Il sole stava tramontando, segno che un'altra lunga giornata di lavoro era giunta a termine. Alphonse era seduto sul bordo della propria finestra, le gambe penzoloni nel vuoto, altezza forse vertiginosa per un comune mortale, una bazzecola per un militare addestrato nell'utilizzo del Chakra. Buffo come un dato oggettivo, una misura matematica, certa ed universale potesse essere così relativa, pericolosa per una buona fetta di popolazione, innocua per la restante. Il giovane sorseggiava il suo tè caldo, osservando la sfera di fuoco perdersi sotto l'orizzonte, lasciando spazio a stelle ben più lontane e dunque meno luminose, non in grado di illuminare il pianeta ma capaci di disegnare coreografie puntiformi nella volta celeste. Non male, la bellezza del firmamento. La casa era particolarmente silenziosa, quella sera, nonostante avesse oramai sviluppato una sorta di "deviazione fisiologica", un qualche meccanismo di adattamento a quella solitudine dovuta al ruolo di spicco che i membri della sua famiglia ricoprivano all'interno della fragile società della Cascata: i suoi genitori erano rispettabili dottori dell'Ospedale del Villaggio, sostanzialmente i cocchieri di quell'immensa carovana solo recentemente restaurata, sovraffollata di pazienti e con poco personale qualificato. era sostanzialmente questo il motivo per cui i due lavoravano molto oltre il loro normale orario di servizio, tentando di assicurare il miglior servizio possibile al numero maggiore di persone. A completare il suo nucleo familiare c'era John, il fratellastro acquisito, promosso a Chuunin durante il suo periodo di addestramento e catapultato in quel caotico susseguirsi di missioni ed incarichi cui erano costretti, in modo da far affluire il maggior numero di fondi nelle casse dello Stato. Con un agile movimento, il giovane rientrò nella stanza, i suoi piedi nudi a contatto con le assi di legno sapientemente inchiodate da chissà quale mastro artigiano: nonostante i suoi movimenti felini, non poteva fare a meno di farle cigolare in quel canto di cui oramai conosceva ogni singola nota, ogni pausa ed ogni attacco. Era una sinfonia che portava anche il suo, di nome, e come sua creatura non poteva non conoscerne ogni singolo aspetto. Passeggiò senza metà per il corridoio, guardandosi intorno come alla ricerca di un qualcosa di diverso, di unico in un ambiente assolutamente a lui noto e conosciuto: pochi raggi di luce filtravano nelle varie stanze che incrociava, imprimendo sulla sua retina degli scorci già vissuti eppure ancora nuovi ed originali, capaci di attirare ancora la sua attenzione, come fosse la prima volta.
E' quasi ora, presto saranno tutti a casa.. Potrei preparare qualcosa..
L'orologio a pendolo segnava le quasi le 19. Il buio prevalse sul dì, inondando l'abitazione di tenebre, strenuamente combattute dall'illuminazione elettrica. La sua coscienza avrebbe dovuto condurlo in cucina, ma i suoi piedi optarono per un altro itinerario, portandolo nello studio dei suoi genitori, stanza che custodiva un sapere medico inimmaginabile, fra rotoli, ricettai, farmaci e tomi, luogo ove spesso aveva giocato, ove preferiva andare, nonostante fosse probabilmente il locale più serio e meno adatto per un bambino. Ma Alphonse non era mai stato un bambino ordinario, la curiosità letteralmente guidava e spingeva ogni sua azione, portandolo proprio a prediligere quella stanza, ricca di misteri ancora irrisolti: afferrando tutto ciò che gli capitava a tiro, come un detective in erba, cercava di analizzarne ogni singolo aspetto avvalendosi della vista e del tatto. Ma quel gioco non era limitato certo a quello, ed infatti, crescendo, poté ampliare gli orizzonti, valicare i limiti di quell'attività e portarla ad un livello superiore: non indagava più oggetti bensì i libri, densi di nozioni spesso ancora incomprensibili, a causa della sua preparazione, nondimeno si impegnava ancor più nella lettura. Poteva quasi vedersi, buttato in terra e sommerso di appunti e disegni di anatomie, cercando di inquadrare quei frammenti in un contesto più ampio e collettivo, nonostante le evidenti difficoltà.
Ma che ho oggi?!
Non era mai stato uno nostalgico, uno che rivangava il passato: la sua ingenuità, il suo risultare, a volte, ancora innocente e spensierato non lo induceva a crogiolarsi in ciò che era stato, ma a vivere il presente con grande entusiasmo ed euforia. Era forse immaturità? No, non sembrava essere questo il caso. Il suono acuto del campanello trillò nell'aria, e contemporaneamente la tazza di coccio che stringeva nelle sue mani si crepò largamente, rimanendo miracolosamente integra.
Mm.. si dice che non sia di buon auspicio..
Non era solito a credere a queste strane superstizioni, ad ascendenti astrali o diavolerie simili, eppure il contesto culturale e popolare in cui era cresciuto lo costringeva all'irragionevole dubbio. Posò la tazza sul tavolo e dunque accorse all'ingresso, scendendo la rampa di scale che separava l'area living dalle camere da letto, dunque ruotò il pomello. Un ufficiale della Cascata era all'ingresso, vestito di tutto punto, con in mano due bandiere nere, con impresso sopra, in bianco sgargiante, il simbolo della Cascata.
Che diav..
Sei Alphonse Elric, giusto? Sono desolato portarti questa notizia.. I tuoi genitori sono stati assassinati.. Sono morti questa sera.. Mi dispiace
Le note di un lontano piano risuonavano nello studio, cullate in una ritmica lenta, sofferta, emozionante. Una voce maschile le sovrastava, ma nonostante cantasse nella sua lingua, Alphonse non riusciva a coglierne il significato, ne percepiva solamente il timbro caldo ed il tono così triste e malinconico, che probabilmente l'autore doveva essersi ispirato alla propria esperienza personale, per poter dare vita ad una creatura così reale ed empatica. Quello era sicuramente il momento meno adatto per crogiolarsi in quella forma d'arte, tuttavia fu proprio lui ad aver acceso il grammofono, permettendogli di leggere la traccia incisa sul grosso e scuro vinile, prima di stendersi a terra, gambe rannicchiate e guancia destra schiacciata a terra. Non era una posizione per nulla comoda, ma il suo corpo non sembrava sentire tale disagio, la sua mente stava elaborando ben altre informazioni, o almeno avrebbe dovuto. Era uno di quei rari momenti in cui la mente era completamente vuota, una lavagna bianca che avrebbe potuto riempire con i propri pensieri, ma sembrava evidentemente sprovvisto del mezzo per poter tracciare qualsiasi linea o ideogramma. Il suono lo avvolgeva in un walzer straziante, irretendo tutti i suoi organi di sensi, quasi affogandolo in quel mood sofferto: le parole dell'uomo e le vibrazioni trasmesse al pavimento, differenti e peculiari per ogni determinata tonalità, percepite per lo più dal volto, schiacciato al pavimento su un lato, sembravano dipingere quelle percezioni in immagini reali e tangibili. Vista, udito e tatto, unite in un connubio capace di materializzare quell'illusione, darle vita, essenza e sostanza in quel mondo che sembrava creato con lo scopo di privare i beni delle persone.
Forse è meglio che ci sediamo, Alphonse. I tuoi genitori sono stati uccisi questa sera. I responsabili sembravano conoscere molto bene gli orari e le routine degli Elric, come anche come muoversi all'interno dell'ospedale. Dati questi elementi, sospettiamo si tratti di qualche spia infiltratasi da tempo nel Villaggio, tanto da integrarsi indissolubilmente nel tessuto sociale da non essere notato. Non possiamo tuttavia escludere l'ipotesi di un'infiltrazione dall'esterno, nonostante i nostri sforzi, sai bene in che condizioni versa il Villaggio. Oceania sama ha naturalmente dato massima priorità alle indagini e alla ricerca degli assassini, in modo da rendergli e renderti giustizia..
L'incipit di un più lungo monologo rimbombava nella sua mente, le frasi concatenate in un ciclico susseguirsi, senza portare ad alcuno sbocco, ad alcuna valvola di sfogo. A questi ricordi se ne sovrapposero altri, più antichi, immagini di vita vissuta in quella casa, in quella stessa stanza: come attraverso un proiettore, le stesse, avvalendosi della via oculare, emersero dalle sue pupille diffondendosi nell'ambiente, materializzando degli ologrammi tridimensionali. Un bambino mingherlino e dai capelli dorati vestiva solamente il pezzo superiore di una casacca da medico, azzurra come il cielo del Takigakure, faticando nel camminare, data la smoderata lunghezza della maglia. Il suo collo era cinto da un fonendoscopio, non uno finto, il giocattolo regalatogli il natale passato, ma uno vero, strumento con cui aveva passato l'intera giornata ad auscultare i mobili e le pareti di casa, oltre che il suo torace, rapito dalla ritmicità di quel "Tum tum" e di quel tappeto di rumori associati alla respirazione, suoni di cui non conosceva fisiologia o motivo di esistenza, ma che comunque lo incuriosivano in maniera spropositata. La scena mutò improvvisamente, il suo corpo fanciullesco mutò, facendosi leggermente più alto, i suoi vestiti si tinsero di altri colori e di altre forme, risultando in una maglia verde acqua e pantaloni neri: si trovava sempre nel suo studio, questa volta però in compagnia del padre, impegnato a visitare un paziente. Mentre il giovane uomo, il volto coperto da una fine barba, indagava con attenzione il malato, alla ricerca di possibili indizi diagnostici e reperti semeiologici, il ragazzino gli ruotava intorno vorticosamente, tempestandolo di domande su tutti i termini di cui non conosceva il significato, in pratica la totalità delle parole pronunciate dal genitore. Il flusso di coscienza continuò per diverse ore, tempo che però sembrava essersi fermato per incantesimo, scagliato da un militare qualsiasi suonando al campanello della sua porta. Senza rendersene conto, era mattina, i primi raggi filtravano per la finestra, colpendolo sul volto, ma il Genin non si era ancora mosso, nonostante il suo corpo fosse al limite, i muscoli atrofizzati e i vari tessuto molli ed organi compressi dal peso delle strutture sovrastanti. Ma il dolore era come un rumore di fondo, forse fastidioso, ma oramai vi ci era abituato, considerandone la presenza come normale, fisiologica. Il campanello trillò ancora una volta, ma questa volta nessuno avrebbe accolto l'ospite all'entrata, nessuno aveva motivo di venire in quella casa, se non John, suo fratellastro, ma che conosceva l'ubicazione di chiavi di riserve e quant'altro per poter accedere senza disturbare. Non che gli interessasse poi molto, tutta la sua attenzione era catturata da quel flusso di memoria e ricordi proiettati dinanzi ai suoi occhi. Si dice che chi è in punto di morire sia solito vedere la propria vita scorrergli dinanzi, quasi col significato di tirare le somme di quanto fatto e di quanto tralasciato, soppesando soddisfazione, rimorsi e rimpianti. Niente di più vero, ma quell'esperienza non era esclusiva di quel nutrito gruppo di persone, ma anche a tutti coloro subissero la perdita di un familiare, un amico, un compagno: in quei momenti non si può fare altro che cullarsi nella memoria, ultimo luogo d'incontro possibile.
Al.. Al..
Un eco lontano, una voce lieve e conosciuta lo stava chiamando, nel vano tentativo di sottrarlo da quel vortice, da quella spirale negativa di commiserazione e dolore, che lo avrebbe condotto ad un crollo, all'implosione. Non servì neanche il contatto fisico, uno scossone a destarlo, sembrava un corpo privo di vita, un peso morto privato della sua essenza. Tutto sembrava in quel momento, tranne che uno Shinobi: esisteva almeno una mezza dozzina di regole che proibiva al militare di affezionarsi, perché la morte era una compagna troppo invadente, che spesso prendeva a sé più del dovuto. Aggrapparsi a quei legami, a quei vincoli, era pericoloso, poiché costringeva l'individuo ad una vita da reietto, rabbiosa e, possibilmente, ricca di illeciti. Sin dall'Accademia erano addestrati a sopprimere le emozioni, a non esserne dipendenti, ma risultava impossibile, nella pratica, attuare quanto teorizzato. Un mucchio di cazzate, sostanzialmente. La porta dello studio cigolò ancora, ma questa volta all'uscio non c'era John, bensì una donna di bassa statura e dallo sguardo fiero, dall'aspetto attraente e dai particolarissimi capelli blu mare. Il Takikage varcò la soglia con ampi passi, in religioso silenzio, forse riflettendo sul modo più corretto per relazionarsi con il suo allievo, che, seppur con difficoltà, continuava a seguire nella formazione, avendo letto in lui un talento da allenare, in modo da farlo fiorire in tutto il suo splendore. Si avvicinò al corpo inerme, quindi si accasciò, lasciandosi cadere leggiadramente.
Alphonse..
Pronunciò il suo nome con dolcezza, dunque fece qualcosa di particolarmente inconsueto, almeno per lei, a causa della sua personalità: cinse con le braccia le sue spalle, dunque lo abbracciò, stringendolo fortemente. Non seppe mai perché quella volta funzionò, ma la sua presenza e la sua preoccupazione, la voce ed il suo tatto, l'insieme di tutti questi elementi fu come la prima boccata d'aria dopo un'apnea forzata, in quel naufragio di dolore e cordoglio, che rischiavano di trascinarlo a fondo. Ma non era quello il giorno, non era ancora scoccata la sua ora, il Kage, il suo Sensei, lo aveva impedito.
Fine. Ho usato Oceania nella PQ.. essendo Kage forse non dovevo ma, quando iniziai con Al, avevo fatto un paio di eventi con Doc in cui Oceania diventava la mia Sensei. Se ci fossero problemi, edito