The Evil Within

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    Non potevo crederci mi trovavo per l’ennesima volta in quella situazione. Ero distesa a terra e riuscivo a muovermi a malapena, un po’ per la paura un po’ per le troppe ferite. Ero riuscita ad allontanarmi abbastanza dal luogo dello scontro ma ero molto stanca e questa volta non sapevo se sarei sopravvissuta o meno. A breve il mio inseguitore si sarebbe fatto vivo dandomi il colpo di grazia, e questa volta non ci sarebbe stato nessuno a difendermi, ne Moe ne Ryuu ne nessun’altro.
    Provai a trascinarmi per qualche metro ma avevo esaurito le forze e mi lasciai andare, perdendo i sensi.


    Qualche ora prima…



    Era mattina presto e il sole non era ancora sorto del tutto da dietro la montagna, faceva fressco e non tirava vento. Io ero pronta a partire per una missione apparentemente facile, era richiesto solo un genin, quindi sarei stata da sola

    - Hai accettato una missione da sola?

    Moe non sembrava molto contenta della cosa ma non potevo aspettare di trovarne una con tre posti disponibili, avevo bisogno di trovarmi in determinate situazioni per tirarne fuori il meglio. Se avessi sempre avuto Moe a coprirmi le spalle non sarei mai stata una shinobi completa, dovevo imparare a cavarmela da sola in ogni situazione.

    - Ci metterò poco, appena torno ne troviamo una insieme…e non essere troppo indignata, anche tu lo hai fatto

    Non mi divertivo ad andare da sola fuori dal villaggio ma era una cosa necessaria, avrei dovuto affrontare il doppio della missioni se avessi voluto migliorare notevolmente.
    Un Jounin mi scorto lungo il sentiero che portava valle, lasciandomi all’inizio delle pianure del paese del fulmine. Avrei dovuto attraversare tutto il territori fino a giungere nella zona neutrale tra il paese del suono e quello del fulmine, il mio compito era quello di consegnare una lettera, nulla di più facile all’’apparenza.
    Affrontare un simile viaggio da sola era più difficile, il tempo sembrava non passare mai ed era molto frustrante.
    Detestavo prendere quel sentiero, ormai sapevo con certezza che da quelle parti vi era il nascondiglio di Akira, anche se mio cugino a quanto pare non era riuscito a trovarlo dopo la sua fuga. Avevo come la sensazione di essere osservata e non mi piaceva. Provai ad allontanarmi dalla foresta confinante con la pianura che stavo attraversando, un eventuale attacco proveniente da dietro gli alberi sarei riuscita ad evitarlo a quella distanza. Ero così concentrata a guardare la radura boscosa alla mia destra che non mi accorsi della figura ad una decina di metri davanti a me, almeno fino a quando decise di parlare.


    - Ciao amichetta del cuore, finalmente sola… -

    Mi stava aspettando, sapeva che prima o poi sarei passata da quelle parti. Non sapevo esattamente cosa volesse ma non ero assolutamente certa di batterlo.

    - Sai mio zio era l’unico parente che mi fosse rimasto, e grazie a te ora sono solo. Ho saputo che anche i tuoi genitori sono morti. Già, le voci corrono….tranquilla, li raggiungerai a breve

    Quando nominò i miei genitori persi la calma, scagliandomi contro di lui. Sapevo di non poterlo battere nel corpo a corpo, per questo mi avvicinai abbastanza per poterlo colpire con la muraglia tempestosa, così da poter riutilizzare l’acqua di quella tecnica per procedere con l’artiglio missile acquatico. Capì subito di aver fallito perché sentì dei movimenti alle mie spalle, non feci in tempo a schivare il fendente anche se riuscì a deviarlo parzialmente riducendo i danni ed evitando una morte sicura. Il colpo mi prese ad un braccio ma riuscì ad evitare il successivo con uno spostamento laterale. Non feci in tempo a riprendere fiato che Akira compose molto rapidamente dei sigilli e mi indirizzò contro una tecnica di tipo vento che non avevo mai visto, sembravano dei proiettili. Non riuscì ad evitarli e venni ferita da quest’ultimi.
    Il mio nemico si avvicinava minaccioso e io non potevo dargliela vinta così facilmente, i nostri sguardi si incrociarono, evidentemente non aveva ancora imparato perché si fece colpire nuovamente dalla tecnica della paralisi e cadde a terra immobile. Ne approfittai per allontanarmi il più possibile, ero ferita e avevo dolori ovunque ma usai tutta la mia forza di volontà per correre lontano da quel posto, fino a quando non caddi a terra stremata.
    Non potevo crederci mi trovavo per l’ennesima volta in quella situazione. Ero distesa a terra e riuscivo a muovermi a malapena, un po’ per la paura un po’ per le troppe ferite. Ero riuscita ad allontanarmi abbastanza dal luogo dello scontro ma ero molto stanca e questa volta non sapevo se sarei sopravvissuta o meno. A breve il mio inseguitore si sarebbe fatto vivo dandomi il colpo di grazia, e questa volta non ci sarebbe stato nessuno a difendermi, ne Moe ne Ryuu ne nessun’altro.
    Provai a trascinarmi per qualche metro ma avevo esaurito le forze e mi lasciai andare, perdendo i sensi.
     
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  2. ~Daniele
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    ~ The Evil Whithin
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    Alphonse sentiva di affogare lentamente: i suoi polmoni si stavano lentamente riempendo di un liquido denso e dal sapore forte, spingendo contro le pleure polmonari, impedendogli di espandersi, di rifornirsi e rifocillarsi del prezioso e vitale gas, e di inviarlo a tutte le sue cellule, come dono prezioso e vitale.
    Sentiva il respiro venire meno, e più si sforzava nel catturarne degli altri, più il dolore aumentava, ma il giovane non poteva esimersi da quei tentativi, il suo istinto biologico alla sopravvivenza lo obbligava a lottare, immettendolo in ciclo vizioso, in una spirale negativa che sembrava avere un solo esito possibile.
    La morte.
    La ventilazione polmonare sarebbe presto divenuta insufficiente, le brevi e frequenti inspirazioni non avrebbero impedito lui di provare un senso di nausea, dovuto alle forti vertigini: l'ambiente intorno a sé avrebbe cominciato a divenire meno dettagliato e nitido, come se qualcuno stesse cancellando in malo modo tutto ciò che lo circondava, confondendone i confini, amalgamando il tutto in una informe macchia di colori e sensazioni. Era il segno inequivocabile che il suo cervello stava morendo, la mancanza di ossigeno era la condanna a morte per i miliardi di neuroni, padroni ed artefici della sua memoria, della sua essenza e della sua coscienza. Era qualcosa di inaccettabile, Alphonse non voleva e poteva permettere ad Alphonse di morire, eppure la sua volontà, in questo momento, contava ben poco, era come una brezza di vento contro un incendio divampante.
    Davide contro Golia. Eppure, contro tutti i pronostici, il piccoletto aveva vinto, quella volta.
    Infine, avrebbe prevalso il senso di debolezza, sconfiggendo, come un valoroso generale, ogni vana resistenza da parte del suo organismo, che, assediato su più fronti, avrebbe presto capitolato.
    Sembrava essere questa la fine del giovane Alphonse, troppo giovane per essere ricordato dalla storia per le sue gesta eroiche, troppo giovane per aver sviluppato doti di combattimento leggendarie, troppo giovane per aver addirittura mai amato una donna, troppo giovane per essere considerato uomo.

    Al aprì gli occhi, ed il mondo, intorno a sé, sembrava essere divenuto rosso scarlatto.
    Il giovane era intontito, sentiva un fastidioso ronzio all'orecchio destro, dal sinistro, invece non sentiva nulla, il silenzio più totale, come se non fosse dotato dell'organo dell'udito, su quel lato.
    Il Genin aveva il profilo destro del volto completamente immerso in una pozza di sangue, il gusto ferroso dovuto all'emoglobina gli riempiva la bocca, i fumi gli inebriavano la mente, passando per il suo olfatto che, nonostante le sue pessime condizioni, sembrava ancora funzionare in maniera ottimale.
    Il Takiano tossì, sputando un grumo di sangue grosso quanto una nocciola, che si infranse sul lugubre specchio rubino, schizzando e macchiando ulteriormente i suoi vestiti logori: si passò la manica della giacca sul viso, in modo da pulire gli occhi e tornare a vedere secondo il giusto cromatismo.
    Con un enorme sforzo tentò di sedersi, facendo forza con il braccio destro, tentando di usare un albero mezzo distrutto come schienale, ma il risultato fu miseramente differente, dato che ottenne solamente di accasciarsi in maniera scomposta sull'altro fianco.
    Il suo cervello era annebbiato, sapeva esattamente quale fosse la causa, anche se non riuscì a formulare questo pensiero nella sua testa, poiché richiedeva troppe energie, di cui era sprovvisto.
    La cosa più ragionevole da fare era valutare l'entità dei suoi danni, eseguendo su di sé quell'esame obiettivo che aveva imparato osservando i propri genitori, medici rinomati del proprio villaggio: averli al proprio fianco, in quel momento, avrebbe reso tutto più facile.
    Con il braccio destro, l'unico che sembrava rispondere alla sua volontà, cominciò a tastarsi le gambe, per risalire poi alle cosce e alla regione inguinale, non trovando altro che vestiti laceri e rovinati, ma sostanzialmente nessuna lesione od escoriazione grave.
    Alphonse sapeva che non era lì che doveva cercare, percepiva chiaramente la fonte del suo dolore, aveva forse paura di accertarsi, tramite la palpazione, della gravità delle stesse.

    ..Coraggio..

    Inspirò profondamente, ed un dolore lancinante al fianco sinistro gli spezzò il fiato, facendolo tossire e lacrimare per la sofferenza: le dita timidamente sfiorarono i lembi del profondo squarcio, percependo come il suo prezioso sangue fluiva via, abbandonando il suo corpo e portando con sé la sua preziosa energia.
    Il suo braccio sinistro pulsava in maniera infernale, a causa della brutta bruciatura lungo la faccia dorsale, ed infine sul capo, nascosto fra i capelli, si era aperto un profondo taglio, intenzionato a rigurgitare liquido fino al suo esaurimento.
    Era conciato male, e se non fosse intervenuto, sarebbe morto dissanguato. Tentò di concentrare il Chakra nella mano destra, ma il bagliore azzurrino non si manifestò: evidentemente le sue condizioni fisiche non permettevano lui di appellarsi alla sua energia interiore, di concentrarsi in modo consono al richiamo dell'essenza stessa degli shinobi.
    Si sentì un attimo perso, senza il proprio Chakra, non poterlo usare a proprio piacimento era come privarlo di una parte del proprio corpo; ad ogni modo, non poteva abbandonarsi alla disperazione, doveva rimanere lucido, se voleva sopravvivere a quell'inferno: la priorità era fermare l'emorragia e, in assenza del suo Suiton, avrebbe dovuto rimediare alla vecchia maniera.

    Questa volta mia madre mi uccide..

    Al estrasse un kunai e cominciò a squarciare il suo soprabito rosso, capo che spesso subiva quell'infausta fine e che, ogni volta, gli veniva ricomprato, non senza i ripetuti rimproveri della donna.
    Forse, in quell'occasione, ne sarebbe stata felice.
    Al si sfilò il coprifronte, che fissò sul braccio destro, sostituendolo con la fasciatura improvvisata, che, lentamente, iniziò ad imbibirsi di liquido scarlatto; altrettanti dispositivi sanitari furono avvolti intorno alla bruciatura, mentre una larga fascia servì a cingere l'addome, in modo da comprimere la lesione sul fianco.
    Al si alzò con difficoltà, ed iniziò a vagare, senza una metà precisa: non sapeva dove si trovava, perché fosse lì, o cosa gli fosse successo.
    Tabula Rasa.
    Probabilmente, nello sbattere la testa, aveva una piccola commozione cerebrale, sufficientemente grave, tuttavia, da provocargli queste amnesie che, sperava, fossero solo temporanee.
    La natura intorno a sé sembrava essere stata brutalmente danneggiata, da fiamme o, più probabilmente, dal'andamento dei detriti circostanti, da una serie di esplosioni: sembrava si fosse appena consumata una guerra, in quel limitato appezzamento di terra, ma nessuno di questi stimoli riuscì ad evocare, nella sua mente, alcuna immagine.
    Una ragazza giaceva inerme al suolo, forse priva di sensi, in condizioni peggiori delle sue.
    Avrebbe dovuto aiutarla? O avrebbe dovuto scostare lo sguardo e proseguire per la sua via, in modo da non essere ulteriormente rallentato?
    Non era una decisione difficile, non esitò neanche per un momento: si avvicinò alla pulzella, scuotendole il capo, cercando di farla rinvenire, per poi tentare di sollevarla, cingerle le spalle con il braccio destro e, con estrema sofferenza, tentare di spostare il fardello, in modo da allontanarsi da quell'area esposta, per trovare un rifugio più sicuro.
     
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    Non mi accorsi subito in che situazione mi trovavo, ero confusa e dolorante e facevo fatica a ricomporre le vicende di qualche minuto prima prima. Ero partita in missione e avevo incrociato Akira, avevamo combattuto e io ne ero uscita gravemente ferita, allora perché ero ancora in grado di respirare? Ormai doveva avermi raggiunta e uccisa, invece lì con me sembrava esserci qualcun altro, qualcuno che non conoscevo, un ragazzo per la precisione, ma chi era costui? Notai il coprifronte di Taki e capì che era un ninja, forse si era semplicemente ritrovato nel posto giusto al momento giusto o forse nel posto sbagliato al momento sbagliato, dipendeva dai punti di vista.
    Avevo dolori ovunque, Akira mi aveva colpito con dei proiettili d’aria o almeno credevo, ero stata colpita al fianco e al braccio destra dalla sua katana. Poco male, io ero mancina e mi aveva detto anche bene in quell’occasione. Il vero problema era che stavo sanguinando anche se non copiosamente, e se avessi voluto sopravvivere mi sarei dovuta curare, il villaggio era troppo lontano per essere raggiunto in fretta soprattutto in quella condizioni.
    Mi feci aiutare dal ragazzo ad alzarmi, anche lui sembrava messo piuttosto male e forse si era scontrato con Akira, non ne ero sicura ma una cosa era certa, non stava messo assolutamente meglio di me. Non potevo reggermi a lui, probabilmente ero io a doverlo sorreggere viste le sue condizioni. Mi feci forza e mi alzai cercando di ignorare i dolori che avevo, ogni mio movimento mi provocava un dolore da qualche parte ma dovevo riuscire a mettermi in un posto più sicuro di quello. Inoltre non sapevo se anche quel ragazzo fosse inseguito da qualcuno, dovevamo andarcene e quella era l’unica cosa sicura.


    - Non dovresti essere qui, io attiro solo guai e finirai coinvolto anche tu purtroppo

    Riuscivo a stare in piedi senza troppe difficoltà e anche a camminare nonostante tutto, sorressi il giovane ninja di Taki anche se questo mi provocò dolori più forti e maggiore fatica da sopportare. Era molto pallido, probabilmente aveva perso molto sangue, le sue ferite non sembravano roba da poco. Dovevamo trovare riparo da qualche parte o sarebbe finita male, e l’unico posto riparato che vedevo nei paraggi era la foresta, seppure fosse molto rischioso entrarci.
    Non avevo ancora sentito avvicinarsi nessuno fortunatamente, quindi senza chiedere consiglio girai verso gli alberi portando con me il ragazzo. La foresta per quanto pericolosa potesse risultare nelle nostre condizioni ci offriva anche un riparo da occhi indiscreti che non potevamo di certo ignorare.
    Camminammo per qualche minuto, non mi sentivo ancora al sicuro e sapevo non lo sarei stata fino a quando non avessi raggiunto il villaggio.
    Quando finalmente trovai un posto riparato decisi di fermarmi, facendo sedere a terra il ninja di Taki e facendo a mio volta la stessa cosa.
    Il posto dove ci eravamo fermati era un’insenatura tra delle rocce all’interno del bosco, era abbastanza riparato e avremmo avuto il tempo di riprendere fiato a provare almeno a curarci le ferite.




    Non ero molto brava a curare le ferite, anzi non avevo la minima idea di come fare. La cosa che mi infastidiva maggiormente era il taglio al fianco, quello al braccio provocava un dolore abbastanza sopportabile nonostante tutto. Ero consapevole che il chakra di tipo suiton era in grado di curare determinate ferite, ma non lo avevo mai fatto prima, non che avessi molta scelta d'altronde. Poggiai la mano sinistra sul fianco e concentrai il chakra in quella zona sentendo un formicolio. Il taglio smise quasi subito di sanguinare e ne fui sollevata, quindi feci la stessa cosa con la ferita sulla spalla.
    Tirai fuori la katana e tagliai un pezzo della manica della mia maglietta già strappata nello scontro con Akira e provai ad utilizzarla come benda per coprire la ferita al fianco. Tagliai anche l’altra manica per bendarmi il braccio destro sperando che almeno quello avrebbe impedito l'insorgere di infezioni. Sicuramente avevamo entrambi bisogno di un medico, ma forse come prime cure potevano andare.
    Il ragazzo sembrava essersi già medicato come avevo fatto io in precedenza, ma non osai toccarlo. Era ferito e io non volevo peggiorare le cose, non ero di certo un medico e non sapevo con esattezza cosa fare, magari lui era più informato di me al riguardo.
    Poggiai la testa alla roccia dietro di me respirando profondamente, avevo bisogno di calmarmi e riflettere su quanto stava accadendo, dovevo escogitare un piano per portare me e l’altro ragazzo in salvo. Non sapevo nemmeno chi fosse a dire il vero, ma aveva cercato di portarmi via dal posto in cui ero svenuta, ed io di certo non lo avrei lasciato lì a morire.
    Ripensai a mio cugino, a mio fratello e alla mia amica Moe, non potevo di certo abbandonarli così, non potevo arrendermi così facilmente, non era da me.
     
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  4. ~Daniele
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    ~ The Evil Whithin
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    "Dio li fa e poi li accoppia".
    Ma quale Dio misericordioso e fondamentalmente buono avrebbe l'ironia, o meglio, il cattivo gusto di martoriare due giovani, lasciandoli esangui e morenti, e di farli incontrare, nel nulla di quella radura?
    A che pro? In che modo quei due avrebbero potuto trarre un qualsiasi giovamento dall'altro? Probabilmente non aveva pensato a questo, nel suo misterioso ed indecifrabile modo di agire, sarebbe toccato ai due cavare il meglio da quella situazione che, per il momento, non pareva offrire grandi opportunità.
    Nel tentativo di sollevare il suo corpo, la giovane rinvenne, per un attimo spaesata, il suo sguardo perduto nel vuoto, immerso in chissà che tipo di esperienza extrasensoriale: riottenuto il controllo delle proprie facoltà, la sentì poggiare il peso sulle sue gambe, con suo enorme piacere, dato che non aveva sufficienti energie per permettersi quel gesto cavalleresco.
    Gli cinse il fianco con il braccio sinistro, aiutandolo a camminare: fianco a fianco, i due zoppi si allontanarono dal luogo del ritrovamento, abbandonando silenziosamente il luogo, alla ricerca di un rifugio, ove poter riposare e leccare le proprie ferite, in modo da rimettersi in forze per l'indomani.
    Il sole stava lentamente calando, l'oscurità gli avrebbe fatto sicuramente comodo, poiché, a meno di abilità percettive superiori, le tenebre avrebbero celato presto le loro tracce, confondendo, nella migliore delle ipotesi, i loro inseguitori.

    - Non dovresti essere qui, io attiro solo guai e finirai coinvolto anche tu purtroppo –

    Ma, nonostante tutto, la giovane non sembrava aver contemplato la possibilità di lasciarlo lì, da solo, per intraprendere la propria strada, seguendo il proprio consiglio altruistico, o egoistico, in base ai punti di vista. La kuinoichi lo stringeva per il fianco, condividendo parte del peso che lo vincolava al suolo, soffrendo più di quanto avrebbe potuto, se camminasse per conto proprio.
    Era forse nobiltà d'animo? O semplicemente la compassione per quella creatura inerme e ferita, a spingerla a quel sacrificio? Al non ebbe mai il coraggio di chiederglielo, il suo orgoglio temeva la risposta.

    Non mi pare che io sia così fortunato.. Con quello che mi è successo..

    Già.. che mi è successo?

    L'amnesia non sembrava migliorare, ricordava vagamente gli eventi di qualche giorno prima, ma nulla sul perché fosse in quel bosco, su dove, effettivamente, si trovasse, e se fosse da solo o con un Team, ed, in tal caso, dove fossero gli altri componenti.
    Una serie di interrogativi assediavano la sua mente, incapace di poter fornire delle risposte alle incessanti richieste.
    Immerso nel suo flusso di pensieri, Al si soffermò nell'osservare la ragazza, che, a fatica, quasi lo accompagnava per il sentiero petroso: nonostante sudore, sangue e lo sporco, dovuto al fatto di essersi trascinata per terra, era proprio una bella ragazza, i capelli le superavano di poco le spalle, ed erano di un colore molto particolare, fra l'azzurro ed il violetto; gli occhi, grandi e rossi, spiccavano nel suo viso dagli esili lineamenti.
    Il duo camminò per qualche minuto, inoltrandosi sempre più nel fitto della vegetazione, sperando che la stessa si ergesse come loro guardiana, nel nefasto caso in cui i loro aguzzini fossero sulle loro tracce: non parlarono, durante il tragitto percorso insieme, tutto quel dolore non sembrava essere un gran catalizzatore sociale, anche se Alphonse si sarebbe volentieri presentato, avrebbe voluto domandare chi fosse lei e perché fosse lì, ricoperta di sangue, ma sembrava non avere fiato sufficiente anche per questo processo.
    Finalmente la giovane individuò il luogo adatto ad ospitare i fuggitivi, un'insenatura fra due formazioni rocciose, sufficientemente massicce da permettere loro di posizionare là il loro campo base.
    Non che avessero molta attrezzatura da montare, forse si sarebbero concessi un piccolo fuoco, per riscaldarsi: Al non sapeva quanto la temperatura potesse precipitare, di notte, o meglio, non se lo ricordava, probabilmente aveva già dormito all'addiaccio, in quelle terre.
    Alphonse si sedette, gemendo a causa della contrazione dell'addome, ma presto prevalse il senso di torpore, dovuto allo sforzo sovrumano richiesto al suo corpo indebolito.

    Ehi.. sarebbe il caso di presentarci, dopotutto.. Io sono Alphonse Elric e sono un Genin di Taki.. Ho visto che sei di Kumo, come mai sei ridotta così male?
    Io vorrei ricordarmene..


    Al spiegò brevemente della sua amnesia, e di come si era trovato mezzo morto in una pozza di sangue, del suo sangue, non molto lontano da dove l'aveva trovata svenuta.
    Avrebbe aspettato la risposta della ragazza, osservando i suoi tentativi di lenire le sue ferite tramite il Chakra Suiton, affinità elementale che sembravano condividere.
    Decise di emulare i suoi tentativi, passando la mano destra sulle bruciature del braccio controlaterale, ma, ancora una volta, l'energia che era solito evocare mancò all'appello, lasciando la sua mano sostanzialmente "nuda", priva del suo abito di energia azzurrina.
    Sentì il suo stomaco appesantirsi, aggravato dal macigno di una nuova consapevolezza: forse l'amnesia aveva cancellato parte del suo addestramento, precludendogli la possibilità di evocare il chakra, tagliando quell'intima connessione che oramai, da tempo, era divenuta familiare e quotidiana.

    Ehm.. mi puoi dire dove ci troviamo? Credi sia il caso di accendere un fuoco, per riscaldarci?
    Comunque, io ho bisogno di qualche ora di sonno, se non ti dispiace. Svegliami fra un paio di ore, così ti do il cambio per il turno di guardia.


    Si accasciò sul fianco destro, in una posizione non particolarmente comoda, ma si assopì comunque in fretta.


    Ti ho detto di andartene!

    Non posso lasciarti qui, sono responsabile anche per la tua di vita..

    Io sto bene, ma John no, lo devi portare al Villaggio, lo devi guarire, lui deve vivere!

    Urla disperate si levavano fra le fronde di mastodontiche sequoie, mentre un gruppetto di tre giovani Ninja correva freneticamente, saltando da un ramo all'altro, sfuggendo ad una serie di insidie che, ogni volta, sembravano avvicinarsi sempre più a colpire le loro vittime.
    Il gruppo era rallentato da un pesante fardello, dalle sembianze di un robusto e muscoloso ragazzo che, privo di sensi, viaggiava sulle spalle di una Kunoichi particolarmente potente, nonostante le apparenze non lo suggerissero.
    John era svenuto, la sua spalla destra sembrava essere passata dentro un tritacarne, tanto era malconcia: non era un medico, ma, da quanto poteva vedere, era piuttosto grave, chissà quante decine di complicazioni avrebbero potuto compromettere l'arto, o, addirittura, la sua vita.
    Era qualcosa che non poteva accettare, anteporre la propria sicurezza e salvaguardia alla salute di suo "fratello", per questo urlò ancora una volta alla donna di andare via e, cambiando bruscamente direzione, saltò indietro, eseguendo una capriola atta ad evitaredue affilati Kunai, mimando, nel contempo, una serie infinita di sigilli: Velo di Nebbia, Bushin no Justu e Oboro Bushin no Justu.
    Occultare le loro posizioni costituiva l'occasione migliore, per Rikku, di fuggire e, per Alphonse, di sopravvivere.
    Atterrò su un ramo e, evocando il Mizu Kamigiri, ci scivolò sopra, per tutto il senso della lunghezza, per poi lanciare tre lame consecutive contro le fonti odorose percepite, posizione dei propri nemici.
    Giunto al suo termine, si lanciò nel volo dell'Angelo, sperando di essersi salvato, ma la deflagrazione di una Carta-Bomba alla sua sinistra lo smentì drasticamente: il giovane venne sbalzato dall'onda d'urto, attraversando ad altissima velocità la chioma di un'albero, un cui ramo squarciò il suo fianco sinistro come fosse burro; la caduta a terra non fu meno brutale, l'impatto con il suolo aprì un profondo taglio sul cuoio capelluto.
    E poi più nulla.
     
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    Riuscì a fare mente locale e calmarmi, sapevo benissimo cosa avrei dovuto fare se fossi riuscita ad uscire viva dalla foresta. Le possibili soluzione erano due, o affrontavo Akira direttamente andando probabilmente in contro a morte certa o mi sarei dovuta dirigere a Kumo insieme al ragazzo, rischiando di incontrare Akira un domani e di ritrovarmi nella stessa situazione, cosa che volevo assolutamente evitare. Avevo un conflitto interiore non indifferente, Akira era stato un mio amico e io non volevo ucciderlo nonostante affermassi il contrario, eppure non avevo altra scelta visto che lui non si faceva scrupoli a farmi del male.

    Ehi.. sarebbe il caso di presentarci, dopotutto.. Io sono Alphonse Elric e sono un Genin di Taki.. Ho visto che sei di Kumo, come mai sei ridotta così male?
    Io vorrei ricordarmene..


    In effetti mi ero completamente dimenticata di presentarmi, non che non avessi voluto ma vista la situazione nella quale ci eravamo conosciuti era anche comprensibile, era più impegnata ad andarmene dal luogo in cui ero svenuta che altro.

    - Mi chiamo Yuki Shirasu e come te sono una genin anche se io di Kumo…Purtroppo mi sono ritrovata ad affrontare un vecchio amico che ormai viene considerato un traditore dal villaggio, se ne andò mesi fa per la sua strada. E’ forte ma battibile, il problema è un altro… -

    Lasciai la frase in sospeso, mi vergognavo ad ammettere che in realtà ero io che facevo fatica ad ucciderlo in quanto gli volevo ancora bene.
    Il ragazzo mi spiegò che probabilmente anche lui aveva avuto uno scontro con qualcuno ma che non ricordava nulla di ciò che gli era accaduto, solo di essersi risvegliato in una pozza del suo stesso sangue.
    Ero molto stanca e provata per gli avvenimenti di qualche ora prima, vidi il ragazzo cercare di curarsi come avevo fatto io anche se con scarsi risultati.


    Ehm.. mi puoi dire dove ci troviamo? Credi sia il caso di accendere un fuoco, per riscaldarci?
    Comunque, io ho bisogno di qualche ora di sonno, se non ti dispiace. Svegliami fra un paio di ore, così ti do il cambio per il turno di guardia.


    Non avevo la più pallida idea di dove fossimo, mentre ci allontanavamo pensavo solo a porre più distanza possibile tra noi e i nostri aggressori. Il fuoco era un cattiva idea anche se necessaria, sicuramente sarebbe stato più facile trovarci ma se non lo avessimo acceso saremmo morti di freddo quella notte.

    - Non so dove siamo sinceramente, per ora al sicuro…tu riposati io intanto vedo di accendere il fuoco, se qualcuno si avvicina nel raggio di 200 metri lo sentirò

    Raccolsi tutta la mia forza di volontà e mi alzai in piedi nuovamente raccogliendo rametti secchi qua e là, prendendo quanta più legna possibile così da evitare di muovermi nuovamente. Fortunatamente portavo sempre con me lo zippo che i miei genitori mi avevano regalato per compleanno, sarebbe stato un elemento fondamentale per accendere il fuoco. Volevo evitare di utilizzare foglie secche in quanto avrebbero prodotto molto fumo, quindi cercai qualcos’altro di facilmente infiammabile e con mia grande fortuna trovai a pochi metri da me un nido di uccello ormai abbandonato, probabilmente caduto dai rami soprastanti. Sapevo che erano ottimi per accendere i fuochi, quindi lo misi alla base di tutto e creai una piccola montagnola di legnetti secchi sopra, dopodiché tirai fuori lo zippo e accessi il nido, quest’ultimo prese fuoco in un attimo accendendo anche gli altri rametti. Quelle nozioni le avevo apprese da mio cugino, le lezioni di sopravvivenza in terreni ostili fu una delle prime cose che mi insegnò.
    Continuai ad aggiungere legna fino a quando si creò un bel fuoco, abbastanza grande da riscaldare la zona dove ci eravamo temporaneamente accampati.
    Mi sedetti nuovamente con mio grande piacere e provai a rilassarmi qualche secondo, stando attenta a percepire anche il minimo rumore sospetto in lontananza, prima mi sarei accorta di un eventuale pericolo e prima saremmo filati via da quel posto.
    Mi girai verso il ragazzo e notai che dormiva profondamente, resistetti all’impulso di addormentarmi a mia volta, la stanchezza si faceva sentire sempre più ma avrei dovuto resistere almeno un paio d’ore restando vigile e concentrata.
     
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    Fu una notte lenta e travagliata, quella del giovane Takiano, tormentato sia nel corpo, a causa delle ferite ancora aperte, sia nella mente, da una serie di immagini cruente, riguardanti il suo miglior amico, John, e la sua Sensei, Rikku: ogni volta questi sprofondava nelle braccia di Morfeo, dopo il proprio turno di guardia, il suo subconscio sembrava riproporgli la stessa sequenza, persistendo nel suggerirgli un qualche messaggio che, però Alphonse tardava a captare, questo perché ogni qual volta tornava nel mondo dei vivi, il ricordo del sogno si faceva sfocato e poco nitido, lasciandolo con delle vaghe sensazioni, troppo effimere per poter evocare in lui un'epifania.
    Negli attimi prima che il giovane crollasse, aggravato dal peso delle proprie ferite, i due sopravvissuti si abbandonarono ad una piacevole conversazione, ritagliandosi, in quella situazione così tremendamente pericolosa e tesa, un momento di banale e noiosissima quotidianità, in quel momento forse ciò che più mancava loro.

    Mi chiamo Yuki Shirasu e come te sono una genin anche se io di Kumo…Purtroppo mi sono ritrovata ad affrontare un vecchio amico che ormai viene considerato un traditore dal villaggio, se ne andò mesi fa per la sua strada. E’ forte ma battibile, il problema è un altro… -

    Parlando di quel fantomatico amico, che tanto non doveva esserlo, dato come l'aveva conciata, un'ombra scura, di tristezza, calò sul suo volto, come se il parlare male di quell'essere fosse motivo di dolore per la Kuinoichi, forse ancora legata a lui da forti sentimenti.
    Il resto della conversazione verté su argomenti prettamente più logistici, ovvero sulla loro posizione, e su come si sarebbero organizzati per la notte, ovvero sulla possibilità di accendere un fuoco per riscaldarsi, e sull'organizzare turni di guardia. Normale routine, per i due militari.
    Le prime luci dell'alba filtrarono fra le foglie delle imponenti chiome, attraversando le goccioline di rugiada depositate sulla loro superficie, esplodendo in giochi di luce di misterioso fascino.
    Al era accoccolato attorno ad una roccia, pretendendo che l'asprezza di quel grezzo materiale potesse vagamente ricordare la sofficità del proprio cuscino, che spesso era stretto fra le braccia del giovane, durante il sonno, in un grande abbraccio, come era solito fare nella sua infanzia.
    Eppure, se quella particolare posa era solitamente portatrice di serenità e di calma, l'occasione non pareva così lieta: elementi incongrui animavano il suo quieto riposo, quali sudorazione, contrazioni spasmodiche della muscolatura scheletrica, movimenti oculari frenetici.
    Ancora una volta, Alphonse stava rivivendo quelle sfuggenti immagini, osservando la scena dall'alto, potendo dunque apprezzarne ogni singolo dettaglio: la fuga disperata del trio, l'arbitraria decisione di separarsi, l'agguato ai danni del Genin, lasciato morente e sanguinante, in quello che pareva il peggior luogo in cui essere seppellito.
    Come fosse dotato di una macchina da presa, l'osservatore zoomò sulla propria figura esangue, schiacciata a terra dal peso delle proprie ferite: i fluidi si riversavano copiosi nella radura, macchiando indelebilmente il luogo, marchiandolo come suo sepolcro personale. Un sibilo confuso emergeva dalle sue labbra appena schiuse e bagnate del suo stesso vigore, un'invocazione apparentemente insensata, frutto dei deliri e delle farneticazioni dovute dall'aggravarsi delle sue condizioni ma che, ad un'orecchio attento, sarebbe apparsa chiara e cristallina.

    Jh.. on.. Jho...n, Jhon..

    JOHN!

    Il Genin urlò, destandosi improvvisamente dall'incubo che, per tutta la notte, aveva cercato di farlo ragionare e di ripristinare la sua memoria attraverso l'unico strumento a sua disposizione, lo shock.
    Ed aveva funzionato perfettamente, infatti il letale ed efficiente strumento aveva cacciato via l'ombra dell'oblio dalla sua mente, permettendogli di immergersi nuovamente nella propria coscienza, tornando ad essere se stesso.
    Sapeva cosa gli era successo, sapeva cosa doveva fare.
    Si strappò via le bende sudicie ed impregnate del liquido scarlatto, imponendo su di esse la mano destra, sicuro che, questa volta, il suo Chakra non lo avrebbe tradito, non ora che il suo spirito si era destato.
    Quell'energia ribolliva dentro di sé, poteva sentirla gorgogliare, urtare contro le pareti del suo letto circolatorio, quasi il suo contenitore non fosse più sufficiente capiente. Sentiva l'energia straripante di una stella, bruciare nel suo esile petto.

    Yuki, mi ricordo, mi ricordo cosa è successo! Devo tornare a Taki, immediatamente, i membri del mio Team sono feriti e John.. Oceania-sama può salvarlo, ma io devo essere con lui..

    Sapeva di dover andare, di non dover perdere neanche un secondo, la coppia avrebbe potuto essere in pericolo, e non si sarebbe mai perdonato il fatto di non essere a loro fianco.
    Eppure, aveva un obbligo anche nei confronti della ragazza, i due si erano salvati, erano sopravvissuti sostenendosi l'un l'altro, voltarle le spalle, in questo momento, sarebbe stato il più egoistico dei gesti.

    Vieni come me, alla Cascata ti cureranno e ti rimetteranno in sesto, e ti prometto di riaccompagnarti a casa, una volta finito tutto questo..

    Il tempo stringeva, la risposta della ragazza avrebbe influenzato radicalmente il loro futuro, tracciando una linea di demarcazione, netta precisa.
    Di non ritorno.


    Fine Prima Parte.
    La seconda, e conclusiva, la scriviamo di seguito
     
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    Quando il mio turno di veglia si concluse fui molto lieta di coricarmi per qualche ora vicino al fuoco e riposare, la stanchezza era tanta ed iniziavo a fare fatica a restare concentrata.
    Alphonse sembrava avere gli incubi quando lo svegliai per il cambio turno, non chiesi nulla e mi limitai a sprofondare in un sonno profondo poco distante dal fuoco.
    La nottata trascorse in questo modo, ogni due ore uno dei due si metteva a dormire e l’altro faceva la guardia per evitare spiacevoli sorprese. Il mio ultimo turno terminò con le prime luci dell’alba, e la prima cosa che pensai fu che dovevamo iniziare a muoverci, rimanere lì non avrebbe portato a nulla. Mi sentivo molto meglio sia fisicamente che psicologicamente, avevo avuto modo di riflettere su quale fosse la scelta giusta da prendere nei confronti di Akira, e cosa avrei dovuto fare se lo avessi incontrato nuovamente.
    Il fuoco ormai si era spento e nonostante tutto noi eravamo ancora vivi, il mio nuovo amico giaceva disteso a terra addormentato, perdeva ancora sangue dalle ferite che aveva. Lo avrei aiutato volentieri se fossi stata un medico e avessi avuto le conoscenze adatte per poterlo curare.


    Jh.. on.. Jho...n, Jhon..

    Mi voltai verso Alphonse, stava avendo un altro incubo e a quanto pare borbottava il nome di una persona, non sapevo chi fosse ma immaginavo un amico.

    JOHN!

    Il giovane si destò improvvisamente, sembrava agitato. La prima cosa che fece fu curarsi le ferite nello stesso modo in cui avevo fatto io, a quanto pare si era ripreso abbastanza per poterlo fare. Un problema in meno a cui pensare.

    Yuki, mi ricordo, mi ricordo cosa è successo! Devo tornare a Taki, immediatamente, i membri del mio Team sono feriti e John.. Oceania-sama può salvarlo, ma io devo essere con lui..

    Non sapevo nemmeno con esattezza dove fossimo in quel preciso istante, sapevo in che direzione saremmo dovuti andare se avessimo voluto raggiungere Taki anche se io preferivo di gran lunga andare al mio villaggio. Taki non era un paese ostile a Kumo ma non ci ero mai stata ed ero un po’ spaventata all’idea.

    Vieni come me, alla Cascata ti cureranno e ti rimetteranno in sesto, e ti prometto di riaccompagnarti a casa, una volta finito tutto questo..

    Non ero molto convinta in realtà, ma dopotutto fino a quel momento ci eravamo aiutati a vicenda, e Taki era sicuramente più vicina a Kumo nel punto in cui eravamo.
    Decisi di accettare la sua proposta e di iniziare a dirigerci verso Taki, sapevo la direzione ma non il punto esatto non essendoci mai stata, il villaggio sicuramente non era piccolo e sarebbe stato bene visibile, almeno lo speravo.
    La foresta ci offrì riparo per diversi kilometri fino a quando non fummo costretti a lasciarla, intraprendendo un percorso sicuramente meno sicuro ma che ci avrebbe portato più rapidamente alla nostra destinazione. Sicuramente da quel punto in poi Alphonse si sarebbe potuto orientare meglio, magari era una strada che aveva già fatto in passato mentre io non avevo la più pallida idea di dove fossimo precisamente. Lo lasciai passare avanti seguendolo, mi sentivo abbastanza bene, nonostante non avessi dormito come nel letto di casa mia sicuramente la mia condizione era migliore di quando il giovane di Taki mi aveva trovata svenuta.
    All’improvviso sentì dei rapidi passi provenire da est, come di qualcuno che stava correndo nella nostra direzione, era molto vicino ed io non feci in tempo ad avvertire il mio compagno di avventure che una figura a me molto familiare ci si parò davanti.


    - Lui chi è il mio sostituto? Lasciatelo dire Yuki, ero molto meglio io...senza offesa ragazzo

    Akira sorrideva beffardo e sicuro di poter vincere nuovamente, io questa volta non avrei esitato, sapevo benissimo cosa era giusto fare per me e per il bene del villaggio. Feci qualche passo avanti, non volevo coinvolgere anche Alphonse nel combattimento anche se probabilmente il suo aiuto mi sarebbe stato fondamentale vista la preparazione di Akira.
     
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  9. ~Daniele
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    La rivelazione, la consapevolezza degli eventi, e l'urgenza dettata dagli stessi, aveva rinvigorito il giovane Takiano, donandogli un'energia e una vitalità che, a causa del troppo sangue perso, sembravano averlo abbandonato, almeno fino a quando non si sarebbe prestato a cure specifiche, in una struttura adibita al soccorso sanitario.
    La volontà sembrava aver trasceso i grezzi limiti imposti dalla fisiologia e dalla biologia, fornendogli il substrato tale da poter intraprendere il lungo viaggio, di potersi difendere, in caso fosse ancora attaccato, di poter vincere e surclassare il nemico, qualora le circostanze lo richiedessero.
    Il Chakra fluiva vigoroso, nel suo letto circolatorio, irrorando la superficie di ogni singola cellula, garantendo l'afflusso di metaboliti energetici, in modo che tutti i processi potessero succedersi in maniera ordinata e continuativa.
    Come un perfetto macchinario, era necessario che ogni singolo elemento lavorasse a regime, per ottenere un risultato più che soddisfacente, se non addirittura ottimo.
    La mano si mosse autonomamente, il suo organismo già sapeva cosa doveva fare, non era necessario che il cervello intervenisse: un bagliore, forse più intenso del solito, avvolse l'appendice, fornendole il potere di sanare le ferite, di pulirle, di disinfettarle e di impedire che il prezioso nettare scarlatto fluisse via, costretto ad abbandonare il proprio lido.
    Al si strappò le bende insanguinate, gettandole in terra, futuro pasto di sciacalli o di qualunque essere animale potesse apprezzare quel liquido come bevanda; tolse anche il residuo della giacca, la parte non intaccata dalla sua lama al fine di ricavarne bendaggi: la bellezza del completo era sfumata, abbandonarla, oltre ad un mero vezzo estetico, costituiva un gesto simbolico, il distacco dalle proprie ferite, dal proprio fallimento, in favore della rinascita da quelle misere ceneri con un rinnovato spirito.
    La proposta, forse egoistica, del ragazzo, di seguirlo a Taki, di non separarsi in modo che questi non soffrisse alcun rimorso, o senso di colpa, non sembrò colpire la ragazza come sperava: nella sua mente, si era immaginato che il suo spirito cavalleresco ed altruistico la conquistasse, persuadendola ad assecondare i suoi desideri.
    Ma dinanzi a sé non aveva una semplice donzella, uscita da chissà quale poema epico, frutto di stereotipi e luoghi comuni, bensì un guerriero, una Kuinoichi chissà capace di quali atti atroci e di inaudita violenza, probabilmente addirittura più potente e versata nelle medesime arti studiate da Alphonse.

    Forse ho sbagliato approccio.. vabbè..

    Sorprendentemente, Yuki acconsentì, tacendo, però, le sue motivazioni o le sue perplessità: si limitò a fare strada, anche se, avendo riottenuto i suoi ricordi, lo straniero riuscì facilmente ad riconoscere la loro posizione geografica, riuscendo quindi a calcolare il percorso più consono da intraprendere, tenendo in considerazione la sua brevità, ma anche la possibilità di ripari, in modo da dare poco nell'occhio.
    Attraversarono la foresta, rimanendovi celati per parecchi chilometri, anche più di quanti fossero realmente necessari, in modo da procedere in maniera prudente, lontano da sguardi indiscreti: il sole stava lentamente guadagnando spazio, nella volta celeste, indicando loro la giusta direzione da seguire, come un fidato Sherpa.
    Seguirono la macchia arborea verso Ovest, poi furono costretti a deviare verso Sud, abbandonando il loro luogo sicuro, inoltrandosi per una piana desolata ed avvilente, il terreno sempre più zuppo di acqua, tanto da sembrare più una palude, sotto certi aspetti.

    Le ridenti piane di Oto..

    Un panorama veramente poco entusiasmante, pensò il giovane, comparandolo alla florida e selvaggia bellezza della sua terra natia, che presto avrebbe riabbracciato, anche se per poco, dato che la sua presenza era richiesta a Taki, all'ospedale, per verificare le condizioni di John.
    Un odore sgradevole catturò la sua attenzione, il suo fiuto sembrava aver tracciato una fonte non molto distante dalla loro posizione, traccia che sembrava intensificarsi esponenzialmente ad ogni loro passo: non gli servì volgere il suo sguardo ad Est per capire che qualcuno era alle loro calcagna, pronto ad intercettarli.

    Yuki..

    Non servì spiegarle nulla, la ragazza era conscia quanto lui della presenza dell'intruso che, dato il modo in cui aveva sbarrato loro la strada, non sembrava essere un semplice passante, bensì uno dei loro aguzzini.
    Chi fosse il suo obiettivo, era questa la domanda da farsi.
    Un ombra scura calò sul volto della giovane shinobi, segno incontrovertibile che era il suo, di nemico, che gli si parava dinanzi.

    - Lui chi è il mio sostituto? Lasciatelo dire Yuki, ero molto meglio io...senza offesa ragazzo –

    Il sorriso beffardo ed arrogante dell'uomo quasi gli fece perdere la calma: essere dinanzi al responsabile delle ferite della compagna, per quanto fosse ancora un'estranea, lo scosse più di quanto si aspettava, più di quanto le condizioni sociali gli imponevano.
    Eppure, in quel momento, desiderava spaccargli la faccia, forse riversando parte della collera serbata nei confronti del suo, di nemico.
    L'uomo sorrideva loro in maniera beffarda, forte della suo fisico statuario e della sua lunga e letale Katana, mantenuta ancora nel proprio fodero, vibrante di energia e pronta a guizzare fuori, per nutrirsi delle loro carni.

    Yuki..

    Al ripeté il suo nome. Una semplice parola, quattro lettere, piene però di significato: con esse, Al la stava spronando a combattere, ad eliminare la sua bestia nera, assicurandole, per altro, la sua completa assistenza.


    Edited by ~Daniele - 26/4/2014, 23:03
     
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    Il momento decisivo era finalmente giunto, era ora di farsi forza e farla finita con quella storia una volta per tutte. Non avevo paura ma solo molto agitata, forse era l’adrenalina che iniziava a montare, Akira era molto abile nel corpo a corpo e utilizzava tecniche di tipo vento però tendeva a distrarsi facilmente.

    Yuki..

    Alphonse sembrò essersi reso conto della situazione e sembrò volermi dare il suo pieno appoggio. Avrei preferito evitare il suo coinvolgimento in realtà, ma il mio ex compagno era più forte di me e se avessi voluto spuntarla mi sarei dovuta affidare al giovane di Taki.
    Provai a ragionare, entrambi utilizzavamo tecniche di tipo acqua ma non eravamo nelle condizioni migliori per un combattimento simile, mentre Akira sembrava stesse benissimo. Non sapevo nulla di più sul mio attuale compagno, quindi mettere in pratica una strategia efficace era più facile a dirsi che a farsi.
    Purtroppo non ebbi molto tempo per organizzarmi in quanto Akira sembrava assetato di vendetta e senza indugiare si scagliò a gran velocità contro di noi. Forse avremmo potuto utilizzare la sua rabbia per spuntarla, era un sentimento molto forte ma che non gli avrebbe permesso di pensare lucidamente in momenti in cui sarebbe stato fondamentale farlo.


    - Cerca di stare lontano dalla sua spada, utilizza il vento come elemento

    Furono le uniche due cose che riuscì a dire al mio compagno prima di utilizzare la tecnica della muraglia tempestosa, così da porre un muro d’acqua tra me e Akira. Quest’ultimo riuscì ad evitare lateralmente l’attacco ma senza indugiare utilizzai l’acqua presente sul campo di battaglia per una delle tecniche più potenti che avevo.

    - Artiglio missile acquatico!

    Questa volta i proiettili furono fulminei, colpendo in pieno il mio avversario che cadde a terra dolorante. Fu in quel momento che provai tristezza, e anche se sapevo che non era il momento giusto per indugiare non ce la feci a colpire subito, speravo che Alphonse lo avrebbe fatto per me.
    Perché nonostante tutto provavo ancora qualcosa per lui? Era stato molto importante per me, ma era un nemico di Kumo e non era la prima volta che cercava di uccidermi.
    Misi da parte ogni forma di compassione e mi feci nuovamente avanti creando una mini altura acquatica sotto i miei piedi, e muovendomi a grande velocità verso Akira sfoderai la katana.
    Nella mia mente balenarono i ricordi di momenti passati assieme ma provai ad ignorarli. Non riuscì a trattenere le lacrime, che però non mi impedirono di utilizzare la tecnica della paralisi sul mio avversario. La distanza che ci separava era di qualche metro ma a me sembrò molto più lunga, giunta a pochi centimetri sferrai il colpo mortale al mio avversario incapace di difendersi, dritto alla carotide. Non ebbi il coraggio di voltarmi perché sapevo già di non aver fallito, lo avevo avvertito nel momento del colpo.
    Rinfoderai la katana sentendo il sangue del mio avversario colare lungo l’elsa fino alla mia mano, rimanendo immobile in attesa di calmarmi. Non ero ancora riuscita a smettere di piangere nonostante cercai in tutti i modi di auto convincermi di aver fatto la cosa giusta.


    - Andiamo

    Cercai di non far vedere che stavo piangendo ad Alphonse. Era terribilmente doloroso, avrei solamente voluto sfogarmi come quando erano morti i miei genitori. Quello che una volta era stato il mio migliore amico era appena morto, ucciso da me. Non osavo nemmeno immaginare la reazione di Moe un volta venuta a conoscenza della cosa, sono sicura che anche lei avrebbe fatto lo stesso ma il suo rapporto con Akira era un tantino diverso dal mio.
    Buttai un ultimo sguardo al corpo di Akira prima di incamminarmi verso Taki insieme al mio attuale compagno di avventure, un paese di cui non sapevo assolutamente nulla. Non ci ero mai stata e in realtà ero un po’ spaventata all’idea di andare in un villaggio che non conoscevo.
     
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    Yuki si trovava dinanzi la sua nemesi, un ragazzo slanciato, muscoloso e dai capelli argentei, che, leggeri, quasi come fossero sospesi in aria, poggiavano sulla pelle del suo viso, adornandolo ed impreziosendolo, proprio come una raffinata cornice con il proprio quadro.
    Akira, questo era il suo nome, era decisamente un bel ragazzo, decisamente più affascinante rispetto al Takiano, che, probabilmente, pagava lo scotto della sua tenera età, in confronto all'uomo bell'e fatto che impediva loro il passo. Ma non erano quelle, le caratteristiche che sembravano interessare la fanciulla al suo fianco, bensì il suo sguardo malevolo ed il suo ghigno beffardo: nonostante un'ostentata risolutezza, Alphonse era certo che, in quel preciso istante, una dura battaglia si stesse consumando nel suo animo, ben più cruenta di quanto il trio avrebbe potuto produrre.
    Da una parte doveva esserci l'odio ed il rancore, per le passate azioni da lui perpetrate, ma dall'altra, ugualmente, se non addirittura più potenti, lealtà e amore erano pronte a difendere il suo buon nome: non è proprio della natura dell'uomo, evidentemente, cancellare e rimuovere quei particolari sentimenti evocati nei confronti di una persona, nonostante il tradimento o le ingiustizie commesse, infatti la speranza nel pentimento e l'indole al perdono sono componenti costantemente auspicate dalla sua cerchia di amici e dalla sua famiglia.
    Non aveva mai provato un'esperienza simile, si augurava di non dover mai passare in un inferno simile, eppure Alphonse sembrava riuscire a percepire il disagio e l'incongruenza nell'animo dell'alleata della Nuvola: dinanzi le si palesava il demone del suo passato, essere che, prima o poi, avrebbe dovuto decidere di affrontare, in modo da liberarsene, per poter proseguire, maturare, crescere.
    Tutta questa situazione gli riportò alla mente un ricordo da qualche tempo sepolto dal peso degli eventi e dalle attività quotidiane, un frammento del suo passato e di quello della sua famiglia, che non riusciva a collocare in maniera corretta, nell'insieme che costituiva la sua essenza, la sua sotria e la sua identità.

    Alchimia..

    Istintivamente, il dorso della mano destra si strofinò contro la schiena, ricercando il familiare simbolo della serpe crocefissa impresso sulla sua giacca scarlatta, ma il suo tatto gli ricordò come avesse abbandonato quel capo, strappato e rovinato per una giusta causa, la sua salvezza.
    Non ci aveva fatto caso, fin'ora, eppure adesso si sentiva nudo, come se la fonte del suo potere fosse custodita in quella semplice figura geometrica: una volta lasciatosi alle spalle quella terribile esperienza, Al si ripromise di tornare ad indagare su quelle origini misteriose e sconosciute.
    Il nemico, a differenza loro, non sembrava essere assorto in alcun tipo di riflessione, tant'è, che ruppe quella straziante attesa scattando in avanti, coprendo, con poche falcate, la distanza fra loro compresa: non conoscere il proprio nemico costituiva un grande svantaggio, le incognite circa le sue capacità, od il suo modo di approcciarsi alla battaglia, potevano essere innumerevoli, inoltre, pur essendo in due, il Genin non conosceva le competenze della Kuinoichi, dunque armonizzare i loro stili, considerando anche la loro precaria condizione fisica, non sarebbe stato semplice, ed altrettanto non lo sarebbe stato abbattere il fantomatico traditore..

    - Cerca di stare lontano dalla sua spada, utilizza il vento come elemento –

    Queste poche parole si persero nel boato della cascata d'acqua che la Genin aveva evocato sopra le loro teste, come espediente per rallentare la sua avanzata: conosceva il Justu, la Muraglia Tempestosa, e dunque i limiti della stessa, dunque, come per ogni tecnica ad area, la miglior difesa consisteva nell'uscire dal suo raggio d'azione, cosa che Akira fece, tramite un agile scarto laterale; nelle sue condizioni, Alphonse optò per avvicinarsi alla ragazza, tanto da entrarvi a contatto, in modo da usufruire della sua immunità alla massa liquida.

    Potevi avvertirmi eh..

    Era ironico, non voleva in alcun modo riprendere Yuki, né tanto meno quello sembrava essere il momento adatto: come una furia, la donna evocò una serie di proiettili acquatici che impattarono contro il suo torace e addome, lasciandolo, per un momento, indifeso e vulnerabile.
    Sarebbe stato il momento perfetto per colpirlo, metterlo KO o ucciderlo, eppure la ragazza esitò, non convinta, forse, che quello fosse il finale adatto alla loro storia.
    Il Takiano, tuttavia, non si fece intenerire in alcun modo, difatti, mentre il Ninjustu andava in porto, questi si spostò lateralmente, per poi spiccare un poderoso balzo: aggiungendo la gravità alla sua forza fisica, lo colpì con il Pugno di Arhat, dritto nello stomaco, atterrandolo violentemente e lasciandolo senza fiato.
    Con una serie di salti all'indietro, il Genin si fece da parte, lasciando la scena all'unica e vera protagonista della tragedia: sguainando la Katana, si avvicinò velocemente all'uomo sofferente, evidentemente uscito sconfitto da quel confronto, che pareva aver sottovalutato, e, dopo esser stato paralizzato dalla sua Arte Magica, menò un fendente contro la carotide, ponendo fine alla sua esistenza.
    L'odore familiare del ferro pervase e saturò tutti i suoi recettori olfattivi, schizzi via via meno ingenti emergevano dal vaso lacerato, seguendo le sempre più deboli contrazione cardiache, lasciando una pozza di sangue sul verde prato. La donna, una volta strappata la vita dal corpo di Akira, si voltò, evidentemente turbata dal triste epilogo: un'odore particolare si era aggiunto a quello predominante, una fragranza debolissima, presente in piccole tracce, in quella miscela confusa quale era l'aria.
    Non poteva esserne sicuro, ma pensava fossero le lacrime che Yuki stava versando per la sua perdita.
    Non le chiese nulla, non erano abbastanza intimi per questo tipo di confidenze, dunque, semmai ci fosse statp il bisogno di parlare dell'accaduto, avrebbe dovuto dare lei l'incipit alla conversazione: si limitò, dunque, ad avvicinarsi al cadavere, chiudendogli le palpebre, e poi a poggiare una mano sulla spalla dell'amica.

    - Andiamo –

    Al la precedette, in modo da lasciarle lo spazio e l'intimità necessaria per porgergli l'ultimo saluto, incamminandosi per il sentiero che lo avrebbe presto condotto a Taki
     
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    Erano passati diversi minuti dallo scontro con Akira e avevo avuto modo di calmarmi, ero ancora parecchio scossa ma non piangevo più. Facevo fatica ad accettare la triste realtà ma stavo provando a farmene una ragione, non facevo che ripetermi di aver fatto la cosa giusta.
    Il sentiero che stavamo percorrendo era a me sconosciuto, mi stavo limitando a seguire Alphonse in attesa di scorgere in lontananza il villaggio della cascata, anche se non avevo idea di cosa aspettarmi. Ero abituata alla grandezza di Kumo o di Konoha, conoscevo Suna e avevo visto di sfuggita Kiri in passato, ma di Taki ne avevo sentito solamente parlare.
    Nonostante fossi molto triste ero anche sollevata, avevo rimediato all’errore commesso in passato uccidendo Akira e mi ero levata un peso.
    Rimasi assorta nei miei pensieri per tutto il tempo, ignorando le fitte di dolore che di tanto in tanto si facevano risentire, presto tutto sarebbe finito e io avrei fatto ritorno a Kumo. Un po’ mi dispiaceva, quell’avventura per quanto l’avessi vista come un incubo per la maggior parte del tempo mi aveva dato molto, avevo conosciuto uno shinobi di un paese diverso che mi aveva aiutato a cavarmela in una brutta situazione, e avevo finalmente risolto la situazione con Akira.


    - Ok scusa per prima, ora sto meglio…era un mio caro amico una volta, e non auguro a nessuno di trovarsi in una situazione del genere, in cui si è costretti a fare una scelta così difficile. -

    Mi avvicinai ad Alphonse che avevo completamente ignorato fino a quel momento, non per cattiveria ma perché volevo evitare domande scomode alla quale avrei preferito non rispondere.

    - Quanto dista ancora Ta… -

    Non feci in tempo a finire la frase che notai qualcosa in lontananza, una cascata. Non ci voleva un genio per capire che ormai eravamo vicini, anche perché una guardia con un coprifronte uguale a quello del mio compagno ci fermò.

    - Sei di Kumo? cosa ci fai qui? -

    In realtà non sapevo da dove cominciare ma lasciai che se la sbrigasse Alphonse, dopotutto io ero una straniera e la mia parola contava meno della sua in quel posto.
    Quando finalmente il ninja di Taki ci fece passare camminammo sopra la superficie del laghetto che ci separava dalla cascata, e passamo dietro il muro di acqua per ritrovarci davanti una qualcosa di straordinario. Non avevo mai visto nulla del genere in vita mia. Era un enorme albero




    Continuai a seguire Alphonse fino a che non giungemmo al villaggio, non lo immaginavo affatto così ma provai a tenere lo stupore da parte.
    Mi sentivo molto spaesata mentre camminavo per le vie di Taki con il giovane genin, non mi sentivo parte di quel gruppo, ero fuori posto, una sensazione strana mai provata fino a quel momento.
    Alphonse mi portò in una struttura, non sapevo con esattezza se fosse un ospedale o la casa della sensei di cui mi aveva parlato in precedenza, ma ebbi ben presto la risposta. Le strutture ospedaliere erano tutte uguali all’interno. Dei medici vedendo le nostre condizioni decisero di ricoverarci, portandoci in una stanza e facendoci sedere su dei letti. Dentro vi era un ragazza giovane molto carina dalla carnagione chiara e i capelli blu. Aveva occhi marroni e una cicatrice sulla guancia destra, non sembrava un tipo molto amichevole in realtà ma non dovevo farci amicizia, mi limitai a far parlare Alphonse e a salutare educatamente. Intuì dalla confidenza che aveva con lei che probabilmente era la sensei di cui mi aveva parlato.
    Attesi pazientemente fino ai dovuti chiarimenti e al momento in cui la giovane ragazza si avvicinò per curare le ferite sia a me che ad Alphonse. Non era una principiante e lo notai subito, la sua abilità medica gli permise di concluderei l lavoro in un tempo relativamente breve. La ringraziai sinceramente, e Alphonse uscì per qualche minuto dalla stanza diretto chissà dove.
    Attesi fino a quando tornò nella stanza, io ero già in piedi vicino al letto pronta a ripartire per Kumo.
    Mi sentivo bene finalmente, forse un po’ stanca ma nulla rispetto a ciò che avevamo passato durante la notte. Capì che quello era il momento dei saluti, io dovevo tornare al mio villaggio e fare rapporto.


    - Ti ringrazio per quello che hai fatto, non lo dimenticherò…spero di rincontrarti un giorno, magari in una situazione migliore

    Sorrisi e poi mi allontanai salutandolo con un cenno della mano, preparandomi psicologicamente a riaffrontare il ritorno, tra fatica e riflessioni su quanto accaduto ero sicura che il viaggio sarebbe stato tutt’altro che rapido.
    Mi dissero che mi avrebbe scortato un chunin fino a Kumo, un gesto di ringraziamento per aver aiutato Alphonse. Ne fui lieta a dire il vero, avrei volentieri evitato di cacciarmi nei guai un’altra volta.
     
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  13. ~Daniele
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    ~ The Evil Whithin
    Narrato
    Pensato
    Parlato
    Rikku
    John
    Altri

    Casa dolce casa.
    Mai pensiero più dolce attraversò la sua mente, mai l'idea di tornare in patria, per le vie della sua amata cittadina lo aveva rincuorato: i vicini gentili, i suoi amici e compagni dell'Accademia, la sua famiglia, le routine e la quotidianità, che, se normalmente vissuta con tedio, fuggita con disprezzo ed orrore, adesso gli pareva una meta irraggiungibile, il bramato oggetto del desiderio che all'eroe sembrava precluso.
    Man mano che si avvicinavano al Villaggio, ad Alphonse parve di sentire il lontano eco dello scrosciare delle acque dell'imponente Cascata, posta come presidio ed ultimo baluardo dell'intero popolo: era forse quell'antica diceria, riguardante la facoltà da parte degli autoctoni di percepirne il rumore, ovunque si trovassero, o l'odore particolare di quel luogo, fiutato anche ad elevate distanze dal suo Olfatto sovra sviluppato, a creare in lui questa effimera suggestione, frutto del proprio desiderio.
    Yuki sembrava essersi calmata, allontanarsi dal cadavere dell'amico e traditore pareva averla tranquillizzata, fornendole lo spazio sufficiente ad elaborare il lutto: non percepiva più le lacrime solcarle il viso, aveva domato quel momento di debolezza, mostrandosi, nuovamente, seria e concentrata, attitudine insita nel mestiere dello shinobi.

    - Ok scusa per prima, ora sto meglio…era un mio caro amico una volta, e non auguro a nessuno di trovarsi in una situazione del genere, in cui si è costretti a fare una scelta così difficile. -

    Quel momento di confidenza lo gettò in imbarazzo, difatti, seppur spesso le persone tendano a voler conoscere tutti i pensieri dei propri amici, sicuri di poter risolvere, tramite il proprio consiglio, suoi eventuali crucci e dilemmi, al momento della verità, questi sembrano aver perso il dono della parola, incapaci di formulare un pensiero sensato, quasi rimpiangendo l'essersi proposti nell'oneroso incarico.
    Alphonse sentiva proprio di indossare tali vesti, il suo comportamento nei confronti della ragazza, la sua gentilezza, la sua comprensiva pacca sulla spalla costituivano segni inequivocabili della sua disponibilità alla comunicazione, eppure, al dunque, le parole sembrarono venirgli meno: non aveva mai vissuto una situazione del genere, non aveva l'esperienza sufficiente a poter esprimere un parere, o un consiglio.

    E' comprensibile, nonostante non conosca i vostri precedenti, ho notato quanto sia stato difficile per te..

    Ovvietà, constatazioni banali e di circostanza, queste erano il frutto dei suoi pensieri, flusso che, fortunatamente, fu interrotto dal loro arrivo al Villaggio: sentì la ragazza chiedergli quanto mancasse, ma l'imponente Cascata anticipò la sua risposta, annunciando loro la fine del viaggio, la loro salvezza e l'imminente e meritato riposo.
    Al rallentò il passo, fino a camminare, in prossimità dello specchio d'acqua, attendendo che una guardia facesse la sua comparsa: i migliori Ninja-Sensori erano impiegati nella pattuglia dei confini del Takigakure, e questi, oltre a grandi capacità percettive, sembravano riuscire a memorizzare la frequenza singolare e particolare del Chakra di ogni militare del Paese.
    Se fosse stato da solo, sarebbe passato senza problemi, ma la ragazza straniera costituiva un'anomalia una potenziale calamità alla pace e alla quiete cittadina.

    Alphonse Elric?! Stavamo organizzando una squadra per il tuo recupero.. Rikku e John sono arrivati da qualche ora, sono all'ospedale.. Chi è questa ragazza di Kumo?

    Lei è un'amica, se sono vivo è grazie a lei.. Le serve un medico e io devo vedere John..

    Va bene, penso io sia al suo permesso di soggiorno che a disdire la missione..

    Lo shinobi sparì in una nuvola di fumo, permettendo al giovane di proseguire, raggiungendo l'apertura celata dalla massa d'acqua, accedendo al centro abitato: Al accelerò il passo, conducendo la stupita straniera verso l'ospedale, addossato al solido tronco dell'immenso albero, come ogni altro palazzo di una certa rilevanza.
    All' accettazione, l'infermiera, viste le loro pessime condizioni, subito chiamò il medico di guardia, predisponendo il tutto per il loro ricovero immediato, ignorando le proteste del Takiano ed i suoi tentativi di divincolarsi: o la donna era estremamente forte, oppure la stanchezza stava avendo la meglio sul suo fisico.
    Presto Al si ritrovò seduto in un letto, a torso nudo, con un paio di specializzandi intenti a trattare le sue ferite, in una fase preliminare mediante attrezzi e strumenti sanitari, e solo poi avvalendosi del Chakra medico, tutto sotto l'attento controllo di Oceania-sama: non aveva detto nulla al suo pupillo, non che i due avessero mai intrattenuto grandi conversazioni, ma forse, in quell'occasione, un "come stai?" se lo sarebbe aspettato, ma subito abbandonò quel pensiero, perché oramai aveva imparato a conoscere il suo mentore e la sua presenza silenziosa denotava la sua preoccupazione e la sua vicinanza al giovane, e questo gli era sufficiente. Una volta che le ultime bende furono fissate, Al si alzò, indossò una casacca da medico lasciata incustodita, e fece per abbandonare la stanza.

    Mi sento più a mio agio con questa, che con una veste da paziente.. Ti prego, prenditi cura di lei..

    E sfioratole il braccio, il Genin uscì dalla stanza, alla ricerca della stanza dell'amico: John era sveglio, era attaccato ad una flebo, e si stava accanendo sul misero pasto della mensa dell'ospedale; Rikku, con le vesti da paziente, era seduto accanto a lui, non perdendolo mai di vista, come se potesse riaggravarsi, alla sua minima distrazione.
    Quando il Takiano varcò la soglia della sua stanza, la Chuunin scattò in piedi ed altrettanto velocemente si avvicinò, abbracciandolo: lo sguardo stupito di Alphonse incrociò l'altrettanto incredulo di John, prima che questi iniziasse a tossire, quasi strozzandosi.
    Dopo qualche secondo, la ragazza si staccò, liberandolo dalla sua stretta, per poi squadrarlo in maniera tagliente e penetrante.

    Fai ancora una cazzata del genere, e rimpiangerai di non essere morto, oggi..

    E' tutto tornato alla normalità eh? Mi stavo quasi spaventando!

    Il tempismo dell'amico smorzò quell'atmosfera tesa ed imbarazzante, seppur familiare: Al si sedette sul letto, e subito i due si persero in una fitta discussione, riguardo cosa fosse successo ad entrambi, una volta divisi.
    Parlò del risveglio, dell'incontro con Yuki, di come si era destato dell'amnesia e di come avessero combattuto contro un folle alle calcagna della sua alleata.
    Prima che il ferito potesse controbattere, il Genin lo interruppe, chiedendogli di aspettare qualche minuto, giusto il tempo di verificare le condizioni della fanciulla, e per presentargliela, in modo che il suo gesto coraggioso ed altruistico potesse essere più saldamente ricordato ed apprezzato.
    La giovane si era rimessa in forze: le cure di Oceania sembravano aver sortito un effetto miracoloso, ripristinando gran parte della sua Resistenza perduta, molto più di quanto i due giovani apprendisti medici erano riusciti a fare con lui.

    Già vai via? Speravo di poterti presentare a John, magari a rimanere una notte qui, al Villaggio, per riposarti.. Ma so che hai molto su cui riflettere..

    - Ti ringrazio per quello che hai fatto, non lo dimenticherò…spero di rincontrarti un giorno, magari in una situazione migliore –

    Grazie a te, ti devo la vita.. qui sei la benvenuta, in caso avessi bisogno di aiuto..

    Detto ciò, la ragazza se ne andò, agitando la mano in segno di saluto, raggiungendo il Chuunin che le era stato assegnato dalla Kage come scorta, un gesto di riconoscenza per il servizio reso ad un Takiano.


     
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  14. "KING"
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    Prendete entrambi il Massimo, mi è piaciuta e speravo proprio di riuscire a valutarvela io :asd:
     
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13 replies since 22/4/2014, 12:04   187 views
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