Sulla Ichikami

Spin-off Nonubu Senju

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. Anselmo
        Like  
     
    .

    User deleted


    Toc! Toc! Toc!



    Avanti!

    Spinsi la porta e varcai la soglia dell'ufficio del Kazekage.

    Mi ha convocato, signora.

    Ah, Muramasa Minato...

    Disse lei, seduta dietro la scrivania. Da quella posizione era costretta ad osservarmi dal basso verso l'alto. Nonostante ciò, però, la sua autorità non ne risultava minimamente intaccata. Nella sua postura dritta e fiera, il collo arcuato come quello di un cigno, i capelli ramati e gli occhi intensi, era sempre capace di incutere una certa soggezione, chiunque si trovasse difronte. Se fosse per il fascino, per la fama della sua potenza o per il titolo gerarchico che occupava, non lo sapevo.
    Liberò il piano dalla pila di scartoffie che quasi la nascondevano e, spinta indietro la poltrona, accavallò le gambe con una nonchalance che quasi mi mise in imbarazzo.

    ...si, ti ho convocato. Non potevo comunicarti alcun dettaglio per missiva, non questa volta. Si tratta di una missione, ovviamente. E le informazioni al riguardo, oltre ad essere segretate, sono complesse da esporre per iscritto. Devo assicurarmi che tu capisca alla perfezione tutto ciò che c'è da capire. Non posso lasciarti partire con dubbi, non posso rischiare che tu manda tutto all'aria. Quindi prego, siediti ed ascolta attentamente.

    Disse accennando alla sedia lì vicino.

    Obata, lasciaci.

    Aggiunse facendo un cenno alla guarda che, oltrepassata la porta, se la chiuse alle spalle. Il silenzio calò per qualche attimo nella stanza. Mi chiesi cosa potesse esserci di tanto complicato. Avevo già svolto missioni per suo conto diretto. Ed il più delle volte le informazioni erano talmente scarse da costringermi ad improvvisare nel momento stesso in cui muovevo il primo passo per compiere ciò che dovevo. L'ultima missione ne era un esempio palese; anche se l'avevo compiuta, dal mio punto di vista era stata un totale fallimento. Mi si chiedeva di recarmi in un avamposto di spionaggio ad Ame, di trovare una busta, eliminarla e fare fuori chi la portava. Avevo poi scoperto che l'avamposto era nascosto in un piccolo villaggio pieno di civili. E proprio quando tutto pareva filare liscio, ero stato smascherato. Ma non potevo lasciare che quella busta se ne scappasse via assieme al mio obbiettivo. L'unica cosa da fare per impedire ciò era stata un azione su larga scala, che aveva implicato la distruzione dell'intero villaggio e la morte di chiunque vi si trovasse, spie o civili che fossero. Solo massacrando tutti in un sol colpo, nessuno escluso, ero stato sicuro di aver completato la missione. Un atto del genere normalmente avrebbe implicato la mia carcerazione ed esecuzione. Ma non era stato così, perchè eseguivo solo degli ordini. Anzi, gli ordini mi erano stati impartiti direttamente dalla Kazekage in persona.
    A monte di simili riflessioni, capii perchè anche questa volta aveva scelto proprio me. Ero stato efficiente, non mi ero fatto alcuno scrupolo nelle missioni assegnatemi. E soprattutto, non avevo dato nell'occhio.

    Muramasa, devo avvertirti innanzitutto che la missione, ufficialmente, non avrà luogo. Nessuna prova della sua esistenza, nessun riconoscimento sul tuo curriculum e... nessun pagamento; non saprei come giustificare una simile spesa. Potresti quasi considerarlo come un favore personale che tu fai a me, anche se non è così. Agirai pur sempre per il governo, per il tuo villaggio. Quindi uscito da quella porta non dovrai farne parola con nessuno, intesi? La tua assenza sarà lunga, ma ho già organizzato una copertura.
    Bene, ora passiamo ai fatti...


    Estrasse dalla veste un foglietto ripiegato su se stesso e lo stese sul legno lucido della scrivania. Erano appunti presi a mano, nulla di stampato o timbrato che necessitasse di conferme e contro-conferme. Insomma, nulla di ufficiale, proprio come lei aveva detto.

    ...tra una settimana partirà un convoglio di due navi con l'impiego di trasportare un carico estremamente importante fino ad un'isola situata al largo delle coste settentrionali del Paese del Fulmine. Le navi sono equipaggiate per la guerra in quanto il tragitto richiede la traversata di alcune zone ad alto rischio. A bordo di entrambe è anche presente un plotone di fanti di marina che converranno sicuramente al caso. La missione che ti affido non riguarda però la difesa del convoglio da parte di eventuali attacchi esterni. Il tuo compito sarà quello di assicurarti che nulla interferisca dall'interno. Come ti ho già detto, il carico è estremamente ambito. E' stato fatto di tutto per mantenere segreto il trasporto e per controllare a fondo ogni singolo membro dell'equipaggio. Eppure non siamo riusciti a raggiungere la certezza necessaria per assicurarci che tutto andrà liscio. Tu, perciò, dovrai entrare a far parte dell'equipaggio con una identità falsa. Sostanzialmente dovrai evitare che avvengano ammutinamenti per prendere possesso del convoglio o che trapelino informazioni da esso per renderlo soggetto ad attacchi esterni. Tutto ti è concesso, l'importante è che il trasporto avvenga con successo. E bada bene: nel caso in cui tu venissi smascherato, io negherò ogni partecipazione da parte del Villaggio della Sabbia ed essendo l'unica a conoscenza del tuo incarico, nessuno dubiterà della mia parola. Verresti accusato di alto tradimento e giustiziato.
    Mi segui?


    Si, ma...

    Perfetto! L'identità che tu assumerai sarà quella di Toshirō Shimura, un fante di marina. Non è mai realmente esistito, ma nei nostri archivi è presente fin dalla nascita. Sono falsi individui che creiamo per situazioni come queste. Ha un passato, ha una famiglia ed ha un motivo per essere su quella nave. E' tutto scritto in questo foglio, tieni.
    In questa settimana, prima della partenza, memorizza alla perfezione ciò che vi è scritto e poi elimina il documento. I fanti di marina in sostanza sono militari che alloggiano sulle navi, sempre pronti a difenderle. Non sono quindi esperti nelle pratiche di navigazione, l'importante è che sappiano combattere. Quindi non dovrai imparare il mestiere del marinaio, sarebbe impossibile. Ma qualche nozione per non destare sospetti, sarebbe meglio che tu la apprendessi. Informati. Inoltre voglio che tu parta oggi stesso ed alloggia vicino al porto. Dovrai recartici ogni giorno, farti vedere un po' in giro, in modo che il giorno dell'imbarco tu non compaia dal nulla. Se qualcuno ti ha già visto in giro, come è plausibile che sia, sarà meno propenso a dubitare di te.
    Tutto chiaro?


    Questa volta non ebbi alcun "ma" da aggiungere alla mia conferma. Non potevo avere dubbi, tutto era stato preparato alla perfezione. Stranamente però la cosa non mi confortò. Il minimo errore l'avrei pagato caro. Questa era forse la missione più rischiosa a cui avevo mai preso parte. E non mi riferivo al pericolo di morte, quello era sempre stato presente. Mi riferivo invece ai miei progetti, alle mie aspettative per il futuro: era di assoluta importanza che io diventassi qualcuno tra le fila degli Shinobi. Dovevo distinguermi, acquisire fama. Quello era stato il mio obbiettivo fin dal primo momento in cui avevo messo piede a Suna. Ma ora mi si chiedeva di partecipare ad una missione che ufficialmente non esisteva e che quindi non mi avrebbe minimamente aiutato. Inoltre il minimo errore mi sarebbe costato ogni singolo passo che fino a quel momento avevo compiuto all'interno della gerarchia Ninja. Un brutto affare davvero.

    Si, è tutto chiaro.
     
    .
  2. Anselmo
        Like  
     
    .

    User deleted


    Una settimana più tardi...



    Toshirō Shimura il fante di marina... hmpf. Chissà come mi calza questa nuova pelle.

    Borbottai tra me e me mentre varcavo le mura del grande porto meridionale del Paese del Vento.

    Beh, non poi così male considerando il suo passato. La coincidenza vuole che somigli parecchio a quello di Minato Muramasa, l'identità che ho assunto negli ultimi anni. Infanzia vissuta in un villaggetto del deserto insieme al padre e alla madre, trasferimento al Villaggio della Sabbia per arruolarsi e cominciare una carriera militare, corso per diventare fante di marina ed infine imbarcato più e più volte per guadagnarsi la paga. Questa sarebbe la quarta volta che Toshirō prende il largo su una nave, se mai fosse esistito. Prima sulla Polychrest, poi sulla Nabucodonosor, dopo appena un mese di licenza riparte con la Sakuso ed ora eccomi qui, pronto a salire sul vascello delle sabbie Ichikami. Chissà.... mmh... da che parte era...?

    Mi parai gli occhi dal sole e scrutai la lunghissima fila di navi attraccate in porto. Una vera e propria foresta di alberi spogli e dondolanti si dipanava a perdita d'occhio a destra ed a sinistra. Trovare quella giusta sarebbe stata un'impresa, se io non vi fossi già passato davanti ogni giorno per cinque giorni di fila. Faceva parte del piano: mostrarsi nei dintorni, farsi vedere dalla gente del porto. Mi diressi a destra, camminando lungo il molo di pietra ed aggirando qua e là gli scaricatori di porto che si passavano la merce per ammucchiarla sui carri. Recarsi sul luogo con qualche giorno d'anticipo mi era stato utile soprattutto per la non indifferente confidenza che avevo preso col mio nuovo ruolo. Ora, camminando nella mia divisa rossa bordata con cuoio smaltato e con la spada a tintinnare nel fodero, non mi sentivo più di dare nell'occhio.
    La Ichikami mi comparve di fronte nello sfavillio dei suoi ottoni lucidati. Una fregata a tre alberi più bompresso, armata con due ponti di batteria da quarantotto cannoni di otto libbre ciascuno, esclusi quelli prodieri e poppieri. Traghettava centonove anime, più la mia. Uno scafo nero come la pece, percorso per tutta la sua lunghezza da una striscia di pittura gialla con trama a foglie. Alcuni uomini appesi sulle murate stavano dando gli ultimi ritocchi alla vernice, mentre altri richiudevano i portelli dei cannoni appena posizionati in sede. Il ponte di coperta era un brulicare di marinai che, agli ordini del nostromo, sgomberavano dagli attrezzi e dai residui del restauro avvenuto negli ultimi giorni per rimettere in sesto la fregata dopo la sua ultima traversata. E proprio egli, il nostromo, mi stava ora fissando, immobile accanto alla passerella per salire a bordo. In mano teneva un foglio macchiato d'inchiostro con l'appello dell'intero equipaggio ed in viso la sua espressione da mastino rabbioso mi fece immediatamente intuire che non aveva alcuna intenzione di perdere tempo. Ed infatti poco dopo abbaiò:

    Tu, sbarbatello, sali immediatamente a bordo o dovrai raggiungerci a nuoto!

    Mi affrettai a fare come diceva e quando fui per passargli accanto, mi bloccò con il braccio:

    Nome e ruolo, ragazzo! E stai sull'attenti, perdio!

    Con uno scatto portai due dita alla fronte e recitai:

    Shimura Toshirō, fante di marina signore!

    Con la coda dell'occhio lo osservai scorrere la lista dei nomi. Il cuore quasi mi si fermò in petto e dovetti fare uno sforzo immane per non deglutire sonoramente. Se non mi avesse trovato, mi avrebbe immediatamente denunciato per tentata clandestinità e da lì al finire sotto corte marziale per alto tradimento, la via era breve. Ma dopo qualche esitazione, la piuma d'oca spuntò una casella.

    Muoviti! Il quartiermastro vi vuole radunati nel quadrato!

    Tirai un profondo sospiro di sollievo e mi lasciai alle spalle quel bel rischio, dirigendomi verso poppa, dove c'era la scaletta che portava sottocoperta. Mi bastarono pochi passi per capire il motivo di tutti quei feriti che l'infermeria di porto ospitava: dalla punta del bompresso fino all'impavesata posteriore del cassero, il ponte era una vera e propria giungla di corde. Il sartiame, ovvero l'unico mezzo per governare quelle che ad occhio e croce mi parvero una ventina di vele ammainate, pendeva in grande quantità da ogni albero, pennone o colombiere cui passavo sotto. E passarci attraverso era già di per sé una grande impresa, complicata dal fatto che anche il legno su cui camminavo era un labirinto di pericoli: attrezzi pesanti, occhielli, caviglie d'acciaio, palle di cannone, cime che si tendevano improvvisamente e marinai che correvano di qua e di là con pericolosa maestria. Non volli immaginarmi come sarebbe stato muoversi lassù in mare aperto.
    Dopo essere stato d'intralcio per una buona dozzina di persone indaffarate, raggiunsi finalmente la scaletta e mi ci fiondai, infilandomi in un corridoio angusto e buio. Ma per lo meno sotto coperta non davo fastidio a nessuno. Come fortunatamente mi ero premurato di sapere, il quadrato si trovava circa al centro della corvetta, quindi aggirai la scaletta da cui ero sceso e proseguii per una decina di metri fino a raggiungere un'ampia -quanto lo potesse permettere un luogo simile- stanza con un tavolo centrale. Altre divise rosse come la mia, il resto dei fanti di marina erano li ad aspettare, chi scambiandosi qualche chiacchiera e chi guardandosi intorno vacuamente. Il mio occhio indagatore distinse subito tra loro quelli che erano nuovi del mestiere, che si torturavano il colletto, non essendo ancora abituati a portare la divisa, e chi invece la portava con disinvoltura, caratteristica dei marinai più vissuti. Tra loro doveva esserci il quartiermastro... ed eccolo li, reverenzialmente in disparte come si conviene a chi è di grado più alto. Mi presentai difronte a lui, sull'attenti:

    Shimura Toshirō, signore!

    Ehm? Ah, si... si... riposo signor Shimura. Risparmia le energie per quando arriverà il capitano.

    Pensai, anzi, era evidente che il quartiermastro avrebbe preferito di gran lunga non essersi imbarcato. Molti altri dovevano essere dello stesso avviso. Chissà quanti di loro erano stati imbarcati contro il loro volere.
     
    .
  3. Anselmo
        Like  
     
    .

    User deleted


    IN RIGA PER IL CAPITANO DI VASCELLO HIROYASU FUSHIMI!

    Tuonò la voce del quartiermastro quando una figura comparve dall'imboccatura del corridoio, illuminata da una fioca lampada ad olio. Il baccano dei lavori che avvenivano in coperta, proprio sopra le nostre teste, cessarono immediatamente. Con ogni probabilità il comando era stato sentito in tutta la nave, anche se riferito solo a noi fanti di marina. Pochi attimi dopo la cacofonia dei lavori riprese ma non vi feci caso, indaffarato com'ero nel prendere posizione il più presto possibile in una delle due file che si stavano formando davanti al capitano. Era un uomo alto, possente, sulla cinquantina andante ma maledettamente in forma. Lunghi capelli biondi e bianchi erano trattenuti in una coda di cavallo ed i penetranti occhi azzurro chiaro spiccavano come diamanti sulla pelle del viso bruciata dal sole. Il suo portamento fiero ma non eccessivamente rigido, più naturale che forzato, contribuiva all'autorità della sua figura. Si tolse il tricorno dalla testa e lo tenne tra braccio e costole, e si mise a camminare tra le due file per passarle in rassegna. Raggiunto il quartiermastro, gli disse:

    Un buon plotone, signor Mifune. Non il migliore che abbia visto, ma è ancora presto per giudicare. Le consiglio però di trovarsi un barbiere tra l'equipaggio -dovrebbero essercene uno o due niente male- ed organizzare una rasatura per i fanti più vecchi...

    Il fante di marina accanto a me, decisamente troppo anziano per il mestiere, abbassò lo sguardo cupo sulla folta barba che gli arrivava quasi fino alla cintola.

    ...in questo modo, magari, non sembreranno poi così vecchi. Nessun corsaro fuggirà se inseguito da una ciurma di pensionati. E nella stiva delle scorte sono sicuro che troverà anche qualche nuova divisa mai usata perché di taglia generosamente grande.

    Un altro fante, in fondo alla fila, ritirò immediatamente la mano che cercava di allargare il colletto troppo stretto. Era un uomo grosso almeno quanto il capitano ed aveva scelto una divisa decisamente troppo piccola. Polsi e caviglie sporgevano ridicolmente dalle maniche, non propriamente una figura che potesse incutere timore in un nemico. Il capitano Fushimi tornò a rivolgersi a noi:

    Soldati, voi rappresentate la difesa di questa nave. Attraverseremo acque estremamente pericolose ed il rischio di venir attaccati sarà costante per quasi tutta la traversata. Pertanto il vostro servizio dovrà essere impeccabile! Non tollererò negligenze da parte vostra a qualsiasi ora del giorno, dovrete dare l'esempio al resto dell'equipaggio. Non mostratevi timorosi difronte al pericolo, ma nemmeno indifferenti. Nel mio comando le punizioni sono state rare e solo se necessarie, ma per voi il gatto a nove code sarà sempre pronto a schioccare sulle schiene. Ed in battaglia verrò personalmente a cercare chiunque di voi si comporti da vigliacco o in maniera avventata. Le mie parole sono fisse nella vostra testa?!

    SISSIGNORE!

    Intonò il coro dei fanti di marina.

    Bene! Signor Mifune, mostri ai suoi uomini i loro alloggi. Li voglio tutti in coperta al cambio della guardia...

    Certamente, signore!

    Rispose rigidamente il quartiermastro, costantemente sull'attenti.
    Seguii attentamente con lo sguardo il capitano che spariva nel corridoio, diretto al suo alloggio personale sulla poppa della nave. Era estremamente diverso da come me lo ero immaginato. Mi avevano detto che i capitani dei grandi vascelli, più che gente di mare, si comportavano per lo più come uomini politici. Ma lui mi dava la forte impressione d'essere un uomo d'azione, dedito al combattimento. Già al primo sguardo era evidente che preferisse passare il tempo in coperta, assieme al resto dell'equipaggio, piuttosto che rinchiuso nelle comodità del suo alloggio. E doveva odiare persino la burocrazia, visto che era a bordo, e non a terra per discutere le solite questioni riguardo la partenza. Ma era soprattutto la sua indole ad avermi colpito, il suo carattere. Non si riconosceva in lui alcuna pretesa di comandare a tutti i costi per il solo motvio di essere il più alto in grado. Pareva invece che cercasse di farsi rispettare per quello che era, un abile marinaio. Chissà se ci sarebbe riuscito; l'avrei soperto molto presto. Inoltre sembrava un tipo simpatico, magari un po' irruento, e scherzoso, nonostante la sua brutta faccia. Però era stato autoritario, e nonostante avesse dato le sue disposizioni con una certa leggerezza, non mi sentivo di poterle ignorare. Non un riccone altezzoso con la puzza sotto al naso, ma un combattente che si è guadagnato la sua posizione faticando, di questo ne ero certo. Ne fui compiacuito. Non avrei sopportato i mesi che mi aspettavano, se a comandarmi doveva esserci un individuo senza midollo.

    Seguitemi.

    Continua...
    Ma attendo l'assegnazione di Exp.
     
    .
  4.     Like  
     
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Mukenin
    Posts
    13,474
    Location
    Galassia Kufufu

    Status
    Anonymous
    Prenditi 67 :si2:
     
    .
  5. Anselmo
        Like  
     
    .

    User deleted


    Legenda:
    Pensato Minato (Toshirō Shimura)
    Parlato Minato (Toshirō Shimura)
    Nostromo
    Quartiermastro Mifune
    Capitano Hiroyasu Fushimi
    Altri...


    Dicevi che vieni dal deserto. Come ci sei finito nella marina?

    Interloquì uno dei fanti rivolto verso di me, che lo seguivo nella fila formata attraverso lo stretto corridoio. Seguivamo tutti il quartiermastro che ci stava mostrando i nostri alloggi privati da fanti di marina. Non si trattava d'altro che una nicchia striminzita ricavata nella parete del corridoio, con lo spazio appena sufficiente per accogliere un minuscolo scrittoio con sedia, ed i ganci per attaccare l'amaca. Ma almeno era meglio della stiva per l'equipaggio: un ottantina di uomini grossi e puzzolenti costretti a dormire in un area quadrata, buia, con pochi boccaporti per l'aria ed uno spazio vitale insufficiente persino per far dondolare la propria branda con l'onda del mare. Non c'era da stupirsi se, nei giorni più duri, alcuni uomini si fingessero malati per passare almeno una notte nei letti "comodi" dell'infermeria. O almeno così avevo sentito dire.

    Non so da dove venga tu, ma dove abito io il deserto confina con il mare.

    Risposi in modo schietto. Avevo colto la provocazione del sempliciotto, e dimostrarsi capace di rispondere era fondamentale soprattutto all'inizio. Inoltre dovevo essere sicuro in ciò che dicevo, per non destare sospetti circa la mia identità fittizia.

    L'ultimo fante così giovane l'ho visto affogare dopo che una palla di cannone gli aveva spezzato le caviglie...

    Replicò lui con una risata strafottente.

    Con dei compagni come te al fianco, non mi sorprende.


    Se pensava di potermi sfigurare davanti al resto del plotone, si sbagliava di grosso. Ed a quanto pareva a parole lo battevo senza problemi -cosa facile vista l'istruzione media dei marinai-, perchè si voltò di scatto, rosso in volto, bloccando l'intera fila e piantandomi minacciosamente un dito in mezzo al petto.

    Rimangiati subito quello che hai detto, schif...

    PIANTATELA LI' DIETRO! Tu, prendi i nomi di quei due indisciplinati.


    Tuonò il quartierastro dalla prua del corridoio. Il tizio riottoso abbassò il capo e si voltò, riprendendo a camminare con fare impettito. Seguii la fila...

    ...Sapevo delle numerose cerimonie che si svolgevano quotidianamente a bordo di un vascello del Paese, ma non pensavo che persino un capitano poco dedito alle inutili formalità e più improntanto all'azione come lo era Hiroyasu, ci si dedicasse con tanta rigidezza. L'ora di prendere il mare era giunta, ed a noi fanti di marina ci fu comandato di disporci in quattro file sul castello di prua, mentre il capitano impartiva i comandi accanto al timone, sul cassero a poppa. Mi sentivo a disagio, perchè ero più che altro d'intralcio in quella posizione, dovendo stare sull'attenti, perfettamente immobile, mentre i marinai correvano da una parte all'altra del ponte schivandoci con agilità sorprendente. Ma la cerimonia voleva che i fanti elogiassero la partenza con la loro presenza impeccabile, quindi così doveva essere.
    Venne calata una lancia in mare, con sopra una ventina di marinai. Levati gli ormeggi, la Ichikami venne trascinata in retromarcia, spinta con la prua verso il mare e poi trainata attraverso la bocca del porto. Riportata a bordo la lancia ed i suoi uomini, ci fu qualche attimo di movimento mentre tutti prendevano le loro postazioni, e poi calò il silenzio. Un silenzio carico di tensione palpabile. Persino io, che dei grandi viaggi in mare avevo solo letto e sentito parlare, capii che qello era un momento importante. Si lasciava la terraferma, forse per sempre, per tornare tra le onde, dove ogni marinaio era libero di vivere per ciò cui aveva dedicato la vita. Tutti, pochi esclusi, provavano in quel momento nostalgia per gli oceani, e non per i continenti. Ammirai lo sguardo fiero del capitano Hiroyasu mentre, con le mani unite dietro la schiena ed il tricorno calato sul capo, lanciava occhiate piene di soddisfazione verso ogni parte della nave e, di tanto in tanto, verso l'orizzonte curvo del mare. Il vento gli scompigliava i capelli, sapeva benissimo quale fosse la sua direzione, ma si rivolse lostesso all'uomo alla ruota chiedendo:

    Vento, signor Nakashima.

    Tre quarte a poppavia del traverso di dritta, signore!

    Arrivò pronta la risposta, carica di emozione.

    Bene... vediamo di sfruttare questa marea... FIOCCHI E CONTROFIOCCHI AL VENTO! CALATE LA GABBIA, AL VENTO LA MAESTRA ED I VELACCINI! BRACCIATE QUEL PENNONE DI GABBIA! BORDARE LE VELE e poi direzione sud-sud-est, signor Nakashima. Facciamo vela verso il Capo del Fuoco.



    Edited by Anselmo - 19/5/2014, 19:35
     
    .
  6. Anselmo
        Like  
     
    .

    User deleted


    A bordo fu il caos ai miei occhi. Un caos perfettamente ordinato, però, agli occhi allenati di un marinaio. Decine e decine di uomini che schizzavano da una parte all'altra della coperta, indaffarate nei vari compiti perfettamente suddivisi. C'era chi mulinava le braccia per tirare una drizza, mentre un marinaio dalla parte opposta faceva filare la scotta. C'era chi si arrampicava sulle sartie per bracciare i pennoni con la giusta inclinazione, per poi tornare sul ponte con acrobazie degne di una scimmia, e chi penzolava dagli alberi intento a liberare le vele in modo che si estendessero in tutta la loro candida superficie e prendessero il vento. In un attimo, venni coperto dall'ombra delle ampie vele che infiocchettavano gli alberi mastodontici. Il vento le gonfiò, rendendole lisce come il marmo lucidato. Ad osservarle, parevano quasi delicate. Ma la forza che esercitarono sulla struttura del vascello fu immensa. La testimoniarono i vari cigolii del legno che veniva teso fino allo stremo della resistenza, le cime che prendevano a scorrere a gran velocità scaldandosi fino ad annerirsi e gli alberi stessi che assumevano una preoccupante ma perfettamente normale curvatura. Ma ancora si più, testimone di quella forza fu l'immediata picchiata cui fu soggetta la prua della nave. Quasi persi l'equilibrio mentre tutta la fregata si inclinava in avanti. Accelerò di colpo acquisendo rapidamente una velocità sempre maggiore. Il tagliamare si bagnò fino al bompresso, fendendo l'acqua salata in due ampi baffi che bagnarono le anche di prua. La schiuma arrivò sul punte, trasportata dal vento, imperlandoci la pelle e luccicando dei colori dell'arcobaleno. Poi l'accelerazione diminuì man mano che la nave eguagliava la velocità del vento, finchè scomparve del tutto. La nave prese a dondolare, mantenendo però sempre un inclinazione laterale dettata dal vento che investiva le vele da una direzione sfasata rispetto all'ordine di marcia. Pian piano il profilo del porto divenne solo un fantasma lontano. Cominciò così la cavalcata delle onde...
    Il trambusto a bordo calò, escluso qualche marinaio che si adoperava a dare gli ultimi ritocchi all'assetto di fiocchi e controfiocchi, sotto l'occhio attento del capitano. Com'era consuetudine fare, venne gettato a mare lo scandaglio ed il solcometro, e dopo qualche minuto:

    Sette nodi costanti, signore.

    Ed un'altra voce:

    Quattro braccia in aumento, fondale di sabbia chiara e conchiglie.

    Il capitano Hiroyasu annuì compiaciuto e si voltò per andare nel suo alloggio, non prima però d'aver dato l'ordine:

    Riposo, fanti di marina.

    Mollai la presa sul manico della spada e rilassai i muscoli del corpo, abbandonando la rigida posizione da cerimonia. Andai all'impavesata, poggiandovi sopra le mani ed ammirando la continuità ininterrotta del mare che mi scorreva attorno, mentre con un orecchio coglievo la nota greve che indonava il vento spirando attraverso il sartiame, e con l'altro cercavo qualcosa di interessante tra il chiacchiericcio dell'equipaggio. Parlavano per lo più del clima, di quanto sarebbe durato quel vento perfettamente costante e del leggero calo di pressione, cui alcuni attribuivano l'arrivo di qualche pioggia. Niente mare tempestoso per i prossimi giorni, dicevano. Altri invece sproloquiavano sul carattere del capitano, alcuni elogiando l'assenza di quell'aria da aristocratico che la maggior parte dei capitani avevano, altri dubitando invece che con la troppa libertà finisse per non riuscire ad ottenere il rispetto che un capitano deve ricevere per mantenere il governo sull'equipaggio. Un gruppetto di marinai, però, sussurravano su ben altre questioni: si interrogavano sulla destinazione del viaggio, e sul motivo di tanta segretezza riguardo il vero motivo di quel tragitto. Non sembravano convinti dalla scusa del commercio, e non li biasimavo per il turbamento di non sapere dove il capitano intendesse condurli.
    Fingendomi totalmente disinteressato, cercai di avvicinarmi, puntanto uno sguardo incuriosito su uno dei pesanti cannoni neri. Non sembrarono accorgersi di me, e questa volta colsi frasi interessanti:

    ...traversata suicida, ecco cos'è! Chi attraversa il Capo del Fuoco, va a commerciare con le isole di Kiri! Ma noi non siamo diretti lì. Non abbiamo merce nemmeno per ripagarci il viaggio...

    Ha ragione lui! Le cose nella stiva sono solo per far finta di essere un mercantile, se ci fermano! Trasportiamo qualcos altro. Oro... l'oro è piccolo, facile da nascondere.

    No... no... secondo me sono scartoffie, quelle cose per la Guerra. Cose che non devono arrivare a destinazione, ecco cosa. Superato il Capo del Fuoco cambieremo rotta, e da quel momento sarà una fuga da tutti quelli che ci vogliono affondare. E poi ho sentito che chi va a sud... non ritorna più! C'è il diavolo liggiù. Mostri come le sirene, che cantano la...

    Seeeh seh, le sirene te le sogni la notte te, che non lecchi una fica da...


    A quel punto mi allontanai, avevo sentito abbastanza.

    Alcuni discorsi sono sgrammaticati, ma è fatto di proposito :asd:
     
    .
  7. Anselmo
        Like  
     
    .

    User deleted


    Nami-sama è stata intenzionalmente vaga sulla destinazione del convoglio. So solo che doveva arrivare su un'isola al largo di Kumo, ma nient'altro. E già su ciò possono esserci varie incognite. Ma a quanto pare l'equipaggio ne sa meno di me. Parlano di andare a sud, ma non è a sud che dobbiamo arrivare. Se però hanno ragione, e cambieremo rotta in direzione sud? Dovrò dubitare persino del capitano. Sempre che almeno lui sappia dove siamo diretti. Ho già sentito di spedizioni segrete che per mantenere il massimo riserbo hanno ricevuto le istruzioni solo dopo mesi di viaggio. Che sia questo il caso? Spero proprio di no. Non immagino come possa reagire l'equipaggio se lo venisse a sapere...
    L'atmosfera che si sta creando mi preoccupa, e siamo in mare da nemmeno un'ora. Molti dubitano, persino io. Beh, è il mio incarico quello di dubitare di tutti, nessuno escluso. Il capitano però mi ispira fiducia, e senza avere alcuna prova, per ora è il massimo su cui posso basarmi. Quindi non mi concentrerò su di lui.
    Il carico invece... la Kazekage non mi ha detto nulla in merito, se non che è prezioso ed estremamente ambito. Per quanto io sia scettico nei confronti dell'intelletto di quei tizi, penso abbiano ragione: potrebbe trattarsi di documenti riguardanti la Guerra. E la poca vera merce che trasportiamo dev'essere solo una copertura. In realtà in pochi ci prenderebbero per un mercantile, visto il livello degli armamenti di cui siamo dotati. Ma la merce può esser usata per fargli credere che abbiamo saccheggiato un vascello nemico, e nessuno che trasporta un carico importante rischierebbe di esporsi attacando vascelli nemici. Potrebbe funzionare, per sviare i sospetti.
    Il mio compito non è quello di indagare su questo trasporto segreto. Anzi, gli ordini mi dicono che non devo venire a saperne niente. Ma se la situazione si facesse critica e divenisse necessario, non esiterò ad indagare. Per ora, però, è meglio se mi limito ad osservare...


    Mi voltai per dirigermi sottocoperta, quando un corpo non ben identificato mi urtò la spalla facendomi sbattere contro il basso cannone e rischiando di farmi cadere in mare. Feci due passi indietro per riprendere l'equilibrio e riconobbi immediatamente l'aggressore: si trattava del fante di marina con cui avevo avuto un breve diverbio mentre il quartiermastro ci mostrava gli alloggi. Era un individuo più alto di me e pareva in forma, anche se la colorazione giallastra della pelle e le profonde occhiaie mostravano una concreta dipendenza all'alcool. Inoltre pareva evidente che non fosse contento di come era terminata la nostra discussione. Mi si avvicinò dinuovo, fronteggiandomi in modo minaccioso e ringhiando:

    Vuoi sapere perchè un bamboccio del deserto come te è fuoriposto in mezzo al mare?! Qui le onde rischiano di farti affogare. Basta che inciampi mentre nessuno di guarda e "splash!" diventi cibo per i pescecani!

    Dovrò fare attenzione allora, grazie per il consiglio...

    L'uomo mi squadrò per qualche attimo con espressione sconvolta, cercando di assimilare il senso lato della mia risposta. Ma a quanto pareva non gli riuscì e, furente, decise di passare alle maniere forti. Mi afferrò per la divisa e mi scaraventò giù dal castello di prua, facendomi cadere duramente di schiena sulle assi di legno del ponte centrale. In breve mi raggiunse con un balzo alquanto goffo e mi si scagliò contro, ma facendo leva su mano e ginocchio, mi rimisi in piedi lanciandomi a qualche metro di distanza. Divaricai le gambe e sollevai i pugni, facendo capire all'alcolizzato che intendevo difendermi. Quello mi studiò per qualche secondo, muovendo passetti a destra ed a sinistra. Intanto attorno a noi cominciò gradualmente a formarsi un cerchio di marinai col sorriso stampato in faccia, che ineggiavano a combattimento, raccoglievano qualche scommessina e ci deridevano con frasi del tipo "Guardate, gli ufficiali si scannano tra di loro". In tutta sincerità avrei di gran lunga preferito evitare di azzuffarmi, ma non potevo più tirarmi indietro, sarei diventato il bersaglio di tutti.
    Con un grido feroce l'ubriacone mi si lanciò addosso. Scansai lateralmente allungando la gamba per fargli lo sgambetto e lo mandai con la testa dritto addosso alla base dell'albero di maestra. Si rialzò, paonazzo e con un rivolo di sangue a colargli giù per la fronte. Intanto gli spettatori scoppiavano in risate fragoros, mentre altri battevano le mani o i piedi sul legno, imitando lo scandire delle remate di un tamburo.
    L'avversario non ne aveva ancora abbastanza e mi si lancò ancora una volta addosso, questa volta puntando ad agguantarmi ai fianchi per sollevarmi. Ma interruppi la sua corsa con una ginocchiata ben assestata al volto che lo mise nuovamente in piedi, barcollante. Poi gli affondai un pugno dritto alla milza ed infine uno schiaffo col torso della mano alla mascella. Andò giù, e questa volta ci rimase a lamentarsi ranicchiato.
    Lo stupore zittì tutti, e prima che potessero riprendersi dallo stato catatonico, una voce tonante rubbe l'armosfera.

    TU!

    Mi voltai e riconobbi il nostromo, colui che eseguiva gli ordini diretti del nocchiere per mantenere la disciplina a bordo.

    QUAL'E' IL TUO NOME!

    Toshirō Shimura, signore...

    Risposi sfacciato, ancora empio dell'adrenalina del breve scontro.

    SEGUIMI! E VOIALTRI... PRENDETE QUEL PEZZENTE E TRASCINATELO IN INFERMERIA!

    Continua, ma attendo l'exp...
     
    .
  8. "KING"
        Like  
     
    .

    User deleted


    Per me puoi prenderti anche il massimo, son curioso di vedere come va avanti :asd:
     
    .
  9. Anselmo
        Like  
     
    .

    User deleted


    Legenda:
    Pensato Minato (Toshirō Shimura)
    Parlato Minato (Toshirō Shimura)
    Nostromo Ogura
    Quartiermastro Mifune
    Capitano Hiroyasu Fushimi
    Altri...


    Capitano, signore, una rissa in coperta...

    Disse il nostromo, precedendomi nel fare capolino nell'alloggio del capitano. Riconobbi la voce del capitano che gli concedeva di entrare. Il nostromo si volse verso di me, mi afferrò per un braccio e mi trascinò a suon di strattoni nell'alloggio. Il capitano Hiroyasu se ne stava seduto accanto all'ampia vetrata del giardinetto, con lo sguardo perso lungo la scia curva della fregata, visibile ad intermittenza sull'onda lunga. Il liquido ambrato oscillava nel bicchiere di cristallo seguendo il moto della nave, così come la moneta d'argento abbandonata sul tavolo spartano. Vi erano adagiate sopra varie carte geografiche e diversi strumenti di misura, ma il mio occhio indagatore capì che non erano quelle di cui si stava occupando: in un cassetto socchiuso era stato buttato di fretta un calamaio con penna ed una lettera scritta a mano. A quanto pareva, l'uomo di mare aveva qualcuno ad attenderlo sulla terra ferma. Hiroyasu si voltò lentamente verso il nostromo, che ancora mi tratteneva saldamente per il braccio, trafiggendolo con uno sguardo duro ed inflessibile. Capii che l'interruzione non era stata affatto gradita e temetti che potesse riversare la frustrazione su di me. Visibilmente a disagio, nonostante la sua corporatura eguagliasse in termini di massa quella del capitano, il nostromo mi lasciò andare e con voce decisamente meno zelante, continuò:

    Questo è Shimura Toshirō, signore. Si è appena accapigliato con Sōsuke Takaoka. Ora è in infermeria.

    Calò un silenzio carico di tensione, durante il quale il nostromo abbassò lo sguardo ed io mi interrogai assiduamente su quale sarebbe stata la reazione del capitano. Egli chiuse per qualche attimo gli occhi, dandomi l'impressione di una malcelata stanchezza. Poi lì riaprì e me li puntò addosso, mentre si alzava con le mani unite dietro la schiena:

    Una pessima condotta, signor Shimura. Specie da parte di un fante di marina, un ufficiale addestrato. Non ci sono scuse per un simile comportamento. Mi vedrò costretto a prendere provvedimenti. Prego signor Ogura, può andare. Signor Shimura, rimanga.

    Il nostromo si defilò come un'ombra mentre il capitano trascinava la sedia dietro al tavolo e vi si sedeva. Seguì con lo sguardo la porta dell'alloggio che si chiudeva e poi lo spostò su di me. Questa volta, però, non vi era stanchezza o rigidità nei suoi occhi, quanto più quello che ipotizzai essere divertimento. Ed infatti sorrise, battendosi con uno schiocco sonoro le manone sulle cosce.

    E così hai steso Sōsuke "bicchierino" Takaoka, e senza nemmeno un graffio, Toshirō. Ben fatto... e che Dio mi strafulmini, avrei voluto assistere allo scontro. Quell'ubriacone cerca puntualmente qualcuno con cui prendersela, e puntualmente se le prende di santa ragione. Niente che non si sia già visto su questa nave.
    Ma vedi di stargli alla larga d'ora in poi. Se finisce di nuovo in rissa, dovrò usare la frusta, ragazzo. Non voglio che si creda che sulla mia nave la disciplina sia sottovalutata.
    Può andare, signor Shimura.


    Rimasi totalmente sbalordito, e fui anche enormemente sollevato. La reazione di quell'uomo era stata del tutto inaspettata, ma mi fece provare una profonda ammirazione. Avevo sentito dell'autorità cieca di molti capitani, ma a quanto pareva ero finito fortunatamente sotto il comando di un capitano ragionevole. E soprattutto fui felice che non mi avesse interrogato sulle mie doti combattive. Dovevo mantenere un profilo basso.

    Certamente signore.

    Dissi con voce esitante, uscendo dall'alloggio del capitano. Camminai lungo il corridoio di poppa per andare nel quadrato, e da una cabina laterale percepii lo sguardo indignato del nostromo. Probabilmente si era aspettato una punizione esemplare e violenta, o per lo meno una sfuriata da parte del capitano Hiroyasu. Ed invece nulla di ciò era accaduto. Arrivai quindi al quadrato con un sorrisetto compiaciuto stampato in volto e lì, seduti ai tavoli, se ne stavano i marinai del turno precedente, quelli che avevano assistito alla scazzottata. Si voltarono verso di me ed uno di loro sollevò il suo boccale, spandendo la bevanda sul pavimento e tuonando con:

    Ehi te! Toshirō... giusto? Io e gli altri ci chiedevamo quale razza di ufficiale sapesse picchiare così duro! Ci hai fatto perdere parecchi soldi mandando al tappeto "mister bicchierino"... ppfffhahahahahahahaa!

    Rise agitando il braccio per invitarmi a raggiungerlo. Mi sedetti al loro tavolo e subito mi venne buttato sotto il naso un boccale di grog, o almeno ipotizzai si trattasse di quello, dal momento che i marinai non solevano bere altre bevande. E ne ebbi la conferma quando buttai giù un sorso. Un sapore decisamente sgradevole; acqua e rum, decisamente troppo rum e poca acqua. Un gusto tra l'amaro ed il dolciastro diluito con acqua vecchia di mesi. Ma non c'era altro modo di conservarla se non versandoci dentro dell'alcool. Ma non potevo dismostrarmi schifato. Era un sapore a cui ci si doveva abituare in marina, ed ogni marinaio che si rispetti si sveglia alla mattina con l'unico pensiero di farsi un boccale di grog e va a dormire la sera con lo stesso pensiero. Dovevo fingermi abituato, nessuno avrebbe rifiutato la prorpia pinta di grog giornaliera, la quale era addirittura prevista dalle leggi della marina. Era reato, per un vascello, non averne a bordo. Mi chiesi il perchè di una legge tanto stupida. I casi di ubriachezza si contavano numerosi ogni settimana, dal tizio che cadeva dal pennone di maestra spaccandosi la testa, a quello che affogava cadendo dall'impavestata, a quello che rovinava una manovra tesando la vela sbagliata o a quello che scatenava risse in coperta. Ne sapevo qualcosa, io, e mi fu chiaro ora il soprannome che era stato dato al mio avversario. Doveva buttarne giù molto di grog, quello. Buttai giù un altro sorso di bevanda, sentendomi le viscere piaevolmente riscaldate e le ultime tracce di adrenalina da scontro sparire. Spaziai con lo sguardo i volti della ventina di marinai che sedevano al mio tavolo, e notai alcune facce brille. Ma la maggior parte non mostravano alcun segno di ubriachezza, nonostante avessero già ingurgitato la loro pinta, una quantità d'alcool che avrebbe fatto girare la testa anche ad un lottatore di sumo.

    Edited by Anselmo - 19/5/2014, 19:35
     
    .
  10. Anselmo
        Like  
     
    .

    User deleted


    BEVIAMO TUTTI, ALLA SALUTE DI TAKAOKA ED AL SUO FEGATO SPAPPOLATO EHEHEHEHE!

    Scoppiò in un ascesso di ilarità l'omone che mi sedeva accanto, dandomi una pacca poderosa sulla schiena che mi fece andare di traverso il grog. Venni contagiato anche io dalla risata generale; dovevo ammettere che quella bevanda eseguiva alla perfezione il suo sporco lavoro. Ma non fui dispiaciuto che almeno metà pinta fosse finita ad idratare le assi di legno del pavimento senza che nessuno se ne accorgesse: se l'avessi trincata tutta, mi avrebbero di certo messo i ferri alle caviglie per lo stato in cui sarei finito. Non reggevo l'alcool come quei marinai, non ancora almeno. Questi ed altri brindisi vennero fatti durante la pausa ed il pranzo che seguì. Ma quando la campana della fregata suonò i quattro colpi, tutti, nessuno escluso, tornarono alle loro mansioni. Trovai incredibile il fatto che gli stessi uomini gioviali, amichevoli, con un forte senso di cameratismo e tanto propensi a mandare giù l'alcool, fossero poi anche quelli che si spaccavano la schiena per il duro lavoro, senza mai lamentarsi, ed anzi apprezzando enormemente ciò che facevano. Tutte quelle voci, quei detti sulla marina che chiunque, prima o poi, sente, trovavano ora conferma. Uomini di mare, nel vero senso del termine.
    Mi ritrovai da solo in quell'ampia area quasi completamente avvolta nell'oscurità, denominata quadrato. Era collocata proprio sotto alla sezione di coperta compresa tra il castello di prua ed il cassero. Infatti al centro, il quadrato, era attraversato dall'ampia base dell'albero di maestra. L'aria era umida, pesante e pregna degli scricchiolii del vascello i quali, quando ci si trovava nel suo "stomaco", divenivano quasi assordanti. Eppure scomparirono totalmente quando la mandria di marinai percorse la coperta in lungo ed in largo, ognuno diretto alla propria postazione. Quando poi lo scalpiccio fu terminato, fui immerso nella quiete silenziosa per la prima volta da quando mi ero imbarcato. Tenni il boccale oramai vuoto tra le mani in maniera assorta, facendolo oscillare a destra ed a sinistra seguendo il moto della nave, e mi godei il silenzio. Un silenzio diverso da quello a cui ero abituato. Un silenzio di mare, che pareva quasi musica. Gemiti del legno, fruscio delle onde, fischio del vento tra le sartie e la nota bassa dello scafo che fendeva il mare si fondevano alla perfezione tra loro, donandomi una pace assoluta. Ma nemmeno ora che mi trovavo nella solitudine che tanto amavo -cosa alquanto ostica quando ci si trova a vivere assieme ad altre centodieci anime tutte stipate in uno stesso mezzo- potei liberarmi del senso di oppressione che mi gravava nelle viscere. Era lieve, sopportabile, ma non spariva mai, e ciò mi impediva di ignorarlo. Derivava dal fatto che in tutta la nave ero forse l'unico a dover vivere nella falsità. Toshirō Shimura, il giovane fante di marina... nient'altro che una maschera. Ero Minato Muramasa, in realtà. Shinobi di Suna, versato nelle arti magiche e totalmente ignorante per quanti riguardava la vita di mare. Eppure ero mutato in una nuova persona senza tanti problemi. La mia falsa identità non significava nulla, in realtà. Ma mi venne spontaneo chiedermi se in fin dei conti anche quella vera non avesse significato. Ero stato costretto fingere ed a mascherarmi per tutta la vita. Cosa stavo facendo ora di diverso? Nulla. Un dubbio potente mi assalì, accompagnato da una fredda e sgradevole sensazione: cosa significa, in realtà, essere qualcuno? Non sapevo rispondere, e ciò mi lasciò un profondo vuoto.
    Mi alzai mollando il boccale e scuotendo la testa; non era il momento per simili pensieri. Eravamo salpati giusto da qualche ora, e se dovevo entrare in crisi, non l'avrei certo fatto dopo così poco!
    L'aria pesante del ponte sottocoperta cominciava a farsi asfissiante, quindi decisi di recarmi "di sopra". Camminai fin su per la scaletta e giunsi nella luce soffusa di una sera giovane. L'odore salmastro del vento mi purificò pensieri ed emozioni. Me ne riempii i polmoni e cominciai a passeggiare accanto all'impavesata, evitando accuratamente di non calpestare il suolo poppieri del capitano, ovvero il cassero, sotto cui giaceva la sua cabina personale visitata poco prima.
    Correvamo ora con il vento a fil di ruota. Vele e pennoni erano già stati regolati di conseguenza e la Ichikami se ne stava dritta come un fuso. Poi una voce eruppe violentemente nei sogni ad occhi aperti che cominciavano a velarmi la coscienza:

    LAGGIÙ SUL PONTE!

    ...ehm?


    Mi guardai attorno spaesato. Nessun volto rispondeva alle mie attenzioni, erano tutti assorbiti nelle loro mansioni. Quando fui per convincermi di essermelo immaginato, la voce trillò nuovamente:

    GUARDA SU, AMICO!

    Alzai il capo e lo vidi: un volto a me vagamente familiare faceva capolino da una piccola piattaforma di legno in cima all'albero di maestra, ad almeno quaranta metri d'altezza. Non lo conoscevo, non gli avevo mai rivolto la parola, ma di sfuggita dovevo averlo già visto. Doveva essere circa della mia età. Lo deducevo dal volto che, nonostante la distanza, squadravo perfettamente grazie alla mia vista particolarmente acuta. Ma non avevo idea del motivo per cui mi chiamasse:

    Ciao...

    CHE?!

    CIAO LASSÙ, CHE VUOI?


    Gridai sopra il brusio del vento costante. Temetti di aver gridato troppo forte, non volevo disturbare nessuno. Ma a quanto pareva dovevano essere abituati ai richiami forti, perché non ce n'era uno sul ponte che reagì al mio grido.

    VIENI QUA, RAGGIUNGI...

    Il resto della frase venne mangiato da una folata improvvisa, ma il concetto mi fu chiaro. Solo che... perchè? Notai con la coda dell'occhio due o tre marinai che si erano improvvisamente immobilizzati, ma ancora non mi guardavano. Ancora più confuso, replicai:

    PERCHÈ...?

    VIENI E BASTA, AVANTI!

    Uhm...


    Tenni lo sguardo fisso su quel volto a quaranta metri d'altezza, con le nuvole del cielo in sottofondo che dondolavano a destra ed a sinistra. Ero appena stato coinvolto in una scazzottata a cui avrei fatto volentieri a meno e, nonostante il capitano fosse stato enormemente magnanimo nel non punirmi per mala condotta, non volevo abusare della sua ragionevolezza infilandomi nuovamente nei guai. Ma il sorriso di quel ragazzo non mi dava assolutamente l'impressione di serbare cattive intenzioni, quindi mi strinsi nelle spalle ed allungai una mano verso la grisella, l'intreccio di cordame che, oltre a sostenere gli alberi lateralmente, fungeva anche da scala. Poggiato il piede sull'impavesata, mi ci attaccai con tutti e quattro gli arti e presi a salire.
    Ogni uomo sulla coperta abbandonò ciò che stava facendo e si voltò verso di me. L'unica cosa che pensai fu:

    Ma che diamine hanno tutti?!...
     
    .
  11. Anselmo
        Like  
     
    .

    User deleted




    Appiglio dopo appiglio, i metri di possibile caduta libera si accumulavano sempre più. Non era per nulla facile aggrapparsi a quel cordame: oscillava, era abrasivo per le mani ed essendo inclinato oltre la pendenza verticale, costringeva i muscoli a lavorare senza sosta. Dopo quelli che mi parvero almeno quindici metri, cominciai a soffrire una certa fatica. Mi agganciai con l'interno del gomito ad un appiglio e liberai l'altra mano per passarmela tra i capelli, in modo da scollarli dalla fronte sudata. Ne approfittai per lanciare un'occhiata verso il basso. Gli uomini sulla coperta continuavano a fissarmi. Alcuni erano seri e concentrati, altri ridacchiavano o scambiavano battute sussurrate con i compagni. Torsi il capo verso l'alto ed il sorriso tutto denti del tizio sulla coffa di maestra mi ricordò che mi stava aspettando. Ricominciai quindi a salire su per le sartie, dovendo ora fare ancora più fatica perchè più salivo, e più le funi che reggevano alberi, vele e pennoni si facevano fitte a causa della forma a piramide di quei vascelli. Ero uno Shinobi, eppure ero dannatamente lento. Durante i primi minuti di navigazione, avevo osservato con divertimento quei marinai che schizzavano su come delle scimmie, passando da una sartia all'altra quasi stessero camminando lungo il soggiorno di casa propria. Ora invece ripensavo a loro con ammirazione. Sulla terra ferma si poteva dire ogni tipo di cosa riguardo la gente di mare, ma quando prendevano il largo, diventavano veri uomini. Ne ero più consapevole ogni ora che passavo a bordo.
    Issarsi... slanciarsi per afferrare l'aggrappo successivo... forza sulle braccia per avanzare di gambe... issarsi... slanciarsi... Non finiva più.
    A trenta metri le griselle, la scala di corda che mi aveva permesso di arrampicarmi fino ad allora, terminò agganciandosi alla coffa inferiore. Ancora dieci metri mi separavano da quella superiore, e non c'era nessun appiglio creato appositamente per raggiungerla. Deglutii, trassi un sospiro e... mi lanciai. All'ultimo momento le mie mani strinsero la presa sulla grossa fune di sostengo principale dell'albero di maestra. Flettei gli addominali e mi ci attaccai anche con le gambe. A quel punto sotto di me l'intera nave appariva incredibilmente piccola ed inadatta a sostenermi, dandomi l'impressione di potersi inclinare di lato improvvisamente, tanto da gettarmi in mare. Ed in effetti il rollio laterale della nave, lì in cima, era impressionante. Oscillavo lentamente a destra fino al culmine del rollio, in cui ad accogliere la mia caduta non ci sarebbe più stato il ponte della nave, ma le onde dell'oceano. Poi oscillavo a sinistra e mi ritrovavo nella stessa situazione.
    Aggrottai la fronte e presi a salire, consapevole che nonostante tutte le mie capacità da Shinobi, sarei morto come un normalissimo marinaio qual ora fossi caduto. Eppure loro ci passavano le giornate in simili situazioni.

    Avanti amico, muovi quelle braccia!

    Arrivò l'incoraggiamento del tizio che mi aspettava sulla coffa. Per un brevissimo attimo mi parve di sentire l'accenno di un fischio e di qualche battito di mani provenire da sotto, ma il poderoso fischio del vento, impareggiabile lì in cima, tornò a divorare presto ogni suono.

    U-Ugh... Ghrr... seh! Fiuff...
    XklI6hg

    Gemetti mentre lanciavo una mano verso la base della coffa, avvinghiandomi con una presa degna di un primate. Attaccai alle assi di legno anche l'altra ed issai l'intero corpo sulla cima indiscussa dell'intera Ichikami. Sopraffatto dalla fatica, mi abbandonai infine ad un po' di riposo, disteso sul metro quadrato scarso, il volto sorridente rivolto al cielo ambrato. Ce l'avevo fatta! Anche se con eccessive fatiche...

    Ehilà, capo! Bella prova. Io sono Hanbei, la vedetta di questa deliziosa fregata, ma tutti mi chiamano Cannocchiale, sai... perchè... perchè uso sempre il cannocchiale, eh eh..

    Ridacchio tintinnando con il dito sul tubo d'ottone dotato di lenti che portava nella cintura e porgendomi la presa solida della sua mano. Ricambiai la stretta, che si trasformò in un aiuto nel mettermi in posizione seduta. Fui costretto a lasciar penzolare i piedi giù dalla coffa, tanto era striminzita.

    Piacere!

    Piacere mio, Toshir...


    Toshirō Shimura, si, lo so. Ero in prima fila quando le hai suonate a Bicchierino Takaoka. Quasi tutti sulla nave conosciamo oramai il tuo nome. Hai dato un gran bello spettacolo, amico. Ed anche ora... WOW, non male davvero per un ufficiale. Ti frutterà un bel po' di rispetto la tua scalata.

    Rispetto?


    E'ccerto! Da quanto sei in marina...? Vabbè. Ufficiali e marinai difficilmente si sopportano. Ma è nostra usanza mettere alla prova un ufficiale che ci sembra promettente, uno di quelli senza la solita puzza sotto il naso che c'avete sempre voi bell'imbusti in divisa, heh. Ma la maggior parte delle volte, o dobbiamo ripescarli in mare, oppure trascinarli in infermeria per farsi rimettere in sesto dopo averci rimesso qualche osso cadendo sulla mezzanave. Ma tu ce l'hai fatta, e senza problemi. Fantastico!

    Capii ora il motivo di tutto quell'insolito interesse da parte dei marinai in coperta. Avevo dato spettacolo, proprio come avevo fatto accapigliandomi con l'ubriacone. Ma non doveva essere malaccio la figura che avevo fatto, visti i complimenti del ragazzo di vedetta. Mi grattai il capo con fare imbarazzato ma anche compiaciuto. Ma qualsiasi risposta umile avessi intenzione di dare, dovette soccombere alla meraviglia cui i miei occhi furono testimoni. Il panorama, da lassù, era indescrivibile...
    Lontano ad occidente individuai con gli occhi un'altra imbarcazione. Riuscivo appena a distinguere la piramide di vele che aveva spiegato, ma la curvatura dell'orizzonte ne nascondeva lo scafo. Sotto di me, invece, la Ichikami non era altro che un buffo guscio di noce perso tra le onde dell'oceano infinito, con le piccole formichine laboriose ammassate in esso. Una sensazione enigmatica mi travolse. Sentivo il dominio nelle mie mani, a starmene appollaiato sulla cima dell'albero più alto. Ma nel contempo non desideravo altro che rimanerci per il solo gusto di assaporare la bellezza della natura implacabile che ci circondava.

    Continuerà...
    Ma attendo l'exp.


    Edited by Anselmo - 21/5/2014, 18:46
     
    .
  12. Anselmo
        Like  
     
    .

    User deleted


    Legenda:
    Pensato Minato (Toshirō Shimura)
    Parlato Minato (Toshirō Shimura)
    Nostromo Ogura
    Quartiermastro Mifune
    Capitano Hiroyasu Fushimi
    Vedetta Hanbei detto "Cannocchiale"
    Comandante in Seconda Callumy
    Altri...



    Nove giorni dopo...



    VELA IN VISTA…!

    Giunse il richiamo in tutta la fregata. Venne ripetuto in ogni compartimento sottocoperta e gli aiuti del nostromo cominciarono ad esortare in modo non proprio gentile ogni marinaio a scendere dalla propria branda:

    Giù dalle brande, scansafatiche! Svegliatevi! Il sonnellino è finito, muovete le chiappe! Tutti in coperta, immediatamente! Non perdete tempo, razza di nullafacenti!

    L’ampia area buia e dall’aria viziata fu immersa nello scalpiccio concitato di un centinaio di uomini che saltavano giù dalla loro amaca, la sganciavano dal soffitto, la arrotolavano sotto il braccio e schizzavano su per la scaletta in fila ordinata per giungere in coperta, dove avrebbero poi disposto ne brande numerate dei cassoni sotto l’impavesata. Fortunatamente, essendo un ufficiale, avevo una nicchia privata un po’ in disparte e potevo prendermela con un po’ più di calma. Ma dopo essermi infilato la divisa da fante di marina ed aver assicurato la spada al cinturone, dovetti anch’io fare i conti con quella mandria. Giunsi in coperta e mi affrettai a raggiungere la mia postazione sul castello di prua, in riga assieme al resto del plotone. Davanti a me ci fu qualche minuto di caos mentre i ritardatari raggiungevano i loro posti, e poi:

    A-TTENTI!

    Busto eretto, mano tesa ed appoggiata obliquamente alla fronte; con un tamburellio perfettamente sincronizzato, l’intero equipaggio si mise sull’attenti per l’arrivo del capitano. Capitano che, mi aspettavo, sarebbe comparso dalla scalinata per portava al suo alloggio. E non ero l’unico, visto il numero di occhi puntati in quella direzione. Ma poi colsi con la coda dell’occhio un movimento a riva, ovvero nella parte della nave che riguardava alberi e vele. Un’ombra si mosse tra le sartie, poi il suono dello scorrere di un oggetto metallico su una fune ed infine una figura corpulenta e massiccia piombò con agilità alla base dell’albero di maestra, con un tonfo inaudito che svegliò tutti dal torpore mattutino meglio di qualsiasi tazza di caffè, decisamente raro in mare. Notai alcuni sorrisi diffusi. Ed in effetti il capitano Hiroyasu non finiva mai di stupirmi. Il sole non si era ancora elevato completamente sopra l’orizzonte che quel uomo era già in cima, sulla coffa di maestra, a constatare con i propri occhi ciò che era riuscito ad individuare la vedetta. Per non parlare della rapidità con cui era capace di muoversi tra le sartie, nonostante la sua mole. Di certo non uno di quei capitani abituati a delegare il “lavoro sporco” ai sottoposti, preferendo l’agio della propria comoda e spaziosa cabina.

    Signor Callumy, virare di dritta ai due colpi. Intercetteremo il vascello sconosciuto entro due ore. Si dirige a nord, a tre quarte sulla masca di dritta. Ma avanza lentamente, con il solo fiocco al vento, tutto il resto degli alberi è spoglio. Tutti i cannoni pronti a fare fuoco, prego. Se non rispondono ai segnali, spareremo un colpo di avvertimento e li affiancheremo. Pronti a reagire, cominciamo ad entrare in acque pericolose. Spieghi la trinchettina e le vele di gabbia. E se il vento rinforza, una mano di terzaroli alla maestra.

    Certo, signore.

    Callumy era il comandante in seconda. Il più alto in grado, eccetto il capitano. Giovane, capelli baciati dal sole, alto e magro. Un tizio apposto, a guardarlo così. Ma teneva un espressione costantemente greve e seria sul volto, capace di mettere in soggezione molti marinai esperti ed anziani. Ed anche lui doveva aver un bel bagaglio d’esperienza, nonostante la sua giovane età, testimoniato dal braccio sinistro mancante all’altezza del gomito. Una palla di cannone, ipotizzai. Ma poteva anche trattarsi di una ferita di entità meno grave ma mal curata, che aveva fatto infezione. La sanità, per ovvi motivi, non era una priorità in mare.

    Signor Mifune, i fanti pronti al combattimento. Metà plotone sulle coffe. A comando, voglio una pioggia di frecce sul ponte nemico. L’altra metà a prua, pronti per l’abbordaggio.

    Ricevuto.

    Non sapevamo se il vascello avvistato fosse nemico o meno. Solo la vedetta, con il suo cannocchiale, per ora poteva averne una visione vagamente chiara. Seguivano una sfilza di ordini del comandante in seconda, del quartiermastro, nostromo, nocchiere e dei capi coffa. Il capitano invece, ancora in veste da notte, si diresse nella sua cabina con passo deciso. La nave accelerò sotto le mani esperte dei marinai scelti, volando nel vento e cambiando rotta. Intanto venivano spalancati i portelli laterali. Le decine di cannoni, distribuiti sia in coperta che sul ponte di batteria inferiore, vennero caricati e spinti fuori dai portelloni dai rozzi e muscolosi cannonieri, adornando le murate della fregata , su entrambi i lati, di una miriade di bocce da fuoco minacciose. Fui assegnato all’eventuale abbordaggio, e mi posizionai quindi, accucciato e pronto a scattare, dietro l’impavesata a prua. La tensione e l’eccitamento crebbero in ognuno di noi. Lo scontro era probabile, la morte possibile, ma nessuno si mostrava codardo. La voglia di combattere si diffondeva a macchia d’olio tra tutti gli uomini. Un sentimento strano, assassino, ma giustificato quando ci si trovava su una nave armata per la guerra.

    Edited by Anselmo - 25/5/2014, 17:37
     
    .
  13. Anselmo
        Like  
     
    .

    User deleted




    Volti seri, fronti aggrottate, visi corrucciati, un esercito di occhi puntati sull'obbiettivo che, pian piano, si faceva sempre più visibile. L'attesa era stata insopportabile per me, ma quegli uomini dovevano esserci abituati perchè, a parte qualche sussurro soffocato immediatamente, nessuno aveva mosso un muscolo. Ora però il vascello avvistato più di due ore prima, era perfettamente visibile a prua. Era ancora lontano, ma mi parve che a bordo non vi fosse nessuno. Nemmeno la ruota pareva avere qualcuno a governarla. Una sola vela era spiegata al vento, le altre rimanevano ancora ben strette ed arrotolate ai loro pennoni. Nonostante non possedessi ancora il giudizio di un marinaio, anch'io avevo capito che con solo quella vela, per giunta mal terzarolata, non si poteva navigare. La nave era come abbandonata, ma non sembrava essere stata investita da una tempesta, perchè le sue condizioni erano perfette.

    RJuvTMX


    Durante tutto l'avvicinamento i nostri segnali inviati issando una determinata combinazione di bandiere non avevano ricevuto alcuna risposta. La situazione non era delle più limpide, perchè era totalmente anomalo che una fregata, per giunta di una certa qualità, si trovasse in perfette condizioni in mare aperto, ma priva dell'equipaggio. Tutti sapevano che poteva benissimo trattarsi di un imboscata: il nemico si fingeva amico e, una volta avvicinati, attaccava sfruttando l'effetto sorpresa. Ma allora perchè quella vela mal spiegata? E perchè non era stata ricevuta alcuna risposta ai nostri segnali?
    Meno di cento metri dovevano oramai dividerci dal vascello sconosciuto, perché cominciavo a distinguere il cordame che addobbava i suoi due alberi. Qualcos'altro però attirò la mia attenzione, e quella di molti altri, che indicarono sussurrando tra di loro. Due cannoni erano stati spinti fuori dal portellone e parevano pronti a fare fuoco. Un terzo portellone era spalancato lungo la murata bianca della nave, ma nessun cannone spuntava. Tutto il resto dei portelloni, una decina -non male affatto- era chiuso. Strana disposizione delle armi; non aveva senso.

    Cannone numero due di dritta: spara un colpo d'avvertimento...

    Sussurrò il comandante in seconda. La miccia a lunga durata venne avvicinata all'innesco posto sopra la culatta del cannone, mentre la nave poggiava leggermente per rivolgere il cannone verso l'imbarcazione sconosciuta. L'uomo al cannone avvicinò il capo alla canna per regolare l'inclinazione e... SBUUCHH! Il suono assordante della bocca da fuoco che sputava una palla di cannone da quattordici libbre, con conseguente rimbalzo del cannone stesso per effetto del rinculo, spaccò l'atmosfera densa di aspettative. Il fumo bianco corse veloce a poppa, ma io seguii la traiettoria del colpo con lo sguardo. Il proiettile di ferro rimbalzò ripetutamente sulla superficie del mare, passando a gran velocità davanti alla prua del vascello sconosciuto.
    Finalmente si notò del movimento a bordo, davvero troppo poco però.

    Passaparola per il capitano.

    Disse ora ad alta voce il comandante Callumy.

    Passaparola per il capitano...

    Passaparola...

    Passaparola per il capitano...

    ...Passapa...


    Il messaggio venne ripetuto per tutta la nave fino a poppa, dove qualcuno sarebbe andato a bussare al suo alloggio, se il capitano Hiroyasu Fushimi non fosse già emerso dal corridoio sotto coperta, in divisa perfettamente portata, la spallina d'oro a luccicante nella luce soffusa. Attraversò il ponte di coperta e raggiunse a lunghe falcate il comandante in seconda a prua, dove mi trovavo anch'io.

    Situazione?

    Ancora nessuna risposta, ma c'è stato del movimento a bordo dopo il colpo d'avvertimento.

    Bene... continuiamo ad avanzare.


    I metri di distanza vennero colmati in breve tempo. Metà velatura venne ritirata all'ordine di avanzare a cappa. Vi erano due uomini a bordo del vascello sconosciuto, decisamente troppo pochi. Uno era alla ruota, l'altro appoggiato con la schiena all'albero di trinchetto. A portata di voce, il capitano gridò:

    METTETEVI IN PANNA, ARRESTATE LA CORSA, VI ABBORDEREMO!

    Il comando venne eseguito sull'altra nave, anche se in modo alquanto ambiguo: l'uomo appoggiato all'albero afferrò un accetta e, direttosi alle lande, tranciò di netto drizze e scotte della vela, che si staccò e finì in mare. Il vascello, quindi si fermò.
    Manovrando, il timoniere portò la Ichikami ad un passaggio ravvicinato al fianco dell'altra nave.

    CHI SIETE? COS'È ACCADUTO? POSSIAMO PRESTARVI SOCC...

    Il capitano non finì la frase, che venne inghiottita dalle esclamazioni di sorpresa mista ad orrore che percorsero tutto il ponte della Ichikami. Io stesso fui quasi colto dallo spavento nell'osservare quel macabro spettacolo. L'uomo alla ruota e quello che aveva tagliato le funi della vela, parevano dei cadaveri mantenuti in vita da chissà quale maleficio. La pelle verdognola era solcata in più punti da quelle che parevano delle ferite aperte colte da uno stato di cancrena talmente avanzato da diventare l'habitat per vermi purulenti. Le nuche di entrambi gli uomini, oramai dotate di nient'altro che qualche sudicia ciocca di capelli, lasciavano intravedere in ampi squarci la calotta ossea del cranio, ma la cosa peggiore erano i volti. Naso, labbra, orecchie e palpebre penzolavano attaccate solo per esili lembi, il resto del volto era un fitto intrico di pustole e tagli sanguinanti. Ad uno dei due mancava un occhio.
    Il mio sguardo, però, non poté non notare che le vere mostruosità giacevano ai loro piedi, riverse sul legno incrostato del ponte di coperta. Quello che doveva essere almeno metà equipaggio, si trovava abbandonato a terra, per lo più già morto, ma qualcuno ancora si dimenava debolmente. I loro corpi, se possibile, erano in condizioni peggiori di quelle dei due individui ancora in piedi.

    Sto sempre aspettando la valutazione dei tre post qui sopra :si2:
     
    .
  14. Shapechanger
        Like  
     
    .

    User deleted


    Direi che un 68 te lo meriti tutto :sisi:
     
    .
  15. Anselmo
        Like  
     
    .

    User deleted


    SI... QUI... VI CHIEDIAMO SOCCORSO... ABBIAMO BISOGNO DI AIUTO...

    Giunse il richiamo dall'uomo alla ruota. Una richiesta che mi lasciò una profonda amarezza giù nelle viscere. Nonostante il tentativo di mantenere il massimo contegno, di fingere che si trattasse di normale routine, l'uomo non era riuscito a mascherare la sua disperazione ed il desiderio estremo di trovare sollievo. Molti volti si spostarono dalla nave sconosciuta al capitano, che fissava con sguardo penetrante gli uomini dall'altra parte del pezzo di mare che ci divideva.

    VI PREGHIAMO... S-SOLO QUALCHE VETTOVAGLIA... UN MEDICO PER I FERITI... RIMORCHIATECI AL PORTO PIÙ VICINO...

    Continuarono i richiami del disperato.

    Capitano, vado a chiamare il chirurgo?

    Il protocollo e l'etica della marina ritenevano il soccorso un atto sacro e dovuto, se non in casi di estrema impossibilità. E prevedevano inoltre un consulto preventivo con il chirurgo di bordo, che di certo sapeva meglio di tutti come comportarsi in caso di feriti bisognosi. Ma la voce del comandante in seconda, nel domandare al capitano se chiamare il chirurgo o meno, era ansiosa e riluttante. Facile capirne il motivo. Nessuno, nonostante fosse ben disposto a soccorrere il prossimo, aveva intenzione di avere a che fare con quegli orrori sconosciuti. E tutti temevano che Hiroyasu, magari colto da qualche follia, decidesse di prestare soccorso. All'ordine del capitano non ci si poteva opporre.

    No, niente chirurgo, non è necessario. Conosco il morbo che li affligge. Sono dei lebbrosi, non ci possiamo avvicinare.

    Disse il capitano, chinando il capo. Nonostante fosse la cosa migliore, in pochi avrebbero preso una tale scelta a cuor leggero. Mormorii e sospiri di sollievo tra l'equipaggio. Il capitano Hiroyasu diede ordini di issare i coltellacci e riprendere la rotta, ma:

    S-SONO IL COMANDANTE DELLA NAVE... CHIEDO UN COLLOQUI P-PRIVATO CON... CON IL VOSTRO CAPITANO...

    Hiroyasu fu visibilmente scosso a quella richiesta, che non fece che incrementare il greve peso sulla sua decisione. Con un espressione turbata in volto, si voltò e fece per andarsene nel suo alloggio, quando l'uomo alla ruota dell'altra nave si mosse.

    ARRIVO, DOMANDO... DOMANDO ACCOGLIENZA...

    Arrivò alla piccola scialuppa a remi fissata alla murata della nave e tagliò le funi che la tenevano. Il capitano si voltò di scatto e con sguardo truce, gridò:

    SI FERMI, SI FERMI IMMEDIATAMENTE! NON ABBIAMO INTENZIONE DI SOCCORRERVI. RIMANGA A BORDO, O SAREMO COSTRETTI A...

    ARRIVO...


    Il lebbroso non pareva voler ascoltare ragione e, calata la scialuppa in mare, vi si lanciò goffamente dentro afferrando i remi.

    SU ALLA COFFA, ABBATTETE QUELL'UOMO!

    I sei fanti di marina incoccarono la freccia nelle loro balestre, mirarono e lanciarono simultaneamente sei dardi che trafissero in più punto l'uomo, il quale gorgogliò calando a picco, privato della vita. Ma il richiamo della salvezza doveva aver risvegliato dai torpori deliranti il resto dell'equipaggio ancora vivo, se vita si poteva definire quello stato mostruoso. Alcuni si alzarono, altri strisciarono, tutti diretti verso la scialuppa.

    FERMATEVI, IL COMANDO NON VERRÀ RIPETUTO! NON VI POSSIAMO SOCCORRERE!
    Dannazione...! Dannazione... Batteria di dritta, affondate la nave.


    BATTERIA DI DRITTA, PRONTI CON LE MICCE.


    Il comando, ripetuto dal capo cannoniere, tuono con un rombo portentoso dalla gola di quel marinaio dal collo taurino e le braccia come ceppi di legno. Un colpo di pietra focaia, e le micce vennero avvicinate agli inneschi, il cannone regolato per colpire basso.

    FUOCO!!


    La murata destra della Ichikami eruttò denso fumo bianco ed accecanti bagliori infuocati. Le carronate scattarono indietro una dopo l'altra, in una rapida sequenza di esplosioni inaudite che lasciavano a lungo storditi, tanto erano tonanti. Ventidue mastodontici cannoni in ghisa distribuiti su due ponti di batteria, emisero il loro reclamo di morte, gettando un totale di centottanta libbre di ferro sibilante contro la nave sconosciuta. Due dozzine di proiettili grandi come la testa di un bambino raggiunsero il bersaglio con precisione, causando una disfatta totale. L'albero di maestra esplose in un ondata di schegge assassine che seminarono morte, l'impavesata venne pressoché abbattuta ed il clangore delle palle che rimbalzavano maciullando crani, sfondando casse toraciche e spezzando caviglie fu assordante anche dopo la detonazione delle due batterie di dritta. Ma i danni più ingenti segnarono la nave proprio dove serviva di più: sopra e sotto la linea di galleggiamento, la murata di sinistra del vascello venne trasformata in un grande scolapasta rifinito di bronzo. I solchi e gli squarci erano troppi per permette a quella fregata di rimanere ancora a galla, ed infatti nel giro di qualche secondo, si inclinò pericolosamente su un lato e cominciò a calare negli abissi dell'oceano.
    Non vi fu grido di disperazione o di sofferenza tra l'equipaggio trucidato, e ciò fu un enorme sollievo specialmente nei giorni che seguirono quel nefasto evento. Cominciava a correre la voce che gli uomini di quella nave fossero condannati dalla maledizione da una qualche maledizione dei mari, e che regalando le loro vite agli abissi, avevamo compiuto il volere di Dio. Tutti, dal terrazzano più idiota al ragionevole chirurgo di bordo, ne diventarono pian piano sempre più convinti. Persino il capitano annuiva ogni volta che se ne faceva accenno. Invero, anche a me piaceva crederlo. Fu solo ciò a mantenere una certa serenità tra l'equipaggio della Ichikami, nonostante fossimo giunti in acque pericolose al largo del Capo del Fuoco...

    Dodicesimo post della PQ, attendo exp :soso:
     
    .
19 replies since 29/3/2014, 14:14   408 views
  Share  
.