Capitolo VII - Dopo tanto tempo

PQ Genpaku Hõzuki

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    Sedevo nell'erba, immobile nel mezzo di un prato fiorito. Gli occhi chiusi non rivelavano al sole il loro colore di perla ed il volto disteso assorbiva i benefici raggi sulla pelle abbronzata dalle lunghe sedute di allenamento all'aria aperta.
    Adoravo quei momenti di tranquillità, gli unici o quasi in cui poteva rilassarsi dalla vita normalmente piuttosto impegnata di un Genin di Kiri al pieno delle sue funzioni. A ciò si aggiungeva il recente incarico di cuoco di famiglia -assegnatomi da mio padre-, un compito preparatorio alquanto difficile, sostituire mamma era una cosa pressoché impossibile e badare al contempo alla casa rendeva il tutto difficile da gestire. Ripensai ai miei giorni all'accademia, quasi due anni prima, quando ero uno scalmanato che correva dappertutto nei corridoi e che seguiva con entusiasmo addirittura esagerato le lezioni di stampo fisico, disprezzando o quasi l’applicazione alle Arti Fisiche se non per le tecniche basilari in vista dell’esame Genin.
    Un sorriso vago mi accarezzò le labbra poco carnose, tingendo le gote di un pallido rosso ed il cuore di un calore più dolce di quello del sole.
    All'accademia c'era anche la mia piccola Kiku e rammentavo bei momenti trascorsi a giocare con lei ed anche qualche bacio da bambini nascosti dietro i cespugli per sfuggire agli occhi sempre vigili degli insegnanti. Era veramente una bella bambina, abile anche lei nel corpo a corpo e io ovviamente ero uno dei migliori della classe nei combattimenti simulati e nella teoria, quindi era abbastanza normale che finissimo per diventare grandi amici, passando ore a fantasticare sul nostro futuro da grandi eroi del villaggio e sulle imprese che avremmo compiuto un giorno.
    Un sospiro scosse il mio petto muscoloso mentre respiravo e spostavo il peso in maniera più comoda sulla gambe incrociate.
    Quanto era diverso allora da adesso! Quanto di ciò che progettavamo era stato realizzato e quanto non lo era ancora stato?
    Mi balenò innanzi per un istante l’immagine di lei scorta per qualche istante la sera prima mentre usciva dal villaggio in compagnia di qualche amico: una ragazza dai favolosi capelli biondi ed occhi verdissimi a cui nessuno poteva resistere, vestita con un pratico giubbotto ninja senza maniche e pantaloni stretti che mettevano in evidenza le curve sinuose della giovinezza e l’innocenza della sua espressione.
    Ah se l’amavo ancora! La desideravo come e più che da bambino ma col tempo era venuta a crearsi una specie di distanza tra noi, una barriera che era cresciuta quasi all'insaputa di noi due, forse perché crescendo io mi ero fatto più simile a mio padre, serio ed autoritario come la maggior parte di quelli del clan e lei invece aveva mantenuto quella gentilezza e quell'allegria spensierata anche dopo la bocciatura all'esame da me da poco superato. Era almeno un anno che non parlavo con lei, una vera conversazione intendo, non due parole in croce scambiate di cortesia in un incontro sporadico. Volevo rivederla, abbracciarla e raccontarle, come una volta, dei miei progressi mentre insieme guardavamo il sole tramontare dietro le montagne ma più ci pensavo più sentivo che non ce l’avrei fatta, che ora il distacco era troppo grande tra noi e che non mi restava altro che il rimpianto.
    L’espressione sognante aveva ora assunto una tonalità scura e sentivo rinascere l’oppressione del cuore che mi aveva tormentato tanto negli ultimi mesi. Respirai di nuovo profondamente, imponendomi con la forza di volontà di scacciare quei tristi pensieri per non sprecare quella bella giornata di sole.


     
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    Sono tutte scuse, non vuoi pensarci perché ti fa troppo male. Ammettilo.

    Non importa.

    Dissi a me stesso.

    Non adesso.

    Cercai allora di concentrarmi su ciò che potevo percepire intorno a me, ricordando una storia nella quale in un monastero dei saggi insegnavano agli allievi il combattimento basato non solo sulla vista ma su tutti i sensi che l’uomo poteva mettere in campo: gli uccelli cinguettanti, il calore del sole, i sottili rivoli di sudore che colavano dalla fronte. Mi lasciai andare, completamente come non avevo mai fatto prima, sperimentando una totale assenza di tutto eppure percependo una completezza di percezioni che nemmeno la sua abilità poteva dargli: l’umidità dell'erba sotto di me, il battito del mio cuore, il fruscio del mio respiro e ancora il ronzio continuo degli insetti simile ad una melodia che variava continuamente di tono, l’aria fredda che a sprazzi filtrava dalle fronde del bosco vicino, il vociare lontano del villaggio.
    Ormai completamente rilassato, mi sentii in preda ad un'esaltante vertigine di consapevolezza che cancellò completamente l’immagine di Kiku dalla mia mente, seppur con un pensiero vago mi ripromisi di meditare ancora su quella questione. Solo ciò che era importava, poi sarebbe stato quello che il destino avrebbe voluto che fosse.
    Quando mi riscossi dalla meditazione, circa un'ora più tardi, non credetti ai miei occhi nel vederla seduta di fronte a me come un'immagine speculare, un sogno realizzato, una visione meravigliosa; solo in seguito rammentai la malfatta fasciatura che ne copriva il braccio sinistro e le evidenti tracce di contusioni su quasi tutto il corpo.

    Kiku!

    Gridai nella piacevole sorpresa di non averla percepita arrivare e la pena improvvisa nel vederla ferita in quel modo.

    Cosa ti è successo? Chi è stato?!

    Shhh...

    Rispose lei portandomi un dito alle labbra e posandomi una mano sulla spalla per impedirmi di alzarmi.

    Niente di importante, solo la mia stupidità. Rimembro ancora dei discorsi che facevamo da bambini sugli eroi ninja ma un ragazzo davvero speciale mi ha mostrato che stavo sbagliando.

    Non disse riguardo i combattimenti nelle arene illegali per costruirsi una fama, delle percosse subite da suo padre e dai suoi perfidi tirapiedi che avevano riconosciuto in lei un pericolo per i propri guadagni quando aveva iniziato a vincere sul serio sfruttando il proprio allenamento da ninja. Non mi disse che aveva dubitato di se stessa nel scegliere quella strada e che solo il ricordo della determinazione e dell’entusiasmo di me l’avevano tratta dal baratro in cui stava precipitando.

    Cosa stai dicendo?

    Non capivo, non potevo capire visto che non sapevo nulla di tutto ciò che lei mi stava tenendo nascosto e nella voce si inserì una nota leggermente isterica figlia di quella confusione e della recente sorpresa che fosse stata lei a rompere il ghiaccio dopo tanto tempo evidentemente per un grave motivo.

    Cosa c’entrano i nostri discorsi con le ferite che ti sei fatta e che non vuoi dirmi come ti sei procurata?

    Feci forza sulle mani di lei e la costrinsi ad alzarsi in piedi per controllare la gravità delle sue ferite, delicatamente le sfiorai la pelle ed il volto, passando con le mie ruvide mani da combattente su quella liscia superficie che nemmeno la vita da ninja riusciva a scalfire e sentendola rabbrividire al suo tocco, non sapeva se di dolore o trepidazione prima che un caldo abbraccio di lacrime mi cogliesse impreparato. Di nuovo.

    Non riesco a spiegartelo ora...

    Sussurrò lei accostando le labbra all'orecchio e appoggiando la testa sulla mia forte spalla.

    Genpaku, so solo che mi sei mancato tantissimo in questo tempo, perdonami. Avevo paura che tu disapprovassi ciò che stavo facendo. Volevo solo dimostrarmi alla tua altezza...

    Ma tu sei sempre stata alla mia altezza, Kiku.

    Le sussurrai di rimando per confortarla con la verità delle sue parole anche se capivo solo metà di quanto lei mi stava dicendo.


     
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    La tua passione è la mia, il tuo entusiasmo è il mio. La differenza di abilità non conta se ci sono queste cose e questo è il motivo per cui vinco sempre e non mi arrendo mai, capito?

    L'accarezzai dolcemente sulla schiena contratta dal pianto e la tenni stretta al petto fino a che i tremiti non smisero e le lacrime non furono asciugate. Comprendevo che ora il mio ruolo non era più di parlare ma semplicemente di essere, come era stato nel percepire la natura circostante: essere se stessi semplicemente, ed accogliere tutto dentro di me. Il sole stava calando al tramonto ma per me non c'era fretta in quel momento, volevo solo godere il più possibile di quell'istante di meravigliosa intimità e comprensione reciproca col calore dell'astro diurno sulla schiena. Mi sentivo grato al mondo che un mio desiderio fosse stato realizzato in maniera così incomprensibilmente strana eppure determinante, lo sentivo, per il futuro.

    Grazie.. *sigh* Genpaku.

    Balbettò finalmente Kiku una volta che si fu calmata, staccandosi dal mio abbraccio con un sorriso imbarazzato ed una strana luce negli occhi, mista tra la gratitudine e la vergogna di aver ceduto ai propri sentimenti come gli era stato insegnato, cosa che un ninja non dovrebbe mai fare. Eppure aveva tanto bisogno di un conforto di una persona in cui poteva riporre totale fiducia, dopo tanto tempo non riusciva da sola a reggere la durezza di una vita come quella che aveva passato nell’ultimo anno. Non capiva che era proprio in nome di quei sentimenti che la vera forza di una persona veniva rivelata e portata ai più alti livelli di purezza e perfezione, senza di essi si poteva essere imbattibili in battaglia, forse, ma certamente non si avrebbe avuto la volontà di combattere oltre i limiti estremi delle proprie possibilità pur di raggiungere ciò in cui si credeva nel profondo del cuore.

    Sei veramente molto gentile con me.

    Di niente Kiku-chan, sai che farei qualsiasi cosa per te, ti amo ancora come una volta ed anche di più semmai una cosa del genere fosse possibile. Mi sei mancata terribilmente tanto.

    Toccò a lei mostrarsi sorpresa a quella parole. Aveva sempre negato razionalmente che una cosa del genere fosse possibile dopo tanto tempo e dopo che lei stessa si era allontanata da me ma quella possibilità era rimasta latente dentro di lei, covando brace sotto la coperta di cenere che vi si era depositata sopra. Si era illusa di poter avere un cuore di pietra per reggere il carico della delusione in vista della gloria futura ma in fondo anche lei era un essere umano e le macchine che cercava di imitare comprendeva ora a quale vita andavano incontro, gelide lande desolate costellate solo di nemici da sconfiggere o alleati da sfruttare come nude rocce nel deserto che feriscono o riparano dal sole cocente per poi essere abbandonate dietro di se. Provò pena per loro, che un tempo aveva ammirato. Non lo sapeva ma quello era il motivo per cui era venuta da me quel pomeriggio: perché in fondo credeva ancora che io l’amassi anche se non voleva sperarlo per paura di essere delusa dall'unica speranza che ancora resisteva.
    Immersa nel turbinare vorticoso di sentimenti incompresi e contrastanti fu solo quando le loro labbra si toccarono che percepì la mia vicina presenza spazzare via ogni pretesa di razionalità, per trasportarla in un istante sospeso dove il passato ed il futuro non esistevano eccetto che per ricordare quanto di bello ci fosse stato e quanto il futuro poteva promettere di altrettanto assoluto come l’abbandono con cui si stava lasciando andare a quel semplice bacio.


     
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