Sulla Ichikami

Spin-off Nonubu Senju

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    La sera vado a letto con due bicchieri sul comodino. Uno pieno d'acqua e uno vuoto, nel caso abbia sete oppure no.

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  2. Anselmo
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    Legenda:
    Pensato Minato (Toshirō Shimura)
    Parlato Minato (Toshirō Shimura)
    Nostromo Ogura
    Quartiermastro Mifune
    Capitano Hiroyasu Fushimi
    Vedetta Hanbei detto "Cannocchiale"
    Comandante in Seconda Callumy
    Carpentiere Yoritomo
    Altri...



    I giorni in mare si susseguivano uno dopo l'altro, senza alcun accaduto a renderli memorabili. La loro monotonia, il fatto che fossero tutti uguali sia perché scanditi dalla stessa routine marinaresca, sia per il clima, rendeva il tempo in un certo qual modo diverso da quello cui si è abituati. Una sensazione difficile da spiegare. Ti soffermavi un momento sul ponte inclinato della Ichikami, una drizza nella destra ed una caviglia da impiombatura nella sinistra e asciugandoti il sudore dalla fronte, ti dicevi che mancavano solo due colpi alla fine della giornata e delle tue immense fatiche. Ti chiedevi come fosse possibile sostenere un simile ritmo giorno dopo giorno. Ma poi guardavi indietro, alle giornate passate, e non le ricordavi. Talmente uguali l'una all'altra da non riuscire a distinguerle, a quantificarle. Che fosse un bene o un male non lo sapevo dire, anche se me lo chiedevo spesso. Da una parte, dimenticare giorni così pesanti era l'unico modo di sopportarli. Dall'altra però, non sapevi se e quando essi fossero iniziati. Non riuscivi a dire quindi se ti trovavi ancora all'inizio o meno. Insomma, l'unica cosa di cui ero certo riguardava il fatto che giornate come quelle che stavo vivendo si sarebbero ripetute ancora a lungo.
    Un caldo infernale, lì, al Capo del Fuoco. Il mare pareva piombo fuso sia per il colore grigiastro, sia per le esalazioni bollenti che emanava. Il sole a quelle latitudini non risparmiava nessuno. Dio voleva però che ci fosse vento, e ciò ci faceva guadagnare parecchie miglia al giorno. In assenza di esso, saremmo stati spacciati.
    Diedi l'ultima tirata alla drizza, sollevando lo sguardo in alto e percorrendo la superficie della vela per verificare se fosse effettivamente bordata a segno. Lo era, come mi fu confermato dal gesto del nostromo. Formai quindi un occhiello con la mano libera e vi feci passare due volte la cima, stringendo poi il nodo ed attorcigliando in duglie dignitosamente rotonde il resto della fune. Guardai soddisfatto il mio operato. Ero stato imbarcato come un perfetto novellino e ciò mi aveva fatto rischiare non poche volte di rivelare la mia falsa identità, la mia copertura per ordine della Kazekage. Ma ora, ad un mese dalla partenza, nessuno avrebbe più potuto sospettare che di navi prima della Ichikami non ne avevo mai vista l'ombra. Oramai ci sapevo fare. Regolare le vele in modo che portassero il vento alla perfezione, determinare la velocità della nave con il solcometro e la sua posizione con il mostrarombi, bracciare i pennoni per rendere la portanza ottimale con l'andatura del vascello, arrampicarmi rapidamente fin sulla varea del pennone di controvelaccio e starvi appollaiato per ore ed ore come vedetta... Non v'era mansione che non sapessi svolgere. Alcuni notavano in me anche una certa maestria. Ma non c'era da illudersi. Simili complimenti erano frequenti tra i camerati di mare. In realtà non ero più abile di qualsiasi altro marinaio. I veri esperti, quelli che potevano vantare occhi capaci di individuare qualsiasi imperfezione nella nave o mani capaci di ricavare pezzi di ricambio da ogni scarto di materiale, sulla nave erano pochi. Pochi ma c'erano e, alla detta dei vecchi reduci, erano una benedizione.
    Uno di loro, proprio in quel momento, salì in coperta assieme al capitano, emergendo dalle viscere buie ed ardenti del ponti inferiori. Stare lì sotto, a quelle latitudini ed in pieno giorno, era pressoché impossibile: le temperature, se possibile, erano pure più alte di quelle che si soffrivano in coperta sotto i tendoni para-sole e ad aggravare la condizione vi era il fatto che il vento non spirava, lì sotto, rendendo l'aria un composto ustionante ed irrespirabile. L'uomo che stavo ora osservando emergervi in compagnia del capitano era il carpentiere Yoritomo. Alquanto basso, compatto e dalle braccia sostanziose come gomene. Un ufficiale che aveva sempre una parola di rimprovero per qualsiasi lavoro non fosse stato compiuto da lui. Ed a ragione! Quando si occupava di qualcosa, dannazione se ne risultava un lavoro perfetto! Correvano voci di sentina secondo cui fosse riuscito a riparare nella chiglia causata da un cannone saltato dalla sua sede, che aveva attraversato tre ponti prima di sfondare lo scafo e precipitare nel fondali oceanici. Una falla delle dimensioni di un toro da riproduzione. L'aveva fatto ricavando una toppa da una vecchia vela, dal legno dell'alberetto di belvedere e da un secchio e mezzo di catrame. E con una simile riparazione di fortuna, la nave era tornata in patria dopo un mese di navigazione. E proprio di catrame stavano discutendo il Capitano e Yoritomo. Col suo fare veemente e concitato, stava gesticolando indicando verso l'alto e verso il basso.

    ...questo passo ci ritroveremo con il ponte viscido come le sacre di una sverginata ed il sartiame secco come la madre di sua madre; con rispetto parlando, signore.

    Non era difficile intuire a cosa si stesse riferendo. Bastava alzare lo sguardo, o abbassarlo, era indifferente. Il catrame con cui venivano trattare tutte le funi ed i giunti che componevano la nave dalla base dell'albero di maestra alla punta del fuso più alto, si stava liquefacendo per il caldo. Colava verso il basso in grosse gocciolone nere e lucide, imbrattando i tendoni anti-sole, le vele ed il ponte.

    E poi come faremo quando passeremo per le tempeste? Con la riva pesante come un cannone a mollo che quando poi s'asciuga ci consuma gli occhielli e non dura due mesi.

    Si lamentò il carpentiere passandomi accanto.

    Signore, guardi qua... Passami quella caviglia ragazzo!

    Mi sottrasse l'arnese che mi penzolava dalle dita stanche e lo infilò nel fasciame del pavimento, facendolo scorrere tra due assi. Quando lo ritirò, una lunga bava di catrame si staccò dal pavimento. Agitando la caviglia per enfatizzare l'urgenza delle sue proposte, continuò:

    Ed ha già visto con i suoi stessi occhi cosa sta accadendo sotto coperta. Le anche ballano, capitano! E quando arriva il fresco della notte, il catrame colato si fa sentire. Due piedi d'acqua nella sentina ad ogni alba! Pompare, pompare! Ma non basterà. Ancora un po' di giorni e dovremmo buttare giù i cannoni se vorremmo continuare a galleggiare. Non possiamo continuare su questa rotta, nessuno ha attraversato le acque del Capo del Fuoco per il lungo. Impossibile! Bisogna deviare a sud, ci vuole un bel bagno freddo a questa ragazza!

    Finì il carpentiere dando una sonora manata all'impavesata, come fosse il gluteo di una donna di piacere.

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  3. Anselmo
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    Signor Yoritomo, gliel'ho già detto e non lo ripeterò una terza volta: questo è fuori discussione!

    Replicò il capitano, fulminando il carpentiere con lo sguardo. L'imperiosità della sua affermazione indusse parecchi marinai a gettarsi immediatamente nelle loro mansioni da cui s'erano presi una breve pausa per ascoltare. Ma colui su cui aveva sortito il maggior effetto era di certo il diretto interessato, perchè il carpentiere lo fissò strabilitato e, dopo un attimo, chinò il capo riconoscendo la sua indiscussa autorità. Nell'osservare la reazione di quello stimato marinaio, però, il capitano Hiroyasu sembrò in qualche modo addolcirsi, e tentò di rimediare all'eccessiva durezza della sua risposta continuando.

    Non ho alcun intenzione di minare la sua autorità in fatto navi, signor Yoritomo. L'ho scelta per questa missione proprio per la fiducia che ripongo in lei. Ma conosco il mio vascello, conosco la nostra rotta e soprattutto conosco quali sono le priorità di questa spedizione. La rotta non devierà, a nessun costo, e confido che voi riusciate a tenere a galla questa ragazza, carpentiere!

    Sissignore, farò del mio meglio!

    Esordì il carpentiere mettendosi sull'attenti con rinnovato vigore, incoraggiato dalle lusinghe del suo capitano. Poi si voltò e si fiondò tra i marinai lanciando imprecazioni a destra ed a manca per "l'incompetenza di quel crostaceo nel maneggiare martello e scalpello" e per "l'incredulità difronte ad un veterano prodiero che non sa ancora mantenere l'ordine nel suo reparto". Fui per tornare pure io al lavoro, ma dovetti constatare che la mia caviglia per impiombare era ancora nelle mani di quel carpentiere indaffarato.

    SIGNOR YORIT...

    Feci per gridare, ma fui interrotto dal richiamo di:

    FRONTE FREDDO IN VISTA! FRONTE FREDDO A TRE QUARTE SULLA MASCA DI DRITTA!

    Dalla coffa di maestra, su in alto sull'albero, sbucò il volto giovane di "Cannocchiale". Notai immediatamente una certa esitazione; il suo sguardo correva dal capitano, che si trovava ancora accanto a me, a qualcosa lontano sulla prua. Il capitano alzò il capo e disse:

    Siamo sicuri che si tratti di un fronte freddo, signor Hanbei?

    Non proprio signore. Io... ecco...

    Cosa vedi di preciso?

    Niente, signore. E' questo il punto. Quel che vedo è... niente: l'orizzonte sparisce, come se laggiù ci fosse una tempesta. Ma non può essere una tempesta. Non ci sono rannuvolamenti.

    Potrebbe forse trattarsi di... nebbia, signor Hanbei?

    Nebbia? Mmmh... si signore. Ora che ci penso sembra proprio nebbia. Ma come può esserci nebbia? Con questo caldo, con questo vento. Non è possibile, con tutto il rispetto parlando.

    Ed invece lo è, ragazzo. Lo è...


    Borbottò Hiroyasu, il volto improvvisamente greve, concentrato. Cosa diamine stesse accadendo proprio non riuscivo a capirlo. Poi continuò:

    Proseguiamo su questa rotta, timoniere. E... ai posti di combattimento!

    Disse il capitano prima di rifugiarsi sottocoperta, mormorando qualcosa sul fatto che, infine, stava accadendo ciò che temeva.
    In effetti ciò a cui stavamo andando incontro era proprio un muro di nebbia talmente impenetrabile da apparire come un'immensa parete di granito. Potemmo constatarlo con i nostro stessi occhi non più di un ora dopo. La osservammo ingigantirsi man mano che ci avvicinavamo, in silenzio, ognuno accanto al proprio cannone o acquattato nella propria posizione. La presenza del blocco di nebbia coprì la luce del sole, tanto che fummo immersi in un'ombra densa nonostante fosse ancora pieno giorno. Come fosse possibile che trovassimo un simile fenomeno naturale nel bel mezzo dell'oceano e con quel vento intenso, fu parzialmente svelato: improvvisamente le code di cavallo dei marinai, costantemente scompigliate per effetto del vento, ricaddero inanimate sulle loro spalle. Lo stesso fecero le vele che, prima gonfie e candide, cominciarono a sbatacchiare per poi afflosciarsi del tutto. Il vento era cessato del tutto, e procedevamo solo per inerzia. Era incredibile, al limiti dell'impossibile, ma nessuno osò proferir parola. Tutti si tenevano la propria arma ben stretta in pugno e si guardavano attorno, spaesati ed intimoriti.
    Mi trovavo a poppa, accanto all'impavesata. A pochi metri alle mie spalle, il capitano aveva preso il posto del timoniere, e teneva la presa salda sulla ruota, lo sguardo truce puntato a prua. Se i marinai non si tuffavano in mare per non finire nella nebbia, era solo grazie alla fiducia che serbavano verso il loro capitano. Ma osservandolo non fui certo che sapesse cosa stava per fare. Deglutii e tornai a guardare verso la prua. A quel punto mi accorsi che non stavamo più procedendo per inerzia. Se fosse stato così, ci saremo già fermati da un pezzo. Udii invece lo sciacquettio delle onde che sbatacchiavano sul giardinetto di poppa. Era una corrente marina quella che ci permetteva di avanzare.
    Mancavano pochi attimi al momento in cui ci saremo schiantati su quell'enorme parete dall'aspetto solido. E quando fu il momento, quando giungemmo al cospetto di quel confine innaturale che tutto trasmetteva tranne che accoglienza, il marinaio che si trovava più a prua di tutto il resto dell'equipaggio, si voltò indietro. Da quella distanza mi era difficile interpretare correttamente, ma la sua espressione terrorizzata era inconfondibile. Vidi le sue labbra muoversi, ma nessun suono mi raggiunse. Poi scomparve.

    Edited by Anselmo - 4/7/2014, 18:05
     
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  4. Anselmo
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    E scomparvero l'uno dopo l'altro man mano che l'avanzare della Ichikami faceva si che venissero inghiottiti dalla nebbia. Pian piano la nave veniva divorata in modo talmente netto da dare confuse immagini di un enorme vascello improvvisamente sezionato da una ghigliottina divina. Prima il bompresso, poi il castello di prua. I cannoni sparivano a coppie, finché fu la volta dell'albero di trinchetto: un complicato intrico di fusi, pennoni, sartiame e vele che in un lampo divenne solo un ricordo. L'albero di maestra, l'albero di mezzana ed infine il cannoniere difronte a me divenne candida nebbia. Era il mio turno. L'unica cosa che riuscii a pensare prima di varcare quel incerto confine fu che se fossi morto, nessuno mi avrebbe rimpianto. Per quanto fossi sempre stato propenso a pensare che non v'era senso nell'amore verso la propria famiglia e nel bisogno di procreare, in quel momento dovetti cedere alla natura che determina ogni esser umano: se la morte non causa dispiacere ad alcuno, significa che verrai dimenticato per sempre. La tua vita perde quindi di senso, perchè non v'è alcuna traccia della sua esistenza, del tuo passaggio nel mondo. E' come se non fossi mai esistito. E questa consapevolezza mi lasciò un vuoto immenso nel petto. Durò poco, giusto il tempo che trascorse prima che la gigantesca struttura indefinita mi investisse. Ma non avrei mai scordato quella sensazione profonda.
    Ma, ovviamente, la mia fine non era ancora giunta. Di fatto, non accadde nulla. Mi trovai immerso in un bianco così candido da dare l'impressione di essere liquido. Non riuscivo più a distinguere l'impavesata che, ammesso esistesse ancora, si trovava a non più di due palmi dal mio viso. Difficile dire se si trattasse davvero di un banco di nebbia titanico, o se avessimo varcato il confine di un qualche mondo in cui non è l'aria a fare da padrona. Ma tutto ciò a cui riuscii a pensare fu il dannato freddo. Un gelo intenso oltre ogni dire, che penetrava nelle ossa ed intorpidiva la pelle. Non meno straziante della brutale sensazione che si prova nel precipitare in un lago ghiacciato. In men che non si dica, cominciai a battere i denti senza potermi più controllare. Non riuscivo a dire se ci fossimo fermati o meno. La nebbia persisteva ed il familiare rumore dell'acqua che ribolle sulle murate al passaggio della nave, era totalmente sparito. In realtà qualsiasi suono pareva essere inghiottito dalla nebbia, che mi penetrava nei timpani fino a tapparmi le orecchie. Sentivo solo il battito del mio stesso cuore... ed il gelo graffiante.
    Trascorsero interminabili minuti. O forse erano ore? Difficile dirlo. La mia mente aveva vagato in antri sconosciuti della coscienza, domandandosi il significato di tutto ciò che stava accadendo. Poi, improvvisamente, così come l'avevamo penetrato, uscimmo dal muro. Ciò ce mi si parò davanti, beh... eravamo ancora nel bel mezzo dell'oceano? Come diamine era possibile trovare un luogo simile, lì? Cominciavo a dubitare che avessimo attraversato un semplice muro di nebbia, che quel tratto di mare si potesse davvero definire un tratto di mare.

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    Davanti a noi si profilava un orizzonte notturno costellato da una distesa di cadaveri, cadaveri di navi. Alberi corrosi dalle intemperie spuntavano dalla calma superficie dell'acqua. Pennoni e sartie coperti di viscide alghe verdi che formavano lunghe stalattiti fino al pelo dell'acqua. Le costole di vari scafi, barili dondolanti, vele semi-sommerse che fluttuavano come lo strascico di una sposa fantasma. L'impressione era di guardare migliaia di mani scheletriche, alcune minuscole ed altre gigantesche, puntare i propri artigli verso di noi. E guardando giù, in acqua, individuai la sagoma confusa di vari vascelli completamente affondati, che mi parvero volti sommersi costretti a guardare dalle loro profondità il cielo per l'eternità. Tutto ciò in quella che pareva una notte fuori da ogni tempo. Ma guardando in alto, non vidi alcuna stella notturna. Solo un nero impenetrabile esteso all'infinito e lì dove pareva essere sorta una luna, mi accorsi che si trattava invece di un sole reso bianco e spettrale dalla volta di nebbia che ci sovrastava.

    La ragazza ha trovato il suo bel bagno fresco, eh Yoritomo?

    Mormorai amaramente. I marinai sul ponte di coperta cominciarono a cambiarsi ogni genere di informazione che conoscevano sul luogo. Leggende, maledizioni, ipotesi apocalittiche e simili, finché un suono orribile non li interruppe. Si sentì un lamento cupo e greve emergere dai ponti sottocoperta, che fece gelare il sangue nelle vene a chiunque. Probabilmente la varea di un pennone invisibile sott'acqua, che ci aveva raschiato lo scafo. O per lo meno sperai si trattasse di ciò. A quel punto il capitano alla ruota si fece udire con:

    Silenzio a prua e a poppa, razza di sciagurati! Voglio cinque uomini per masca, pronti a spingere via qualsiasi ostacolo con dei pali. Signor Callumy, vada a dirigere a prua, se non le dispiace. Da qui non vedo nulla! Voialtri state pronti alle balestre ed ai cannoni. Questo posto è pieno di insidie...

    Percorsi con lo sguardo ciò che ci circondava a trecentosessanta gradi. Eravamo una facile preda per chiunque desiderasse cacciarci, con tutti quei cumuli di macerie a creare nascondigli perfetti. Inoltre non v'era nemmeno una piccola bava di vento a gonfiarci le vele, che pendevano flosce ed inutili. C'era solo quella strana corrente a sospingerci lentamente, molto lentamente, portandoci a chissà quale meta, senza che potessimo governare la nostra nave, un sofisticato guscio di legno che traghettava centodieci anime. Ma verso dove?

    Conclusi tre post, attendo che mi diate l'Exp.
     
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