[Pq]In search of...

[Barbakos-Sazandur]

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    Le notti a bordo si susseguivano l’una dopo l’altra come gelide coltellate nel cranio e il sudore era la prova lampante del disagio. Non era tanto la temperatura esterna delle stagioni a creare quella reazione corporea generalmente scomoda, ma i sogni ricorrenti che si tramutavano in incubi in un lasso tanto breve quanto inevitabilmente imprevedibile. Nelle notti di inverno del 22 a.z. la neve era caduta su Barbakos come non la si vedeva da tanto e sebbene non fosse così tanta da congelare un intero oceano ne si vedevano comunque gli effetti sulle acque, tanto fredde da portare gli impavidi bambini del posto a tuffarsi in acqua per così poco tempo da rendere persino stupida l’idea di farsi un bagno. I vecchi del posto trovavano quelle temperature quasi rinvigorenti per la pelle e per l’età, era come se si fossero convinti di poter restare in vita più a lungo se fossero stati vicini all’ipotermia. Prima dell’insediamento di Delilah al trono e prima ancora che io stessa diventassi ninja, il natale nel continente meridionale era sempre stato diverso da quello del nord, nei cibi e nelle abitudini; si beveva e si danzava durante tutto l’arco dei festeggiamenti, sia sulla terra ferma che sulle navi, fregandosene altamente di tutto quello che accadeva nell’altro mondo. Eppure le cose erano cambiate nell’arco degli ultimi dieci anni e con l’alleanza al continente ninja si erano perse molte delle usanze del passato. Avrei volentieri girato per le vie della capitale navale con una vena nostalgica, ma l’oscurità di Ibben non permetteva più di ragionare con leggerezza su temi di così poca rilevanza. O per lo meno non rilevanti quanto Ishivar, il risveglio e gli Ootsutsuki. Aprii le palpebre con impulso violento, barcamenandomi nel buio del sonno per poter pian piano mettere a fuoco i contorni della stanza di legno, illuminati timidamente dal lume della lampada ad olio, stringendo con forza nella mancina i lembi delle lenzuola bianche e pulite. Il tumulto dei respiri echeggiava tra le quattro mura leggermente umide come una carica di cavalli ed era l’unico suono, l’unica testimonianza della presenza umana lì dentro: ero sola a riposare quella notte, come ormai accadeva da tempo. MI mossi, man mano che la luce sanguigna del candelabro danzava e si contorceva con moto ameboide e senza il vigore necessario ad accecarmi, per uscire dalle coperte e mettermi seduta. Le molle del materasso malmesso cigolarono per l’intera durata del movimento, contraendosi sotto la pressione di un corpo tutto sommato snello e ristabilendosi solamente quando decisi di mettermi in piedi per poter girare l’angolo della sala e acciuffare nella mano destra la lampada ad olio, raggiungendo il bagno. Era una stanzetta ancora più piccola della precedente ma offriva tutti i comfort necessari a rimettersi in sesto, compreso un mobiletto in mogano appeso al muro contenente detergenti e medicinali e munito di uno specchio quadrato di modeste dimensioni. Con il lume ancora sorretto nella mano mi misi alla ricerca di un contenitore di plastica arancione di forma cilindrica e con un tappo bianco sulla sommità, muovendomi però come una persona che sapeva esattamente dove cercare; lo individuai tra le tante pomate e lozioni idratanti che erano necessarie a trattare la pelle arsa della cicatrice in viso. Prendendolo e posando contemporaneamente la lampada sul lavabo fui libera di svitare il tappo con fare frettoloso, inclinando il contenitore nel palmo per far cadere dal mucchio due piccole compresse bianche e rosse di dubbia provenienza. Non mi soffermavo mai su quali sapori avessero tali pasticche, non era necessario che fossero buone ma che aiutassero il cervello a vederci chiaro e a rilassarsi. La cosa interessante di quel bagno era il bicchiere d’acqua: sempre pieno, sempre posizionato nello stesso angolo e con un’etichetta riportante il mio nome scritto a penna. Ad ogni assunzione di quei medicinali lo svuotavo completamente per via della pesante secchezza in gola e prima ancora di guardarmi allo specchio aprivo il rubinetto per riempirlo ancora, in previsione della notte successiva. Era chiaro che non stessi vivendo più notti tranquille da mesi perché quella routine era diventata perfetta e senza sbavature, stampata nelle carni come il primo bacio. Fu solo allora che sollevai il viso per scrutarne il riflesso adombrato dal buio di una nottata giunta al termine, sigillando le labbra al tocco dei polpastrelli sulla guancia destra, assistendo con disgusto all’ennesimo scherzo della mia testa senza più tutte le rotelle al suo posto.

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    Non puoi continuare così e tu lo sai.

    Ozen. Il timbro della voce gutturale era indistintamente il suo e l’avrei riconosciuta tra mille, sia perché ormai ci conoscevamo da anni, sia perché nessun essere umano “normale” era in possesso di una voce tanto profonda e spettrale. La silhouette poderosa della dottoressa si palesò allo specchio con fare sinistro, emergendo dal buio come un corpo morto che non affonda, fermandosi a tre metri da me.

    Non vedo altri modi, Ozen. Se sono giunta a questo punto e in queste condizioni, la colpa è anche mia dopotutto.

    Risposi in uno schiocco di lingua e con poca voglia di argomentare ciò che avevo già ampiamente narrato al mio ritorno da Ibben. La donna fu visibilmente dispiaciuta, era umana anche lei e il rispetto reciproco tra di noi aveva fatto nascere dei sentimenti persino in un’entità gelida quanto il ghiaccio dei mari del nord.

    Non si tratta di colpa, Lìf, ma della tua responsabilità nell’affrontare le conseguenze di ciò che ti è successo. Posso procurarti tutti i farmaci che vuoi, ma hai bisogno di andare alla radice del problema.


    Quale che fosse la radice del problema era evidente che alla mia testa non importasse. La lasciai parlare mentre aprivo l’acqua del rubinetto per poter riempire la grande vasca bianca e forma di conchiglia, sentendone lo scrosciare e percependo il calore per mezzo del vapore. Sotto la vestaglia avevo addosso solo la lingerie nera e la presenza di Ozen non mi fermò dal toglierla e gettarla nel sacco del bucato sporco. Il medico avrebbe partecipato alla visione di uno spettacolo al quale era abituata, intercettando le ferite sulla pelle di schiena, glutei e gambe di dimensioni e tipologie diverse attraverso il suo occhio clinico. Scivolando in una vasca profumata di olii al cocco e lavanda avrei trovato il giusto ristoro, consapevole di poter rilassare anima e corpo grazie alle temperature elevate dell’acqua.

    Ci sono faccende più importanti da sbrigare, mi passerà. Hai fatto l’inventario?


    Edited by Yama™ - 15/2/2024, 17:45
     
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    Non si meravigliò di sentire quella risposta, il copione era uguale ogni notte. Soltanto che quella visita nel pieno della notte non aveva solo uno scopo amicale. Oscillò sul posto come la stecca di un metronomo, avanzando fino all’uscio della porta e oltre, dovendo chinare il capo per non sbatterlo data la stazza poderosa. Una volta nel bagno infilò l’arto destro nella tunica nera ove teneva nascosti i suoi marchingegni e ne tirò fuori una cartellina con una sorta di lista della spesa, mostrandomi ciò che mancava all’appello.

    Alcune sono reperibili a Nanakusa, ma ci sono tre tipologie di erbe che crescono solo nei pressi dei Sazan’durr. E’ l’unico posto che abbia un clima adatto alla loro crescita, oltretutto sembra che il mio fornitore di fiducia abbia finito le scorte e non potrò averne per un bel po’.

    Sazan era un territorio che avevo esplorato solo superficialmente negli ultimi tempi, perché avevo concentrato le forze nel cercare avamposti presieduti dai pirati, che chiaramente avevano inventato metodi innovativi per agire fuori dal sistema dei Corsari senza essere beccati. Piccoli isolotti fuori dai radar erano stati “isolati” per mezzo di magie sconosciute agli occhi vigili dei lacchè di Delaiah, terre celate da nebbie immortali o nascoste da veli di malia con proprietà camaleontiche. Nei giorni in cui Ibben aveva ricevuto le visite della Ootsutsuki, una porzione di isola aveva assunto le parvenze di un campo di battaglia nel quale decine, se non centinaia di uomini e donne avevano perso la loro vita proprio come accaduto ad Hakàrl. Eppure di lui non rimanevano che dei ninnoli metallici, cimeli di ferro borchiato che aveva acquistato chissà dove e che avevano resistito meglio delle sue ossa, mentre i cadaveri dei pirati si erano mantenuti “integri”, pur se tumefatti o dilaniati da quelli che erano sembrati colpi prevalentemente fisici. La sola cosa che mi portavo dietro di lui era una cavigliera nera senza particolari decorazioni, forgiata senza alcun tipo di meccanismo magico insito nelle punte ferrose ma con un indistinguibile odore di sangue misto al puzzo di pesce marcio. Non era l’oggetto più adatto ad una donna, ma era il ninnolo perfetto per ricordare quanto accaduto e lo tenevo sul comodino assieme ad un cumulo di vecchie monete con teschi incisi su ambedue le facciate, la bottiglia di brandy e il flauto di Killia.

    Vuoi forse dirmi che dovremmo essere noi ad andare a fare quelle provviste?

    La gelida dottoressa non cambiò posizione, ma a quelle parole la linea sul mento si deformò in una curvatura di cupo piacere che occupò una gran porzione. La pelle del medico aveva una la stessa tonalità della ceramica e gli effetti di luce generati dalla candela risaltavano le ombre e l’effetto spettrale. A ciò bisognava aggiungere l’instabilità della mia mente, che aveva cominciato a plasmare mostri lì dove non ne esistevano e a fondere scenari fittizi con la realtà e senza uno schema preciso. Le percezioni alterate dai traumi del passato trasformarono quell’acqua in una pozza di sangue, persino l’odore -che nella realtà risultava sempre lo stesso – cominciò a mutare in note più acri e fetide, tipicamente ferrose. I giochi di luce contribuirono a tessere sul soffitto una figura femminea e sinistra, mezza umana e mezza falena, avvolta in un drappo bianco di mille occhi protesi a scrutarmi l’anima: era assente nella realtà della stanza, ma in quella fittizia della mia testa troneggiava più forte di ogni altro oggetto o persona realmente esistente nel presente. Tornai inavvertitamente a rivivere nella testa lo scenario dello scontro con la Ootsutsuki da un punto ben preciso, in un sogno talmente lucido da sembrare quasi reale.

    CITAZIONE
    E sia dunque…
    Non torcerò un capello ai tuoi compagni, ma il resto dovrete farlo da voi. In più non puoi pretendere che i mi fidi delle sole parole dico bene?


    Quelle parole mi rassicurarono un pochino, sarebbe stato difficile stabilire se quella sorta di patto lei l’avrebbe mantenuto o no. La chiara dimostrazione di forza e la freddezza verso gli umani erano campanelli d’allarme da tenere in considerazione, ma volevo credere che nel fondo del suo spirito avesse anche un po’ di coerenza. Difronte ad una emanazione di forza oltre i limiti del concepibile e con la triste verità di non poter far altro per oppormi alla Lunare, il risveglio venne meno ma non prima di constatare un fragore inquieto degli insetti. Lo stress fisico dovuto allo sforzo si aggiunse a quello mentale e percepii la mancanza di fiato mescolarsi ad un drastico calo di energie che da sempre era il pegno da pagare per il potere degli antenati. Per via di tali circostanze tutte assieme non mi accorsi delle rapide movenze nemiche e del suo agire; ignoravo il reale potere degli occhi vorticanti che avevo bramato poc’anzi, ma se avessi studiato un po’ o se mi fossi imbattuta nelle persone “giuste” avrei capito tutto quanto.

    >Da oggi sei mia, il mio ordine unico è che tu mi obbedirai ciecamente, fino a quando lo riterrò necessario.

    Il suo tocco austero sfiorò il viso come un refolo di vento ma le fu sufficiente a lanciare il suo anatema magico che sarebbe durato per l’eternità, o almeno fino allo scadere del suo desiderio. La farfalla magica proiettata sull’occhio non era un semplice ornamento ma una prova tangibile di quel contratto disequilibrato sancito da ambedue le parti. Il veleno del possesso prese a scorrere senza darmi ragione di accorgermene e da lì iniziò a fluire silenzioso e pressante nel mio inconscio, sporcandolo senza che né io né gli insetti, né chiunque altro poco avvezzo alla materia potessimo porgli resistenza.

    >Così sarai i miei occhi…
    >Indaga su Ishivar e su quanto ti accadde con quel pugnale.


    *Anfanf* E così… e così sia. Ma ricorda, hai dato tua parola. *Anfanf* non dim… non dimenticare.

    Era la spavalderia favorita dalla sopravvivenza ad una sorta di divinità che eliminava la paura o la pazzia fomentata dall’adrenalina? Lo sguardo sgranato e il viso tutt’altro che limpido e immacolato si mantennero su di lei fino all’apparizione del portale magico oltre il quale la Ootsutsuki scomparve senza lasciare alcuna traccia della sua presenza. Ciò che a mio malincuore era rimasto furono gli strascichi della violenza inaudita che s’era abbattuta sia nell’area circostante che in una diversa zona dell’isola, ma fui così assoggettata al buio da non pensarci e mi gettai in ginocchio sulla pozza di sangue marcio di Hàkarl, ignorando la realtà in favore delle lacrime e degli incubi. Mi spogliai del peso di quella ferita inferta ad Ibben, dei miei doveri e responsabilità; quella giornata aveva gettato il caos nel mio animo ormai alla deriva e cosa ancor più inaspettata era che anche altri personaggi nella storia di quel mondo, individui ignari degli interessi e del mondo della pirateria, erano stati spettatori del massacro dei messaggeri della luna e che l’equilibrio del mondo si era ulteriormente compromesso.

    Lìf, abbiamo sotterrato cadaveri che nemmeno conoscevamo e ciò mentre nel mondo avveniva il putiferio. So che il tuo obiettivo è quello di ritrovare gli Ishivariani, ma non possiamo ignorare ciò che accade sotto i nostri nasi perché può servirci. Nessuno di noi ha più nulla da perdere e nemmeno tu, dobbiamo solo guadagnare il più possibile da ogni errore del mondo ninja.

    Il suo ragionamento quadrava perfettamente. Aveva sentito di avvenimenti strani nel territorio di Sazan e voler indagare su cosa fosse realmente accaduto sembrava starle a cuore, tant’è che suo tono di voce divenne più grintoso ma senza perdere l’impronta malefica.

    D’accordo, faremo tappa a Sazan. Fortunatamente lì posso muovermi liberamente ma giacché sembri così volenterosa di venire mi seguirai anche tu.

    Obbedì senza fiato, palesemente in visibilio. Mosse il capo in avanti per acconsentire, arretrando fino ad una delle pareti del bagno e lì mi accorsi di quanto la volontà di visitare Ishivar continuasse ad occuparmi la testa dopo la fine del sogno, picchiando come un tarlo sul legno marcio. Rimasi ancora per una buona mezz’ora a crogiolarmi tra le grazie dell’acqua calda, giusto il tempo di lavare via le impurità e godermi quel momento di "relax" prima della partenza.


    Edited by Yama™ - 15/2/2024, 17:46
     
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    Le fauci di un rospo magico si aprirono in una zona sconosciuta del sud, in una terra che per secoli era stata preda di una sciagura: lo schiavismo. Sazan era un continente così enorme da richiedere alcuni giorni per poter anche solo partire da un capo e arrivare all’altro, ma avrebbe richiesto una vita intera per poter essere esplorato per intero. Contava diverse realtà -alcune anche nascoste – di persone, creature e piante rare, misteri e reliquie che non erano mai state collezionate da nessuno. La piaga dello schiavismo si era acquietata solo da alcuni anni a questa parte, sebbene non fossi per nulla sicura del totale smantellamento di tale pratica: se avessi voluto trovare un venditore di schiavi, probabilmente avrei soltanto dovuto ingegnarmi un po’ nel fare qualche domanda in giro. All’indomani della chiacchierata mi ero incamminata con Ozen e Xury alla volta del luogo designato optando per una marcia rapida attraverso l’utilizzo di una tecnica fattibile solo con il richiamo di un particolare rospo, che da chissà quanto tempo aveva perso la lingua e l’uso della parola. Sebbene il suo ventre buio non emettesse odori né gorgoglii ed era impossibile da analizzare per la rapidità del servizio, il viaggio lampo dalla nave a Sazan si dimostrò confortevole e positivo e per questo non fiatai al momento dell’arrivo, salutandolo con la mancina alzata senza un briciolo di entusiasmo.

    E’ stato parecchio confortevole.

    Mh-Mh.

    L’ex schiavo al soldo di Trofnir non aveva più il dono della parola da tempo e il suo unico modo per dialogare erano mugugnii e vocalizzi simili a quelli di un neonato ai primi mesi di vita. Indossava gli abiti tradizionali colorati del continente nel quale avevamo messo piede da brevi istanti e si muoveva a passo curioso nelle sue babouche marroni in pelle, sollevando dolci nuvole di polvere dalle impronte alle sue spalle. Ozen aveva optato per la sua solita casacca nera che le copriva per intero il corpo imponente ma aveva integrato un ampissimo copricapo scuro a forma di disco con un diametro di un metro, tanto ampio da sembrare eccessivo, tanto appariscente da destare nell’occhio. Il cielo sopra le nostre terre era coperto da nubi che sporadicamente facevano la loro comparsa veleggiando con lentezza grazie al vento e alla rotazione terrestre, usando quell’angolo di mondo come breve tappa di sosta. Avevano un checché di immacolato e la loro osservazione era una piacevole distrazione saltuaria, un arricchimento gratuito di un viaggio verso la devastazione. Camminammo un po’ con apparente passo tranquillo su di un sentiero brullo ricavato tra una fila di campi collinari verdeggianti, coltivati con tecniche agricole tipiche di quei popoli. I Sazaniti erano da sempre molto esperti di agricoltura e di caccia, la loro forza fisica legata all’inesperienza nel combattimento li aveva resi dei soggetti idonei a servire padroni più ricchi da sempre sicuri di non ritrovarsi ribellioni in casa. La scarsa dimestichezza nelle lingue aveva ostacolato più volte le trattative per l’affermazione dello stato di Sazan prima ancora della venuta di quell’idiota di Delilah e l’assenza di una figura capace di comandare e difendere il popolo dalla fetta più marcia dei pirati non avevano per nulla favorito lo sviluppo di quelle terre, almeno fino ai risvolti recenti. Peccato che nemmeno la protezione dell’Osu e la nuova organizzazione del continente meridionale fossero state in grado di arginare il nuovo male che aveva scelto la capitale Sazan’durr come luogo in cui abbattersi.



    Sembra che qualcuno si sia premurato di venire qui a far casino.

    Avanzando lungo il percorso poco tortuoso che conduceva alla capitale furono subito palesi i primi segni di una furiosa battaglia avvenuta di recente. La terra cominciò a spogliarsi della sua bellezza per svelare cicatrici via via più profonde, mentre delle lingue di fumo cinereo danzavano con far morto verso il cielo del mattino. Diverse case erano state polverizzate dallo scontro di due forze diverse ma la gravità dei fatti e i particolari obsoleti di quella devastazione stuzzicarono non poco la mia curiosità, tant’è che senza indugi mi diedi ad un reportage fotografico. Cos’è che aveva scatenato quella furia famelica e indiscriminata? E per arginare quale pericolo si era ricreato quel genocidio? Le fondamenta della città odoravano dell’antica traccia di morte e fino a quel momento non avevo percepito anima viva sbucare disperatamente dalle baracche rimaste in piedi. Alcune si reggevano con lo sputo e quelle poche ancora intatte erano situate nella parte più lontana del villaggio, a nord est, la zona più intatta.

    Dovremmo stare attenti, potrebbero prendere male la nostra presenza.

    La donna medico era una persona scaltra, oltre che pienamente consapevole di quanto la morte e la devastazione potessero rendere violenti i vivi. Se avessimo trovato anima viva in quel posto avremmo dovuto far sì che si fidasse di noi prima ancora di poter chiedere qualsiasi favore o anche solo sapere cosa fosse successo in quel luogo, sebbene con noi ci fosse Xury a poter tranquillizzare gli animi con la sua presenza.

    Tu avevi già sentito di questo scempio, non è vero?

    Il capo inclinato si mosse da destra a sinistra con poca velocità e tanta pacatezza e il suono metallico degli aggeggi nascosti tra le fibre del pastrano arricchì il movimento. Sulle prime pensai che si limitasse a quel gesto, tuttavia solo poco dopo aver compiuto qualche passo aprì bocca per aggiungere un dettaglio interessante.

    Non molto tempo fa mi è giunta voce di un intrusione da parte dei Cyborg nel territorio e del fatto che alcuni shinobi Osu erano stati chiamati ad intervenire. Ma che avessero creato tutto questo macello non ne ero a conoscenza.

    Un refolo di vento spinse le serpi di fumo a contorcersi su se stesse e l’occhio sinistro andò proprio a seguirne le danze. A discapito di quanto si potesse pensare, l’Osu aveva un’organizzazione così pessima e un modus operandi così no-sense che ormai tutto ciò che i membri toccavano si trasformava in sciagura. L’organizzazione degli shinobi uniti non si era mai dimostrata realmente in grado di voler porre fine ad un problema e quello scempio ne era un assaggio concreto. Se fossi stata in grado di raccogliere dati da più fonti avrei potuto instillare nei reduci il pensiero di potersi ribellare a quella realtà farlocca del continente settentrionale.

    Perché non mi sembra una novità?


    Il sole si comportò per un momento come se avesse paura di quel cimitero e andò a rannicchiarsi alle spalle di un gigantesco masso ovoidale che sorgeva fuori dalle mura. Quella che a primo impatto somigliava ad una montagna naturale di forma bizzarra era in verità un insieme di due sporgenze unite artificialmente per mezzo di uno strano sortilegio, divelte dal suolo in un’unica forma perfettamente sagomata. La sua immensa ombra si protese su una porzione estesa della capitale dando l’impressione di assistere ad una eclissi, seppur la luna fosse lontana anni luce da lì e per nulla parallela al sole. “L’uovo” di roccia non era il solo regalo lasciato in eredità al popolo falcidiato: una immane quantità di cenere cospargeva il suolo come a seguito di un’eruzione vulcanica, peccato che l’unico foro nelle vicinanze somigliasse più a un tunnel scavato da forze misteriose di origine sconosciuta che ad un cratere di origine naturale. La morsa di un fuoco primordiale si era avvinghiata alla vita, alle case, alle cose e alla terra per consumarla piano piano, estirpando alla radice la volontà di sopravvivenza e pur premendo con forza i tacchi sul suolo non era possibile vedere la terra nel fondo delle impronte. Era come se fosse inverno e la neve avesse avvolto col suo fragile candore le macerie di quel posto semi deserto, ma non c’era il freddo tipico dei mesi più rigidi e Sazan non era un continente noto per le nevicate inaspettate e improvvise o per eventi naturali irregolari. La sottile patina grigiastra sui Grinder -i famosi stivali ricevuti in dono da Ishivar – era irregolare e raggiungeva le caviglie, ma non era calda né c’era il timore che salisse ancora più su a sporcare l’orlo dei calzari. Il lungo cappotto di colori vivaci era perfettamente pulito, presentandosi agli spettatori come praticamente nuovo sebbene fosse solo ben mantenuto. Siccome l’armatura del paese della neve era andata in frantumi e per poter essere riparata necessitava di parecchio tempo e di metalli preziosi, il fabbro al quale avevo commissionato l’opera non era giunto al termine dell’impresa e per questo ero partita senza, ma andava bene ugualmente perché senza tale corazza avrei dato meno nell’occhio.
     
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    *Scratch* C-chi va la?! Chi siete voi?

    Da una casupola a pochi metri emerse l’ombra di un essere umano, che si servì delle dita adunche per sollevare un tendaggio di stoffa sfilacciata usato per sigillare simbolicamente l’interno dell’abitazione. Non la sollevò per intero, anzi si limitò a farlo il giusto necessario affinché potesse farsi udire senza farsi riconoscere, ma avendo la piena capacità di osservare nuovi visitatori e i loro movimenti. Più o meno in concomitanza con ciò, alcuni passi rapidi e fievoli fluirono alle spalle delle macerie, indistinti nel numero e palesemente allertati dalla nostra presenza.

    Mio nome è Lìf Arnbjørg e questi sono miei compagni. Veniamo in pace, eravamo venuti in cerca di erbe officinali di questo luogo ma abbiamo notato ciò che è successo e ci siamo addentrati. Non è mia intenzione farvi alcun male, volere solo sapere chi avervi ridotto così.

    La parlantina era ancora acerba, sporca, imperfetta. Eppure la donna dall’altro lato della tenda non si fece attendere molto prima di ritrarre le dita una ad una verso l’interno, mostrandosi poco avvezza alla chiacchierata e dubbiosa su quella presentazione, non titubando nel rispondere. E come darle torto!

    Tornatevene da dove siete venuti, non c’è più niente qui. Questa è terra di morte ormai!

    Mi resi conto di quanto dolore provasse quella donna solo notando la lentezza del mani dalla pelle incartapecorita. Sembrò far scivolare l’arto come se quella sua vita non avesse più senso, impedendomi di poter interloquire ancora con lei e poterla guardare negli occhi. La farfalla degli Ootsutsuki si esibì in giochi di luce evanescenti e lungo il tragitto due bambini semi nudi si affacciarono incuriositi per guardarla, attirati dalla luminescenza della creatura e dalle sue ali trasparenti. Avevano addosso soltanto un gonnellino ricavato dalle piante di zona e un paio di scarpe in cuoio per evitare di rovinarsi i piedi con la cenere maledetta. Sui lineamenti dei visi tondeggianti non c’erano emozioni positive e per quanto volessero nascondersi tra le pietre arroccate qua e là non erano bravi nel rendersi invisibili. Convinta che con la donna non avremmo più avuto nulla a che fare mi mossi in avanti per incedere e cercare altre anime sconfortate, ma la sua voce inspessita dall’età riemerse di nuovo dalle tenebre della sua miseria.

    Noi non abbiamo fatto nulla per meritarci questo. Di chi è la colpa? Chi pagherà per questo? Chi mi ridarà indietro mio nipote e tutta la gente morta per difendere questo posto?

    Era il lamento dell’ennesima vittima della brutalità della guerra, non la prima né l’ultima perché di guerre e massacri ce ne sarebbero stati altri, a meno finché qualcuno non avesse deciso di debellare l’intero genere umano e lasciare il mondo in pasto alle bestie.

    Non lo so ma lo scoprirò e se sarete ancora in vita sarete la prima persona a saperlo.

    L’annuncio fu perentorio, la voce rassicurante. Certo ormai la morte non mi spaventava più dopo la visione a Ibben e la perdita di un vecchio amico oltre alla devastazione di decine di altri pirati non avevano giovato ad un ripristino della mia salute mentale, rimarcando invece la fragilità e la caducità di quella mia vita che giocava a rimanere in bilico su di un filo di raso. Volevo cercare qualsiasi individuo che fosse pronto a spillare qualche parola sull’incidente della capitale e continuai a tirare dritto assieme a Xury e Ozen verso l’area che dava l’impressione di rappresentare il centro. Lo scorrere del tempo in quel sacrario a cielo aperto era scandito da lamenti femminili e da voci di infanti colti da incubi in pieno giorno; come latrati in lontananza rievocano nella mia testa immagini distorte di un passato vissuto sulla pelle ed erano talmente vive e insistenti da fermare il mio passo più di una volta, allarmando la dottoressa.

    Credo sia meglio che vada a cercare le erbe prima che sia troppo tardi.


    No. No, sto bene. Mi serve solo un attimo.

    giphy
    Essendo complicato controllare i richiami dal passato senza l’effetto dei medicinali mi ritrovai a prendere il lato destro del viso con la mano e a spingervi con vigore, percependo una maggiore pressione da parte di indice e medio. Le orbite degli occhi oscillarono in diversi punti a partire da una porzione prossima alla punta dei piedi, virando prima a destra e poi in alto, nuovamente dritto; il cuore era una carica tumultuosa che pompava a raffica il sangue lungo ogni condotto intricato del sistema sanguigno, raggiungendo il cervello e i suoi sistemi irrimediabilmente compromessi dalla maledizione dell’Ootsutsuki. Cos’è che mi stava accadendo? Cercai di inspirare con un ritmo più forzato per alleviare le sofferenze e in qualche modo la cosa giovò alla causa, ma i disturbi e le visioni si sarebbero soltanto alleviate per un po’, dandomi respiro ed evitando allarmismi. Prima di ripartire mi soffermai ad accogliere ossigeno nei polmoni quasi fosse l’unico atto veramente importante, tenendo le labbra socchiuse per permettere il ricambio; spinsi le gambe solo nel momento che ritenni più opportuno, rimpallando lo sguardo su entrambi i lati per sondare la situazione e carpire da possibili suoni o movimenti qualche reazione pericolosa. Niente, in quella landa eravamo meri passanti senza importanza. Sazan’durr non si sarebbe ripresa affatto tanto presto, i vivi avrebbero pianto i morti per giorni, settimane o forse mesi dopo essersi sporcati le mani per donare un ultimo saluto e pace eterna.
     
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    La tenda del capo tribù era ancora in piedi pur versando in condizioni catastrofiche e la sua entrata era ben protetta da un duo di individuo molto singolare, esseri umani con addosso la pelle di un lupo bruno e di un cervide. Si trovava al centro della città e svettava sulle macerie che la circondavano come a volerla accerchiare, ma l’attacco era ormai avvenuto e il sangue intriso sul tessuto strappato come viscere dal corpo di un infante era una prova tangibile. Ambedue i guardiani non si premurarono di parlare, ma furono rapidi nell’eliminare lo scarto di distanza tra l’uscio e la nostra posizione, macinando metri come se fossero polvere e allungando minacciosamente le loro armi con far guardingo. La punta della lancia impugnata dal più alto vibrò nel vento compiendo un sibilo dapprima orizzontale e poi parabolico, producendo nessun tipo di suono, come se quell’oggetto non avesse peso, bloccandosi a mezz’aria sotto il mio mento. Ozen dovette bloccarsi d’istinto per via di una freccia scoccata dal più basso, che si conficcò davanti ai suoi piedi.

    Non siamo venuti per gettare altra violenza. Vogliamo solo sapere cosa è successo, mio nome essere Lìf Arnbjorg e questi sono miei compagni. Lui è Xury, sazanita come voi.

    Riconosciamo sempre un fratello quando lo vediamo, ma voi puzzate di guai.

    Pose una certa enfasi sulla sua esclamazione e a ben vedere; si comportavano ambedue come a rappresentare le pelli animali che avevano addosso e il loro naso era un detector migliore del mio, sebbene non fossimo lì per cercare rogne. La praticità dimostrata nell’utilizzo di tali strumenti era così elevata da dare l’impressione di provenire da un tempo persino antecedente alle loro nascite e le tenevano strette a tal punto che mi interrogai sulla possibilità che le donne di Sazan potessero figliare oggetti oltre che bambini. Considerando la bravura di Xury nell’impiego dei coltelli a farfalla non mi stupì quella dimostrazione di forza, ma non ne fui nemmeno impensierita.

    Non vogliamo creare alcun guaio, ne ho avuti già abbastanza. Voglio solo parlare con qualcuno che abbia un temperamento un po’ più… calmo. So che è complicato, ma noi non abbiamo colpe né contatti con coloro che vi hanno assaltato o difeso.

    L’arciere ringhiò oltremodo e incoccò una nuova freccia sollevando gli arti per accompagnare l’arma in modo tale da poter mirare alla mia fronte. Ozen lì sarebbe stata libera di agire e combinare chissà cosa, ma come da accordo non fece nulla che potesse trasportare la situazione in un punto di non ritorno.

    Andate via! Nessuno qui ha voglia di dirvi nien-

    Ora basta! Nostro popolo non avere mai negato ospitalità a nessuno, nemmeno quando eravamo schiavi e non lo faremo nemmeno ora. C’è un nostro fratello tra di loro, è più che sufficiente per farli passare.

    Throfnir ci aveva visto bene nel consigliarmi di portare Xury in quel viaggio. L’ex trafficante era astuto e un sapiente conoscitore degli usi e delle tradizioni di molti popoli, quindi il minimo che potessi fare era ascoltarlo ogni tanto, visto che vivevo ancora sulla sua nave. Il fu schiavo si sentì rinvigorito nel sentirsi chiamare così dalla sua stessa stirpe ma non versò una lacrima perché aveva già avuto modo di farlo abbondantemente quando gli era stata donata la “libertà vigilata” dal suo padrone e il diritto di poter tornare tra la sua gente ogni tanto. Sebbene Xury non fosse originario della capitale ma di una tribù nel sud est del continente, aveva tutti i lineamenti necessari per poter essere riconosciuto parte integrante del posto. Entrambi mantennero in tensione i loro cimeli ancora un po’, ma la voce femminile proveniente dall’interno della tenda lì redarguì nuovamente con più rabbia e a quel punto non poterono far altro che indietreggiare, voltare i tacchi e scortarci fino all’uscio, lì dove si prodigarono nel sollevare il tendaggio in modo da agevolare l’entrata al suo interno.

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    Benvenuti. Chiudete il tendaggio e mettetevi comodi, vi stavo aspettando da parecchie ore.

    La figura ospitante aveva quanto di più distante dai canoni estetici dei Sazaniti. La luce non smise di filtrare quando il tendaggio ricadde alle nostre spalle perché la struttura presentava in alto più fori dal quale il sole faceva irruzione e questo facilitava lo studio di quella enigmatica ragazza dalla pelle rosata e lunghi capelli albini dal taglio scalato. Il suo yukata rosso vinaccia, più corto del normale e più trasandato, non era l’abito più tipico del posto ed era ornato di stampe floreali di foglie di cedro dai toni bluastri. La donna era intenta a dare le spalle al corpo bendato di un uomo sulla mezza età, un reduce di guerra in stato di incoscienza privato degli equipaggiamenti ma non del suo copricapo bestiale appeso ad una trave e avente le fattezze di un lupo bianco al quale erano state impigliate a forza delle vere e proprie corna che fungevano da trofei o, all’occorrenza, come rostri difensivi per attacchi alle spalle.

    Lui chi è?
    Un uomo sopravvissuto ad un massacro e che ora riposa per riprendere le forze. Ho sentito che siete venuti per delle erbe e per conoscere ciò che è accaduto qui, ebbene è giusto che si sparga la voce.

    A separarci dalla donna vi era un piccolo fuoco morente ma ancora crepitante costruito con della legna vecchia in un anello di pietre annerite. Era disposto sul suolo arido, l’assenza di una pavimentazione di stampo “umano” donava un aspetto rudimentale alla capanna ove tuttavia aleggiava un’aura sinistra. Mi calai per terra sedendo sulle ginocchia e comprimendo il sedere sui talloni, sistemando le mani sulle ginocchia e guardando scivolare per terra il pastrano che inevitabilmente si sporcò di polvere; stessa cosa fecero i miei compagni, in un immacolato e rispettoso silenzio necessario per poter essere considerati degli ospiti.

    So chi sei Lìf Arnbjorg, l’ho visto nel sacro fuoco. Le fiamme mi avevano annunciato la venuta di qualcuno, ma i miei poteri divinatori non sono ancora forti come le grandi Sacerdotesse e non mi sono ancora ripresa del tutto dal consumo delle mie energie durante la battaglia. Sembra ironico che proprio la “figlia delle catastrofi e della sfortuna” sia qui davanti a me dopo che catastrofi e sfortuna si sono abbattute su di noi, il tempismo gioca brutti scherzi.

    Rise di gusto a quella battuta, prendendo una insolita bambola bianca con la mano destra e un pennello dalle setole lunghe tra le dita della sinistra. Più che una sacerdotessa o una custode delle arti mediche sembrava un’artista intenta a decorare i suoi pupazzi plasticosi nel suo atelier.

    Poteri… divinatori?
    Circa un paio di settimane fa siamo stati attaccati da due soli individui che avevano il marchio di Fury, erano esseri di acciaio venuti direttamente dall’inferno. La cenere che avete visto è un loro regalo, o per meglio dire il regalo di una di loro due. Molti guerrieri sono morti per opporre resistenza, persino le persone inviate dall’Osu non sono riuscite a limitare di molto i danni. Non erano pronti.

    Si comportava in modo velatamente vago ogni volta che la mia bocca suggeriva una domanda, come se giocasse a mantenere l’enigma per pura cautela. Non godevo di una buona nomea nel mondo, eppure questo non la rese schiva nel rivelare la sua verità. Inarcai il sopracciglio destro nel sentire il racconto, inclinando il capo al solo scopo di far sgusciare la coda dell’occhio in giro per la stanza.

    Perché mai l’Osu avrebbe dovuto impiegare mezzi così distanti quando ci sono i Corsari a pochi passi da Sazan’durr? Sarebbe bastata anche solo colei che si vanta di essere la Regina dei Corsari o qualcuno dei suoi ammiragli per sistemare la faccenda. Sapete dirmi di più sugli aiuti mandati o sul perché dell’attacco?
     
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    Prima dell’incontro con la Lunaria mi sarei persino infervorata per quel dettaglio, ma quel qualcosa nella mia testa suggeriva di dover sprecare le forze nella ricerca di altro piuttosto che nella caccia alle streghe. Dopotutto l’Osu aveva largamente dimostrato una incapacità assoluta nella gestione dei problemi, tanto valeva agire direttamente per far sì che le persone lo capissero e farle rivoltare contro.

    Non ne sono a conoscenza e non ho i poteri per scoprirlo. Ad ogni modo solo cinque shinobi si sono occupati della faccenda, non conosco i loro nomi ma nessuno di loro proveniva dalle terre dei Corsari. Oltretutto uno di loro è stato rapito, portato via dalle fauci dell’antica Serpe gigante ma ignoro le motivazioni. Anche il figlio di quest’uomo è stato rapito. Quei due hanno gettato l’inferno su questa terra e gli unici a pagarne le conseguenze saranno i reduci di questo popolo, ma la ferita è troppo grande e ci vorrà tempo perché possa rimarginarsi.


    Indicò il malato alle sue spalle torcendo il collo affinché potesse controllare la situazione del paziente con occhio clinico, nascondendo una lama di freddezza nella profondità della sua aura. Era come se in lei si celasse un oscuro maligno soggiogato da modi di fare troppo perfetti e distaccati, contenuti in un guscio di porcellana e pitture vegetali.

    Suppongo che non ci siano molte altre informazioni utili da ottenere qui. Andrei volentieri nel continente di Guerrieri ninja ma non posso sperare di irrompere in quel posto senza creare scompiglio e ci sono cose più importanti che finire in cella per sempre.
    Avresti un manipolo di Cani alle costole e non sono convinta che riusciresti a divincolarti facilmente, nemmeno se usassi “quella” cosa. Fa che scavino la fossa da soli mentre cerchiamo di scoprire di più a modo nostro.

    Ozen aprì bocca dopo il prolungato silenzio. Non disse alcuna parola sul degente né su quella specie di sacerdotessa, ma si limitò a respirare sotto gli strati di stoffa e a studiare gli strumenti usati dalla ragazza. Ozen non avrebbe perso nulla se io fossi morta o fossi finita in prigione per sempre, ma aveva deciso di seguirmi perché credeva nel mio ideale molto più di quanto vi credessi io stessa. Era più adulta, meticolosa, fredda e centrata sull’obbiettivo rispetto a me e i suoi consigli risultavano sempre efficacemente utili.

    Devo dare ragione alla vostra compagna. Per quanto possa essere nobile il vostro scopo nessuno lo riconoscerà tale per la vostra nomea. La gente vedrà sempre la vostra reputazione precedervi e si affiderà a chi dalla società viene visto come buono solo per il proprio ruolo. Non sprecatevi per loro, loro non si sono sprecati per noi.

    Una serie di aghi finirono tra le sue mani e con essi disegnò un cerchio invisibile nell’aria con la rotazione del polso. Poi si ritorse indietro di scatto e fece calare il braccio in uno scatto funesto, fermando le punte degli spilli all’altezza del cranio del malato, simulando la rabbia di quel popolo e il menefreghismo di coloro che avrebbero dovuto aiutarli. Il patto tra Sazan, il continente meridionale e quello ninja era soltanto un’altra miserabile pagliacciata, uno specchietto per le allodole di stampo politico. Di migliaia di ninja e corsari solo cinque erano stati mandati a onorare la difesa di quella capitale e questa era una prova sufficiente a infangare ulteriormente il nome di Delilah e di tutta l’Osu. Che bruciassero da soli, come era bruciata la prospera capitale dei Sazaniti.

    Mi cedereste quel pennello e una delle vostre… bambole?

    Tendendo l’arto destro verso la sacerdotessa la invitai a prestarmi il pennello e in attesa di un suo gesto di replica osservai il malato con più attenzione, lasciando che il suo viso entrasse definitivamente nel mio registro mentale. La ragazza non perse tempo nell’allungare l’oggetto ancora imbevuto di inchiostro rosso, ma si dimostrò inizialmente restia a darmi un suo pupazzo perché non aveva idea di cosa volessi farne.

    Tranquilla, non c’è alcun sortilegio da lanciare in vostri pupazzi. Per muovermi più velocemente nel mondo ho scoperto un’antica tecnica celata nei sotterranei di un posto molto lontano da qui. Mi è stata negata la libertà per troppo tempo, ma questa volta il mondo vedrà cosa succede a non punire gli errori e a lasciarli liberi di agire. Il mio esilio non mi vieta di mettere piede ad Ishivar ed è nelle terre del Vecchio pazzo che forse potrei trovare la risposta a ciò che sto cercando, prenderò due carpe con un amo.

    Le premesse iniziali le piacquero particolarmente e sentendo ciò decise di cedermi uno dei suoi pupazzi con estrema curiosità, usando dei fili di chakra per farlo muovere come un bambino senziente. Era panciuto, bianco e con le palpebre socchiuse. Il suo gonnellino azzurro copriva parti intime inesistenti, ma era così tanto simile alla realtà da generare inquietudine.

    Loro sono come miei figli.

    Disse a capo chino, facendo giocare le bambole con le dita adunche e decorate di vari tagli. Il pupazzetto umano avanzò goffamente fin oltre il fuoco spento e una volta difronte a me si cimentò in una piroetta ondeggiante, dandomi così le spalle e mostrando una testa calva e perfettamente liscia, ottima come base per un’illustrazione.

    Bene, allora sappi che tuo “figlio” dovrà rimanere qui. Se verrò a scoprire un suo movimento sospetto smetterò di cercare e non avrò pietà alcuna, mi sono spiegata bene?

    Non scherzai. L’avvertimento era chiaro e misi subito le mani avanti per evitare fraintendimenti, procedendo nel segnare il marchio di un [teschio con ali di insetto] sulla bambola e immettervi una piccola dose di energia necessaria per rendere quel marchio un autentico sigillo di teletrasporto, utile nel momento in cui avessi avuto necessità di raggiungere quel luogo in un lampo per consegnare persone o notizie. Ci impiegai qualche istante perché non avevo ancora una buona dimestichezza con quel jutsu, ma da lì a breve un’aura violacea emerse dalla pelle creando un gioco di luce nefasta che stuzzicò gli insetti e li portò a ronzare per l’eccitazione. La luce non fu più abbagliante di quella proiettata dal sole nel foro sull’apice della tenda, eppure il riflesso fu sufficientemente forte da attirare l’attenzione dei presenti e persino dei bambolotti che si fermarono intirizziti a rimirare il marchio sulla nuca del loro fratello. Al compimento di quella pratica avrei restituito gli arnesi alla loro legittima proprietaria, constatando nel silenzio il migliore spazio di fuga. Non che avessi fretta di scappare da qualcuno ma non c’era più bisogno di restare ancora chinata in quel posto sicché vi erano altre faccende da sbrigare, tra cui lo studio di quella specie di uovo di roccia e della buca nel suolo non molto distante da lì.

    Credo che non ci sia più molto da aggiungere, vi ringraziamo molto per questa chiacchierata. Vorrei fare un giro nei dintorni per vedere la situazione, lasceremo Sazan’durr il prima possibile.

    Abbandonai la posizione guardando il “bambino” fare un balzo veloce per tornare dalla sua “mamma” e riunirsi agli altri compagni, fratelli a detta della donna. Essa non si scompose, non abbandonò la sua posa e continuò a vegliare sul malato come se fosse l’ultimo compito da adempiere prima di morire.

    Sono felice di avervi incontrati e di aver potuto parlare con la famigerata “figlia delle catastrofi e della sfortuna”. MI auguro di rivedervi molto presto e di avere la vendetta che meritiamo. Se doveste necessitare del mio aiuto beh, sarò qui pronta a darvelo.

    Annuì ma non risposi. Non era mia intenzione mettere a repentaglio la vita di una persona che non conoscevo, ma il mondo aveva portato via parte della mia empatia e della mia pietà e fu per questo che non fermai le sue volontà: era suo diritto prendersi quello che desiderava, chi ero io per fermarla? Lasciammo in poco tempo quella baracca, con il sole ancora alto ma vicinissimo a sfiorare un banco di nubi cariche di pioggia. Ben presto un temporale avrebbe bagnato le terre aride della capitale martoriata ma non sarebbe servito a ripulire il dolore di quella gente o a spazzare via dal suolo il manto di cenere maledetta, ma avrebbe ridato speranza ai terreni vicini di rifiorire. Mi incamminai con i compagni separandomi dopo pochi metri, lasciando ognuno alle proprie faccende, sfruttando quella solitudine per portarmi al cospetto del pezzo di roccia artificiale sollevato nello scontro. Il pensiero di dovermi rivolgere al “Segretario” non mi intimoriva, ma avrei dovuto sborsare una bella cifra per fare luce sulla questione senza passare dalla gattabuia e avere i nomi nomi delle persone coinvolte nell’incidente. Che rogna.


    Creazione sigillo di dislocazione (-25punti chakra)

    The end :sob:
     
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    Puoi prendere il massimo dell'exp.
    La descrizione degli stati d'animo, dei luoghi e delle interazioni tra i personaggi sono - a mio modo di vedere - perfette. Complimenti.

    Confermo la creazione del sigillo di dislocazione.
     
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6 replies since 14/12/2023, 11:49   151 views
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