Una Cosa di Coppia (?)

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    « Sanità mentale? Non ricordo di aver mai avuto un simile fastidio!. [cit.]»
    «Mi gioco anche la mia vita sul filo del rasoio.
    Se poi la vita è quella tua, farò anche d' avvoltoio!»

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    Altri fuochi, altri botti. La noia mi stava quasi portando all'esasperazione ed a malapena teneva alzate le palpebre metalliche. La luce si infrangeva sui miei occhi lucidi come se fossero degli specchi, tante forme animalesche o semplici esplosioni, che gusto c'era nel vedere qualcosa di così semplice? Persino un bambino con della polvere da sparo avrebbe potuto emulare una simile farloccheria!
    Sbadigliai sorpreso, mi stavo abituando talmente tanto al mio nuovo corpo, da riprodurre anche delle azioni istintive quali aggrottare le sopracciglia dalla sorpresa o sorridere, era un bel traguardo recuperare, seppur un minimo, la mia umanità, ma questo è un discorso di cui ho già, ampiamente, parlato. Quel giorno, per un motivo o per l'altro, si stava festeggiando qualche evento che non conoscevo e la sabbia era calpestata da una moltitudine di individui, che portava panche e sedie a destra e a manca, che presenziavano solo per ammirare quello scadente spettacolo, eppure la folla sembrava essere mossa dagli effetti pirotecnici, de gustibus.
    Tuttavia rimasi a rimuginare un bel po', che ci potevano trovare di bello in un paio di esplosioni elementari, potevo solo immaginare il successo che avrei riscosso io, spolverando una delle mie marionette e facendola volteggiare nell'aria. L'idea si stava facendo strada nella mia testa, sarei potuto divenire ricco solamente mostrando un po' di jutsu e qualche prova di abilità, ed ero un maestro nel controllare le marionette, non sarebbe stata una brutta idea, solo che mancava qualcosa, come... un perno, un fulcro! Qualcosa di importante eppure scontato, non riuscivo a pensarci sul momento.
    Stetti seduto su una sedia dallo schienale reclinato per un quarto d'ora a rimuginare, il gomito ben puntato sul tavolino di fronte a me e la mano sotto il mento per reggermi la testa, l'aria sognante e lo sguardo vuoto indicavano che mi ero già perso nei miei pensieri, la soluzione a quell'enigma mi sfuggiva di mano continuamente, ero sempre ad un passo dalla soluzione eppure sempre più lontano, frustrante, ma non potevo che dare la colpa a me stesso, non guardavo molti show in televisione o qualsiasi tipo di spettacolo, ero più il tipo asociale che preferiva distrarsi coi libri, forse per quello non capivo cosa ci fosse di bello nei fuochi d'artificio, e dire che pur non conoscendo nulla della festività, ero vestito con un elegantissimo kimono nero ornato da una fantasia bianca di nuvole, un dono che avevo ricevuto a Kumo dopo una missione piuttosto ardua, un capo d'altri tempi. Mi morsi il labbro dalla frustrazione, odiavo non riuscire ad afferrare un concetto che mi sfuggiva, e se unite il mio fastidio alla noia, capirete ben presto perché mi alzai diretto verso la strada di casa.


    *-Finalmente.-*

    Almeno non ero l'unico a pensare che fosse tutto fin troppo monotono, tra l'altro davo la colpa a quel frastuono, per nulla musicale, era il risultato di una scadente conoscenza chimica, non potevo sopportare oltre quell'oltraggio! Avrei scritto a Nami-sama riguardo alla pessima organizzazione pirotecnica.
    Sguardo fisso a terra e aria pensierosa, ero nel mio mondo e per quanto potessi, riuscivo ad evitare le persone che camminavano nella direzione opposta, diretti in piazza, quasi inconsciamente e con una certa maestria. Cosa mancava di preciso ad uno spettacolo con delle marionette? Volsi lo sguardo a sinistra notando un ragazzo dai tratti chiari e i capelli bianchi, atipico per Suna, un visitatore probabilmente, e non riuscii neanche a scorgerne il coprifronte e la mia concentrazione, oramai diretta a quel ragazzo, fu la causa degli eventi che si susseguirono, da un secondo all'altro, tutto all'improvviso, sbattei contro una persona che non riuscii a riconoscere e mi premurai di scusarmi nell'immediato.


    -Oh chiedo scusa non l'ho...-

    Eureka!
     
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  2. Kaoru Misuti
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    C'era anche lei in quella moltitudine di persone dai visi allungati in aria per lo spettacolo pirotecnico. Lei, che a malapena sapeva sorridere, si era fatta trascinare in quel trambusto di grida giocose e risate di cuore. Colpa di quell'euforia generale, di quella scintilla di allegria che da giorni frizzava per le vie di Suna; subdola e manipolatrice, tesseva le sue trame sui comuni mortali e ne manovrava i movimenti come tante marionette. Un burattinaio dal pessimo gusto in fatto di divertimento, c'era da dirlo. O questo era quanto si ostinava a pensare quel giorno, maledicendo ogni passo che compiva per quella stramaledetta via ma incapace di opporsi ad un simile volere, regalando -nascosta tra sconosciuti di passaggio- qualche occhiata scarlatta alla volta celeste, impreziosita da scoppi e bagliori di cromie accese. E affondava gli incisivi nelle labbra serrate quando percepiva l'insorgere di qualche sbuffo di stupore, reprimeva quel suo lato bambinesco che spasimava di potersi esprimere per quel farlocco intrattenimento di poco conto.
    L'unica cosa che la consolava era la presenza della notte stessa: la mancanza del sole, da tempo ben oltre le morbide dune, e di tutti i benefici che l'avanzata della sera si portava appresso. Prima fra tutte, indubbiamente, il calo delle temperature; una brezza leggera che le solleticava le gote e che affievoliva il tepore del terreno sicché le fosse possibile liberarsi degli insulsi calzari ninja e strisciare tra la folla a piedi nudi.
    Adorava quel contatto diretto con la terra, percepire sulle piante le vibrazioni di ogni singolo spostamento come se lei stessa divenisse un prolungamento di quella sabbia sotto di sé. Di tanto in tanto rallentava il passo e donava un'attenzione maggiore quando i sussulti si facevano più intensi, lasciando che solo lo sguardo vagasse per la zona ad associare quei tumulti a coloro che, inconsapevolmente, li riproducevano. Guerrieri immersi in una danza popolare, musicisti che tenevano il ritmo pestando il piede, semplici bambini che si rincorrevano qua e la, sfrecciando tra i passanti. Tutti “suoni” per lei, completamente diversi e distinti, percezioni uniche che memorizzava nella mente. Chissà, in futuro sarebbero potute tornarle utili.
    Distratta e assorta in pensieri propri destinati ad infrangersi in una miriade di frammenti; costretta a tornare in quel mondo a lei tanto lontano, unicamente per scansarsi al sopraggiungere di un infante che ne richiamava l'attenzione. La mano destra strinse con forza maggiore quel manto che la nascondeva da capo a piedi, il viso che -brevemente- s'induriva in un'espressione infastidita mentre, con un semplice passo, ruotava il busto per lasciar correre la piccola peste.
    L'incanto del momento era svanito, l'illusione che la teneva prigioniera dissolta e la sua mente libera di espandersi in ogni cellula di quel corpo che, in pochi istanti, tornava proprietario di se stesso, con le sue movenze cadenzate e lo sguardo inasprito. Niente più bagliori ad incantarla, solo la piena constatazione di trovarsi in un luogo che non le apparteneva, unito all'inadeguatezza che pungolava l'epidermide e l'obbligava a stringersi nelle spalle in cerca di conforto. Un commento sibilato a denti stretti veniva soffiato alla volta di quel moccioso oramai lontano, un agglomerato di sillabe indistinte e di dubbia interpretazione mascherate dal frastuono caotico che le perforava i timpani.
    Se ne rese conto di quanto i rumori fossero ben più forti di quel che pensava; ubriaca di scemenze che udiva per forza di cose, disorientata dal caos che la circondava, artigliava con maggiore forza il lembo di tessuto sabbioso e sfogava su di esso tutta l'insofferenza che infuriava in quell'animo torbido. Doveva andarsene di lì il prima possibile, cosa che si sarebbe promessa di fare nell'immediato momento in cui il piede destro avesse accennato il primo passo. Oppressa dalla costante sensazione di essere osservata da occhi indiscreti, tradita dalla suggestione che gravava sulle spalle ricurve, riprese il percorso intrapreso in precedenza, incespicando in un'andatura che affondava nella sabbia ora nemica. Per quanto avanzasse le sembrava di non muovere un passo e che la meta si allontanasse sempre più; arrancava tra la folla come una nave in balia delle onde fino all'inesorabile collisione con gli scogli. Nel suo caso, un mero sconosciuto che non era riuscita a notare in tempo e che l'aveva urtata. Le mani mollarono la presa da quel mantello aggrappandosi all'aria in cerca di una stabilità mentre il passo oscillava pericolosamente.
    E sapeva che che la malasorte non attendeva altro se non un appoggio instabile che le consentisse una “decorosa” caduta; avvertiva il suo sibilo glaciale soffiarle sulla nuca e percorrerle la spina dorsale con delicatezza spietata. Forse per bontà degli Dei riuscì a strappare la vittoria su quel destino avverso, coloro che pregava più volte nell'arco della giornata e che le restituivano il proprio baricentro sicché le braccia smettessero di agitarsi per nulla.


    -Bēvakūpha -

    Che peccasse di scarsa gentilezza era cosa risaputa, specie tra la sua gente. Ma quel ”idiota” le era uscito spontaneo, un sibilo sprezzante che aveva sputato direttamente in faccia a quello sconosciuto che almeno aveva avuto la decenza di non dileguarsi tra la folla. Solo in un secondo momento si era concessa di studiare la fisionomia del ragazzo, occhieggiando su quella corporatura maschile e soffermandosi maggiormente sui tratti del volto verbalmente aggredito.

    CITAZIONE
    -Oh chiedo scusa non l'ho...-

    Liquidò le sue sue scuse con un blando cenno della mano, desiderosa di concludere l'intera faccenda in tempi brevi così da potersi allontanare in fretta. Ma ormai il danno era fatto..

    -Lānata hai -

    Accidenti. Se ne era accorta troppo tardi. La sua identità era ahimè svelata. Guardava quel manto riverso a terra e che si premurò di recuperare con una mano mentre i ninnoli -che arricchivano polsi e caviglie- tintinnavano ad ogni movimento; si ricompose e la cappa tornò a riparare quel corpicino avvolto in un semplice abito smeraldo che sfiorava i piedi nudi, stretto in vita da una blanda cinta di stoffa impreziosita da svariati campanelli.
    Accennò un passo, pronta ad andarsene, ma senza muoversi realmente. Anzi, il volto ricercò ancora una volta quello dello sconosciuto, guizzando distrattamente in alto -per un brevissimo istante- allo scoppio dell'ennesimo fuoco; quei colori sgargianti avevano il potere di ammaliarla, come una serpe infatuata dal suono del flauto, di renderla schiava di quel gioco di luci che tormentavano le stelle. Si riscosse, scuotendo il capo ramato, imponendosi quella concentrazione a rivolgersi al tale in modo sufficientemente..garbato.


    -Tu.No.Visto.Me.-

    Quanto meno, nessun altro tipo di insulto era fuoriuscito dalle labbra arricciate della genin. Un tono di voce neutrale e sufficientemente elevato da farsi sentire solamente dal diretto interessato, appesantito dalla fermezza di quella manciata di parole che volevano riecheggiare più come un monito che un consiglio spassionato. Niente sorrisi di cortesia, austerità ed orgoglio guizzavano in quel faccino semi-nascosto e già il passo preannunciava quell'addio che gli avrebbe rivolto voltandogli le spalle.
     
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    « Sanità mentale? Non ricordo di aver mai avuto un simile fastidio!. [cit.]»
    «Mi gioco anche la mia vita sul filo del rasoio.
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    Il contraccolpo fece vacillare la ragazza, facendole cadere la cappa che ne oscurava l'aspetto, spingendola tra le persone. Per pura fortuna riuscì ad evitare la rovinosa caduta. Era abbastanza comprensibile che si fosse fatta male, dopotutto aveva incontrato, sulla sua strada, un muro di metallo. Dal canto mio, avevo incontrato la chiave di volta, ciò che serviva per poter inaugurare il mio Show.

    -Lānata hai -

    Eh? Che cosa... avevo sentito male probabilmente. Non mi curai più di tanto di quelle frase, sembrava semplicemente un'esclamazione derivata da qualche lingua aborigena, forse una tribù desertica o qualche campo nomade dei paesi vicini, i tratti non rispecchiavano quelli tipici degli abitanti di Suna, capelli rossi e pelle chiara, forse era di Konoha o... bha, non mi importava neanche così tanto da perdermi nei miei pensieri. Come un topo in cerca del formaggio, dopo essersi fermata per un istante, volse lo sguardo in tutte le direzioni, smuovendo la testa come una forsennata, prima di individuare la cappa persa tra i meandri del dedalo di persone. Scattò repentina, gettandosi sul drappo, perché mai voleva celare la sua identità? E poi, perché cercare di non farti notare se ti porti dietro una quantità anormale di dischetti, ninnoli, bigiotteria e chi più ne ha più ne metta? Sembrava di essere ad un concerto metal, ogni volta che faceva un passo. Considerazioni a parte, il suo aspetto mi aveva quasi rapito, era la bellezza esotica che cercavo. Presa la cappa, si guardò nuovamente intorno, con aria circospetta, rimanendo ferma solo alla visione dell'ennesimo razzo, che si espanse nel cielo colorandolo di luce. Scosse il capo, forse per riprendersi dalla... sottile malia di quei fuochi d'artificio, e si rivolse a me, o almeno, pensavo parlasse con me visto che era girata in mia direzione.

    -Tu.No.Visto.Me.-

    Mhe, almeno questo era comprensibile, nonostante lo strano accento ed il tono minaccioso, ma non ero il tipo da spaventarsi per cose del genere, avevo affrontato donne ben più pericolose... tipo Yuka... da nudo.
    Così com'era prevedibile, la ragazza si avviò verso qualche destinazione a me sconosciuta, non ero abituato agli addii e non era mia intenzione perdere quella ragazza, sarebbe stata la mia miniera d'oro. Le afferrai la mano tirandola a me, guardandola dritta in faccia con gli occhi sgranati, se poteva dire parole sconosciute lei, potevo farlo anch'io.


    -Assassiet! Agùruma Assassiet!-

    Feci girare la testa come fosse una vite, facendola salire e scendere nel mentre che continuava la sua folle rotazione perpetua, dubitavo che qualcuno potesse prestarmi attenzione, visto che si concentrarono sui fuochi d'artificio in alto. Spalancai la bocca per dare un effetto ancora più angosciante e spaventoso, rivelando il mio aspetto malefico.

    -Ti ho maledetta. Se non mi seguirai, dovrai vivere per settantacinque anni come una Lampadina a Basso Consumo! Assassiet! Agùruma Assassiet!-

    Rallentai l'andatura fino ad ultimare un giro completo di testa molto lentamente, provocando un suono stridulo che altro non era se non il metallo che cozzava. Pensavo di averla convinta a seguirmi, ero un maestro nell'arte della persuasione, mai e poi mai quella ragazza sarebbe riuscita a sfuggire alle mie grandi doti carismatiche. Giusto per precauzione, non le mollai mai il polso, trascinandola con me nella folla che dividevo con naturalezza, dopotutto, cosa poteva opporsi ad un gigante di ferro?
    Con lo sguardo squadrai tutti i locali che v'erano in giro, quelle strade non le conoscevo bene, ed in poche decine di secondi trovai un locale che poteva fare al caso nostro, sulla vetrina v'era scritto Ramen e si potevano vedere due cuochi che lavoravano attivamente sulle ordinazioni, tanto valeva provare ad entrare. Scostai le trecce che facevano da porta, dei lunghi fili intrecciati e ricolmi di pelle, una soluzione alquanto economica, e adocchiai un tavolo nell'angolo del ristorante, poteva fare al caso nostro visto che volevo un tete a tete con quella ragazza, v'era una cosa che mi premeva alquanto dirle. Mi sedetti lasciandole il polso, poteva anche fuggire per quanto mi riguardava, tanto con la tecnica del marionettismo l'avrei ripescata più e più volte senza sforzarmi.
    Dita intrecciate a coprire la bocca, sguardo fisso e altero, gomiti piantati sul tavolo e silenzio, tutte cose che non mi appartenevano, ero fin troppo serio in quel momento.


    -Puoi ordinare pure quello che vuoi, pago io. Ti starai chiedendo perché ti ho portata qui.-

    Dissi senza distogliere lo sguardo e calando le braccia.

    -Ho un affare per te ragazza. Io sono un mastro falegname e mi diletto nel creare marionette che comando con l'ausilio delle dita, ho intenzione di entrare nel mondo dello spettacolo, solo che nella mia ricerca verso il successo, mi sono accorto che mancava un ingrediente. TE!-

    Puntai l'indice destro verso di lei, sbattendo il palmo della mano sinistra contro il tavolo e alzandomi leggermente.

    -Mi manca la star, la presenza femminile, quella donna che riesce a tenere incollati allo schermo dall'inizio alla fine, ho in mente tantissimi programmi, varietà, musical ed altro ancora! E tu mi servi. Che ne dici del 30% a te ed il 70% a me? E' un affare?-

    Le feci l'occhiolino con la bocca spalancata. Era un'offerta che non poteva rifiutare, o almeno, credevo non potesse farlo.

    -Inoltre, ti insegnerò questo trucco!-

    E, per una seconda volta, feci girare la testa come fossi l'attrazione di qualche bizzarro e tetro Luna Park.
     
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2 replies since 30/11/2014, 02:53   116 views
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