Årsgång

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    « Sanità mentale? Non ricordo di aver mai avuto un simile fastidio!. [cit.]»
    «Mi gioco anche la mia vita sul filo del rasoio.
    Se poi la vita è quella tua, farò anche d' avvoltoio!»

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    Le dita scivolarono sul muro con delicatezza, producendo un sottile suono in grado di interrompere il silenzio, sovrano della stanza. La mano si appoggiò contro la ruvida superficie, tastando incerta, batté il palmo più volte fino a trovare l'interruttore bianco. Le luci al neon frizzarono per qualche secondo emanando raggi di luce intermittenti, sferzate e sciabolate contro il velo di oscurità che attanagliava quelle quattro mura. La luce rivelò l'antro, il laboratorio tempestato da mattonelle bianche sul pavimento e sulle pareti, fantocci variopinti che scrutavano il nulla con le loro orbite di metallo e dei macchinari che, insieme ad altro mobilio, completavano un disegno più simile alla stanza di una fabbrica, di un'industria, che ad un laboratorio, il mio laboratorio artigianale dove costruivo la mia... famiglia. Patetico.
    Scesi l'ultimo gradino superando la bassa porta, il mio piede atterrò pesantemente provocando un rumoroso tonfo, era il prezzo da pagare per essere fatto interamente di metallo, un peso non poco indifferente che aveva accentuato la mia goffaggine nei momenti in cui mi rilassavo troppo ed allentavo l'afflusso di chakra, il mio fardello, la mia nuova vita. Fissai il mio piede tenendomi all'uscio della porta con la mano destra, l'aria mesta non espressa dalla faccia i cui tratti erano alteri, non sprecavo chakra per applicare le mie emozioni ad i tratti somatici della marionetta che abitavo. Mossi lentamente le gambe della marionetta, mi portai lungo il tavolo soffermandomici qualche minuto, il tavolo di legno massiccio occupava il centro della stanza, le gambe diagonali mostravano i primi segni di cedimento, avrei dovuto rinforzarle come avevo già fatto in passato, passai una mano sulla superficie del tavolo, la polvere che ricopriva la sommità del legno si accumulò lungo le dita lasciando un segno chiaramente visibile. Era da tempo immemore che non scendevo nel laboratorio, tutta l'attrezzatura, la forgia, i mobili, i macchinari, erano rimasti intoccati, ed era divenuto il regno della sporcizia e dell'incuria. Erano vari i motivi per cui non avevo più utilizzato il laboratorio, l'intensa vita ninja che non mi lasciava respiro, la mancanza d'inventiva molto simile a quella che subiscono gli scrittori, i fondi scarseggianti e soprattutto il rimorso per le mie immonde azioni.
    Volsi lo sguardo ai ganci di ferro posti sulla parete, tenevano una marionetta l'uno e la parete era abbastanza grande da tenerle tutte esposte, una più scintillante dell'altra, stavano fisse sul muro con il capo chino ad osservare il vuoto, potevo giurare che stessero fissando me dalle scure orbite metalliche, ma non credevo nell'animismo ed andavo oltre le stupide superstizioni della gente popolare, erano prive di anima, come me da tempo immemore, rendevano l'atmosfera all'interno della stanza ancora più cupa, vederle immobili era quasi irreale. Stavano appese quasi stessero sfilando, una sfilata degli orrori per certuni, per me era arte, non quella eterna, l'immortalità non esiste, nulla è immortale o immune allo scorrere del tempo, lo stesso tempo dovrà piegarsi alla morte è il punto d'incontro dell'universo intero, la mia arte stava nel creare continuamente sculture, marionette in grado di intimorire e infondere paura nell'uomo, impressionare e stupire, quasi fosse un circo, quella era la mia arte, e ne andavo fiero. Tutte, fino all'ultima marionetta, erano il mio orgoglio, il frutto di una vita dedicata alla creazione ed alla realizzazione della mia fantasia, tutte tranne quelle che non mi appartenevano propriamente, non erano state forgiate dalle mie mani ma molte erano state modificate per renderle un ottimo strumento al momento giusto, Devyhij è un esempio perfetto, una marionetta divenuta riparo dei più deboli, il mio ospedale portatile. Tutte le mie marionette avevano un lembo della mia anima in loro, questo forse le rendeva, in un certo senso, "vive", una in particolare.
    Asura, la mia prima marionetta e la più malandata, me la fece scoprire quella tale Anbu, fu la mia compagna di avventure più preziosa, nascosta nella terra e forse germogliata da essa, una tra le marionette meglio rappresentanti il sublime grottesco, tre facce e sei arti, rappresentava Savitar, per l'appunto un Asura, un demone, mi era sempre piaciuta ma non mi era mai venuta in mente una buona modifica per quel fantoccio e neanche per l'arma che avevo ideato, il Kaze Kyanon Sendan, un cannone in grado di spezzare la natura ma facilmente bloccabile da molti jutsu, nascosto nel suo braccio bluastro, avevo abbandonato l'idea di utilizzarlo dato le sue scarse capacità, ma vi era sempre un barlume di speranza, difatti proprio in quel periodo stavo provando a modificarne la portata e la canna. Osservare Asura mi faceva sempre cadere nei ricordi, era più forte di me.
    Kuno, Raizuma, erano tutte marionette a cui davo poca importanza nonostante la loro potenza, quelle che mi soddisfacevano erano Dage, Thanatos e Khamul, erano il fiore all'occhiello della mia forgia, ero riuscito a creare delle perfette macchine da guerra, anche se di loro avevo pochi ricordi, Thanatos non l'avevo mai utilizzata, però Dage era diventata un vestito per me. Era bellissimo perdersi nei ricordi e nei pensieri, ma non quel giorno infausto. Il destino volle che fui colto da una crisi depressiva. Da qualche ora rimuginavo sulle mie passate azioni, e sul corpo che abitavo, Nihilius la mia prima marionetta umana.
    L'orrore di quell'azione, l'abominio che avevo creato, i sensi di colpa, tutto congiurava contro la mia sanità mentale, già a pezzi. Ricordavo benissimo il giorno in cui avevo conosciuto Nihilius, attaccato da della meravigliosa lava, un giorno difficile da scordare, forse ai tempi era solo il ricordo di un assalto inaspettato, qualcosa di non troppo importante, sennonché in pochi giorni lo incontrai di nuovo, e per l'ultima volta. Vedendo il suo corpo a terra, il sangue che sgorgava, non avevo resistito, quell'immagine era rimasta impressa nella mia testa come su un rullino fotografico, la faccia di Nihilius priva di vita e le mie mani che scorrevano sul suo corpo, la mia prima visita all'obitorio ed il mio biglietto per l'inferno, Nihilius era stato ciò che mi aveva fatto realizzare quanta follia ci fosse in me, quanto contorto potessi essere, quanto disgustoso e cinico potessi diventare. Nihilius fu la ruota che mise in moto i miei neuroni, facendomi riflettere su non poche cose, il valore della vita, l'uso che ne facciamo, l'importanza ed il significato reconditi, cose frugali probabilmente ma che utilizzavo per cercare di mitigare i demoni che mi ossessionavano, ero una cattiva persona? Non riuscivo a definirmi tale, era una necessità, quando avevo visto il cadavere di Nihilius avevo avuto il bisogno di aprirlo in due come uno scrigno, il volerlo rendere una marionetta era una scusa, amavo uccidere, amavo festeggiare sul corpo degli uomini.

    Avevo perso il cuore, ben prima di diventare una marionetta.



    Non scendevo più in laboratorio per quel motivo, cercavo continuamente di ritornare alla mia arte, alle mie marionette, al mio orgoglio, ma erano tutti frammenti di un passato ben lungi dall'essere accetto, volevo rinnegare me stesso, ciò che ero e che rappresentavo, ciò che tristemente ero divenuto o che ero sempre stato. Me.
    Mi odiavo, odiavo la mia impotenza verso l'istinto che mi dominava alla vista di un cadavere, perché dovevo essere io a patire quelle sofferenze? Sarebbe stato bello essere come uno dei tanti Mukenin, uccidere tutti e fregarsene delle conseguenze, libero come il vento e conscio che ogni singolo secondo, Eolo poteva decidere di farmi spirare. Una vita che mi avrebbe sollevato da molte grane, quella del fuorilegge, ma alla mia natura bestiale si opponeva quella umana, amavo Suna ed i suoi abitanti, amavo la gente viva quasi più di quella morta, all'assalto di Ame la vista dei ninja mi disgustava, le pile di cadaveri miste alla polvere ed al fango mi sdegnarono profondamente, nonostante mi ci sarei tuffato seduta stante, odiavo vedere le persone morire eppure gioivo nell'uccidere e nel dissezionare i corpi, era una fottuta droga ed il mio pusher me la dava gratuitamente.
    Erano mesi che il nervosismo marciava sulla mia carcassa, era venuta il momento di finirla. Definitivamente.
    Chiusi la porta del laboratorio con un lucchetto di ferro scintillante, cozzava con la porta impolverata e dissestata ma non me ne sarebbe potuto fregare di meno. Mi diressi verso il deserto, convinto della mia decisione.
     
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    Le alte dune desertiche furono il mio nascondiglio, la coltre di sabbia il mio mantello, delle coperture necessarie per non essere visto da anima viva, non me la stavo battendo in ritirata dalla vita, stavo solo cercando un luogo in cui niente potesse scatenare la mia parte oscura, una tomba in cui riposare per l'eternità, visto che ero immortale, un pericolo senza tempo.
    Essere il Jinchuuriki dell'Ushioni non era un lavoro facile, avevamo dei caratteri parecchio contrastanti e lui era troppo serio per i miei gusti, spesso non mi parlava, spesso non gli davo molto conto, convivere con qualcun'altro era piuttosto fastidioso ed ignorarci a vicenda era l'unica cosa che potevamo fare, tuttavia il suo silenzio non faceva altro che aumentare la mia ansia già enorme, ed un viaggio silenzioso, non poteva che farmi divenire preda dei miei pensieri, che come dei ragni tessevano tele di ansia e preoccupazione attorno a me.
    Il silenzio che albergava nel mio corpo, il regime di mutismo instaurato tra me e la Bestia, stava cominciando ad angosciarmi parecchio, erano passate diverse ore da quando avevo iniziato a correre nel deserto, non lo sentii bisbigliare la minima parola, era piuttosto insolito, non credevo potesse rimanere quieto di fronte alla decisione che avevo preso, che avesse accettato il nostro destino silenziosamente? Non era da lui essere così stoico. Non avevo neanche intenzione di continuare quel "Gioco del Silenzio", non riuscire a capire cosa stesse pensando il mio compagno, mi metteva estremamente a disagio, una sensazione che provavo troppo spesso e che mi dava sempre sui nervi, quasi quanto l'aver avuto quella bestiaccia nel corpo, ordini dall'alto che furono eseguiti indissolubilmente. Come ciliegina sulla torta, l'Ottavo poteva sentire i miei pensieri, avvertire i miei stati d'animo, sapeva cosa stessi provando, cosa stessi pensando, ciò non faceva altro che innervosirmi ancora di più, sapeva lo sconforto che provavo e la mia difficoltà nel formulare un discorso o nel solo volergli parlare, umiliante. Forse era il contrario, non mi innervosiva il silenzio della Bestia ma l'essere solo, mi dava fastidio l'essere rimasto definitivamente solo se non col mio ospite. Cercavo compagnia nella solitudine, cercavo qualcuno nonostante avessi scelto il romitaggio. Ero l'anfitrione della creatura, era suo dovere ricambiare la mia "ospitalità", era... una scusa, cercavo semplici scuse, mi pentivo già della mia scelta, mi vergognavo come un ladro di aver abbandonato il mio villaggio, ma era mio dovere proteggerlo, anche da me stesso, anche se ogni secondo di mutismo diveniva un chiodo che mi sigillava in una bara di tristezza e paranoie. Si stavano persino iniziando a formare diversi pensieri da misantropo, stavo odiando Suna, il suo popolo, le persone, stavo iniziando ad adorare lo squartarli, stavo ripensando allo scalpello che trafiggeva i corpi inermi nell'obitorio, stavo perdendo il senno.

    Il silenzio è d'oro, il suo peso è tangibile.



    Ogni attimo era un passo verso un baratro di follia dal quale non potevo scappare, un masso che opprimeva ogni mio pensiero lucido, un muro invalicabile che si opponeva fra me e la ragione.
    Le fronde degli alberi di Konoha avevano preso possesso del territorio che fino a qualche centinaio di metri prima, era governato dalle sabbie eterne del deserto Suniano, e nonostante la notte tarda, non mi accampai, rimasi all'ombra di un albero lasciando il controllo che avevo su Nihilius, non riuscivo nemmeno a concentrarmi il minimo indispensabile per continuare il mio cammino. L'idea di poter uccidere un'altra persona, un ninja, un bambino, chiunque, mi eccitava, il sangue ribolliva e la mente si offuscava, era come se riuscissi a provare un orgasmo al solo pensiero, una sensazione che mi aveva abbandonato da diverso tempo, più o meno da quando avevo perso il corpo. Ricordavo tutti, tutti i cadaveri che avevo collezionato, il guardiano dell'isola di Kumo, Kenpachi, il ragazzo mukenin nel deserto, Nihilius, tutti ricordi che mi portavano all'apice del piacere, il sangue, le grida, il dolore e l'angoscia che dipingevano il volto tumefatto, un dipinto eterno che non sarebbe scomparso neanche con la morte, un piacere infinito.

    -Non pensi sia abbastanza?-



    Sobbalzai spaventato, quel commento era totalmente inaspettato, non potevo credere che Gyuuki stesse effettivamente parlando prima che gli rivolgessi io la parola, era una novità visto che preferiva distaccarsi da me, che mi riteneva la persona "sbagliata" per essere il suo Jinchuuriki. I battiti prodotti dal mio cuore erano ben più potenti di un gong, ricevere quella sveglia durante il mio stato di estasi mi aveva totalmente frastornato.

    -Che tu voglia vagabondare, non può importarmi più di tanto, non decido io come muoverci, ma smettila di fare la persona patetica, stai scappando da te stesso Kuroda Akasuna, non ci sentiremo più fino a quando non avrai capito come crescere.-



    Crescere, io? Nessuno aveva mai discusso la mia intelligenza o maturità, nessuno si era mai elevato sopra di me in quanto stratega, nessuno si era mai permesso di apostrofarmi con tale sdegno, e nessuno poteva conoscermi meglio del mio Bijuu, ero confuso, in preda ad un mare di emozioni, rabbia, ansia, delusione, tristezza, tutte negative, dovevo sfogarmi con qualcuno, la vita solitaria non faceva evidentemente per me, non mi apparteneva quel mondo, e ritornare a Suna era un qualcosa che non volevo fare, era l'ammettere che avevo sbagliato e l'aver nuovamente paura del poter nuocere a qualcuno, non riuscivo a controllare i miei istinti. Un'idea ancora più balzana mi si presentò, se non potevo uccidermi, né costringermi a rimanere da solo a causa della mia follia, mi sarei sigillato, con la tecnica dei Simboli inibitori avrei creato una gabbia eterna di chakra, non mi sarei potuto più muovere, sarei rimato per sempre chiuso nel mio stesso essere, sarei divenuto come una pietra, un cilindro atto a contenere l'Ushioni, sarei stato in grado di difendere me stesso dalla Bestia e dalla mia follia omicida, sarei stato l'eroe che avrei sempre voluto essere, ma la morte? Vivere per l'eternità in uno stato di coscienza non mi emozionava, voleva dire impazzire comunque, un rischio che forse ero pronto a correre, un rischio che mi sarei dovuto assumere, dovevo fare qualcosa, dovevo. Dovevo? Persino le mie convinzioni stavano vacillando, da cosa stavo scappando, perché stavo facendo tutto questo? Cosa mi era preso? Da cosa dovevo difendere Suna, perché avrei dovuto difenderla? Perché ero ciò che ero? Non avevo deciso di divenire così, perché la vita doveva essere tanto ingiusta da portarmi via tutto, donarmi fama, ricchezze, amici, e costringermi a cedere tutto? Ma ero veramente costretto?
    Le domande si affollavano nella mie mente come delle formiche che fuoriescono dalla tana, erano sempre di più, sempre più assillanti, non riuscivo neanche più a pensare, cosa dovevo fare?
     
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    Il deserto era riconosciuto come un ambiente parecchio ostile, mettevo a primo posto la tundra, ma neanche le sabbie del Paese del Vento scherzavano, con tutti i loro pericoli e le insidie che nascondevano, raramente qualcuno passava per vie atipiche o deviava dalle normali rotte commerciali, coloro che lo facevano non tornavano vivi, quasi mai. Tra i pericoli più conosciuti, che il deserto potesse annoverare, v'era il caldo, il sole cocente lasciava poche possibilità alla gente del deserto, la calura era in grado di creare diversi effetti ottici, come i più comuni miraggi, di mandare al tappeto senza preavviso, tramite i colpi di sole, e di prosciugare la minima molecola d'acqua, assetando e conseguentemente disidratando i corpi delle giovani vittime del deserto. Una trappola nella quale nessuno si sarebbe mai avventurato per qualsiasi motivo, perdere l'orientamento o non sapere dove si ci trovasse, voleva dire avere già perso ogni speranza di vita. Per tutti questi motivi molto carini, il deserto sarebbe stata la mia tomba perfetta, dovevo solo decidere quando compiere i prossimi passi.
    Nihilius era dannatamente pesante, i piedi affondavano nella sabbia ed ero costretto a camminare come se fossi stato nelle sabbie mobili, forzavo le ginocchia a riemergere e continuavo il mio cammino verso una meta non definita, un punto da rendere mia regia fino alla fine dei secoli. Man mano che il tempo passava, mi stavo rendendo conto che la marionetta rispondeva sempre più velocemente agli stimoli che impartivo, alle volte anche involontari, come piegare le labbra ad un commento sarcastico o arricciare un sopracciglio per qualcosa di fastidioso, era come se la marionetta stesse divenendo il mio vero corpo, come se Nihilius volesse ancora vivere, o più probabilmente erano gli effetti dell'Hitokugutsu, ma non so per quale motivo, l'idea che quella marionetta potesse quasi essere viva, mi tormentava, non credevo negli spettri figurarsi in una stronzata del genere, ed ancora non riuscivo a capacitarmi del perché mi impressionasse così tanto. Avevo trovato un punto a mio dire perfetto, una depressione tra delle dune, un anello di sabbia che mi ricordava quella di roccia a protezione di Suna, forse l'avevo scelto proprio perché mi ricordava casa.
    Mi posizionai al centro, tra le dune, pronto a compiere il passo successivo. Determinato? Per niente, volevo solo sparire dal mondo, la mia stessa esistenza mi disgustava altamente, ero il tipo di persone che preferivo uccidere, quelle che uccidevano perché amavano uccidere, troppo "Uccidere" e poca sostanza, un ottimo paradosso ma una pessima visione della vita, lo status quo delle cose scuoteva ogni mio singolo pensiero, dovevo darci un taglio. Aprii le braccia alzando la testa al cielo e chiudendole immediatamente, la mano destra sul mio petto pronta a sigillare il cuore con i Simboli Inibitori. La terra ai miei piedi si abbassò come fosse un ascensore, immediatamente mi ritrovai in una stanza di sabbia, solo il tetto mancava all'appello, sostituito da un cielo bellissimo, quasi ammaliante. Avevo scelto il deserto come abitazione, non perché era facile morire, non era mia intenzione e per di più non soffrivo il caldo o la sete, semplicemente trovarmi sotto cinquanta metri di sabbia non sarebbe stato facile. L'ambiente notò immediatamente che la sabbia aveva perso una zolla di terreno, e come se fossi giunto in pieno oceano, mi ritrovai ingoiato nei flutti di sabbia, un vortice di polvere gialla che non mi lasciò scampo, ciò che rimase fu il buio ed il rumore della sabbia che continuava a sommergere lo spazio lasciato dalla tecnica del Grande Movimento del Cuore della Terra.
    Era buio pesto, anche aprendo gli occhi non riuscivo a vedere nulla e con la percezione non riuscivo a riconoscere alcuna figura distinta, era come ritrovarsi immersi nella pece, il mio destino per l'eternità, ero sempre meno convinto di ciò che stavo facendo ma andava fatto. Andava fatto?Ancora dubbi, odiavo avere dubbi su qualcosa, solitamente ero abbastanza sicuro di ciò che facevo, mi ritenevo intellettualmente superiore alle altre persone, quasi fossi l'esempio da seguire, e non potevo avere dubbi, sacrificarsi per la patria era qualcosa da fare, dovevo tenere al sicuro più vite possibili. Che beffa del destino. Un medico a cui piaceva togliere la vita. Ero rimasto completamente solo, non avevo amici, certo c'era Minato ma non era proprio il tipo di amico che ti sta sempre accanto e ti ascolta, non mi fidavo completamente di lui, poi v'era Yuka, lei era troppo piccola per comprendere ciò che mi aspettava fare o poter solo capire i miei problemi, non avevo più nessuno, ero solo, non sapevo più cosa fare, fino a quel giorno avevo vissuto nel nichilismo più totale, sospinto dai flussi del tempo senza alcuna volontà, una foglia sospinta dal fiume alla deriva, privo di forze. Da quanto tempo ero nel buio? Non quella pozza di catrame che era la bara di sabbia in cui mi trovavo, intendo, da quanto vivevo senza uno scopo, svogliato e privo di forze? Mesi? Anni? No, anni no, non era da così tanto che meditavo il suicidio, e neanche potevo più compierlo a causa dell'Ushioni, che beffa! Ero nel buio più totale, nessuno mi aveva mai mostrato la luce per uscire da quel buco, nessuno mi aveva mai offerto la mano. Ero completamente paralizzato, non tanto l'immensa quantità di sabbia che mi sovrastava, quanto l'incapacità di riuscire a manovrare il chakra adeguatamente, non ne volevo proprio sapere di morire, quasi peggio di una zanzara, eppure cosa mi era rimasto da fare se non estirpare la mia esistenza dal globo?

    Quando si è immersi nel buio più scuro, non rimane nulla. Tranne Avanzare.

    Era stato il Bue a parlare, un pensiero quasi toccante ma in quel momento non ne volevo sapere di pillole di saggezza usate, e poi aveva detto che non avrebbe più parlato, quindi perché rivolgermi la parola.

    Ti prego Kuroda, sei insopportabile. Vuoi sapere cosa mi hanno regalato questi secoli di vita? Un'esperienze che tu non guadagnerai mai, c'è un motivo che mi spinge a ricordarti che il tuo primo dovere è difendere Suna da ciò che può danneggiarla e tu non sei compreso. Sai perché hai tutta questa voglia di uccidere? E' la prima volta che ti capita, non riesci a distrarti, da quanto non scendi nel tuo laboratorio? Era l'unica cosa che non ti faceva pensare al gusto del sangue, sei semplicemente uno stupido codardo che non riesce a fronteggiare la vita, ed ho vergogna nel pensare di dover passare il resto dei tuoi giorni confinato dentro il tuo cuore, ma sono sicuro che non li passeremo qua, nel tuo futuro vedo altro Kuroda, hai la stoffa del capo, o almeno del difensore, perché non provi a pensare a qualcosa di più intelligente? quando diventerai Anbu potrai assistere e partecipare alle uccisioni di tantissimi nemici. Mi fa schifo esaltare l'immagine della morte, ma è una cosa che a te piace quindi non la giudicherò, sono gusti, giusto? Riprenditi idiota.

    Lo stava dicendo per paura di rimanere con me in eterno, era palese, un discorso troppo forzato, giusto? Non avevo intenzione di uccidere nessuno, nemmeno i nemici stessi di Suna erano sempre persone, e la vita era un valore importante, da rispettare e difendere.
    E chi me lo imponeva? Sbuffai, era ovvio provare rabbia dopo un periodo di depressione, una potente rabbia. Per chi stavo combattendo? Non per me di sicuro, neanche per tutte quelle persone che attaccavano Suna ogni giorno o ne manomettevano i rifornimenti, combattevo per il mio villaggio, la vita da ninja era semplicemente una fiamma pronta a spegnersi al primo sbuffo di vento, ed il paese del vento aveva un nome abbastanza eloquente. Risalii in superficie, sollevai di nuovo la zolla emergendo dalla sabbia come se fossi stato appena messo al mondo, cos'era la vita? Dopotutto ero una delle poche persone a difendere Suna, ero il grande Guardiano del Vento, ero l'Ushioni stesso, cos'erano un paio di sacrifici per soddisfare la mia fame? Perché dovevo essere io quello a sopportare la peggiore delle torture?
    Ero emerso proprio come un figlio delle Sabbie, ciò che ero sin dall'inizio, fin troppo patriottico, pensavo solo a Suna, tante accuse, la verità era che amavo il mio Paese e guidare il popolo sotto la mia bandiera era mio dovere, Nami Drakeito stava svolgendo un ottimo lavoro, ed io dovevo essere il Kazekage, da nulla a voler diventare la guida di un paese, ironico. I sacrifici andavano fatti. E sapevo anche quali.

    The End, so che non vi è piaciuta ma è fondamentale per lo sviluppo psicologico del mio pg :si2:
     
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    Sotto un Albero di Arance.

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    Me ha gustado mucho, pigliati il massimo :sagh:
     
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