavere di qualcuno al suo interno, per giunta quella di un bambino? Chi sta piangendo in quella stanza? Non ci voglio pensare. Devo agire e basta. Questo bagno è qualcosa d’inconsueto; non ho mai visto lo specchio liquidarsi sotto i miei occhi. La mia immagine deforme sembra appartenere a un’altra dimensione. Il pianto. Adesso posso sentirlo più forte; è vicino a me, eccolo, il bambino nel piccolo lavandino. Quella strana creatura non è un vero e proprio fanciullo ma una specie di feto abortito. Sembra innocua; non fa altro che osservare il mio viso. Perché piangi piccolino? Questo feto è ricoperto di sangue; sul buco del suo ombelico spunta conficcata in malo modo una specie di spuntone di ferro. Ecco perché piange. Sta soffrendo. Quella scena non mi disgusta. Credo di conoscere nella mia anima quella piccola creatura;
    - Kyrios. Sei tu? Sei cresciuto a differenza mia… - quella strana cosa può parlare.
    “Stai soffrendo?”
    - La vita è un continuo soffrire. Soprattutto se si presenta con intenzioni ingiuste. Guarda me, per esempio. Sono intrappolato nel tuo sogno… -
    “Allora mi sono risvegliato dal sogno in un altro sogno? Un sogno nel sogno?
    - Guardati attorno. Niente di tutto ciò può mai essere reale. Questa notte hai conosciuto le incarnazioni della PERVERSIONE e della MORTE. Io sono la parte di te che non è mai nata… - afferma sicura la creatura;
    “Che cosa vuoi dire? Spiegati meglio…”
    - La parte dominante. Sono stato collocato in questo sottolivello dall’inconscio di proposito; non voleva che io influenzassi la tua parte più debole. Sai…ora che sai interagire a pieno con i tuoi sogni…-
    “Interagire con i miei sogni? Cosa vuoi dire?”
    - Come sei ingenuo. Hai un enorme potenziale dentro di te. A differenza di altre persone, puoi vivere un maggior grado di lucidità all’interno dei tuoi sogni. In parole povere puoi percepire e ricevere contemporaneamente e in tempo reale il processo di creazione e di svolgimento del sogno stesso…-
    “Vuoi dire che ho la capacità di controllare i miei sogni? Quindi questo significa…”
    - Che puoi accedere a tutti i ricordi dell’inconscio. Anche quelli della tua nascita. Sono tutti qui…uno ad uno…racchiusi nei cassetti profondi della tua mente; tuttavia questo controllo non è sempre totale. C’è sempre l’inconscio che alla fine cercherà in tutti i modi di cacciarti via dallo stato di lucidità aumentata per farti ricadere inconsapevolmente in quello da regolare sognatore. Ci vorrà del tempo per raffinare questa tua abilità da onironauta… -
    “Questo spiega gli incubi?”
    - Più o meno… ci sono cose che non ci è sempre dato sapere…-
    “Come faccio a capire se questo stesso discorso non sia altro che volontà dell’inconscio?”
    - Ed io come faccio a capire se tu sei il sognatore ed io la proiezione onirica? Avanti fammi una domanda...-
    “Che tipo di domanda?”
    - Qualunque. Avanti…-
    “Sei reale?”
    - Cos’è il reale? Dammi una definizione del reale. Per me la dimensione onirica è reale…-
    “Intendo…sei parte del mio sogno?”
    - Siamo sempre tutti parte di un sogno di qualcuno. Dai…mi aspettavo qualche domanda più particolare! Del tipo…che significato nasconde il feto nel lavandino? –
    “Che significato nascondi dietro quest’apparente incubo?”
    - Un ricordo. Una realtà dura da accettare… - Cosa diavolo sta dicendo?
    “Quale ricordo?” chiedo confuso a quella orrenda figura;
    - Lo sai. E’ solo che non vuoi accettarlo. Il rifiuto di tua madre. Lei non ti ha mai voluto realmente… -
    “Cosa? E’ impossibile…io…non posso credere a questa idiozia!”
    - Sei libero di scegliere sognatore… -

    Sveglia. Letto. Luce. Sole. Mattino.

    Fu così che rimasi solo nell’eternità. Ci sono certe volte in cui l’essere umano deve fermarsi, non oltrepassare certi limiti della vita e vivere senza terrore. Io invece ero spaventato. Alla fine di quell’orrendo sogno mi ero svegliato con la convinzione di stare ancora eternamente sognando…

    Ascolto l’eterna fede
    colgo nell’attimo una luce intensa,
    nascondo nell’infima paura la tua voglia di amare.
    Sogno di notte sopra le stelle
    l'eterna solitudine della ricerca interrotta,
    calda la sensazione di vita perduta.




    To be continued...
     
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    35, mi è piaciuta molto questa parte!
     
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