L'anima nera

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    Parlato Dezu

    L'anima nera

    Quel giorno a Oto, passeggiavo carico di malinconia. Non riuscivo a capirne però la motivazione. Passeggiavo con un'espressione piuttosto assente, come se la mia consueta radiosità e solarità fosse venuta meno. Il mondo sembrava girare di propri ingranaggi, fregandosene di quel mio piccolo malessere. E ciò mi faceva sentire solo, solo ed incompreso. Alla fine non mi mancava nulla... O no? Una famiglia, un tetto sopra la testa, dei sogni e degli obiettivi. Persino un'attività da poter alternare ad una futura vita di shinobi. Eppure sentivo la mancanza di qualcosa. Quel giorno, quel giorno, era diverso. Tutto sembrava essere contornato di tratti scuri, ombrosi, come se la mia mente ed i miei occhi mi stessero chiedendo di osservare il mondo sotto un'altra luce. Solitamente, la solarità e la semplicità regnava nel mio essere. Ma quel giorno, quel giorno sembrava essere nato così: triste e malinconico.
    Io, Dezu Kuruta, passeggiavo per le vie di Otokagure verso le cinque del pomeriggio e, stranamente, già si era fatto buio. La luce, con tutti i suoi bagliori, stava lasciando spazio alle tenebre più buie che inglobano tutto e tutti. Io passeggiavo da ore, immerso in pensieri più grandi di me. Cosa stava accadendo al quattordicenne spensierato chiamato Dezu? Non pensava più alle ragazze, a futuri vizi da coltivare e stragi di donne da fare? Era cambiato qualcosa?

    Uff, stai crescendo caro mio, ecco tutto...

    Mi dicevo, consolandomi per quel mio strano stato d'animo. Passeggiavo senza meta, mentre le case chiudevano le porte e la gente si rintanava nelle luci delle loro abitazioni. Sembrava come se l'intero villaggio fosse andato a dormire. Ed io ero lì che barcollavo, pensante e provato, diretto dove le gambe riuscivano a portarmi. I miei passi risuonavano come un leggeri tocco di bambino sulle strade di Oto, cercavo, inconsciamente, di muovermi più lentamente possibile. Ero come attirato, come attirato da qualcuno o da qualcosa. Camminavo diretto verso qualcosa, sì, solo che ancora non ne ero a conoscenza. Sapevo solo, che qualcuno mi attendeva. Sonnambulismo? No, ero sveglissimo. Ricordo tutto chiaramente a distanza di anni. Eppure, quello strano pomeriggio primaverile, tutto sembrava essere diverso dal solito. Il sole tramontò con largo anticipo e tutto il villaggio andò a dormire prima del tempo. Come se spaventati da quest'alone di stranezza che caratterizzava Oto quella giornata. Pensavano anche andando a dormire avrebbero risolto i loro problemi? Dio, che pena. Non potevano pensare di dormire e svegliarsi come se nulla fosse, qualcuno doveva intervenire. Ed io ero stato designato per questo. Camminavo ancora, mentre scorsi qualcosa in lontananza. Erano passate delle ore. Arrivai in un parco totalmente abbandonato. Un'altalena in legno, un piccolo scivolo per bambini e delle panchine. Non ricordo altro del posto. Tutto era immerso nell'oscurità. Mi ero spinto molto in periferia senza neanche accorgermene. Il parco era spoglio d'alberi ed in teoria la luce della Luna, che era molto alta nel cielo, avrebbe dovuto riflettersi su di esso. Eppure niente, nulla. Soltanto il buio più totale. Mi avvicinavo di più mentre l'aria si faceva sempre più pesante. Poi, una voce fredda e distaccata, come se appartenesse a qualcosa di un altro mondo, ruppe il silenzio del parco. Era una cantilena lenta e recitata in modo struggente. Un lungo brivido mi percorse tutta la schiena ed improvvisamente mi ridestai da quello strano momento di tranche.

    Potrei parlarti dell'affetto perso dai miei genitori
    Di lei che si alza presto e sul balcone annaffia i fiori
    Di quanti amici adesso sono solo traditori
    Ma tanto sotto terra vai a finire quando muori
    Poi viene tempestivo come un temporale estivo
    L'essenza di rischiare per sentirmi ancora vivo
    Rimango a casa e scrivo, ho un unico motivo
    Uscire dall'aspetto dello spettro introspettivo


    Mi avvicinai di più, incuriosito da quelle parole, finché mi ritrovai di fronte ad un volto. Esatto, un volto. Mi misi in guardia, spaventato per come il volto saltò fuori ai miei occhi. La luce della luna ora era presente, come se l'incantesimo di angoscia e tristezza fosse terminato. Quel volto mi osservava con un'espressione del viso indecifrabile. Non sembrava né amico né nemico. Mi osservava con uno sguardo così profondo che ero tentato quasi quasi a darmela a gambe. Ma rimasi lì, ad osservare quella strana figura dalle labbra sottili e lo sguardo assente, quasi spento. Non sapevo cosa stesse accadendo, ma sapevo di dover rimanere lì quella sera. Mia madre e mio padre si sarebbero sicuramente preoccupati, ma oramai ero arrivato fin lì e non potevo assolutamente fare dietro-front. Sarebbe stata una sconfitta. E comunque quell'uomo mi aveva totalmente paralizzato le gambe con un solo sguardo, tanto era espressivo e al tempo stesso inespressivo il suo viso. Era espressivo nella sua inespressione, non so neanche come definire una cosa simile. Mi osservava, come un teschio che non aveva ancora lasciato questo mondo.

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    Edited by ShaneH - 8/4/2016, 20:30
     
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    I suoi occhi mi osservavano inespressivi, così come il suo volto. Ero bloccato, attendevo, sudavo ora, teso com'ero per la situazione. Gli occhi di quel tizio mi continuavano a fissare, finché non proferì nuovamente parola.

    Io brucio d’inverno e lascio fumo come fuoco acceso
    io che penso agli altri, vinco guerre mentre perdo peso
    tra botte che ho dato, altre che ho preso, alcune mi hanno steso
    piccolo indifeso, in questo mondo non mi sono arreso



    Ma cosa diavolo stava dicendo? Quella voce così fredda, quasi ultra-terrena, mi gelava il sangue. Dio, volevo tornarmene a casa. Ma non riuscivo a muovere un muscolo. Le gambe sembravano non essere più le mie, sembravano essere bloccate lì, ferme ed immobili. Non potevo resistere un altro minuto in quel posto, perciò mi feci coraggio e parlai. Sì, parlai. Mi sembrava così strano in quel momento, interrompere la cantilena di quell'uomo così particolare, ma dovevo capire cosa volesse da me e cosa ci facesse lì.

    D-Dimmi, che cosa vuoi d-d-a m-e?

    Una b-b-albettante domanda, frutto di quella strana situazione. Non riuscivo neanche a parlare bene come mio padre mi aveva insegnato!! Che vergogna!! L'uomo però non ebbe alcuna reazione. Le mie parole andarono perse nella notte, mentre il volto continuava ad osservarmi. Allora, realmente spaventato, feci finalmente un fottuto passo indietro. Le mie fottutissime gambe, che fino ad allora mi avevano lasciato nei guai, sembravano ricominciare a funzionare come dovevano. Ma forse era troppo tardi, perché tutto si spense. Il volto si avvicinò maggiormente, poi, nulla. Non ricordo nulla di cosa accadde.

    ...
    ...
    ...

    Aprii gli occhi con un respiro forte affannoso, come se mi fossi svegliato finalmente dopo un brutto sogno. Ero in una casa. Sì, riuscivo a vederne il soffitto in legno. Una bella catapecchia a dire il vero. Mi alzai di scatto, ricordando quel volto così inquietante. Mi guardai attorno, scorgendo subito dei mobili, una finestra e delle foto. Disfai il letto e le coperte, per poi avvicinarmi al comodino a circa un metro da dove mi trovavo ed osservai la foto che vi era riposta sopra. Era quell'uomo, sì, e con lui c'era... Una donna!! Una donna dal sorriso affabile e genuino. Persino l'uomo sembrava felice, il contrario di quello che avevo visto la sera prima. La sera prima, sì, perché oramai si era fatto giorno. La luce irrompeva violentemente in quella stanza, illuminata in maniera quasi innaturale. Mi continuai a guardare intorno e ad osservare le foto poste qui e là. Veramente tante e veramente belle. Quell'uomo e quella donna dovevano essere marito e moglie. Ma perché mi trovavo lì? Dovevo avere delle risposte, perciò mi avvicinai silenziosamente alla porta. Mancava circa un metro alla porta, ma quella si aprì lentamente con un suono lugubre. Dove diavolo mi trovavo? In una casa degli orrori?! Dove uscirne alla svelta! Impaurito come non mai, circondai subito il mio corpo di scintille ed attraversai il corridoio che seguiva la porta. Varcai una seconda porta, per poi arrivare in un salottino molto ben arredato ed ordinato. Un divano apparentemente caldo ed accogliente ed una parete, però, con una carta da parati molto dozzinale caratterizzavano il salotto. Un salotto semplice, quasi appartenente ad un'altra epoca. Mi guardai meglio attorto e lo vidi. L'uomo era lì, seduto su di una poltrona a pochi metri da me. Non seppi cosa fare, ma non tolsi il Raiton dal mio corpo.

    Siediti Dezu Kuruta, avrai delle domande da farmi immagino.

    Rimasi abbastanza spiazzato dall'invito arrivato così, senza grossi preavvisi. Ero quasi pronto allo scontro, ma incredibilmente ciò non era nei piani dell'uomo. Non voleva mangiarmi né uccidermi, forse. Perciò mi sedetti con maggiore serenità, anche se ero tutt'altro che tranquillo. La curiosità cresceva dentro di me ogni istante, ma non riuscivo a farla emergere. Rimasi in attesa per molti secondi, finché feci uscire delle parole dalla bocca quasi inopportune, che forse in un altro contesto non avrei mai detto.

    C-cosa sei? Volevo dire, chi sei e cosa ci facciamo qui?

    Quel "Cosa sei", sarebbe potuto suonare tanto come un insulto. Ma d'altronde quel che avevo davanti era la caricatura di un uomo. Magro, stanco ed emaciato. Sembrava che stesse per morire da un momento all'altro. La carnagione, pallida come un lenzuolo, poi, rendeva tutto l'aspetto dell'uomo ancora più debole e trascurato. Era ben diverso dall'uomo delle foto.

    Sono Jugo Sajura, un ex anbu e medico di Oto. E sei nella mia seconda casa di proprietà. La prima, purtroppo, la condividevo con mia moglie che è venuta a mancare qualche giorno fa. E ahimè, purtroppo la colpa è soltanto mia.

    Che cosa diavolo voleva da me un ex shinobi che aveva appena perso la moglie?! Il mistero si infittiva, mentre una strana sensazione nello stomaco cresceva. Non riuscivo a stare tranquillo, una parte di me sapeva che tutto quel che stava accadendo avrebbe avuto qualche strana ripercussione. Era troppo strano trovarsi in quel luogo senza saperne il perché, senza sapere cosa volesse quello Jugo Sajura da lui. Cosa centrasse lui con quell'uomo e perché si trovava in quello stato pietoso.



    Edited by ShaneH - 8/4/2016, 20:32
     
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    La prima volta che sono morto

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    Lo osservavo con curiosità, ma al tempo stesso terrore. Sembrava un teschio vivente, nato per terrorizzare. Gli occhi incavati sembravano due grossi ragni, circondati da delle grosse occhiaie grigie simili a vecchie ragnatele. Lo osservavo terrorizzato ma senza aver la forza di esprimere quel terrore. Un senso di pena mi privava della minima malignità. Non me la sentivo di prenderla con un uomo ridotto in quello stato. Era quello il volto della morte? Me lo chiesi, forse credendo di essere arrivato al mio capolinea. Che fosse questa la morte? Conoscerla, farsela amica e diventare polvere insieme a lei?

    Ma quando sono morto?

    Domandai fra me e me. Non riuscivo a ricordarlo.

    Sono morto quando ero al parco?! Quell'attimo di vuoto?! Quella è stata la mia morte? E lui... Lui era il mio assassino?

    Lo guardai meglio, sì, aveva proprio quell'aria d'assassino. Stanco, apparentemente folle e forse sotto sotto un po' sadico. Aveva anche i mezzi, l'aveva detto, era un ex anbu. Mi aveva ucciso, ma perché? Cosa potevo avergli fatto? Dio, tremavo da capo a piedi. Quell'uomo metteva i brividi. Poi, improvvisamente tutto cessò. Mi osservò ancora con quei suoi occhi freddi e cupi ed immancabilmente mi arrestai. Il suo sguardo mi aveva congelato di nuovo. Era magnetico, incredibilmente particolare e bizzarro. Non era un uomo, e se poteva anche esserlo non era un uomo normale. Continuava a guardarmi con quei due occhietti e la bocca serrata, come se dovesse trattenere i demoni presenti al suo interno. Poteva tranquillamente sembrare una statua. Ma quello sguardo, quel look così normale all'apparenza, nascondeva forse degli orrori. Una goccia di sudore cadde dalla mia fronte. Stavo sudando. Come potevo farlo?! Non ero particolarmente accaldato, ma quell'uomo aveva su di me un potere malefico. Restammo a fissarci per un tempo indecifrabile, eppure lo ricordo chiaramente. Non riuscivo a proferir parola, d'altronde come potevo farlo!? Ero morto!! Ma no, non potevo buttarmi giù così. Io dovevo essere vivo. Non potevo essere morto così.

    Non posso essere morto cazzo... Quanta gente si sveglia morta?! Nessuno e non sarò io il primo della lista!! Un morto non si risveglia per fare due chiacchiere!!

    Mi dicevo dentro di me, finché feci la cosa più naturale del mondo. Respirai. Respirai a pieni polmoni, fiero e soddisfatto di poterlo fare. Respiravo... Io!!! Non ero morto!! Me lo sentivo!! Non mi aveva assassinato quell'uomo, perché avrebbe dovuto farlo? Perciò, presi coraggio e parlai per chiarire tutti i dubbi che mi ero posto.

    Jugo, bene, dimmi: come mai tua moglie è venuta a mancare? E cosa ci facevi in quel parco di notte?

    Domandai con naturalezza, mentre improvvisamente il battito del mio cuore aumentò vertiginosamente. Avevo paura della risposta.

    Mia moglie? Oh... La mia cara Diana........ Non posso credere che sia morta. Gli ho stretto la mano, sì, la mano fredda proprio quando i dottori lasciavano la stanza d'ospedale. Ed esplosi. Qualcuno, non volettero dirmi chi, sbagliò la diagnosi. Non ricevette le giuste cure. Era gravemente malata, ma ci eravamo detti, con i medici e mia moglie, di prolungare ancora la sua agonia per finire di vedere il mondo. Sì, eravamo due viaggiatori. Ben tre anni fa scoprimmo di questa malattia e allora decidemmo di partire ogni sei mesi e visitare un importante villaggio al fine di vivere gli ultimi anni della nostra vita insieme ammirando le gioie che queste terre ci offrono. Eravamo giunti ad Oto pochi giorni prima e forse i medici si trovarono impreparati di fronte ad un caso come mia moglie. Era purtroppo sempre a rischio. Ci convivevamo da anni, ma non avrei mai pensato potesse finire così il nostro matrimonio. E quelle foto sono le poche cose che mi restano di lei. Io, che per una vita ho dedicato anima e corpo al lavoro di shinobi, rinunciando ai veri valori della vita. Una famiglia, un'amore da coltivare, degli eredi per cui lottare. E cosa ho ora? Tante case sparse per il mondo e neanche qualcuno con cui condividerle. Oh sì, non mi mancano i soldi. Ma perché, perché non posso resuscitare Diana.... Ho bisogno di lei. Ma non deve temere.... La raggiungerò......

    Concluse, mentre un brivido mi percorse la schiena. Era in uno stato confusionale. Era palese. Però non aveva spiegato il perché si trovasse in quel parco a quell'ora della notte. Forse voleva prendere una boccata d'aria? Strano però, molto strano. La moglie è morta e lui va sull'altalena?! Dovevo assolutamente saperne di più. Ma non serviva chiedere nulla, quell'uomo avrebbe continuato da solo, si era sbloccato.

    Mi trovavo lì perché volevo assaporare la notte un'ultima volta. E sei capitato tu. Che strana coincidenza non trovi? Comunque, la colpa è solo mia! Avrei dovuto starle vicino! E invece, come un poveretto, sfuggivo alla realtà facendole vedere posti in cui non sarebbe potuta normale!! Sono stato un marito orribile. Ma è inutile piangersi sopra, devo andare avanti, oltre questa sofferenza che mi porto addosso. Ero lì, ieri sera, dopo aver lasciato l'ospedale e i suoi medici. Lì ho uccisi. Lì ho uccisi con le mie mani. Non ho risparmiato nessuno che fosse di turno quella notte. Se non fosse stato per le cattive cure riservate a mia moglie, forse sarebbe sopravvissuta. Dovevano agire per tempo, invece me l'hanno ammazzata. Povera donna. Ma io, io, ho fatto quel che dovevo. Mi verranno a cercare, ovviamente, mi imprigioneranno e forse giustizieranno entro stasera. Ho ucciso e distrutto molti medici di un ospedale, privando forse ad altri delle cure molto importanti. Ma non me ne pento e non voglio essere giudicato. Non spetta a te.

    ...

    E ti chiederai, dunque, perché sei qui. Sei qui perché avevo bisogno di una persona. Di un giovane a cui trasmettere ciò che ho imparato dai miei errori. Non correre dietro ad un lavoro che può darti solo soddisfazioni limitate, trovati una donna con cui stare bene. Viaggia, scopri, cerca te stesso e onora i tuoi genitori finché li avrai vivi su questa terra. So che non possono valere nulla questi discorsi per te, ma io sono l'anima nera che abita questo mondo. L'anima che si è macchiata di omicidio la scorsa notte. Io voglio farti un dono, Dezu Kuruta, il dono della sensibilità. Dovrai custodirlo bene. Le frivolezze per te sono finite, o forse mai iniziate. Purtroppo, tu sei stato designato per tale compito. Dovrai portare testimonianza, non della mia storia, comune in mezzo a tante altre, ma di ciò che è il mondo. Tu non sei niente e forse non sarai nulla di ché in futuro, ma ho scelto te e spero di non sbagliarmi. La sensibilità dovrà darti maggiore profondità d'animo, d'essere e di vedere. Abbandona la superficialità e vivi, vivi per migliorare questo mondo. E lascia, lascia questo mestiere se non ti convince a pieno. Sprecherai gli anni migliori della tua vita. Lo sento, lo vedo, che non l'hai scelto con coscienza. Ma forse sarà la tua strada. Per farlo, però, dovrai cercare te stesso e solo così arrivare in alto. Cerca te stesso, odialo quando dovrai farlo e non fermarti alle apparenze, Dezu. Per me, purtroppo, la vita sta per finire. Ho ingerito un veleno potentissimo che dopo dodici ore uccide all'istante chi lo ha ingerito. E... Mancano due minuti a partire da ora. Prego, puoi domandarmi quello che desideri.


    Ma cosa?! Era il delirio di un pazzo?! Cosa diavolo!? Non riuscivo a capire se fosse tutta una presa in giro o quell'uomo dicesse sul serio. Aveva ucciso delle persone, dei medici per giunta, e voleva darmi lezioni di vita prima di restarci secco. Non potevo dargli peso, ma tutto ciò che aveva detto risuonava intorno come un incantesimo. Superficialità... Sì, lo ero. Ma cosa dovevo fare a quattordici anni?! Non avevo mai avuto esperienze tali da farmi crescere prima del tempo!! E non volevo di certo iniziare ora! Perciò, scossi la testa e tentai di dire qualcosa, ma l'uomo mi fermò all'istante.

    Il mondo cambia quando meno ce lo aspettiamo... Fatti trovare pronto Dezu e partecipa ai suoi cambiamenti. Non essere frettoloso, il mio monito non pretendo tu lo apprenda subito. Ma col tempo, quando la vita ti farà brutti scherzi, ripenserai a quest'uomo stanco e magro. A questo scheletro pronto a morire. E guardami, guardami morire di fronte ai tuoi occhi. Forse, toccherò corde del tuo animo ancora nascoste... Non per forza piacevoli.

    Ah... Ti ho scelto osservandoti passeggiando per strada mentre combattevi contro un altro ragazzo ad un campo d'allenamento. Emanavi un'energia particolare ma eri e sei ancora troppo acerbo. Sviluppa una sensibilità verso le cose, verso il mondo e verso gli altri e ne sarai ricompensato. Credimi, abbi il coraggio di amare a cinquant'anni suonati come feci io, esplora il mondo in tutte le sue forme... Vivi Dezu, vivi con spiritualità e senso critico. Sperimenta, crea, lotta e piangi per qualcuno. E dopo tutto ciò, pensa, pensa ad oggi e a quel che ho detto. Forse solo frasi vuote, frasi fatte, ma che raccolgono l'esperienza di vita di un pover'uomo. Addio


    Disse, chiudendo gli occhi e mettendosi comodo sulla poltrona. Emise un lungo respiro, che annunciava la sua fine. Esalò l'ultimo respiro, mentre tutto intorno a lui sfumava. Era morto, finalmente avrebbe potuto raggiungere l'amata moglie. La testa mi faceva male ed il cuore mi batteva a più non posso. Sentivo il battito in maniera assurda, non avevo mai visto una persona morire. Forse aveva ragione, la vita spesso è troppo breve per apprezzarla a fondo, ma non mi sentivo ancora pronto a farmi carico di certi pensieri. Mi alzai con espressione confusa. Sentivo uno strano ronzio intorno, come se all'improvviso la casa emanasse suoni alquanto strani. Confuso e stanco, uscii dall'appartamento, ritrovandomi proprio a pochi isolati da casa mia. Presto sarebbero arrivati shinobi pronti ad investigare per gli omicidi avvenuti e di certo non volevo farmi trovare con un uomo morto ai piedi. Perciò mi incamminai verso casa, stanco, mentre tutto intorno emanava un suono diverso. Quel giorno dopo quattordici anni da semplice ragazzino toccai per la prima volta la vita. La vidi di fronte a me, viva seppur malaticcia e stanca, e la vidi accasciarsi e spegnersi come un fuoco su della paglia. "Che cosa vorresti avere nella vita?", forse, fino a quel giorno avrei risposto altro, ma le mie vedute erano cambiato. Ero destinato alla sensibilità.



    Quest particolare. Ho allegato canzoni a me molto comunicative, spero possano aiutare nella lettura. La quest in sé si basa proprio sul cercare di vivere la vita nel mondo meno superficiale possibile ed il mio pg incarna proprio lo spirito di superficialità del quattordicenne medio.

    Fine


    Edited by ShaneH - 8/4/2016, 20:33
     
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    Ti dirò, mi è piaciuta anche se purtroppo delle volte non l'ho trovata molto scorrevole, ma deve essere l'ora e la stanchezza. Per me puoi prendere 33!

    Se posso darti un consiglio sulle musiche, per quanto possano essere belle e comunicative, distraggono un sacco per via delle parole. Ho dovuto ascoltarle prima e leggere senza, perché, almeno a me, confondono :asd: Ti consiglierei di usare tracce musicali solo strumentali per le prossime volte, ma ovviamente è un consiglio, non ti penalizza in nessun modo la cosa :asd:
     
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    Grazie per il commento e la valutazione!! Rispondo ora perché ero convinto di averlo fatto.. Grazie del consiglio per le musiche, erano da leggere prima infatti, forse avrei dovuto specificarlo xd
     
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